Centro di Documentazione Giuridica: Amministrazione di sostegno o interdizione? Ecco i criteri di scelta precisati in una recente sentenza del Tribunale di Vercelli, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

La scelta tra amministrazione di sostegno e interdizione non si basa sul solo sul grado d’infermità del soggetto incapace, ma il giudice deve compiere una valutazione globale e complessiva della situazione personale e del patrimonio da gestire del soggetto.

Lo ha precisato il Tribunale di Vercelli con  sentenza del 31 ottobre 2014, n. 142. Nell’interessante sentenza si da conto della giurisprudenza di legittimità e di merito dei vari Tribunali che si trovano a dover utilizzare i criteri messi a disposizione della legge per stabilire la giusta misura di protezione da riconoscere all’interessato.

Il caso posto all’esame del Giudice piemontese, ha inizio con la richiesta della madre, già amministratore di sostegno del figlio, di pronunciare l’interdizione del proprio figlio poiché la misura già disposta era diventata insufficiente a causa del peggioramento delle condizioni di salute del figlio, affetto da encefalopatia epilettica con ritardo psicomotorio grave.

L‘amministrazione di sostegno inizialmente concessa era stata giudicata misura sufficiente sia in considerazione delle scarse esigenze gestionali da soddisfare, sia per il fatto che il beneficiario vivesse in un ambiente circoscritto e protetto che non lo esponeva al pericolo di compiere atti pregiudizievoli. La madre, in qualità di amministratore di sostegno, avrebbe dovuto esercitare i poteri cd. sostitutivi (ex art. 405, comma 5, n. 3, c.c.) a livello patrimoniale: compiere gli atti di straordinaria e di ordinaria amministrazione e gli ulteriori atti relativi alla presentazione di domande di assistenza, anche sanitaria e di sussidi.

Nel giudizio di interdizione, successivamente promosso, il nuovo esame peritale confermava l’esigenza di una forma di protezione tenuto conto della generale condizione di non autosufficienza del soggetto, dovuta al grado medio-grave del ritardo mentale.

La perizia evidenziava però anche che le cure quotidiane presso il centro diurno e “il buon accudimento e le attenzioni pedagogiche della madre di tutti questi anni avevano evitato ulteriori regressioni a livello psico-comportamentale”. Di conseguenza, a livello medico, non si poteva configurare un peggioramento della situazione preesistente.

Tenuto conto di ciò, il Tribunale di Vercelli rammenta che la scelta dell’amministrazione di sostegno non deve essere semplicemente basata sul grado d’infermità o d’impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto, ma piuttosto sulla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle sue esigenze, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa (Cass. Civ. Sez. I, sentenza 22 aprile 2009, n. 9628 e Cass. Civ. Sez. I, sentenza 26 ottobre 2011, n. 22332).

In particolare l’amministrazione di sostegno sarà preferibile in tutti quei casi in cui sia necessaria “un’attività di tutela minima, in relazione, tra le altre cose, alla scarsa consistenza del patrimonio del soggetto debole, alla semplicità delle operazioni da svolgere, e all’attitudine del beneficiario a non porre in discussione i risultati dell’attività svolta nel suo interesse”.

Nella sentenza si richiama anche ad una recentissima pronuncia della Cassazione, con la quale è stata confermata la misura dell’interdizione ove l’elevata consistenza del patrimonio mobiliare ed immobiliare, collegata con la gravità e l’irreversibilità delle condizioni fisio-psichiche del soggetto, imponeva l’adozione della misura interdittiva proprio per la gestione e conservazione del patrimonio. In sostanza, è corretto non basare la scelta dell’interdizione sul solo grado di infermità del soggetto incapace, ma occorre procedere ad un’attenta ricostruzione della particolare situazione fisica e psichica dell’incapace, rapportandola con la complessità delle decisioni, anche quotidiane, da prendere per la gestione del suo patrimonio personale.

Il Giudice, nello scegliere  tra l’interdizione e l’amministratore di sostegno, dovrà basarsi sul criterio contenuto  nei primi due commi dell’art. 410 c.c., che impongono all’amministratore di sostegno, da un lato, di tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario, dall’altro, di informare tempestivamente il beneficiario sugli gli atti da compiere, e il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso. Vi dovrà essere nella pratica un sistema continuo di scambio tra i soggetti dell’amministrazione di sostegno – beneficiario, amministratore e Giudice tutelare – al fine di dirimere i contrasti eventualmente insorti. Ciò all’insegna della logica di collaborativa che ispira l’istituto dell’amministrazione di sostegno rispetto a quella propriamente “sostitutiva” dell’interdizione

Nel caso specifico, la ricorrente lamentava che come amministratore di sostegno non avrebbe avuto il potere di prestare un consenso informato alle cure, in caso di accertamenti o trattamenti sanitari, sostituendosi al soggetto incapace, come invece potrebbe potuto fare il tutore ai sensi dell’art. 357 c.c.

Secondo i giudici, però, tale potere, pur se non espressamente previsto dall’art. 411 c.c., è insito nelle disposizioni sull’amministrazione di sostegno che è istituto finalizzato alla cura della persona del beneficiario in ogni suo aspetto, patrimoniale e personale, come si desume dal tenore letterale degli artt. 405, comma 4, e 408, comma 1, c.c. (decreto 30 aprile 2012, Giudice tutelare Varese).

Pertanto il Tribunale adito, ha ampliato gli originari poteri conferiti, attribuendo all’amministratore in carica, salva diversa determinazione del Giudice tutelare, il potere di prestare, in nome e per conto del beneficiario, il consenso e/o il dissenso ad intraprendere i necessari accertamenti, cure, e trattamenti sanitari, in considerazione dell’impossibilità, anche parziale, del beneficiario a prestare tale consenso. Precisando però che questo potere è limitato agli accertamenti, ai trattamenti ed alle terapie routinarie, intendendosi quelli non invasivi e/o che non comportino periodi di lunga degenza in ospedale. Nel caso di operazioni chirurgiche, cicli terapici quali dialisi, chemioterapia ecc., l’amministratore di sostegno dovrà coinvolgere il Giudice Tutelare anche se non a fini autorizzativi, ma informativi.

Inoltre nell’ottica collaborativa, il consenso e/o di dissenso agli accertamenti ed ai trattamenti terapeutici dovrà essere prestato con il beneficiario, e non al posto dello stesso, dovendo l’amministratore tenere presente per quanto possibile i desideri e le aspirazioni del beneficiario.

Considerata l’importanza innovativa della sentenza commentata se ne riporta in calce il testo integrale.

a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

 

Tribunale di Vercelli

Sezione Civile

Sentenza 31 ottobre 2014, n. 142

(Pres. Marozzo, Est. Bianconi)

OMISSIS

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con ricorso depositato in data 21.6.2013, la ricorrente, madre ed amministratore di sostegno in carica, chiedeva che l’intestato Tribunale pronunciasse l’interdizione del proprio figlio e beneficiario, …

Deduceva che la misura di amministrazione di sostegno, disposta con decreto 03.8.2009 del Giudice tutelare presso il Tribunale di .., era “divenuta sicuramente insufficiente in quanto, con il trascorrere degli anni, le condizioni di … tendono a peggiorare”; la necessità di nomina di un tutore sarebbe pure derivata “dalla richiesta di maggiore autonomia dalla madre” da parte di .., “con conseguente aumento proporzionale dei rischi per lo stesso”.

Allegava altresì l’incapacità di .. di fare uso del denaro; il rischio che, ove lasciato solo in casa, egli potesse aprire la porta a chicchessia, accondiscendo a qualsiasi richiesta da parte di estranei, magari sottoscrivendo contratti e/o moduli di altro tipo; infine, segnalava il pericolo di un suo eventuale ricovero, in considerazione dell’impossibilità, per .., di prestare un consenso informato alle eventuali cure e trattamenti sanitari.

Si candidava quale tutore.

La causa veniva istruita attraverso l’esame dell’interdicendo, all’udienza 13.11.2013.

Veniva disposta quindi ctu medica sulle condizioni fisiche e psichiche del predetto.

Il perito, al quale veniva conferito l’incarico all’udienza 17.12.2013, depositava la propria relazione in data 12.3.2014.

All’udienza 18.3.2014 il ricorrente precisava le conclusioni come da ricorso introduttivo; alle stesse si associava il Pubblico Ministero, nel frattempo intervenuto in giudizio.

A seguito del deposito di comparsa conclusionale, con ordinanza 25.6.2014 ex art. 279 c.p.c., la causa veniva rimessa in istruttoria, al fine di procedere a nuovo esame dell’interdicendo, affidato al Giudice scrivente.

In data 11.9.2014 si celebrava il nuovo esame, ed all’esito la causa veniva trattenuta in decisione senza concessione di termini ex art. 190 c.p.c., espressamente rinunciati dalla ricorrente.

***

Il ricorso è infondato, e non merita accoglimento.

Da un punto di vista dogmatico, si impone una premessa: la consolidata giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che la misura dell’amministrazione di sostegno è prevista in via generale quale strumento di protezione dei soggetti privi di autonomia , in considerazione della sua duttilità e minore limitazione della capacità di agire del beneficiario, mentre solo quando essa non sia sufficiente alla adeguata protezione del soggetto può ricorrersi alla più limitativa misura dell’interdizione.

