Autore: Anna Buccheri
Cosa rimane delle parole che vengono dette? cosa rimane dell’evidenza che si presenta ai nostri occhi? possiamo davvero smontare idee preconcette, stereotipi consolidati, credenze comuni, romantiche fantasie? cosa può davvero fare in questo senso una comunicazione mirata, seppure attenta e calibrata su chi ascolta? quanto è possibile se non scardinare anche solo far vacillare una sovrastruttura?
Ecco, queste sono le domande che sempre si affollano nella mente di chi si occupa di comunicazione, di chi cerca di capire come e perché alcune verità/non verità si siano così sedimentate da non ammettere nemmeno di essere messe in dubbio, ottenendo al massimo una reazione emotiva, di slancio immediato, di natura classicamente catartica, un pianto liberatorio, una commozione sincera, partecipata e condivisa. Unica alternativa concessa è al più quella di gridare al miracolo, all’eccezionalità, riconoscendo all’altro, a questo nostro simile che però ha qualcosa di diverso da noi che lo rende sottilmente estraneo, un’aura di superomismo coniugato sia al maschile che al femminile. Allora questo Altro che ci sta di fronte è super, è più in tutto, è qualcuno da cui imparare, è fuori da ogni regola, è oltre ogni limite.
Quello del limite è in effetti un concetto molto ampio e che pone subito una serie di interrogativi: è qualcosa di invalicabile e come tale va accettato o è solo una meta da raggiungere per poi porsene un’altra? è riconoscere di non poter fare tutto per ragioni di tempo, mancanza di energie e di requisiti? è legittima volontà di migliorarsi o è delirio di onnipotenza? è davvero una sconfitta riconoscere un fallimento? e soprattutto: possiamo fissare in modo definito le mete che comunque vanno raggiunte rispetto a quelle che possono invece essere più legate a tentativi di trovare la propria strada nel mondo e una propria identità?
Infine, per tornare agli effetti della comunicazione, quanto pesa la scelta del medium, il mezzo, che si usa: quanto è incisiva la parola scritta rispetto a quella parlata, quanto incide il fatto che il mezzo che veicola il messaggio coincide con il messaggio stesso che si veicola?
Le parole sono importanti, chi parla male, pensa male, diceva Nanni Moretti in Palombella rossa, e allora leggiamole queste parole, ascoltiamole, cerchiamo di capire cosa dicono e come lo dicono. Sono le parole degli studenti del Liceo di Scienze Umane “Napoleone Colajanni” di Enna che hanno partecipato al Concorso (prima e seconda edizione, 2022 e 2023), legato alla Giornata Nazionale del Braille della Sezione Territoriale UICI di Enna, qualificandosi ai primi tre posti.
L’edizione del 2022 ha premiato: al primo posto, Carola Coniglio, Riflessioni; al secondo posto, Maria Mangione, Il buio di Mariupol; al terzo posto, Martina Calvino, “Lingua” Braille.
Nelle sue Riflessioni, Carola Coniglio osserva che il Braille per quanto inventato quasi due secoli fa è giovane, fresco e genuino e che non si può prescindere dalla sua conoscenza per una piena inclusione sociale dei disabili visivi. Il Braille non tramonterà mai, sarà sempre “alba”: necessario e indispensabile perché nessuno debba dipendere da qualcun altro. Leggere e rileggere con le proprie mani permette un’immersione nel mistero della bellezza, che è cultura, che è il piacere di scrivere una lettera ad un amico, ad un fidanzato, ad una persona cara e di riceverne una e poterla leggere.
Sono parole semplici, efficaci e dirette, che dicono che chi le scrive ha ascoltato e osservato e riflettuto su ciò che ha ascoltato e osservato.
Maria Mangione ne Il buio di Mariupol propone una lettera ad un amico non meglio identificato per raccontare della cecità di Nina, la ragazza che scrive, causata da un “pappagallo verde”, una bomba, retaggio della guerra, del primo attacco russo nel Donbas del 2014. Aveva solo otto anni, giocava con i cugini in campagna quando ha trovato quel giocattolo scintillante e tanto grazioso che ha portato a lei e alla sua famiglia invece morte e disabilità. Oggi la sua città conosce di nuovo la guerra e lei è rimasta sola con Red, il suo cane guida, che le sta accanto da otto anni. E per la prima volta è lei responsabile di lui, che sembra preoccupato e si sta lasciando morire, rifiutando di mangiare il poco cibo rimasto, perché ha capito che Nina lo riserva a lui e non mangia da giorni. E allora Nina chiede all’amico di prendersene cura perché è stato addestrato e potrà essere di aiuto ad altri disabili visivi, se lei non dovesse sopravvivere. La corrente elettrica manca da quattro giorni, questo significa niente cellulare e computer. Veniamo così a sapere che Nina è una violinista e compone. Sul PC ci sono le partiture delle sue composizioni, andranno perdute sotto le bombe? È l’occasione per riconoscere quanto sia utile e insostituibile il Braille. E Nina deve ringraziare la madre per averla costretta a impararlo quel sistema di lettura e scrittura geniale che ha permesso a tutti gli ipovedenti e a tutti i ciechi di leggere, scrivere poesie, romanzi, testi musicali, comporre musica: di coltivare cioè, al pari dei vedenti, il proprio talento. Quando si rifiutava di esercitarsi nella scrittura Braille, la madre le ripeteva: «Impara l’arte e mettila da parte»; lei rispondeva, sbagliando, che il Braille è come le operazioni aritmetiche, noiose e inutili, visto che ci sono le calcolatrici. Ora Nina sta trascrivendo la sua lettera testamento anche in Braille chiedendosi quale delle due versioni, quella informatica o quella scritta a mano, sopravvivrà alla guerra.
