Cittadini innanzitutto! – La parola ai diritti. Dall’Assistenza alla Cittadinanza consapevole, di Mario Barbuto

Autore: Mario Barbuto

Questo il titolo scelto per il XXIII Congresso dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti che si terrà a Chianciano Terme dal 5 all’8 novembre.
Questo il tema che caratterizzerà l’appuntamento congressuale e coinvolgerà positivamente l’intero corpo associativo nei prossimi cinque anni.
Un tema forte, significativo, unificante. Preliminare a ogni ulteriore azione rivendicativa di tutela della categoria e portatore di progresso civile.
Un tema che può essere proposto, accolto e condiviso all’interno di quel fronte ampio e variegato che abbiamo voluto chiamare della «solidarietà sociale», al fine di compiere significativi passi verso l’auspicata azione comune e coordinata in grado di dare peso ed efficacia sempre maggiori alla nostra funzione di rappresentanza dell’intero mondo della disabilità.
Un tema di fondo e di principio, dal quale partire per declinare in modo coerente la gamma dei diritti umani basilari non negoziabili quali il diritto all’istruzione, al lavoro, alla cultura, alla mobilità, alla dignità, alla cittadinanza.
Un messaggio forte e chiaro da affidare in eredità ai dirigenti associativi che il congresso vorrà eleggere, in totale libertà e nella sua sovranità.
Una cornice caratterizzata da quasi cento anni di Storia associativa unitaria, entro la quale ricollocare tutte le nostre iniziative finalizzate alla tutela e alla rappresentanza dei ciechi e degli ipovedenti italiani.
Un messaggio di chiarezza, di unità e di speranza che vogliamo condividere con tutti i partecipanti al congresso e che desideriamo porre alla base di ogni nostra futura attività associativa, fedeli alla tradizione e promotori del rinnovamento, nel solco tracciato dal «padre fondatore» e dai nostri predecessori i quali hanno voluto una Unione tanto più solida e coesa in quanto strutturata intorno a una piattaforma di princìpi e di valori, quale base di ogni quotidiana rivendicazione.
Animati dalla forza dell’azione rinnovatrice e sorretti dalle nostre tradizioni di unità, guardiamo dunque con fiducia all’imminente appuntamento di Chianciano, con l’orgoglio dell’appartenenza alla più antica organizzazione di difesa delle persone con disabilità, con la consapevolezza della responsabilità sociale e del dovere personale che siamo obbligati a interpretare, con la certezza di muovere un altro passo nella giusta direzione verso il nostro futuro, come sempre, protagonisti attivi del nostro destino.
Mario Barbuto

Persone con minorazioni aggiuntive. Testimonianze – azioni – prospettive, di Mario Barbuto

Autore: Mario Barbuto

Un universo di persone che hanno sempre incontrato una attenzione minore di quanto fosse loro dovuto.
Una realtà umana e sociale che dobbiamo abituarci a tenere sempre in cima alle nostre priorità e verso la quale mai potremo dire di aver fatto abbastanza.
Persone che recano su di sé, insieme alla disabilità visiva, fattore già costitutivo di gravissima minorazione, ulteriori e più gravi limitazioni fisiche, sensoriali e psichiche, tali da richiedere la cura continua, la presenza puntuale, l’azione costante delle istituzioni preposte e della nostra Associazione di tutela.
Istituzioni le quali sono chiamate a predisporre supporto, servizi e azioni positive; Associazione che deve saper assumere su di sé, senza riserve, l’onere della tutela e della rappresentanza, per assicurare a queste migliaia e migliaia di cittadini la dignità della vita, la libertà dal bisogno, la parità dei diritti umani e civili.
Senza dimenticare, infine, l’universo variegato, talvolta contraddittorio e dolente delle famiglie, alle quali troppo spesso viene lasciato il compito della cura e dell’assistenza in un contesto di solitudine sociale e di latitanza istituzionale non più accettabile.
Diciotto mesi or sono, quando ho assunto l’onere della presidenza nazionale dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, mi sono prefisso di porre questo tema tra le priorità assolute, chiedendomi innanzitutto quanto avevamo già fatto in termini di azioni positive e quanto fosse ancora da fare per raggiungere gli obiettivi minimi di presenza, di cura, di assistenza.
Grazie all’attività della nostra apposita commissione nazionale, coordinata dal vice presidente Luigi Gelmini, abbiamo messo a punto un programma di ricognizione dell’esistente, tale da darci un quadro della realtà corrente, dei servizi disponibili sul territorio, dello stato reale di difficoltà di tante persone e di tante famiglie.
Nel contempo abbiamo continuato e rafforzato la nostra sia pur modesta azione di supporto soprattutto verso le persone con contemporanea disabilità visiva e uditiva tramite l’organizzazione e il finanziamento di specifici periodi di soggiorno marino e montano, grazie anche all’opera della nostra Angela Pimpinella, ora, finalmente, coordinatrice anche di una commissione nell’ambito dell’EBU European Blind Union.
Come terzo elemento di attenzione, abbiamo profuso ogni nostra immaginabile energia per dare attuazione concreta a una disposizione di legge che ci assegna il compito di edificare e strutturare un “Centro di alta specializzazione dedicato alle persone colpite da cecità e da disabilità aggiuntive, tramite l’intervento operativo della nostra Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi.
Una disposizione di legge che ha stanziato un contributo straordinario di cinque milioni di Euro, purtroppo immobilizzati da quasi dieci anni nel pantano della burocrazia amministrativa delle autorizzazioni edilizie, forse anche a causa di scelte iniziali da parte nostra rivelatesi non proprio adeguate, tanto che l’autorità dello Stato era in procinto di avviare l’azione di recupero e riassorbimento della somma già messa a disposizione del progetto.
Grazie all’impegno solerte di Rodolfo Masto, presidente della Federazione e di Claudio Cassinelli, coordinatore del progetto, i quali mai mi hanno fatto mancare la loro disponibilità e il loro lavoro di supporto, siamo riusciti a portare a termine l’acquisizione della sede del Centro, mediante una operazione di cristallina trasparenza che ci ha visto acquirenti dell’immobile in sede di asta giudiziaria, mentre stiamo per dare inizio ai lavori di ristrutturazione e di adattamento che dovrebbero essere completati nell’arco di alcuni mesi, ponendo finalmente nelle nostre mani un gioiello di struttura di profilo nazionale ed europeo.
Una struttura che vogliamo elevare a punto di eccellenza e di riferimento in ambito scientifico e operativo, confidando sul contributo di idee, di proposte e di managerialità che venga innanzitutto dalle nostre realtà disseminate sull’intero territorio, ma che sappia coniugare e collegare anche tutte quelle organizzazioni nazionali che offrono oggi interventi e servizi di qualità, verso le quali dobbiamo guardare con umiltà e modestia, consapevoli della credibilità che hanno saputo acquisire grazie al loro lavoro, nonché pronti a promuovere ogni utile azione volta alla crescita reciproca, rispettosa e produttiva, nel superiore interesse dell’utenza.
Nei mesi scorsi dunque, abbiamo dato vita a tre incontri seminariali di studio e di approfondimento della tematica, delle risorse e delle prospettive, che si sono tenuti a Verona, a Roma e a Napoli, consentendoci una ricognizione puntuale e dettagliata della realtà del territorio, dalla quale dovremo saper partire per promuovere e coordinare interventi in sede locale e regionale che mantengano sempre e comunque un’impronta di profilo unitario e un’operatività basata su modelli di riferimento dagli standard di qualità elevata, secondo una validazione scientifica di livello europeo.
Dagli incontri succitati, emerge la fotografia di una realtà variegata, pur sempre ricca di risorse e soprattutto sostenuta da una tenace, disperata volontà umana di offrire risposte che abbiano l’impronta dell’adeguatezza, della continuità, della dignità.
Per dare consistenza al lavoro svolto e visibilità all’impegno di tante persone in ogni angolo d’Italia, abbiamo voluto raccogliere le testimonianze in un volume che ne consenta la conoscenza e che offra una panoramica ampia dell’esistente, a disposizione delle famiglie toccate dal problema, dei nostri dirigenti sul territorio, degli operatori sociali e sanitari, degli amministratori locali e regionali, delle autorità politiche a ogni livello.
Un insieme di testimonianze che possa diventare la base del nostro lavoro dei prossimi cinque anni, nei quali il ruolo di rappresentanza e di tutela esercitato dall’Unione deve farsi più pressante, continuativo, efficace, mantenendo il tema delle disabilità aggiuntive al centro di ogni azione associativa in ambito nazionale, territoriale e locale.
Una piattaforma di lavoro che vogliamo consegnare al nostro XXIII congresso di prossimo svolgimento, ma anche un messaggio da trasmettere immediatamente alle autorità politiche del Paese, oltre che un invito a tutte le altre organizzazioni prestigiose che operano nel settore a congiungere competenze, risorse e capacità operative per destinarle, unite, a mettere in atto azioni positive sempre più efficaci ed efficienti, in una prospettiva nuova di collaborazione, di fiducia, di reciprocità nel supporto.
Con questi intenti abbiamo profuso energie nei mesi scorsi; con questi propositi presentiamo le risultanze del nostro pur breve lavoro, perché se ne possano trarre serenamente giudizi, proposte, prospettive, lontani da qualsivoglia autocelebrazione o ambizione egemonica, desiderosi soltanto di tenere al centro della scena, per i prossimi anni, questa delicata tematica .