In particolare, rispetto ai predetti istituti, l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuata con riguardo non già al diverso, e meno intenso, grado di infermità o di impossibilita di attendere ai propri interessi del soggetto carente di autonomia, ma piuttosto alla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di detto soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa (cfr. Cass. Sez. I, n. 9628 del 22.4.2009, Est. Panzani; Cass. Sez I, n. 22332 del 26.10.2011, Est. Salmé).

Sulla base delle coordinate sopra tracciate, la Suprema Corte ha pertanto ritenuto la misura dell’amministrazione di sostegno pienamente idonea a tutelare la persona incapace in tutti quei casi in cui si renda necessaria un’attività di tutela cd. “minima”, in relazione, tra le altre cose, alla scarsa consistenza del patrimonio del soggetto debole, alla semplicità delle operazioni da svolgere, ed all’attitudine del beneficiario a non porre in discussione i risultati dell’attività svolta nel suo interesse (cfr. Cass. da ultimo citata).

Tale impostazione è stata ripresa e confermata anche di recente in un caso in cui il Supremo Collegio ha peraltro rigettato il ricorso, confermando la sentenza di interdizione del Giudice di merito, proprio alla luce della “straordinaria consistenza e varietà del patrimonio mobiliare ed immobiliare […] correlata con la gravità e l’irreversibilità delle condizioni fisio-psichiche emerse dall’esame peritale”, ciò che imponeva l’adozione della misuura interdittiva ai fini della migliore conservazione del patrimonio stesso e della sua utile gestione (cfr. Cass. Sez. I, n. 18171 del 26.7.2013, Est. Acierno). In tale caso, il Giudice del merito, come riconosciuto dalla Suprema Corte, non aveva fondato la scelta della misura dell’interdizione sul grado di infermità del soggetto incapace, ma aveva proceduto ad una corretta ricostruzione della peculiare situazione anagrafica e fisiopsichica del medesimo, ponendola in correlazione con la complessità delle decisioni, anche quotidiane, imposte dall’ampiezza, consistenza e natura composita del patrimonio ad egli appartenente.

I Giudici di merito hanno da tempo mostrato di aderire all’impostazione appena tracciata.

Il criterio distintivo, che, è bene sottolinearlo, non passa attraverso un giudizio di tipo scientifico o medico-legale, ma prettamente giuridico, risulta ampiamente condiviso.

Le ricadute concrete, come è naturale, variano in relazione alle peculiari situazioni rilevate nei casi via via in esame.

Si veda, al riguardo, ad esempio, decr. Giudice tutelare di Varese del 17.11.2009, Est. Buffone, che ha ritenuto, nel caso alla sua attenzione, e dopo approfondita rassegna delle diverse posizioni giurisprudenziali in merito, la misura dell’interdizione meglio rispondente alle esigenze di un soggetto versante in stato vegetativo permanente.

Ovvero, sentenza Tribunale di Milano del 13.2.2013, Est. Corbetta, ibidem, nella quale si chiarisce che, anche in presenza di esteso deficit cognitivo, nondimeno, può darsi corso all’interdizione solo ove sia necessario inibire al soggetto da proteggersi di esplicitare all’esterno capacità viziate che espongano sé o altri a possibili pregiudizi, e non già quando è la stessa patologia che, per le sue caratteristiche, mostra di impedire allo stesso qualunque contatto diretto ed autonomo con la realtà esterna.

O anche, infine, decr. Giudice tutelare di Milano del 27.8.2013, Est. Buffone, ibidem, in relazione alla maggiore idoneità dell’interdizione in un caso di paziente affetto da tendenze suicidarie.

Proprio la pronuncia da ultimo citata lumeggia, ad avviso del Collegio, l’addentellato normativo che rappresenta il vero “faro” che il Giudice deve seguire, laddove si trovi a dover scegliere quale, tra le misure dell’interdizione e dell’amministratore di sostegno, applicare al caso concreto: esso va individuato nel disposto dell’art. 410, commi 1 e 2, c.c., i quali, dettati con esclusivo riferimento all’amministrazione di sostegno: i) impongono all’amministratore, da un lato, di “tenere conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario”; ii) dall’altro, gli impongono di “tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere, nonché il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso”; ii) predispongono, infine, un sistema di attivazione del contraddittorio tra i soggetti dell’amministrazione (beneficiario e amministratore) al cospetto Giudice tutelare, soggetto istituzionalmente preposto a sovrintendere alla procedura.

La differenza rispetto alla misura interdittiva, ove un tale sistema non esiste, è netta: alla logica di una gestione, per così dire, sostitutiva, il Legislatore del 2004 ha affiancato un sistema di gestione collaborativa, in chiaro ossequio agli universalmente noti principi di rango costituzionale (art. 2 e 3), europeo (art. 8 Convenzione EDU), ed internazionali (cfr. preambolo, ed artt. 1, 3 e 4 Convenzione Nazioni Unite sulle persone con disabilità, ratificata e resa esecutiva con Legge dello Stato) rilevanti in relazione a tali fattispecie.

Vi è, però, che un tale sistema di collaborazione può, in concreto ed in casi particolari, non funzionare; ovvero che esso possa appalesarsi troppo farraginoso in relazione alla molteplice ed imponderabile varietà delle situazioni umane, così rendendo la misura dell’amministrazione di sostegno, non solo inidonea, ma addirittura controproducente rispetto a fini di tutela degli interessi del beneficiario.

A ben vedere, si tratta proprio dei casi esaminati nelle pronunce sopra enucleate: sarebbe infatti, ad esempio, difficilmente ipotizzabile un’amministrazione di sostegno che – in relazione alla difficoltà e complessità dell’attività di gestione patrimoniale, da compiersi attraverso atti giuridici con cadenza quotidiana, magari osteggiati dal beneficiario – imponga il continuo ricorso al giudice tutelare ai sensi del secondo comma della norma citata, con conseguente naufragio dell’efficacia della misura di protezione; e sarebbe del tutto impensabile – per assurdità – un sistema di collaborazione che imponga ad un amministratore di sostegno di perseguire le “aspirazioni” di un beneficiario che manifesti tendenze suicide, ovvero manifestamente eterolesive.

***

Alla luce delle considerazioni di ordine generale che precedono, deve passarsi all’esame del caso concreto.

Come detto, nell’interesse di …. fu aperta la misura dell’amministrazione di sostegno con decreto 03.8.2009 del Giudice tutelare di …

Con tale provvedimento (all. sub doc. 1 al ricorso per interdizione), il G.t., dopo aver premesso che il .. risultava affetto da “encefalopatia epilettica con ritardo psicomotorio grave” documentata per tabulas; e dopo avere ritenuto che la misura di amministrazione di sostegno appariva misura sufficiente “anche in considerazione delle scarse esigenze gestionali da soddisfare e della circostanza che .. vive in un ambiente circoscritto e protetto […] sì che non sussite grave pericolo che possa esporsi al compimento di atti pregiudizievoli”; nominava amministratore di sostegno la madre di .., …, e le deferiva poteri cd. sostitutivi (ex art. 405, comma 5, n. 3, c.c.) in ambito patrimoniale, con riferimento al compimento di atti di straordinaria e di ordinaria amministrazione; demandava inoltre il potere di compiere ulteriori atti relativi alla “presentazione di domande di assistenza, anche sanitaria e sussidi”.

Con riferimento alle condizioni di salute del .., parte ricorrente per l’interdizione ha prodottosub doc. 3 certificato 14.1.2013 proveniente dalla Fondazione … di Milano (istituto accreditato presso il servizio sanitario nazionale), a firma dott. .., dal quale emerge che il beneficiario, in effetti, soffre di encefalopatia epilettica, in un quadro clinico caratterizzato da ritardo psicomotorio grave e crisi epilettiche farmacoresistenti.

L’esigenza di una forma di protezione del .. è stata pienamente confermata dalle risultanze dell’esame dell’interdicendo, celebratosi all’udienza 13.11.2013, a cura del G.o.t. allora istruttore: in tale sede, l’interdicendo ha dimostrato all’evidenza di non conoscere il reale valore del denaro in generale, né della banconota che gli fu rammostrata; ha riferito di non essere in grado di girare liberamente da solo, e di non conoscere le vie cittadine; ha mostrato difficoltà di linguaggio, e ha chiesto a tal fine ripetutamente l’ausilio della madre, presente all’incombente.

La relazione peritale, a cura del dott. .., ha dato conto della generale condizione di non autosufficienza del soggetto, conseguente al grado medio grave del ritardo mentale che lo affligge. Al contempo, peraltro, il perito ha spiegato che .. frequenta con regolarità un centro diurno, una palestra ove pratica pallacanestro, ed una piscina, ove si cimenta nel nuoto, sua vera passione. Ha dichiarato che .. “ha mostrato di comprendere il significato delle domande più elementari rivoltegli” e che “il suo atteggiamento nel corso dell’esame è stato del tutto corretto con manifestazioni, forse anche stereotipate, di buona collaborazione e di gentilezza nel rapporto interpersonale”. Ha segnalato che, oltre alle cure quotidiane presso il centro diurno, “il buon accudimento e le attenzioni pedagogiche della madre di tutti questi anni gli hanno evitato ulteriori regressioni a livello psico-comportamentale”.

Le risultanze della ctu non sono state fatte oggetto di censura e/o osservazione alcuna da parte della ricorrente, di talché costituiscono solida base sulla quale fondare la presente decisione.