Anche qui le parole sono semplici, immediate; descrivono fatti e sensazioni; esprimono sentimenti, paure e speranze; restituiscono la fiducia nel futuro che nonostante una realtà difficile come è quella della guerra trova comunque un suo spazio, perché chi scrive ha la forza della giovinezza e dei suoi sogni, è una ragazza e come tale pensa, scrive, desidera, senza piangersi addosso, amando l’arte, la musica, la vita.
Martina Calvino sceglie la poesia e seppure sembra commettere l’errore di considerare il Braille una lingua e non un codice, in realtà è un espediente per dire che ogni lingua può esprimersi con il Braille che le contiene tutte e che quindi va studiato, insegnato e tutelato.
L’edizione del 2023 ha premiato: primo posto, Suami Caramazza, Ad Alba; secondo posto, Eliana La Porta, Braille: infinita magia; terzo posto, Gabriele Viola, Pagina di diario.
Suami Caramazza si rivolge direttamente ad Alba che ha visto e sentito leggere in Braille per dire quello che ha provato senza freni inibitori, liberamente, mettendo a nudo sé stessa dinanzi all’inatteso, a qualcuno che ti fa dubitare: «non mi era mai capitato di sentire parlare di questo argomento, non mi era mai capitato di sentir esporre o leggere le persone non vedenti, davo tutto per scontato, come si vede nei film o come si sente al telegiornale». Le sue osservazioni hanno la freschezza dell’ingenuo stupore che però è il primo passo per la conoscenza: «Inizialmente pensavo “beata lei che adesso dovendo leggere davanti a tutte queste persone non sentirà neanche un minimo d’ansia perché tanto non ci vede”, e invece no, tu con la tua emozione e la tua voce tremante mi hai trasmesso tutto ciò che sentivi. Perché le persone, io compresa, se non vivono non capiscono». Allora Suami può riconoscere ad Alba la capacità di immaginare, di farsi una propria e personale idea del mondo e delle cose, come succede a tutti, di avere dei sogni e il diritto di vederli realizzati.
Eliana La Porta opta per la poesia per dire che il Braille è apertura al mondo, mezzo di inclusione e possibilità di conoscenza non solo teorica, cognitiva, ma anche di vita. Certo la poesia è un mezzo più difficile da usare specialmente quando si cercano rime e risonanze, ma anche in questo caso si dimostra che il messaggio è passato e che è il pensiero divergente che consente di accogliere e di riconoscere altri punti di vista, altre modalità conoscitive, altri modi di relazionarsi e altri approcci alle cose, alle persone e alla vita in generale.
Infine c’è la Pagina di diario di Gabriele Viola, che mostra in modo divertente il percorso di presa di consapevolezza di chi scrive a partire dall’iniziale fraintendimento del significato della parola Braille: «pensavo fosse il nome di una batteria di giochi logici per “cervelloni” che parteciperanno alle selezioni per prestigiose facoltà universitarie, che io non supererei mai» e passando per la determinazione: «Mi ero, dunque, predisposto alla mia consueta disattenzione e, per evitare di farmi rimproverare, mi ero diretto sulla poltrona più comoda, già collaudata in questi anni di liceo». Poi però tutto cambia, l’incontro cattura l’attenzione dei presenti e allora: «il religioso silenzio mi ha tenuto sveglio». Così Gabriele fa una rapida ricerca su Internet e scopre l’esistenza di ipovedenti e ciechi scrittori, medici, matematici, fisici, musicisti. E non solo, ascoltando apprende che la Tiflologia si occupa del percorso di crescita e di formazione dei disabili visivi attraverso metodologie specifiche e strategie mirate. E, meraviglia delle meraviglie, esiste oggi la possibilità di trascrivere dal Nero al Braille tramite una stampante di ultima generazione. Insomma, è una realtà che ignorava completamente e da approfondire, iscrivendosi ad un corso di letto-scrittura Braille e studiando per diventare Educatore in Scienze Tiflologiche.
Ecco, questo è quanto scrivono i ragazzi, questo è quanto si raccoglie quando si semina, quando si costruisce con pazienza e professionalità, senza pensare di poter avere il risultato presto e subito, ben sapendo che la cultura e la conoscenza richiedono anche tempi di assimilazione. I ragazzi hanno infatti dibattuto in classe con gli insegnanti e tra loro, e fatto delle ricerche personali. Il confronto e lo scambio di opinioni e di esperienze sono le vie che conducono al cambiamento di mentalità, e questa è la strategia perseguita da anni con costanza, umiltà, tenacia e continua ricerca dalla Sezione Territoriale UICI di Enna.
Pubblicato il 18/07/2023.