Mario Barbuto
Presidente Nazionale

Attualità di Aurelio Nicolodi, di Mario Barbuto

Autore: Mario Barbuto

Cento anni fa, in un’azione di guerra, Aurelio Nicolodi, giovane ufficiale di Trento, combattente volontario nell’esercito italiano, perdeva la luce degli occhi.
Cento anni fa, grazie a quell’ufficiale al quale la guerra aveva tolto per sempre il bene della vista, per tutti i ciechi d’Italia iniziava un cammino di luce e di speranza che ancora oggi prosegue positivamente…

Quale lezione ci consegna Nicolodi come ciechi, come cittadini, come esseri umani?
Quale insegnamento siamo sollecitati a trarre dalla sua vita, dalla sua opera, dal suo esempio?
Quali tratti peculiari rendono oggi quest’uomo dall’animo nobile così attuale, così prossimo, così esemplare?

Aurelio Nicolodi insegna a tutti noi innanzitutto l’orgoglio. Di esseri umani liberi e uguali; portatori di dignità. Individui consapevoli, custodi gelosi della propria personalità, protagonisti attivi della propria esistenza.
E poi ci mostra come saper trasformare in energia positiva le vicissitudini più avverse della vita; perfino una sciagura tanto terribile, tale da cambiare del tutto il segno della sua quotidiana esistenza.