Al nuovo esame dell’interdicendo, celebrato dallo scrivente in data 11.9.2014, .. ha nuovamente mostrato di incorrere in gravi defaillances di tipo mnesico; su tutte, egli non ricordava la propria data di nascita. Ha peraltro dichiarato di abitare con la sua mamma, con la quale “va d’accordo, anche se a volte si e a volte no”; ha riferito che lei è la sua amministratrice di sostegno, e che lui “è contento”.

***

Ciò premesso in punto di fatto, e richiamate le considerazioni giuridiche sovrasvolte, si osserva pertanto quanto segue.

La patologia che affligge .. è senz’altro grave e invalidante, ma non tale, per sua natura, da privare il medesimo della capacità di rapportarsi al mondo esterno, ed in primis alla propria madre ed amministratrice di sostegno.

.. fa tutto ciò a modo suo, ovvero con ingenuità, ma anche con educazione, buona collaborazione e gentilezza, come osservato dal Ctu (pag. 6 elaborato) e riscontrato dal Giudice all’esame 11.9.2014.

Egli non mostra in alcun modo di potere, e, ciò che più conta, di volere, porre in discussione l’attività di amministrazione di sostegno, svolta dalla madre, cui lui vuole bene (“andiamo d’accordo”), della quale riconosce il ruolo istituzionale (“lei è il mio amministratore di sostegno”), che approva con decisione (“sono contento”).

L’amministrazione è sino ad oggi stata proficua per il benessere psico-fisico di …, come rilevato dal perito, né vi sono margini per ritenere che in futuro possano verificarsi contrasti insanabili tra l’amministratore ed il beneficiario, tali da pregiudicare lo svolgimento dell’incarico in un’ottica di perseguimento dei desideri e delle aspirazioni di quest’ultimo, se del caso, anche attraverso l’intervento del Giudice tutelare ex art. 410 c.c..

Con puntuale riferimento alle doglianze del ricorrente, poi, valgano le seguenti considerazioni.

Non è stato dimostrato un aggravamento delle condizioni di salute di … rispetto all’epoca in cui fu aperta l’amministrazione di sostegno: il certificato medico prodotto sub 3) e la Ctu, infatti, paiono sostanzialmente confermare all’attualità la diagnosi, allora raccolta dal G.t., di encefalopatia epilettica.

Il rischio che .. “firmi documenti” o contratti o altri moduli, allorquando apra la porta a soggetti sconosciuti, quando si trovi solo presso la propria abitazione, è, nei limiti del possibile, da ritenersi scongiurato.

Da un lato, infatti, il decreto di nomina (seppur non particolarmente analitico), ha demandato all’amministratore di sostegno il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario, e quindi in via sostitutiva, gli atti di cui all’art. 374 c.c.: da ciò discende che i) la capacità di compiere tali atti è preclusa al beneficiario, a norma dell’art. 405, comma 5, nr. 3) c.c.; ii) nel novero di tali atti rientra quello di “assumere obbligazioni”, a mente dell’art. 374, comma 1, n. 2) c.c.; iii) l’eventuale compimento di un tale atto, chiaramente invalido, troverebbe rimedio successivo attraverso l’esperimento dell’azione di annullamento ex art. 412 c.c..

Dall’altro lato, non si vede quale migliore protezione conseguirebbe il .. dall’apertura di una tutela, considerato che: i) la possibilità materiale, per .., di aprire la porta a sconosciuti e di apporre la propria sottoscrizione su documenti contrattuali eventualmente sottopostigli, non verrebbe ovviamente meno, per il solo fatto di essere soggetto a tutela; ii) il rimedio approntato dall’ordinamento nei confronti degli atti giuridici posti in essere senza autorizzazione dagli interdetti, è pur sempre successivo ed invalidatorio, e non certo preventivo, esattamente come nell’amministrazione di sostegno (cfr. art. 377 c.c.).

Anche con riferimento a tale aspetto, pertanto, si stima ampiamente tutelante e tranquillizzante il mantenimento, in favore del .., della misura in essere, e del tutto superfluo un aggravamento della stessa.

Infine, come detto, la ricorrente in interdizione, ha segnalato il rischio che .., laddove abbisognasse di cure, accertamenti, trattamenti sanitari, non sarebbe in grado di prestare un consenso informato alle cure. Si renderebbe pertanto necessaria l’interdizione del medesimo.

La testi propugnata dalla ricorrente si rifà implicitamente ad un’opzione interpretativa risalente e del tutto recessiva, fondata sul mancato richiamo, ad opera dell’art. 411, comma 1, c.c., dell’art. 357 c.c., disposizione che sancisce il dovere di cura del minore (e dunque dell’interdetto) da parte del tutore.

La cura personae costituirebbe, secondo tale interpretazione, prerogativa esclusiva del tutore, e sarebbe preclusa, e comunque non demandabile, all’amministratore di sostegno.

In realtà, costituisce ormai dato acquisito che il mancato richiamo dell’art. 357 c.c. dipenda dalla sua superfluità. Tutta la normativa sull’amministrazione di sostegno è teleologicamente diretta alla cura della persona del beneficiario in ogni suo aspetto, patrimoniale, ma anche personale, come desumibile dal tenore letterale degli artt. 405, comma 4, e 408, comma 1, c.c. (si richiama, per il grado di approfondimento e per la chiarezza espositiva, decr. 30.4.2012 Giudice tutelare Varese, Est. Buffone).

In ogni caso, anche a voler diversamente opinare, e dunque a voler ritenere che il mancato richiamo dell’art. 357 c.c. sia in realtà frutto di una chiara scelta del Legislatore volta ad evitare il deferimento all’amministratore di poteri volti alla cura personae del beneficiario, sarebbe in ogni caso pur sempre possibile estendere la previsione de qua, disciplinante un “effetto” dell’interdizione, anche alla procedura di amministrazione, giusta il disposto di cui all’art. 411, ultimo comma, c.c.

Il Collegio ritiene pertanto possibile, senza tema di smentita, il deferimento all’amministratore di sostegno di poteri in ambito sanitario, ed in particolare il potere di prestare il consenso, ovvero il dissenso (cfr. decr. G.t. Firenze 22.12.2010), informato a tali accertamenti, cure e trattamenti.

Ciò, oltretutto, può essere fatto in ogni tempo dal Giudice tutelare, ed anche d’ufficio, a mente dell’art. 407, comma 4, c.c..

Da ciò discende l’infondatezza della domanda di interdizione, anche in parte qua.

Con riferimento al caso concreto, peraltro, sussiste in effetti una grave patologia, che afflige dalla nascita il …, e che dà effetivamento conto dell’impossibilità, per lo stessso, di prestare un valido consenso informato agli accertamenti, alle cure, ed ai trattamenti sanitari che si rendono necessari per lui.

Egli, espressamente sollecitato sul punto dallo scrivente all’esame del 11.9.2014, si è mostrato spaesato, ed ha semplicemente – ed abbastanza ingenuamente – dichiarato di “non avere malattie”, e di “sentirsi bene”, così mostrando scarsa consapevolezza della propria patologia e del percorso di cure cui doversi sottoporre.

La questione, come detto, dovrà essere scrutinata ed approfondita dal Giudice tutelare in sede, il quale potrà, se ritenuto, rivedere, e se del caso integrare, il decreto di nomina nella parte in cui non disciplina con puntualità, tale aspetto (non potendosi, a parere del Collegio, ritenere sufficiente la scarna previsione in base alla quale all’amministratore veniva demandato il potere di compiere ulteriori atti relativi alla “presentazione di domande di assistenza, anche sanitaria e sussidi”.

In questa sede, peraltro, pare possibile e senz’altro opportuno, per ragioni di urgenza ed allo scopo di evitare vuoti di tutela, attribuire all’amministratore in via provvisoria ed urgente tali poteri.

L’art. 418, comma 3, c.c., infatti e come è noto, dispone che se nel corso del giudizio di interdizione “appare opportuno applicare l’amministrazione di sostegno, il giudice, d’ufficio […] dispone la trasmissione del procedimento al giudice tutelare. In tal caso il giudice competente per l’interdizione […] può adottare i provvedimenti di cui al quarto comma dell’art. 405”.

La disposizione normativa, dettata con riferimento alle situazioni in cui una procedura di ammministrazione non sia stata ancora aperta, sembra applicabile anche a fattispecie, come quella in esame, nelle quali, a fronte della già avvenuta apertura della misura di amministrazione, sia comunque stato incardinato un giudizio di interdizione (a ciò non ostando alcuna disposizione normativa in particolare, e potendosi dunque applicare il disposto di cui all’art. 12, comma 2, delle disposizioni sulla legge in generale, premesse al codice civile, anche in relazione ai principi generali dell’Ordinamento, volti, con ogni evidenza, alla tutela massima e continuativa dei soggetti bisognosi di protezione).

Deve in definitiva essere demandato all’amministratore in carica (all’evidenza il soggetto più idoneo alla bisogna, in considerazione del legame parentale, affetivo e personale che lega … a .. ..), ex artt. 418, comma 3 e 405, comma 4 c.c., e salva ogni nuova e diversa determinazione del Giudice tutelare in sede, il potere di prestare, in nome e per conto del beneficiario, il consenso e/o il dissenso ad intraprendere i necessari accertamenti, cure, e trattamenti sanitari, in considerazione dell’impossibilità, anche parziale, del beneficiario a prestare tale consenso.