Appena un anno dopo aver perduto l’uso degli occhi, lo troviamo a Firenze, responsabile della casa di accoglienza e di riabilitazione dei ciechi di guerra.
E ancora, capo della legione trentina degli irredentisti, pochi giorni dopo l’armistizio e la vittoria, a Trento, incaricato di consegnare al Re d’Italia il tricolore della legione.
E intanto lo sguardo della sua vivida mente, già andava oltre il tema dei reduci e abbracciava l’intera comunità dei ciechi italiani. Di tutte quelle persone che affrontavano e vivevano la propria disabilità visiva come una croce da sopportare nel calvario di una vita inerte e passiva, quasi in attesa di una morte liberatrice.
Per tutti quei ciechi, oppressi dal buio e attanagliati alla miseria, egli cominciò a immaginare un futuro diverso, a sognare un mondo possibile di uguaglianza e di cittadinanza.
Insieme ad altri ufficiali segnati dal suo stesso handicap, Nicolodi diede vita a un’azione febbrile e instancabile che portò alla fondazione dell’Unione Italiana Ciechi a Genova, in un congresso celebrato nel 1920.
La natura, l’essenza stessa dell’Unione ne marcarono da subito i tratti peculiari e salienti che traevano origine dal proprio fondatore e dal gruppo che ne sosteneva l’opera.
Una specie di “mai più su di noi, senza di noi”, di meravigliosa attualità caratterizzò fin dall’esordio la presenza e l’azione dell’Unione Italiana Ciechi, associazione costituita dagli stessi protagonisti della loro disabilità i quali prendevano in mano, finalmente, direttamente, le sorti del proprio destino.
Una presenza associativa basata sui princìpi di democrazia e di rappresentanza ai quali l’Unione non rinunciò mai, nemmeno negli anni in cui la convivenza e la collaborazione con lo Stato autoritario ne resero certamente più complicata la custodia e la tutela.
Per la prima volta nella Storia, così, grazie a quel gruppo di ufficiali guidati da Aurelio Nicolodi, il popolo dei ciechi ebbe una propria voce e una propria rappresentanza, evidenziate con il congresso di Genova di fondazione dell’Unione e con il nuovo periodico informativo che Nicolodi volle, costituì e diffuse in tutta Italia, il Corriere dei Ciechi, quale portavoce di questa nuova categoria sociale che si affacciava sul palcoscenico della Storia nazionale.
Il livello di cultura non di rado elevato e le condizioni materiali spesso agiate degli uomini che diedero corpo all’Unione, la loro volontà di tornare a una vita civile attiva e produttiva, quella che avevano in genere conosciuto e vissuto prima di patire le conseguenze atroci della guerra, conferirono all’associazione, fin dal suo esordio, una consistenza strutturale e una forza valoriale tali da consentire ai suoi dirigenti di saper guardare al futuro in una prospettiva di lungo respiro, senza limitarsi soltanto a una mera, per quanto necessaria, rivendicazione di miglioramento delle condizioni presenti e delle contingenze personali dei principali protagonisti.
Una idea di futuro e un senso di comunità, di famiglia, furono fin dall’inizio le linee di forza dell’Unione, quella forza che ha consentito di mantenere unita, viva e forte questa grande organizzazione di categoria per quasi cento anni e che ancora oggi ne caratterizza la fisionomia, la struttura, l’azione politica e associativa.
L’Unione di Nicolodi fu subito in grado di elaborare un progetto sociale di lungo respiro, capace di riscattare negli anni migliaia e migliaia di ciechi in Italia, offrendo loro una prospettiva di vita fondata sull’istruzione, sulla formazione, sul lavoro, assai lontana dalla concezione dominante dell’epoca, basata invece sulla rassegnazione, sulla pietà e sull’elemosina.
Un welfare fondato sullo sviluppo e sulla partecipazione personale al proprio riscatto, cominciava dunque a sostituirsi al welfare caritatevole e assistenzialistico che aveva dominato la scena sociale fin dai primordi della Storia umana e soprattutto negli ultimi secoli in Europa e nel mondo.
Accanto alle rivendicazioni di assistenza, di supporto finanziario, di prestazioni di cura che riguardavano i ciechi e le istituzioni a essi dedicate, cominciavano a prendere forma concreta le nuove esigenze, i nuovi obiettivi di istruzione, lavoro, integrazione sociale dei quali l’Unione si rese interprete e che seppe perseguire con la tenacia dei forti, con la pazienza dei saggi, con la perseveranza dei giusti.
Nell’arco di un decennio, grazie all’opera dell’Unione Italiana Ciechi guidata da Aurelio Nicolodi, si rafforzò il ruolo della Federazione Nazionale delle istituzioni pro ciechi e sorsero nuove organizzazioni con scopi e finalità di supporto alla istruzione e alla formazione quali la biblioteca italiana per ciechi, la stamperia nazionale Braille, l’ente di lavoro.
Grazie a tali enti, vero braccio operativo dell’Unione, e al magistrale ruolo di raccordo che essa vi giocò, si spostava progressivamente l’asse dell’azione di rappresentanza e di tutela che riguardava i ciechi italiani, ora apertamente consapevoli di poter disporre di uno strumento e di una guida per aspirare al sogno semplice e ambizioso di conquistare per sé e per i propri compagni d’ombra” una vita normale, caratterizzata dalla frequenza scolastica, da una attività lavorativa, da una presenza personale di ciascuno nel tessuto umano e civile circostante, improntata a uguaglianza, cittadinanza, dignità.
Al centro e quale obiettivo fondamentale della propria azione, Nicolodi pone sempre, al di sopra di tutto, il tema del lavoro, individuando nell’acquisizione di un impiego per i ciechi la via maestra del riscatto personale e sociale, l’unica che poteva garantire una vera indipendenza economica e di conseguenza la conquista di un reale senso di appartenenza alla comunità.
Grazie al Lavoro, infatti, ogni individuo, ben oltre la propria disabilità, acquisiva condizioni materiali di maggior sicurezza, un profilo sociale nuovo e diverso, una propria capacità di creare e mantenere una famiglia, una presenza attiva nel proprio contesto civile.
In virtù di un proprio posto di lavoro, le persone colpite dalla cecità, conquistavano finalmente uno strumento decisivo e insostituibile per conseguire quella dignità di uomini, di donne, di cittadini, riconosciuta soltanto grazie al ruolo attivo esercitato nel proprio ambiente sociale.
Una persona, infatti, soggiace passiva finché è costretta a vivere di elemosina, di carità, di assistenza, pubblica o privata che sia.
Una persona, invece, diviene protagonista del proprio destino e interprete di se stessa, quando ottiene la propria indipendenza e la propria autonomia, veri e autentici passaporti di libertà ai quali nessuno dovrebbe rinunciare.
In un tempo e in un contesto economico e industriale molto difficili, dinanzi al rifiuto irremovibile della classe imprenditoriale dell’epoca ad accogliere dipendenti ciechi tra le maestranze dei propri stabilimenti, Nicolodi ebbe l’ingegno, la forza, l’intraprendenza per rovesciare i termini della questione, creando egli stesso le fabbriche, gli opifici, i laboratori nei quali accogliere lavoratori privi della vista, affiancati da tanti altri lavoratori vedenti, ciascuno adibito a mansioni in grado di espletare senza rischio e senza disagio eventualmente causato dalla disabilità.
In tal modo poté offrire non solo un lavoro stabile e un impiego sicuro a centinaia e centinaia di ciechi, ma creare opportunità occupazionali per un numero altrettanto elevato di persone vedenti che entrarono a far parte delle maestranze delle fabbriche presso le quali erano impiegati i ciechi stessi.
Non chiese e non pretese mai condizioni di favore, ottenendo le commesse statali a parità di prezzo di offerta, mentre si adoperava per assicurare ai lavoratori ciechi condizioni adeguate di svolgimento delle proprie mansioni, mai, tuttavia, tentato dall’idea di instaurare o favorire nelle fabbriche condizioni di maggior privilegio giustificate dalla disabilità.
Il lavoro come strumento di riscatto delle condizioni di supposta inferiorità dell’intera categoria dei ciechi, fu dunque per Nicolodi, sempre, la ragione principale della sua azione, la priorità più alta della sua agenda quotidiana.
Quel lavoro che ancora oggi rappresenta, come allora, lo strumento per un riscatto vero del cieco, oltre ogni forma di pietismo, di assistenzialismo, di compassionevole sopportazione da parte della società.
Quel lavoro che ha consentito a generazioni e generazioni di ciechi, da Nicolodi in avanti, di percorrere una propria personale strada di dignità, segnata talvolta anche dal raggiungimento delle vette più alte in campo culturale e sociale, ma comunque sempre caratterizzata da persone in cammino, gravate certo dalla propria disabilità, consapevoli tuttavia dei propri diritti, fiduciose nella forza della propria degnità e nella possibilità di guadagnare la considerazione, l’apprezzamento, il rispetto civile.
Ecco la vera, autentica attualità di Aurelio Nicolodi!
Aver consentito con la propria opera la crescita e il radicamento sociale di generazioni di ciechi e di ipovedenti che oggi sono in grado di proseguire su quella strada da lui tracciata verso una completa emancipazione personale, verso la conquista della dignità di donne, di uomini, di cittadini.
Nicolodi, dunque, ci insegna innanzitutto la dignità.
L’orgoglio di non elemosinare.
La forza di essere liberi.
La volontà di essere uguali.
L’ambizione di essere cittadini.
Un piccolo presidente come me, di passaggio dentro un passaggio difficile, alla sola idea di occupare, indegnamente, quel posto che fu del più grande, che fu del fondatore della nostra Unione, sente davvero tremare le vene e i polsi, pur vivendo l’intensità di una emozione che non ha misura, che non ha paragone.
Occupare quel posto che fu dei forti, degli intrepidi, dei saggi, mi richiama ogni momento al peso e al senso della responsabilità di dover guidare questa Unione con la mano ferma, con lo spirito saldo e con l’orgoglio sicuro che furono di Aurelio Nicolodi.
Occupare quel posto, dunque, mi conferisce la forza che deriva dall’opera e dall’insegnamento del nostro padre fondatore, che io ho il dovere di custodire e rilanciare in ogni occasione.
Occupare quel posto mi regala l’orgoglio dell’appartenenza. Ad un consesso di donne e di uomini che hanno reso grande l’Unione e che sapranno conservare lo spirito combattivo e la tenacia irremovibile del suo fondatore.

Il lavoro fa per me! Napoli – 11-12 giugno 2015, di Mario Barbuto

Autore: Mario Barbuto

L’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti riunisce gli “stati generali” e rilancia il tema del lavoro
Finalmente il tema del lavoro di nuovo al centro dell’attenzione!
Il lavoro che è “luce che ritorna”.
Il lavoro che cambia il senso dell’esistenza dei ciechi e di tutte le persone con disabilità.
Il lavoro che, prima ancora di essere fonte di reddito, è sempre stato ed è per noi strumento di riscatto personale.
Quel lavoro e quel Diritto al lavoro, unica, vera risorsa in grado di restituire alle persone con disabilità la propria indipendenza personale, la propria dignità di donne, di uomini, di cittadini, desiderosi di essere uguali tra gli uguali, pari tra i pari.
Noi ciechi non siamo qui a chiedere elemosine e privilegi.
Il tempo delle elemosine e della carità è tramontato da un pezzo.
Oggi è il tempo del lavoro da conquistare come Diritto umano basilare e come strumento di emancipazione civile.
Al Parlamento, al Governo, allo Stato, chiediamo interventi incentivanti a sostegno delle persone con disabilità, per favorirne in ogni modo il collocamento al lavoro.
Al mondo imprenditoriale pubblico e privato, chiediamo azioni significative, improntate al coraggio e alla responsabilità.
Il coraggio di considerare le persone con disabilità non più come un peso, come un fastidio del quale liberarsi al più presto, ma finalmente come una risorsa, come portatori di una forza morale e di una ricchezza interiore che, unite a una competenza professionale indiscussa, sono in grado di contribuire al rilancio dell’economia del nostro Paese, su basi nuove e in forme finalmente degne di una società davvero civile.
Alle organizzazioni sindacali chiediamo attenzione e sostegno perché i luoghi di lavoro siano adeguati e le condizioni lavorative confacenti. Perché innanzitutto i colleghi sappiano accogliere i lavoratori con disabilità senza pregiudizi e senza prevaricazioni.
Ai nostri fratelli delle federazioni rappresentative delle persone con disabilità chiediamo uno sforzo collettivo unitario, basato su vincoli e princìpi di reciproca solidarietà e di mutua considerazione.
Non sarà, infatti, togliendo ai pochi che si affermerà il diritto sacrosanto dei tanti.
Solo la saldatura di un grande fronte della solidarietà sociale al quale tutte le associazioni aderiscano con convinzione e in seno al quale tutti possano ritrovare dignità e rappresentatività, ci consentirà di essere interlocutori credibili e affidabili dello Stato, del Governo, del Parlamento, delle forze economiche, della società civile.
Il lavoro oggi è un’emergenza, tanto maggiore quando si parla di persone con disabilità, rispetto alle quali esso rappresenta una vera e propria questione sociale. Una questione sulla quale va tenuta viva l’attenzione generale, va sollecitata la responsabilità politica a ogni livello, per creare quei nuovi sbocchi occupazionali, per restituire la dignità e il senso del vivere a centinaia e centinaia di migliaia di persone con disabilità.
Ai presidenti nazionali di FAND e FISH lancio dunque una proposta e un appello:
troviamo e coltiviamo forme unitarie di azione comune, che sappiano vedere oltre le inutili gelosie corporative, i particolari interessi della piccola bottega, le penose prevaricazioni personalistiche.
Facciamo del tema del Diritto al Lavoro la base di un processo unitario che potrà portare solo frutti positivi.
Da quando sono presidente dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, quasi tutti i giorni mi domando per quale ragione esistono e agiscono due grandi federazioni rappresentative delle persone con disabilità.
Personalmente non sono ancora riuscito a trovare una sola ragione convincente di questa separazione.
Personalmente desidero coltivare il sogno di una sola, grande Federazione che, un giorno non lontano, possa riunire tutte le persone con disabilità e tutte le loro associazioni sotto l’unica bandiera della solidarietà sociale.
Accanto alla parola chiave
“mai più su di noi, senza di noi!”,
proviamo ad aggiungerne un’altra, tutta nostra:
“mai più tra di noi senza unità!”.
Mario Barbuto