Tale potere è da intendersi deferito limitatamente agli accertamenti, ai trattamenti ed alle terapie routinarie, intendendosi per tali unicamente quelli non invasivi e/o che non comportino periodi di lungodegenza in ospedale; in tali denegatissime evenienze (es: operazioni chirurgiche, cicli terapici quali dialisi, chemioterapia, etc), sarà cura dell’amministratore di sostegno investire della questione il Giudice Tutelare, peraltro non a fini autorizzativi, ma informativi.

Sempre nell’ottica collaborativa, di cui supra, ogni manifestazione di consenso e/o di dissenso agli acceertamenti ed ai trattamenti terapeutici dovrà essere prestata con il beneficiario, e non al posto dello stesso, nel senso che l’amministratore nominato dovrà esprimere quello che risulterà essere il reale intendimento del soggetto beneficiario, parlando con lui, cogliendone per quanto più possibile i desideri e le aspirazioni, e non il proprio intendimento.

***

Per tutti i sopraesposti motivi, la domanda di interdizione deve essere rigettata.

Le spese sono dichiarate irripetibili, a fronte del rigetto della domanda, e della mancata costituzione del convenuto, nel cui esclusivo interesse, peraltro, è stato incardinato il presente giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale di Vercelli, in composizione collegiale, definitivamente decidendo nella causa di cui in epigrafe, ogni diversa eccezione, domanda ed istanza disattesa:

  1. rigetta la domanda di interdizione avanzata da … nei confronti di …;
  2. visti gli artt. 418, c. 3 e 405, c. 4, c.c., demanda a …, amministratore di sostegno in carica in forza di decreto 03.8.2009 del Giudice tutelare presso il Tribunale di … il potere di prestare, in nome, per conto, nell’interesse, e con il beneficiario …, il consenso e/o il dissenso circa ogni accertamento, trattamento o terapia non invasiva e/oroutinaria; conferisce il predetto potere altresì con riguardo ad ogni altro, successivo ed ulteriore accertamento, trattamento e terapia sanitaria non qualificabili come routinari, ma ciò solo previa informativa al Giudice tutelare in sede;
  3. dispone che ad ogni effetto di legge l’amministratore di sostegno in carica esibisca ai terzi unicamente la parte dispositiva della presente sentenza, necessaria e sufficiente a giustificare l’esercizio dei poteri ad egli deferiti;
  4. visto l’art. 418, comma 3, c.c., dispone la trasmissione del procedimento al Giudice tutelare in sede per le determinazioni di sua competenza, ivi compresa la conferma, la revoca o la modifica della presente statuizione, limitatamente al punto 2), e/o l’adozione di ogni altro provvedimento opportuno;
  5. nulla per le spese di lite.

Manda la Cancelleria per la comunicazione al ricorrente, al Signor Pubblico Ministero in sede, al Giudice tutelare in sede, e per ogni altro adempimento di legge.

Così deciso in Vercelli nella Camera di Consiglio della Sezione Civile in data 23.12.2014

Il Giudice estensore
Dott. Carlo Bianconi

Il Presidente
Dott. Antonio Marozzo

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La rivista del  Museo tattile Statale  Omero sulla percezione sensoriale e l’accessibilità ai beni culturali
Primo numero sperimentale in www.museoomero.it, vocale, su CD


AISTHESIS, SCOPRIRE L’ARTE CON TUTTI I SENSI, è la nuova rivista online del Museo tattile Statale Omero che nasce  per promuovere e diffondere gli studi e le ricerche sulla percezione sensoriale e l’accessibilità ai beni culturali. Al via  la fase sperimentale con il primo numero vocale, consultabile e scaricabile online da alcuni giorni in www.museoomero.it, e  inviato su CD con Braille e vocale a non vedenti e ipovedenti e sempre disponibile. Il progetto prevede la realizzazione di una pubblicazione quadrimestrale plurilingue a carattere scientifico, che  raccolga parte del lavoro fin qui svolto e favorisca  il dialogo e  il confronto  tra persone, istituzioni culturali, università, ricercatori e professionisti che operano nell’ambito della percezione sensoriale con  i più differenti approcci culturali: dalle neuroscienze alle più avanzate tecnologie informatiche. Lo scopo è recuperare e diffondere, quanto concretamente esiste già  in materia di accessibilità all’arte e ai beni culturali e quanto si sta sviluppando a livello internazionale,  in particolare nella lettura tattile delle opere d’arte, per cui il Museo Omero è un punto di riferimento avendo maturato da più di 15 anni specifiche metodiche e buone prassi  sia teoriche  che pratiche.
Nell’articolo di apertura , titolato “Perché AISTHESIS ”, il presidente del Museo, Aldo Grassini  spiega la filosofia del progetto, soffermandosi sul valore estetico della tattilità -“ Le sensazioni  tattili sono diverse dalle sensazioni visive, ma ciò che conta è che le une e le altre sono capaci di stimolare l’intelletto ad individuare forme, a scoprire significati, ad evocare esperienze, a produrre emozioni. Tutte le sensazioni sanno produrre un piacere peculiare alla loro natura ed il tatto non fa eccezione… L’arte contemporanea sta scoprendo questa ulteriore dimensione e la multisensorialità rappresenta una nuova sfida che trova cultori sempre più numerosi.”
Seguono “ La rivoluzione dei sensi nell’era dei media  elettronici” di Andrea Socrati; “Percepire, ascoltare ed emozionarsi” , di Gabriella Papini. In chiusura, “Le mani modellano il sentimento”, d Loreno Sguanci (tra i primi artisti italiani ad aderire al Museo).

AISTHESIS, SCOPRIRE L’ARTE CON TUTTI I SENSI

Quadrimestrale a carattere scientifico del Museo tattile Statale Omero
Sede della redazione e della direzione: Museo Tattile Statale Omero – Mole Vanvitelliana –
Banchina da Chio, 28, Ancona. sito: www.museoomero.it
Editore: Associazione Per il Museo Tattile Statale Omero ONLUS
Direttore: Aldo Grassini; Direttore Responsabile: Gabriella Papini
Redazione: Monica Bernacchia, Andrea Sòcrati; Elaborazione suono: Massimiliano Trubbiani

E’ nato  il servizio di supporto “Ottavio Orioli” per sostenere i giovani non vedenti nello studio della musica, di Mauro Marchesi

Autore: Mauro Marchesi

 

 

 

Bologna è stata la sede di una storica scuola musicale per non vedenti, attiva presso l’Istituto Cavazza sino alla metà degli anni ’70.

Tale scuola è stata una straordinaria fucina formativa e professionale, per generazioni di musicisti ciechi, che grazie ad essa hanno raggiunto importanti traguardi nella qualità della loro vita, distinguendosi di sovente come eccellenti professionisti e, talvolta, anche come eccellenti artisti.

Una grande esperienza ormai irripetibile, ma di cui è ancora  possibile raccogliere il messaggio di attualità cercando di sostenere concretamente i giovani che, nell’attuale scenario scolastico -formativo, intendono affrontare studi musicali.

L’iniziativa pertanto è stata pensata e strutturata sulla base di un’attenta analisi dell’attuale contesto didattico-formativo e dei bisogni degli studenti.

L’attività del Servizio è rivolta a studenti di musica ciechi, inseriti nelle scuole medie ad indirizzo musicale, nei Licei Musicali, nei Conservatori, o semplicemente che affrontano privatamente percorsi di formazione musicale.

Se pur di dimensioni decisamente ridotte rispetto al passato, ancora vi sono bambini e ragazzi ciechi interessati ad accostarsi alla musica.

Per quanto di nostra conoscenza, ciò avviene in un quadro di estrema varietà di situazioni ed approcci.

A fronte di situazioni gestite con cognizione di causa, sia sul versante psico-pedagogico che su quello tecnico-didattico, si ha conoscenza di situazioni assai discutibili, gestite al di fuori dei presupposti minimi di consapevolezza della dimensione didattica e tecnica.

Il Servizio è  intitolato al Maestro Ottavio Orioli, scomparso nel 2011, docente di pianoforte nell’ultimo ventennio della storia della scuola musicale bolognese.

 

Finalità e servizi.

 

Le finalità ed i servizi offerti, dettagliati nel regolamento del Servizio, sono così riassumibili:

  • favorire la conoscenza dei mezzi a disposizione per lo studio musicale (notazione Braille, disponibilità del materiale, strumenti tecnologici con particolare riferimento alle nuove tecnologie informatiche;
  • Sostenere i giovani studenti ciechi inseriti nelle varie tipologie di scuole musicali, aiutandoli nella ricerca della musica Braille e, ove necessario, provvedendo alla sua realizzazione, con l’intento di favorire il loro processo formativo e la loro massima integrazione con i compagni vedenti;
  • Offrire consulenza e supporto ai docenti impegnati in azioni didattiche rivolte a studenti non vedenti.

Per una completa conoscenza del Servizio e per le indicazioni per la richiesta di interventi, aprire il sito http://servizioorioli.univocbologna.it .

 

Nella riflessione che ha preceduto il varo dell’iniziativa, una particolare sottolineatura è stata riservata proprio alla situazione dei docenti ed alla necessità che gli interventi si realizzino all’interno di un progetto che coinvolga la funzione docente ed il rapporto docente-studente.  Per questo, gli interventi saranno concertati con gli insegnanti di sostegno e/o insegnanti degli studenti interessati, affinché l’azione risulti pienamente coerente con i loro bisogni.