Verso Chianciano, prima di Chianciano, di Mario Barbuto

Autore: Mario Barbuto

(Articolo in due puntate: seconda puntata)
Sebbene con un po’ di ritardo sono a scrivere la seconda puntata del mio articolo per parlare soprattutto di congresso, di formazione e di scelta del gruppo dirigente, di criteri e di metodi per arrivare alla elezione dei componenti del nuovo Consiglio Nazionale e del Presidente.
Il Consiglio Nazionale, che secondo me e secondo lo Statuto sociale è l’organo supremo e fondamentale di definizione, di indirizzo, di verifica di tutta la nostra attività associativa, è costituito in maggioranza da membri di diritto, i 21 presidenti regionali, più venti consiglieri eletti dal congresso a scrutinio segreto con votazione esclusivamente di preferenza, fino a un massimo di tredici nominativi per ogni elettore.
Si aggiunge il Presidente Nazionale che del Consiglio è un membro a tutti gli effetti.
I ventuno presidenti regionali rappresentano ed esprimono il territorio e le sue istanze, nel rispetto di un criterio in grado di imprimere una forte impronta di parità geografica sulle scelte complessive del Consiglio.
I venti componenti di natura elettiva, dunque, più che costituire una sorta di rappresentanza regionale aggiuntiva, dovrebbero rappresentare quel nucleo nazionale unitario di elaborazione e di gestione delle attività associative, con una visione complessiva e globale dell’azione, del ruolo e delle funzioni dell’Unione.
Dovrebbero essere, insomma, i venti consiglieri eletti, il gruppo dirigente nazionale primario posto intorno e accanto al Presidente per supportarne le scelte fondamentali, per vagliarne e criticarne l’operato, per sostenerne l’azione e orientarne le strategie.
Ne deriva dunque la necessità di formulare criteri di selezione che, pur tenendo conto della provenienza territoriale dei candidati, prendano in considerazione anche elementi di qualità e di opportunità.
Bene, abbiamo già selezionato tre criteri chiave che possono guidare le scelte dei congressisti elettori:
qualità, opportunità, territorialità.
La qualità si può e si deve valutare sulla base dell’attività già svolta dal candidato o dalla candidata al servizio dell’Unione sul proprio territorio, negli enti e nelle istituzioni che operano in favore dei ciechi, in tutte quelle altre istanze che aiutano ad avere un profilo associativo sufficientemente chiaro e completo della persona alla quale stiamo accordando la nostra preferenza.
L’opportunità si potrà misurare sulla base della disponibilità di tempo e della facilità a presenziare, anche con elevata frequenza; della libertà da altri gravosi incarichi associativi che potrebbero condizionare perfino negativamente scelte e spazi di impegno; dell’esperienza associativa, amministrativa e manageriale maturata.
La territorialità va apprezzata non solo in base alla stretta provenienza geografica, ma soprattutto in considerazione del gradimento manifestato dai nostri dirigenti sezionali e regionali che hanno avuto modo di misurare impegno, competenza, capacità e dedizione dell’aspirante consigliere nazionale.
Su questa base, tanti più saranno i candidati, tanto maggiore risulterà la libertà di scelta dei congressisti, tanto migliore sarà il gruppo dirigente che verrà eletto dal congresso.
Sento pertanto il dovere di incoraggiare quanti lo desiderino a mettersi in gioco e a confrontarsi in modo pubblico, aperto, franco e trasparente, senza aspettare carrozze dorate sulle quali salire per giungere alla elezione in forza di accordi e voti di scambio che avrebbero il solo effetto di mortificare la qualità dei singoli e di imbarbarire il clima congressuale.
Circa le candidature alla presidenza nazionale, nel salutare positivamente quelle già annunciate, che rappresentano comunque una ricchezza per l’Associazione, da Presidente, sento tuttavia il dovere di sollecitare una maggiore concretezza di obiettivi, una più chiara definizione di strategie e una migliore puntualizzazione di strumenti che ogni concorrente intenderebbe adottare, poiché al momento, purtroppo, abbiamo potuto apprezzare ben poco quanto a programmi innovativi, originali, alternativi e soprattutto realistici.
Non basta e non giova l’effluvio di parole accattivanti, né la mera elencazione dei temi che riguardano e coinvolgono la nostra Associazione.
Gli annunci tipo campagna elettorale, troppo somiglianti a quanto siamo costretti ad ascoltare tutti i santi giorni dai politici nostrani, non servono e non aiutano a scegliere; anzi, a volte provocano perfino la pelle d’oca.
Da un candidato presidente in questo nostro prossimo congresso, mi aspetterei di capire innanzitutto per quali ragioni significative di politica associativa ritiene già giunto il momento e il tempo di sostituire la guida attuale, in carica soltanto da pochi mesi.
Mi attenderei di conoscere, da un candidato presidente, quali risultati così terribilmente negativi sarebbero stati conseguiti negli ultimi mesi, tanto da rendere necessario il repentino cambio di vertice.
Vorrei poter comprendere quali ricette tanto straordinariamente diverse e alternative si intenderebbe attuare, tali da spiegare e giustificare l’urgenza di un ribaltamento della guida associativa attuale a così breve distanza di tempo dalla sua elezione.
Vorrei, infine, ascoltare dai candidati presidenti parole chiare e inequivocabili sulla necessità di pulizia e trasparenza assoluta nei meccanismi di affiliazione dei soci, che dovrebbero essere, ora e sempre, il fine unico e più alto del nostro impegno associativo e non già il mezzo per accrescere il peso numerico e decisionale di qualcuno in seno al congresso.
Ecco, su tutto questo, rifletto da Presidente che porta su di sé il peso e la responsabilità della guida e del possibile passaggio di testimone.
Su tutto questo, rifletto da congressista che si accinge a contribuire con il proprio voto, a designare il futuro presidente dell’Unione che avrà l’onere e l’onore di guidarci per i prossimi cinque anni.
Su tutto questo, da Presidente che incarna la massima rappresentatività associativa, chiedo a ciascuno di noi di riflettere insieme a me:
per non sbagliare;
per scegliere bene;
secondo libera coscienza e con piena cognizione di causa.

Verso Chianciano, prima di Chianciano di Mario Barbuto

Autore: Mario Barbuto

(Articolo in due puntate: prima puntata)
Le assemblee sezionali si sono pressoché concluse e si vanno via via costituendo i nuovi organi dirigenti del territorio ai quali toccherà l’onere di guidare l’Associazione per i prossimi cinque anni.
Vi sono ancora un paio di contenziosi che, per quanto numericamente circoscritti, costituiscono per il Presidente Nazionale motivo di forte preoccupazione e di profonda angoscia.
A furia di decriptare e interpretare statuti e regolamenti, infatti, corriamo il rischio di smarrire la ragione vera che deve sostenere l’impegno associativo di ciascuno di noi. Quella ragione che non può trovare radici soltanto nell’ambizione personale, nell’orgoglio ferito, nel desiderio di rivalsa, nello spirito di conservazione.
Abbiamo comunque chiuso questa fase associativa e possiamo incamminarci verso il congresso di Chianciano, preparandoci a dare corpo alle imminenti assemblee precongressuali interregionali che avranno inizio il 16 maggio a Bologna, per concludersi il 27 giugno in Sardegna.
Ai tanti amici ansiosi di giungere all’appuntamento congressuale, e soprattutto a quei pochi particolarmente frettolosi, ho cercato di spiegare nei mesi passati almeno due cose:
1) la vita sociale di tutti i giorni non è scandita o regolata dai nostri congressi;
2) l’impegno quotidiano dell’Unione deve mirare al conseguimento degli obiettivi di interesse dei ciechi e degli ipovedenti italiani, senza rinchiudersi in attese messianiche degli appuntamenti congressuali.
“Ogni cosa a suo tempo”, è stato il motivo ispiratore della azione della Presidenza Nazionale in questi mesi, nonché il ritornello che ho ripetuto in ogni occasione fino alla noia, mia e di tutti, proprio per evitare dannose fughe in avanti.
Senza voler attribuire loro alcun ordine di importanza, al solo scopo di tenere viva la nostra memoria, voglio elencare alcuni di questi obiettivi che abbiamo il dovere di perseguire, congressi o no:

– La riaffermazione del diritto al Lavoro, che rilanceremo con grande forza nella prossima conferenza nazionale a Napoli, dove daremo inizio a un percorso di inclusione e di riforma che influenzerà la vita di tante persone negli anni avvenire.
– La ridefinizione delle competenze amministrative e istituzionali relative al supporto scolastico, smarrite con la cosiddetta abolizione delle province, con il conseguente disorientamento di migliaia di famiglie italiane che attendono invece certezze di continuità del diritto all’istruzione per i loro figli.
– Il superamento della normativa che oggi include pensioni e indennità nel calcolo dell’ISEE, alla luce delle sentenze di giustizia amministrativa e soprattutto della constatata iniquità e inefficacia del provvedimento.
– La tutela delle persone con disabilità aggiuntive, alle quali abbiamo dedicato nei mesi scorsi tre momenti seminariali di livello interregionale che vanno ora portati a sintesi con una iniziativa forte di carattere nazionale, volta a trovare nuove soluzioni, nuove opportunità e nuovi partner in un settore dove l’unità delle risorse è molto più importante delle bandiere di appartenenza sventolate dalle singole organizzazioni.
– La riforma del nomenclatore tariffario, cristallizzato da oltre quindici anni nella vetustà dei suoi anacronistici elenchi, in attesa di una rivisitazione globale, già annunciata e promessa mesi fa dal Presidente del Consiglio, ma ancora in attesa di compiere i primi passi.
– Gli altri temi che riguardano mobilità, accessibilità, giovani, donne, anziani, autonomia, sport, turismo, tutela dei diritti inviolabili della persona in ogni circostanza e dinanzi a chiunque.
Anche in ambito associativo, inoltre, ci attendono appuntamenti che vanno organizzati e curati, ben prima di giungere al congresso di Chianciano:
– La lotteria Nazionale Louis Braille abbinata al Premio Braille, per la quale abbiamo atteso una autorizzazione da troppi anni e alla quale siamo riusciti a dare l’ultima “spinta” il 30 aprile scorso, con l’approvazione in commissione Finanza e Tesoro del Senato.
– La gestione del Fondo di Solidarietà e degli altri interventi di sostegno delle nostre strutture sul territorio, tanto più impegnativa nell’anno in corso, considerato l’incremento delle risorse disponibili, sia pure dinanzi a richieste sempre più pressanti che abbiamo tuttavia il dovere di elaborare e soddisfare in modo adeguato.
– La formazione di un nostro gruppo nazionale interno, specializzato in fund raising e progettazione europea, alla quale daremo avvio il prossimo 12 maggio e che si protrarrà per dodici-diciotto mesi, nell’intento di aggiungere nuove fonti di risorse per la nostra Unione.
– Il corso di alta formazione per “responsabili di strutture del terzo settore” che coinvolgerà per un anno venti ragazze e ragazzi, da impegnare anche nelle nostre strutture sul territorio, con interessanti prospettive di sviluppo professionale personale e di crescita associativa per noi tutti.
– Lo svolgimento dei campi estivi formativi che coinvolgeranno oltre cinquecento bambini e ragazzi su tutto il territorio nazionale, la metà dei quali con disabilità aggiuntive, per un impegno finanziario globale di circa un milione di Euro.
– Il percorso di riorganizzazione e di rilancio dell’I.RI.FOR., già in atto, ma che richiede chiarezza di obiettivi, rigore metodologico e adeguati tempi di attuazione.
– Il potenziamento della nostra web radio, quale nuovo strumento al servizio dei settori Informazione e Libro Parlato, anche tramite iniziative di promozione della lettura e dell’ascolto, con un evento di alto profilo culturale al quale daremo vita nel prossimo autunno.
– L’avvio del processo di ristrutturazione funzionale, gestionale, organizzativa e contabile a livello nazionale e territoriale, per conferire alla nostra Unione nei prossimi anni un apparato dinamico, efficace ed efficiente.
Con questo mio contributo intendevo parlare soprattutto di Congresso, ma come ho sempre detto, i doveri e i problemi di tutti i giorni hanno la precedenza.
Mi riprometto, pertanto, di scrivere prossimamente la seconda puntata di questo articolo, nella quale proverò a esporre le idee che ho maturato in questo anno di Presidenza Nazionale relativamente al Congresso, al profilo dei dirigenti, alla costituzione della “squadra” che guiderà l’Unione dal prossimo novembre.
Mario Barbuto

1° maggio: i ciechi e gli ipovedenti italiani accanto ai lavoratori nel giorno della festa del lavoro!, di Mario Barbuto

Autore: Mario Barbuto

“Il lavoro è luce che ritorna”.
Queste poche parole, pronunciate tanti anni fa da uno dei “padri fondatori” dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, sono ancora oggi, per noi, il modo più efficace per celebrare la Festa del Lavoro.
I ciechi e gli ipovedenti italiani desiderano manifestare in questo 1° maggio tutta la loro vicinanza con i milioni di lavoratori che celebrano oggi la loro festa. Ci sentiamo fraternamente vicini a chi il lavoro è costretto a difenderlo tutti i giorni; a chi ancora non ce l’ha e lo cerca disperatamente; a chi è costretto ad accettare condizioni di pesante disagio, pur di portare a casa un salario spesso striminzito e inadeguato.
Anche noi ciechi e ipovedenti italiani vorremmo poter festeggiare degnamente la festa dei lavoratori. Per questo vogliamo richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sulle migliaia e migliaia di persone con disabilità fisica e sensoriale che il lavoro non riescono a trovarlo perché devono sommare alle difficoltà di tutti, il pregiudizio ancora troppo diffuso verso la propria condizione fisica o sensoriale, anche quando questa non pregiudica in alcun modo lo svolgimento regolare di una attività lavorativa.
Vogliamo sollecitare i datori di lavoro pubblici e privati a mostrare e mantenere atteggiamenti aperti e ricettivi verso quanti si avvicinano al mondo del lavoro pur in presenza di una qualche disabilità che occorre superare con azioni positive comuni, invece che escludere a priori chi ne è portatore.
In questo giorno di celebrazione del lavoro, invochiamo interventi strutturali del Governo, del Parlamento e delle Regioni, per offrire anche alle persone con disabilità le pari opportunità di inclusione nel tessuto lavorativo del Paese, secondo i principi di civiltà, di umanità e di progresso ai quali devono ispirarsi le azioni della società civile e delle istituzioni.
Noi ciechi e ipovedenti italiani, insieme a tutti gli altri lavoratori, desideriamo ricordare in questo giorno che il Lavoro è il mezzo più nobile ed efficace di inclusione e di uguaglianza dei cittadini e che l’esclusione e la discriminazione fondate sul pregiudizio, costituiscono ragione di conflitto sociale e offendono addirittura la dignità delle persone.
Proprio in occasione del Primo maggio l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti intende annunciare ufficialmente lo svolgimento di una grande conferenza a Napoli l’11 e il 12 giugno prossimi. Un Convegno dedicato al Lavoro, dal titolo
“Il lavoro fa per me!”,
importante occasione di confronto tra le Federazioni rappresentative delle persone con disabilità, le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, le autorità amministrative e di governo, i tanti che operano concretamente sul campo al fine di ampliare la gamma delle opportunita’ professionali e occupazionali per tutti.