In ambito pedagogico-didattico, il servizio si avvarrà– anche se non esclusivamente – delle numerose risorse professionali create dalla scuola musicale del Maestro Ottavio Orioli, fortunatamente ancora disponibili.

Il Servizio non ha alcuna struttura burocratizzata e costosa, ma un’organizzazione leggera, flessibile, con obiettivi molto chiari e concreti, che cercherà di dare risposte in tempi adeguati alle necessità.

È importante sottolineare che non si sovrappone ad alcun  altro soggetto operante nel medesimo ambito. Anzi, è proprio suo compito precipuo quello di valorizzare l’esistente, di utilizzarne al meglio le specifiche funzioni, in una logica di rete, nel preciso intento di garantire il massimo di efficienza del servizio, raggiungendo il piu’ alto parametro fra qualità della risposta e risorse investite.

 

La circostanza che l’iniziativa parta dall’UNIVOC, (Associazione di volontariato), già ne offre una chiara cifra di lettura: si tratta di una iniziativa basata sull’apporto volontario e gratuito di persone in possesso di idonee competenze, che hanno con entusiasmo accolto il nostro appello.

Il Servizio di supporto avrà ovviamente la sua sede a Bologna, ma l’attività si svolgerà ovunque, posto che le nuove tecnologie hanno ormai abbattuto le barriere fisiche ed i confini. Infatti, il gruppo dei volontari che – fortunatamente – si sta ampliando, ha raccolto adesioni provenienti da varie parti del territorio nazionale.

 

Per la trascrizione in notazione Braille delle partiture, saranno impiegate le nuove tecnologie che fortemente lo agevolano, pur non consentendo al momento una procedura completamente automatizzata.

Per questo, sono state coinvolte figure esperte nell’uso di software notazionali per musica, da cui si può partire per la produzione della musica Braille.

Ovviamente è auspicabile che il gruppo degli operatori si consolidi, soprattutto sul versante della produzione della musica Braille. Chi pensa di poter dare una mano, essendo in grado di copiare musica con i piu’ diffusi editor musicali, potrà rivolgersi alla sezione U.N.I.VO.C. di Bologna:

tel.: 051-334967

e-mail: info@univocbologna.itservizioorioli@univocbologna.it .

 

Poiché è assai frequente che ci vengano posti quesiti sul codice musicale Braille e su come le tecnologie informatiche possano agevolarne la produzione, pensiamo possa essere utile per i nostri lettori riassumerne i principali elementi.

Occorre partire da una fondamentale differenza: il codice musicale Ordinario è grafico; il codice musicale Braille è alfanumerico. Occorre pertanto trasformare una notazione grafica, con oggetti sistemati su righe e spazi, in un codice costituito da successioni alfanumeriche che descrivono gli oggetti dello spartito.

Tradizionalmente questo processo veniva effettuato manualmente, da figure in possesso della conoscenza di entrambi i codici.

Con l’avvento dell’informatica hanno preso avvio – in varie parti del mondo – ricerche finalizzate alla creazione di software capace di automatizzare il processo: vale a dire di trasformare il codice comune nel codice Braille.

Ricerche che hanno portato alla realizzazione di vari prodotti, alcuni dei quali anche molto validi e completi. L’Italia, con lo sviluppo dell’ottimo software Toccofinale, ha fatto egregiamente la sua parte.

Non sempre il processo di transcodifica puo’ essere affidato esclusivamente a procedure automatizzate. La necessità di successivi interventi manuali è direttamente proporzionale alla complessità dello spartito ed al livello richiesto circa l’accuratezza del codice Braille.

 

Fra i migliori strumenti attualmente a disposizione, per quanto di nostra conoscenza, va annoverato il Braille MUSE, uno strumento web realizzato dalla “Graduate School of Environment and Information Sciences YOKOHAMA National University” che partendo  dal files in codice Musicxml (prodotto ormai da tutti i principali editor musicali), restituisce un file di codice musicale Braille.

Il servizio, completamente gratuito, è raggiungibile all’indirizzo http://gotoh-lab.jks.ynu.ac.jp/braille_music_score/it/

Ha una sezione in lingua italiana, grazie alla traduzione realizzata dal Dottor Paolo Graziani e dal Prof. Paolo Razzuoli.

Sul sito servizioorioli.univocbologna.it sono disponibili le indicazioni per il corretto utilizzo di questo ottimo strumento.

A corredo di queste sintetiche note, riportiamo alcune battute musicali nel codice ordinario e nel corrispondente codice musicale Braille.

Esempio notazione comune

esempio-notazione-comune

Esempio notazione Braille

esempio-notazione-braille

 

 

Centro di Documentazione Giuridica: La Corte Ue, riconosce l’obesità come handicap, maggiori tutele per i lavoratori, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

L’obesità può costituire un handicap per chi ne soffre e non deve dar luogo a discriminazioni sul lavoro. Sebbene nessun principio generale del diritto dell’Unione europea preveda un principio di non discriminazione in ragione dell’obesità in quanto tale, questa rientra nella nozione di handicap (e sono vietate le discriminazioni fondate su handicap) se impedisce la piena ed effettiva partecipazione della persona alla vita professionale sulla base di uguaglianza con altri lavoratori.  Lo ha stabilito la Corte di Giustizia Europea con sentenza.
Di conseguenza, il lavoratore obeso ha diritto alla tutela offerta dalla direttiva 2000/78/Ce sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Tale direttiva dell’Unione europea stabilisce il quadro generale per la lotta alle discriminazioni in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.
E in forza di tale direttiva sono vietate, in materia di occupazione, le discriminazioni fondate sulla religione, le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali.
La Corte di giustizia dell’Unione europea ha per la prima volta qualificato come handicap dell’obesità. La pronuncia, depositata il 18 dicembre 2014, (causa C-354/13), è stata provocata dal rinvio pregiudiziale promosso dai giudici danesi a seguito del ricorso di un dipendente dell’amministrazione pubblica impiegato come babysitter.
Il dipendente era afflitto da obesità, secondo gli standard fissati dall’Organizzazione mondiale della sanità. L’amministrazione danese, spinta, all’apparenza, dalla diminuzione del numero di bambini da seguire, aveva deciso il licenziamento del ricorrente secondo il quale, invece, la decisione era dipesa dalla sua obesità. Di qui l’azione giudiziaria e il rinvio dei giudici alla Corte Ue prima di decidere se il ricorrente fosse stato vittima di una discriminazione fondata sull’obesità.
Per gli eurogiudici, sebbene la direttiva 2000/78, non menzioni direttamente l’obesità, questa patologia può essere inclusa nella nozione di handicap, in quanto per handicap s’intende non solo un’impossibilità di esercitare un’attività professionale, “ma altresì un ostacolo a svolgere una simile attività”.
L’obesità – osserva la Corte di giustizia – non è, in via generale, un handicap nel senso specificato nella direttiva che si riferisce a “una limitazione risultante segnatamente da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature”, in grado di ostacolare “la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professione, su base di uguaglianza con altri lavoratori”. Ma, in determinate circostanze, essa comunque comporta delle limitazioni, che di fatto ostacolano la vita professionale di chi ne è affetto.
Una situazione che si verifica nei casi in cui l’obesità è di lunga durata o se, ad esempio, il lavoratore ha una mobilità ridotta o patologie che gli impediscono di lavorare o fanno sorgere difficoltà nella realizzazione dei suoi compiti professionali.
L’obesità del babysitter era di lungo periodo e, quindi, se il giudice nazionale ravvisa una limitazione nella sua vita professionale deve considerare l’obesità come handicap e applicare le garanzie offerte dalla direttiva Ue sopra richiamata.
Va detto inoltre che, secondo la Corte Ue, i giudici nazionali devono partire dal presupposto che spetta alla parte convenuta e, quindi, al datore di lavoro, dimostrare che non si è realizzata alcuna violazione del principio della parità di trattamento.
Rilevante poi l’esclusione dell’esistenza di un principio generale del diritto Ue di non discriminazione a motivo dell’obesità.

a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

Beni Culturali: Detective al Museo, Redazionale

Autore: Redazionale

28 DICEMBRE ore 16.30

Laboratorio per famiglie con bambini 6 – 10 anni

“Udite! Udite! Rubata alla Mole Vanvitelliana una statua dell’artista Paolo Annibali”
… al Museo Omero c’è bisogno del tuo intuito! vieni a scoprire chi è stato. Raccogliendo gli indizi e le prove, le altre statue ti aiuteranno a risolvere il caso!
A cura dei Servizi Educativi del Museo Omero, delle Volontarie del Servizio Civile Nazionale e del Servizio Volontario europeo, in collaborazione con l’associazione per il Museo Tattile Statale Omero ONLUS e il Servizio Civile Regionale.
Prenotazione obbligatoria.
Costo: 4,00 euro esclusi bambini 0 – 4 anni, disabili e loro accompagnatori.
Orario: 16.30 e 18.00. Durata 1 ora.
tel. 0712811935
email: didattica@museoomero.it

6 GENNAIO mattino ore 10.30 e pomeriggio ore 17 STORIE IN SCATOLA Letture per famiglie con bambini 4 – 10 anni.

Paolo Annibali è uno scultore che ha messo in scatole alcune storie modellando personaggi, luoghi e azioni con l’argilla, noi ci abbiamo messo le parole… Tutti i bambini sono invitati a seguire con gli occhi e con le orecchie questa magnifiche storie; infine la befana porterà una sorpresa a tutti… con il necessario per costruire la propria storia in scatola!
Prenotazione obbligatoria.
Costo: 4,00 euro esclusi bambini 0 – 4 anni, disabili e loro accompagnatori.
Orario: la mattina dalle ore 10.30 alle 11.30, il pomeriggio dalle ore 17 alle 18.
tel. 0712811935
email: didattica@museoomero.it

ALTRI EVENTI
4 gennaio: Presentazione libro “Tutto al suo posto” di Giorgia Coppari.
10 gennaio: Presentazione del libro “Anna che mentre combatte non è sola” di Paola Olmi.