Mario Barbuto

Un anno dopo – sei mesi prima, di Mario Barbuto

Autore: Mario Barbuto

Stiamo vivendo l’anno più importante per la nostra Associazione, quello dell’appuntamento congressuale.
Un congresso la cui qualità deriverà soprattutto dalle assemblee sezionali e dai delegati che vi parteciperanno.
Un congresso che nel mio ruolo di Presidente Nazionale intendo garantire a pieno nella sua democraticità, regolarità e imparzialità.
Nel rispetto di questo principio, dunque, ho deciso di non presenziare ad alcuna assemblea sezionale quest’anno, nonostante i graditissimi inviti a partecipare che ho ricevuto da tante parti, che ho molto apprezzato e dei quali ringrazio di vero cuore.
Ci siamo lasciati alle spalle un anno difficile e tuttavia ricco di successi significativi e risultati positivi, anche a dispetto dei “gufi” già pronti a pronosticare tempesta e sciagura sulla nostra Unione.
Un riferimento particolare a questo riguardo, merita la legge finanziaria 2015 che ci ha sorriso in modo lusinghiero, consentendoci di ricacciare indietro lo scetticismo disfattista di qualcuno, sempre pronto a godere delle sfortune altrui più che dei meriti propri.
Risultati che abbiamo potuto raggiungere grazie alla pazienza, alla tenacia, alla fiducia di tanti, ai quali l’Unione non sarà mai abbastanza grata.
Abbiamo tuttavia dinanzi a noi numerosi e importanti appuntamenti che ci attendono in questi mesi e che riguardano la vita quotidiana di molti, moltissimi ciechi e ipovedenti italiani*
Il diritto al lavoro, innanzitutto. Per chi lo sente a rischio e per chi attende ancora di entrare per la prima volta nel mondo produttivo con la celerità e la dignità che gli è dovuta.
La riforma della legge 113 e l’introduzione delle norme che favoriscano lo sviluppo dell’attività di operatore del benessere, sono per noi obiettivi prioritari e imprescindibili dei prossimi mesi.
Il Parlamento non può continuare con la logica dell’inerzia e del rinvio fin qui praticata.
Noi, da parte nostra, non possiamo più attendere…
Il diritto all’istruzione per i nostri bambini e per i nostri ragazzi; nel calore degli affetti della famiglia.
Vi è l’urgenza di ridefinire e riassegnare, da parte dello Stato, le competenze delle dismesse amministrazioni provinciali in materia di diritto allo studio, oggi troppe volte rimpallate da un ufficio all’altro e da un ente all’altro, con grande frustrazione dei tanti ragazzi, delle tante famiglie che vivono la quotidianità dell’incertezza e del disorientamento.
E ancora: il diritto alla mobilità autonoma; all’informazione; alla vita indipendente; alla cultura; al turismo accessibile; allo sport; al tempo libero.
Il diritto dei nostri giovani a un percorso di studi e di formazione mirato all’occupazione;
delle donne e delle ragazze a un’esistenza quotidiana non discriminata;
delle persone anziane a una quotidianità dignitosa e rispettata, oltre le barriere dell’isolamento e della solitudine;
degli ipovedenti a vedere tenuta in debito conto la loro condizione, spesso carica di disagio e a volte soggetta perfino a sospettose e umilianti vessazioni aggiuntive.
Il diritto a una attenzione nuova e sensibile, verso quei ragazzi e quelle persone con minorazioni plurime, che reclamano risposte concrete e immediate, ben al di là di un generico pietismo.
Il diritto ai livelli essenziali di assistenza per tutti; senza penalizzazioni e senza discriminazioni;
il diritto alla riforma del nomenclatore tariffario, attesa da oltre quindici anni e divenuta ormai indifferibile.
Il diritto a esigere quei diritti umani sanciti dalla Costituzione Italiana, dalla Carta dell’Unione Europea, dalla convenzione delle Nazioni Unite, ma ancora, troppo spesso, dimenticati o trascurati.
Quei diritti umani basilari, opportunamente richiamati dal nostro Presidente della Repubblica nel suo recente discorso di insediamento.
Quei diritti che non trovano ancora piena cittadinanza e che compete a noi saper tutelare tutti i santi giorni, con fermezza, determinazione, intelligenza…
Il 15 marzo di un anno fa, quando il Consiglio Nazionale mi ha voluto eleggere a grande maggioranza alla carica associativa più alta, nell’assumere la responsabilità massima alla guida dell’Unione, ho indicato tre obiettivi del mio breve mandato di presidente:

– la difesa dell’operatività dell’associazione e dei diritti conquistati;
– il sostegno e il supporto alle nostre sezioni sul territorio;
– l’organizzazione di un congresso autenticamente democratico, capace di assicurare la continuità e di promuovere il rinnovamento.

Sul primo punto abbiamo conseguito l’obiettivo con la legge di stabilità 2015 che assegna alla nostra Unione risorse finanziarie statali certe, per la durata minima di tre anni.
Sul secondo obiettivo, A sostegno del territorio abbiamo investito 600 mila Euro nel 2014 e messo a bilancio ben un milione di Euro per l’anno in corso, che distribuiremo nei prossimi mesi alle sezioni e ai consigli regionali.
Senza contare le risorse dedicate ai consulenti regionali e le svariate centinaia di migliaia di Euro che hanno ricevuto e riceveranno le nostre sedi territoriali grazie alle attività promosse e sviluppate dall’Irifor.
Ben sappiamo che questi interventi rappresentano solo l’aiuto immediato, in vista di un più vasto programma di stabilizzazione e di supporto che sappia offrire a tutte le nostre strutture territoriali, continuità del presente e certezza del futuro.
Un programma che richiederà la tenacia costruttiva di anni di lavoro, insieme al coraggio consapevole di scelte innovative immediate.
Il terzo obiettivo va dunque conseguito proprio in questa prospettiva, laddove il prossimo congresso ordinario di novembre dovrà assumere un significato speciale e straordinario, perché dovrà selezionare la nuova compagine di dirigenti nazionali che avrà il dovere di essere unita, compatta, efficiente, efficace.
Personalmente, mi sono messo a disposizione di questo progetto fin dal 15 marzo dell’anno passato, accettando di assumere la carica più alta, sia pure nelle condizioni difficili e a volte perfino ostili che devo fronteggiare quotidianamente e che tutti noi conoscevamo e conosciamo molto bene.
Proseguire oltre il congresso non dipende da me, ma dalla volontà del nostro corpo associativo.
Quando l’Unione chiama non si può fare finta di non sentire.
Le assemblee sezionali già in corso e gli incontri precongressuali interregionali dei prossimi tre mesi mi diranno con chiarezza se l’Unione ha ancora bisogno di me e se la mia presenza può ritenersi ancora utile alla grande causa dei ciechi e degli ipovedenti italiani.
Ricordo tuttavia, che al di là di questo piccolo presidente e di ogni singola persona, chi deve prevalere, sempre, è l’Unione!
Per il suo passato di gloria, per il suo presente di concretezza, per il suo futuro di speranza.
Se sapremo essere e conservarci uniti, vinceremo!
L’Unione vincerà!

Mario Barbuto – Presidente Nazionale

Messaggio audio di auguri del Presidente Nazionale

Autore: Mario Barbuto

Care amiche e cari amici,

in occasione delle festività di Natale e di fine anno desidero rivolgere con la mia viva voce un breve messaggio di auguri a tutti i dirigenti, i soci, i ciechi e gli ipovedenti di Italia, oltreché a tutto il nostro personale, ai collaboratori e ai volontari della Presidenza Nazionale e di tutte le strutture del territorio.

Il messaggio audio può essere scaricato e ascoltato al seguente link: http://www.uiciechi.it/archiviomultimediale/archivio/AuguriDelPresidente.mp3

VERSO IL 2015- Chiusura d’anno con gioia, di Mario Barbuto

Autore: Mario Barbuto

La chiusura d’anno suscita spesso voglia di bilanci.

Abbiamo operato al meglio delle nostre possibilità?
Abbiamo saputo essere all’altezza del compito, pur con la necessaria umiltà e modestia?
Abbiamo conseguito gli obiettivi che ci siamo dati:
– tutela delle strutture del territorio;
– difesa delle conquiste acquisite;
– organizzazione di un congresso di riforma, di dialogo, di unità democratica.
Domande alle quali non io, ma il corpo associativo, dovrà rispondere a tempo e luogo.

Si conclude, mentre scrivo queste note, una settimana appassionata e appassionante che ci ha visto il 13 Dicembre in udienza privata da Papa Francesco; il 15 al teatro Sistina per una gioiosa edizione del Premio Braille; il 17 in Senato, nell’ambito della legge di stabilità 2015, con l’approvazione di norme che ristabiliscono la cadenza pluriennale ordinaria delle risorse destinate alla nostra cara Unione e ai servizi rivolti ai ciechi e agli ipovedenti italiani.

A Papa Francesco, in un abbraccio commosso senza confini, ho chiesto di pregare per la nostra Unione, lui che può e che sa…
Quanta umanità nel suo discorso di risposta al mio umile indirizzo di saluto!!!
Quanta concreta comprensione e quanto realismo operante, nelle sue Sante Parole.
E quell’abbraccio donato a tutti i presenti… Incontrati uno a uno.

Il Premio Braille ci ha offerto l’occasione di dare un simbolico riconoscimento a Nicola Zingaretti per l’attenzione ai nostri problemi e il sostegno alle nostre strutture sul territorio del Lazio.
E poi alla famiglia Parisi, affidataria di cuccioli di cani guida, idealmente accomunata a tutte quelle famiglie che generosamente donano ai ciechi questo preziosissimo servizio.
A UniCoop Firenze, per aver costruito una rete ampia di lettori volontari al servizio del nostro Libro Parlato.
A Giorgio Rognetta, in memoria, per la lunga e fruttuosa vicinanza legale offerta all’Unione, praticamente fino al giorno della sua dolorosa scomparsa.
Lo splendore e la simpatia di Claudia Andreatti, insieme all’ironica e intelligente presenza di Enzo De Caro, hanno reso ricco e divertente lo spettacolo nel quale, accanto agli artisti professionisti Luca Barbarossa, Ron, Cristiano De Andrè, abbiamo portato sul palco tre talenti della nostra Unione: Dario Mirabile, Luigi Ferzini e Samantha De Rosa.
E come posso tacere della piccola Viola, sì, “il cane del presidente”, che mi ha assistito e guidato tutta la sera dentro e fuori dal palco, su e giù per il palco…
I timori della vigilia per un teatro tanto grande e importante nel cuore di Roma, sono stati fugati dalla presenza di un pubblico meraviglioso, accorso numeroso con spirito appassionato e partecipativo.

La legge di stabilità che aveva riservato all’Unione negli ultimi anni molti timori e qualche amarezza di troppo, è stata quest’anno una occasione per sanare la ferita del 2011, quando furono praticamente azzerate le risorse disponibili, gettando l’Associazione intera in uno stato di incertezza che da allora si è ripetuto ogni anno.
Il provvedimento del 2015 ristabilisce la modalità ordinaria di un finanziamento pluriennale che dovrebbe consentirci una maggiore serenità operativa e una più concreta opportunità di programmare, organizzare e gestire il nostro futuro.
La norma conferisce oggi alla nostra Unione maggiori responsabilità nelle scelte e nella distribuzione delle risorse assegnate, riconoscendole quel ruolo-guida di gestione e di rappresentanza delle problematiche che riguardano i ciechi e gli ipovedenti italiani.
Un traguardo storico, che riconsegna all’Unione il ruolo di interlocutore privilegiato delle istituzioni dello Stato, forse lievemente offuscatosi in anni recenti.
Un risultato che ci riempie di orgoglio e ci carica di nuove responsabilità.
Orgoglio, perché è il frutto di un impegno vasto e compatto giunto da ogni angolo d’Italia e coordinato dal Consiglio, dalla Direzione e dalla Presidenza Nazionale.
Responsabilità, perché ora più che mai, dovremo dimostrare di saper fare buon uso delle risorse che ci sono state assegnate, delle quali dovremo rispondere, centesimo per centesimo, dinanzi ai ciechi e agli ipovedenti d’Italia e davanti al Parlamento e al Governo che hanno voluto credere in noi.

Rimangono in essere, anzi si rafforzano in me, comunque, tutti gli obiettivi da perseguire nei prossimi anni, a partire proprio dalla capacità di convogliare risorse che non abbiano soltanto e sempre il segno della mano pubblica, ma che siano il frutto di strategie di fund raising, di progettazione sui fondi europei, di maggiore efficacia nella gestione del patrimonio, di riqualificazione e riorganizzazione della nostra spesa.

L’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti è una associazione dal profilo alto e dai valori solidi; basata sulla serietà dei suoi componenti, sulla qualità della sua missione, sul rispetto delle regole statutarie e sulla democraticità dei metodi di selezione e di decisione.
A tali valori continuerò a ispirare il mio lavoro e la mia azione di presidente, per rendere sempre più forte e trasparente questa nostra Associazione, oggi investita di nuove e più significative responsabilità dinanzi al Governo e al Parlamento che le hanno riconfermato in pratica il titolo a esercitare quel ruolo-guida che le compete a livello nazionale e locale nel settore delle disabilità visive.

Mario Barbuto
Presidente Nazionale