QUANDO SIAMO APERTI
Museo Tattile Statale Omero e Mostra PASSAGGI Le parole dell’umanità attraverso la cultura ebraica. (aperta fino all’ 11 gennaio) dal martedì al sabato 16 – 19; domenica e festivi (26 dicembre, 6 gennaio) 10 – 13 e 16 – 19.
Chiuso: lunedì, nei giorni 25 e 31 dicembre.
Apertura straordinaria: 1 gennaio dalle 16 alle 19.

Mostra DIRA’ L’ARGILLA di Paolo Annibali dal giovedì al sabato 16 – 19; domenica e festivi (26 dicembre, 6 gennaio) 10 – 13 e 16 – 19.
Chiuso: nei giorni 25 e 31 dicembre.
Apertura straordinaria: 1 gennaio dalle 16 alle 19.

INFO
Museo Tattile Statale Omero
Mole Vanvitelliana – Banchina Giovanni da Chio 28 tel. 0712811935
email: didattica@museoomero.it
sito: www.museoomero.it

Il saluto di Pietro Barbieri a Franco Bomprezzi, Pietro Vittorio Barbieri

Autore: Pietro Vittorio Barbieri

Franco aveva deciso di non correre più. Aveva deciso di andare in pensione perché il lavoro in Agr era sfidante e talvolta troppo competitivo. Aveva deciso di abdicare al suo ruolo di ‘comunicatore’ con disabilità che lo portava in ogni angolo del Paese perché de faticante e inconcludente. Aveva deciso di non farsi tentare più dalla politica perché avara di restituzioni. Aveva deciso di non partecipare più alle gare per Superabile se il direttore veniva considerato alla stregua delle tecnologie del call center.
Aveva deciso che il mondo ‘vero’ l’aveva affrontato e che era giunto il momento di mettersi a disposizione del movimento delle persone con disabilità perché la strada dell’inclusione era ancora tutta da costruire. Si era reso disponibile a ricoprire cariche associative di rete di reti e di farlo nella sua nuova terra, la Lombardia, e di mettere a disposizione del movimento la sua capacità di giornalista. Una straordinaria parabola cominciata al Mattino di Padova e conclusa con l’impegno nella società civile organizzata nell’impegno per i diritti.

Ci mancherà uno straordinario compagno di strada, un esempio unico di vita e soprattutto un amico vero. Sono convinto che non gli dispiacerà essere ricordato assieme ad Andrea Pedrana, lui scomparso ieri, parte di quel gruppo di persone con disabilità che voleva sfidare il paternalismo e il pregiudizio ancora oggi dominante. Ciao Franco, ciao amico di decenni di battaglie, ci manchi già.

Pietro Vittorio Barbieri

La FISH saluta Franco Bomprezzi, Redazionale

Autore: Redazionale

“Franco è stato un esempio, un modello, un punto di riferimento per moltissimi. Odierebbe sentirselo dire, ma è stato il testimonial di un modo pulito, ottimista, coinvolgente di intendere i diritti umani. Ha dato moltissimo a FISH in termini di supporto, suggerimenti, critiche, aiutandoci a crescere e a migliorare. La sua scomparsa è una gravissima perdita umana, politica e culturale.”
Così Vincenzo Falabella, Presidente della Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap ricorda Franco Bomprezzi, mancato questa mattina a Milano.
Bomprezzi, giornalista e scrittore, è stato un instancabile animatore di iniziative a favore dei diritti umani e sociali delle persone con disabilità, usando con maestria la sua penna e la sua professionalità, ma anche partecipando direttamente alla vita associativa, prima nell’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, poi nella FISH e nella Ledha (Lega per i diritti delle persone con disabilità).
Era uno dei volti più noti e stimati fra le persone con disabilità e i loro familiari, ma non solo. La sua firma per il Corriere della Sera e la sua partecipazione a numerosi talk show lo hanno fatto apprezzare al pubblico più vasto per il garbo e la profondità dei suoi interventi.
Il cordoglio per la scomparsa di Franco Bomprezzi è unanimemente partecipato da tutte le associazioni federate e dalle persone che direttamente o indirettamente ne hanno conosciuto l’attività e l’impegno.

18 dicembre 2014

FISH – Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap

www.fishonlus.it
www.facebook.com/fishonlus
twitter.com/fishonlus

Centro di Documentazione Giuridica: La condizione di handicap palese non autorizza a diffondere i dati sensibili dell’interessato e ove ciò accada è violazione della privacy, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

La terza Sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24986, depositata il 25 novembre 2014, ha definitivamente condannato il direttore di un giornale per essere contravvenuto agli obblighi della privacy avendo pubblicato la notizia della delibera comunale di assistenza a una minore portatrice di handicap. Pubblicazione a cui era seguito un interessamento della popolazione locale su chi fosse il soggetto disabile.
Nel caso esaminato dalla Corte i genitori di una minore disabile avevano presentato ricorso avverso il responsabile di una rivista periodica la quale, in violazione delle disposizioni di cui al d. lgs. 196/2003 (c.d. Codice privacy) pubblicando i dati sensibili inerenti la minore stessa – in particolare, la notizia di adozione di delibera comunale di assistenza alla minore – ottenendo sia in primo che in secondo grado di giudizio l’accoglimento della propria domanda di risarcimento danni. Il giornale proponeva dunque ricorso in Cassazione lamentando violazione di legge.
Anche per la Suprema Corte non conta dunque che la delibera comunale che dispone l’assistenza a un minore diversamente abile sia stata pubblicata, con nome e cognome dell’interessato, sull’organo di informazione dell’amministrazione e il direttore del giornale che ha divulgato a mezzo stampa i dati sensibili va comunque condannato per i danni subiti sia dal minore sia dai suoi genitori e non assume rilievo che l’interessato si sia mostrato in pubblico.
La decisione ha come punto essenziale l’interpretazione di un passo dell’articolo 137 del Codice della privacy. La regola fondamentale in tema di trattamento dei dati in materia giornalistica è, in sintesi, che si possono diffondere tutti i dati veri ed essenziali per comprendere una notizia di interesse pubblico. Ma possono comunque essere divulgati quelli “resi noti direttamente dagli interessati attraverso loro comportamenti in pubblico”. Ed è proprio’ sul significato di “comportamenti in pubblico” che la sentenza è interessante.
Il ricorrente sosteneva che l’handicap del minore fosse del tutto evidente e, quindi, che il fatto di mostrarsi in contesti sociali fosse riconducibile al comportamento attraverso cui si rendono noti i propri dati personali, determinandone la libera publicabilità.
La Corte respinge invece la tesi sottolineando che la mera percepibilità non è sufficiente, in quanto il mostrarsi non è una condotta con cui il soggetto ha inteso rendere palese la sua condizione.
Dunque si possono pubblicare dati anche non di stretto interesse pubblico – e il nome del minore non lo sono – solo se vi è il consenso dell’interessato, che può essere, stando alla lettera della legge, esplicito o implicito. Pertanto il consenso si può trarre anche da comportamenti in pubblico, purché questi ultimi non siano solo l’occasione in cui si è disvelato il dato, bensì la modalità scelta dall’interessato per renderlo pubblicamente palese.
Non basta, quindi, che il fatto avvenga in pubblico: occorre che il protagonista abbia scelto di renderlo noto o almeno, potendo evitarlo, accettato la possibilità concreta che ciò accada.
“La percepibilità icto oculi, da parte di terzi, della condizione di handicap di una persona non può, infatti, considerarsi circostanza o fatto reso noto direttamente dall’interessato o attraverso un comportamento di questi in pubblico e, conseguentemente, non è applicabile in siffatta ipotesi la richiamata norma.
E ciò vale a maggior ragione nel caso in esame, in cui risulta violata la riservatezza di una minore della quale sono stati divulgati gli elementi di identificazione e i dati sensibili attinenti alla sua salute, senza che essi, così come pubblicati – e in particolare con l’indicazione del nome e del cognome della minore – fossero peraltro di interesse pubblico ed essenziali all’informazione”.
Dunque l’interpretazione condivisibile della Cassazione si basa sul principio che il semplice fatto di vivere, mostrandosi in pubblico per come si è, non può essere confuso con un consenso alla diffusione indiscriminata dei propri dati.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

Firenze: Galleria degli Uffizi, di Gianluca Fava

Autore: Gianluca Fava

Qualora non fosse noto ho il piacere di farvi sapere di aver scoperto che la splendida Galleria degli Uffizi di Firenze prevede anche un percorso per disabili visivi:

– Al momento di iniziare il percorso, viene consegnato al disabile visivo un paio di guanti in lattice ed una guida audio.
– L’ingresso è gratuito per il disabile e per il suo accompagnatore.
– Via radio, gli operatori comunicano ai colleghi l’arrivo del privo della vista e lo guidano all’interno delle sale.

Ascoltando la guida audio, all’interno delle sale si può:

– Toccare le statue.
– Toccare alcuni dei quadri esposti riprodotti in rilievo appositamente per noi, come, ad esempio, la riproduzione, molto  fedele della Venere di Botticelli.
– Leggere le scritte in braille relative alle descrizioni di alcune opere esposte.
– Toccare il plastico relativo alla pianta delle varie sale.

È una cosa meravigliosa e si rimane molto soddisfatti!

Gianluca Fava

Centro di Documentazione Giuridica: Per la Cassazione il diritto all’assunzione del disabile non viene meno se ha già una occupazione precaria, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

La Suprema Corte di Cassazione ha, con la recente sentenza n. 24723 del 20 novembre u.s., stabilito al disabile che, dopo aver espletato regolare prova concorsuale con numero di posti riservati alla categoria, raggiunge una posizione utile in graduatoria, spetta un vero e proprio diritto all’assunzione.
Con la sentenza sopra citata la Cassazione, accoglie il ricorso di un’insegnante precaria la quale, proprio perché avrebbe svolto periodi sporadici di insegnamento (nella specie, alcune supplenze) nonostante si fosse qualificata per l’assunzione a tempo indeterminato, avrebbe difettato del requisito della non occupazione e dunque le sarebbe stata negata la nomina in ruolo.
Si pone preliminarmente in evidenza che trattandosi di un atto susseguente l’espletamento di prova concorsuale – ricadendo tutti i precedenti nella giurisdizione del giudice amministrativo – e vertendo sulla tutela di un vero e proprio diritto soggettivo, la giurisdizione è del giudice ordinario.
La Cassazione ha esaminato le origini storiche dell’istituto della quota di riserva, nei concorsi pubblici, a favore degli invalidi, estrapolandone la ratio: da istituto di solidarietà sociale (legge 482/1968) a vero e proprio mezzo di “valorizzazione delle capacità professionali del disabile con la funzionalità economica delle imprese stesse”. La possibilità di assumere i disabili vincitori di pubblici concorsi prescinde quindi dallo stato di disoccupazione di questi, essendo la ratio della norma, oggi vigente, differente (legge 68/1998). Sono inoltre richiamate le posizioni, sul punto, sia dell’Unione europea che di determinate convenzioni internazionali.
Il principio esposto in sentenza è dunque il seguente: “nell’impiego pubblico privatizzato ogni tipo di graduatoria vincola in modo assoluto il datore di lavoro a individuare gli aventi diritto all’assegnazione dei posti riservati, essendosi in presenza di un principio generale che non può essere in alcun modo violato e che l’inserimento nelle graduatorie del personale disabile che abbia conseguito l’idoneità nei concorsi pubblici (…) ai fini dell’adempimento degli obblighi (…) dà diritto all’assunzione anche a prescindere dallo stato di una precaria occupazione dell’invalido, considerata la pregnanza dell’obbligo solidaristico cui deve essere informato l’agire della pubblica amministrazione (al pari del datore di lavoro privato)”.
Considerata l’importanza dell’argomento si riporta in calce il testo integrale della sentenza.
Caserta lì, 12 dicembre 2014.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 20 novembre 2014, n. 24723
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato in data 17 marzo 2006 C.F.L. , riconosciuta disabile dalla competente commissione di prima istanza nella misura del 46% in data 4/10/04, ed inclusa nella graduatoria permanente del personale docente della Provincia Autonoma di Trento – elenco riservisti – per gli anni scolastici 2004-2005 e 2005-2006, esponeva di aver svolto nell’anno scolastico 2004-2005 supplenze temporanee, e di essere stata inserita nella graduatoria permanente del personale docente della Provincia Autonoma di Trento per il quadriennio 2005-2009 al gruppo 2 (relativo ai disabili di cui all’art. 1 l. 68/99) in prima posizione per numerose classi di concorso.
Lamentava che, pur essendo stata convocata nell’agosto 2005 per la stipula di un contratto a tempo indeterminato, le era stata negata l’immissione in ruolo in ragione dello svolgimento, alla scadenza del termine di presentazione delle domande, delle supplenze temporanee richiamate.

Nel rilevare che ai sensi dell’art. 16 comma 2 l. 68/99, con il conseguimento dell’idoneità nei concorsi pubblici i disabili dovevano essere assunti ai fini dell’adempimento dell’obbligo di cui all’art.3 (assunzioni obbligatorie e quote di riserva), anche qualora non versassero in stato di disoccupazione ed oltre i limiti dei posti ad essi riservati nel concorso, e che, comunque, lo svolgimento di un incarico a tempo determinato sia annuale che infraannuale non era idoneo a far venir meno lo stato di disoccupazione, chiedeva riconoscersi nei confronti della Provincia Autonoma di Trento, nonché di P.R. ed altri quattro litisconsorti, (ultimi docenti non riservatari immessi in ruolo per l’anno scolastico 2005-2006), il suo diritto alla stipula del contratto di lavoro a tempo indeterminato (nomina in ruolo) con decorrenza dall’anno scolastico 2005-2006, quale beneficiario di riserva di posti ai sensi della L. n. 68 del 1999, art. 16, comma 2.

Le argomentazioni dell’attrice, resistite dall’ente convenuto, venivano recepite dal giudice adito con sentenza in data 18/7/06, confermata dalla Corte d’Appello di Trento.
La Corte territoriale, per quel che qui interessa, con la sentenza impugnata, rimarcava come la ratio della legge n.68/99 fosse ispirata all’esigenza di favorire l’inserimento stabile del soggetto disabile nel mondo del lavoro, mediante l’attribuzione di una quota di riserva in riferimento alle assunzioni a tempo indeterminato sicché, in tale prospettiva, non poteva ritenersi logicamente ostativo allo scopo, il conseguimento di uno stato transitorio di occupazione quale la stipula di un contratto di lavoro a tempo determinato, nella specie, peraltro, già esaurito al momento della possibile fruizione del beneficio.

Avverso tale decisione la Provincia Autonoma di Trento propone ricorso per cassazione articolato in due motivi trasfusi in quesiti di diritto. Resiste con controricorso la C. che spiega altresì ricorso incidentale cui replica a propria volta la Provincia con controricorso.

P.R. e gli altri litisconsorti sono, infine, rimasti intimati.
Motivi della decisione
Vanno preliminarmente riuniti i ricorsi ex art. 335 c.p.c..
Con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione dell’art. 4 d.lgsl. n.181/00 nonché degli artt. 7 comma 2 ed 8 comma 2 L. n.68 del 1999.
Osserva l’ente territoriale che le statuizioni della sentenza impugnata contrastavano con i dettami di cui all’art.4 d.lgsl. n. 181/00 alla cui stregua lo stato di disoccupazione cessa nel caso di rapporti a termine di durata superiore ad otto mesi, dovendo pertanto ritenersi che, in materia di diritto alla riserva concorsuale per docenti disabili, l’espletamento di attività di supplenza di durata annuale sia elemento idoneo a far venir meno il necessario requisito della disoccupazione.
Con il secondo mezzo di impugnazione si denunzia insufficiente o contraddittoria motivazione su di un fatto decisivo della controversia, per non avere la Corte territoriale addotto specifiche argomentazioni a sostegno della tesi accreditata in ordine alla equivalenza concettuale dello stato di disoccupazione rispetto allo svolgimento di attività di lavoro, in virtù di un contratto a tempo determinato.
Le censure, da esaminarsi congiuntamente per comportare l’esame di questioni fra loro strettamente connesse, sono infondate.

Occorre premettere, per un ordinato iter motivazionale, che questa Corte, nell’esaminare la questione relativa all’ambito di operatività della quota di riserva in favore dei disabili e del relativo diritto di priorità nell’assunzione in riferimento al reclutamento del personale docente della scuola, ha ben delineato la ratio informatrice del compendio legislativo di cui alla L.12 marzo 1998, n. 68 disciplinante la materia, (vedi: Cass. S.U. 11 settembre 2007, n. 19030; Cass. 9 settembre 2008, n. 23112; Cass. 12 marzo 2009, n. 6026, Cass. 6 aprile 2011 n. 7889).
Come è stato osservato in dottrina, la L.12 marzo 1998, n. 68/determina nella tutela degli invalidi, un salto di qualità rispetto alla L. 2 aprile 1968, n. 482 – in ragione del passaggio da un sistema – che, in qualche misura, risentiva della concezione volta a configurare l’inserimento degli invalidi nelle imprese come un peso da sopportare in chiave solidaristica – ad altro sistema volto, di contro, a coniugare la valorizzazione delle capacità professionali del disabile con la funzionalità economica delle imprese stesse.
In tale ottica è stato anche rimarcato come dall’art.3 della citata legge n. 68 del 1999, art.3 può evincersi con certezza che nell’impiego pubblico privatizzato ogni tipo di graduatoria vincola in modo assoluto il datore di lavoro ad individuare gli aventi diritto all’assegnazione dei posti “riservati”, essendosi in presenza di un principio generale che non può essere in alcun modo violato. E che si tratti di un diritto da osservarsi, stante la sua inderogabilità, dalla pubblica amministrazione – tenuta in materia, come i privati datori di lavoro, al rispetto del principio fissato dall’art.38 Cost., insuscettibile di essere disatteso – emerge con certezza anche dal contenuto dalla L. n.68 del 1999, art.16, avente ad oggetto i “concorsi presso le pubbliche amministrazioni” (vedi Cass. S.U. 22 febbraio 2007 n.4110, Cass. 6 aprile 2011 n.7889).
Detta disposizione, infatti, da un lato, pone limitazioni, solo per casi tassativi, alla partecipazione ai concorsi dei disabili per l’occupazione di posti comportanti l’esercizio di specifiche e predeterminate mansioni (cfr. art. 16, comma 1, ed il riferimento all’art. 3, comma 4, ed art. 5, comma 1) ; dall’altro, ad ulteriore dimostrazione dell’assoluta vincolatività dell’assegnazione dei posti riservati inderogabilmente ai disabili, riconosce (anche al fine di contribuire a rendere nella realtà fattuale l’art. 38 Cost. una norma precettiva) la possibilità di assumere i disabili (che abbiano conseguito la idoneità dei pubblici concorsi) – anche se non versino in stato di disoccupazione – (quest’ultimo inciso soppresso dall’art.25 comma 9 bis del d.l. 24 giugno 2014 n.90 convertito in legge con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014 n.114) e oltre il limite dei posti ad essi riservati nel concorso.
Va inoltre considerato, come ulteriore argomento, che anche nell’Unione Europea e nell’ordinamento internazionale la tutela del disabile ha assunto un ruolo sempre più pregnante. Basti pensare che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea – proclamata a Nizza nel 2000 e successivamente adattata a Strasburgo il 13 dicembre 2007 – all’art.26 (intitolato “Inserimento dei disabili”) stabilisce che: “L’Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità”. A questa Carta l’art.6 del Trattato di Lisbona ha attributo il valore giuridico dei trattati, ma anche in precedenza ad essa è stato riconosciuto “carattere espressivo di principi comuni agli ordinamenti Europei” (Corte costituzionale, sentenze n.135 del 2002, n.393 e n.394 del 2006) avente, quindi, come tale valore di ausilio interpretativo (Corte Cost. sentenze n. 349 del 2007 e n.251 del 2008).
Inoltre, per quanto attiene alla normativa internazionale, la recente Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, entrata in vigore sul piano internazionale il 3 maggio 2008 e ratificata e resa esecutiva dall’Italia con L.3 marzo 2009, n.18, all’art.27 statuisce che “gli Stati Parti riconoscono il diritto al lavoro delle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri; segnatamente il diritto di potersi mantenere attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, che favorisca l’inclusione e l’accessibilità alle persone con disabilità”. Diritto specifica la Convenzione in parola – che deve essere garantito, anche attraverso l’adozione di “appropriate iniziative” volte, fra l’altro, a favorire l’assunzione delle persone con disabilità nel settore pubblico ovvero il loro impiego nel settore privato. Né va dimenticato che a tale ultima Convenzione la Corte costituzionale, nella sentenza n.80 del 2010, ha attribuito valore cogente nel nostro ordinamento (vedi in motivazione,Cass. cit. n.7889/11).
Nell’ottica descritta, la pronuncia impugnata, per essere coerente con i principi sinora enunciati, non risulta scalfita dalle censure che le sono state mosse.
Al riguardo appare opportuno puntualizzare che la normativa di riferimento deve ritenersi il disposto di cui all’art.16 comma 2 1.68/99, diversamente da quanto argomentato da parte ricorrente la quale invoca in questa sede l’applicabilità dell’art.4 d.lgsl. n.181/00, disposizione che appare eccentrica rispetto alla disciplina del collocamento obbligatorio degli insegnanti invalidi, da riguardarsi in un’ottica di specialità rispetto alla disciplina generale di avviamento e costituzione del rapporto di lavoro (vedi ex plurimis, in motivazione, Cass. 6 aprile 2011 n.7889, Cass. 31 maggio 2010, n.13285).

La norma, come già rimarcato negli arresti giurisprudenziali ai quali si è fatto richiamo, garantisce la possibilità di assumere i disabili che abbiano conseguito la idoneità nei pubblici concorsi (così come verificatosi nella specie), anche se non versino in stato di disoccupazione.

E che la valenza precettiva del dettato normativo di cui all’art.16 comma 2 l. 68/99, sia quella innanzi descritta e delineata dal fermo orientamento espresso da questa Corte, si argomenta anche attraverso il richiamo all’art.4 l.68/99 che, nel disciplinare in generale i criteri di computo della quota di riserva del personale disabile da assumere, non prevede la computabilità tra i dipendenti, ai fini della copertura della quota di riserva, dei lavoratori assunti a tempo determinato, così come dedotto dalla Corte territoriale nella pronuncia impugnata.

Si tratta di un dato normativo di non trascurabile rilievo ai fini della esegesi del disposto di cui al citato art. 16 che conforta l’assunto posto a fondamento del diritto azionato, secondo cui l’esercizio del diritto del disabile allo stabile inserimento nel mondo del lavoro, garantito con l’attribuzione della quota di riserva in riferimento alle assunzioni a tempo indeterminato, non può essere denegato per effetto di una circostanza del tutto transitoria quale la pendenza di un rapporto di lavoro a tempo determinato che, pur se tradotto in una supplenza di durata annuale, conserva, per la precarietà della condizione lavorativa in cui si traduce, la sua ontologica difformità rispetto ad una nozione di stabilità del rapporto.

E che la situazione sottesa alla stipula di un contrattò a tempo determinato non possa essere sussunta nella descritta nozione di stabilità di impiego, come puntualizzato dalla Corte distrettuale, trova riscontro specifico, nella circostanza che all’atto della possibile fruizione del beneficio,il contratto di lavoro a tempo determinato stipulato dalla parte ricorrente, si era già concluso.

La controricorrente, pertanto, inserita come riservista nella graduatoria permanente del personale docente della Provincia, in adempimento dell’obbligo sancito dall’art.3 l. 68/99, doveva essere immessa in ruolo, in virtù dell’orientamento tracciato da questa Corte, cui innanzi si è fatto richiamo, secondo cui ogni tipo di graduatoria vincola in modo assoluto il datore di lavoro ad individuare gli aventi diritto all’assegnazione dei posti “riservati”,essendosi in presenza di un principio generale che non può essere in alcun modo violato, ed in relazione al quale non appaiono pregnanti i riferimenti operati dalla ricorrente a pronunce dei Giudici delle leggi concernenti la fattispecie della progressione in carriera dei disabili nella dirigenza scolastica.
In definitiva, può dunque ribadirsi il principio che nell’impiego pubblico privatizzato ogni tipo di graduatoria vincola in modo assoluto il datore di lavoro ad individuare gli aventi diritto all’assegnazione dei posti “riservati”, essendosi in presenza di un principio generale che non può essere in alcun modo violato e che l’inserimento nelle graduatorie del personale disabile che abbia conseguito l’idoneità nei concorsi pubblici (così come nel caso di specie), ai fini dell’adempimento degli obblighi di cui all’art. 3 1.68/99, da diritto all’assunzione anche a prescindere dallo stato di una precaria occupazione dell’invalido, considerata la pregnanza dell’obbligo solidaristico cui deve essere informato l’agire della Pubblica Amministrazione (al pari del datore di lavoro privato).
In tal senso, e considerato anche che nella fattispecie in esame il docente inabile risultava comunque inserito, all’epoca di presentazione della domanda di accesso alla graduatoria permanente per gli anni che qui interessano, anche nell’elenco dei disoccupati disciplinato dall’art. 8 l. 68/99, (vedi pag. 7 della sentenza impugnata), va qui ribadito che una diversa opzione interpretativa che conferisse rilievo all’eventuale stato di occupazione dell’inabile in epoca anteriore al momento della assunzione, anche in relazione alla stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, tradirebbe la ratio che sorregge il compendio normativo di cui alla 1.68/99, dando adito ad una situazione di precarietà di vita gravemente incidente sul piano psicofisico dell’inabile, certamente non coerente con il dettato costituzionale di cui all’art. 38 e con la tutela con esso apprestata in favore dei disabili in virtù dei principi solidaristici più volte enunciati.
In definitiva, il ricorso principale, in quanto infondato, deve essere respinto.
Dalle argomentazioni sinora svolte discende, infine, che il ricorso incidentale sollevato dalla C. con riferimento alle censure proposte in sede di appello incidentale e non esaminate dalla Corte di merito (concernenti la assenza di necessità del requisito della disoccupazione alla data della domanda di inserimento in graduatoria) deve considerarsi inammissibile.
Si intende infatti dare continuità all’indirizzo consolidato nella giurisprudenza di questa Corte alla cui stregua, posto che anche se qualificato come condizionato, il ricorso incidentale deve essere giustificato dalla soccombenza – non ricorrendo altrimenti l’interesse processuale a proporre ricorso per Cassazione – è inammissibile il ricorso incidentale con il quale la parte, che sia rimasta completamente vittoriosa nel giudizio di appello, risollevi questioni non decise dal giudice di merito, perché non esaminate o ritenute assorbite (vedi, fra le altre, Cass. 20 dicembre 2012 n. 23548).
Il governo delle spese inerenti al presente giudizio, segue, infine, il regime della compensazione, tenuto conto della novità delle questioni trattate e della situazione di reciproca soccombenza delle parti.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi.
Rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale.
Compensa le spese del presente giudizio.