L’Esperto in scienze tiflologiche, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Cari Marco, Michele, Luciano, Pietro, Enzo e Giancarlo, GRAZIE davvero!!!

Da “giganti” delle scienze tiflologiche come voi, c’è solo da imparare e non dimenticherò mai le discussioni appassionanti e stimolanti di queste prime due riunioni del “nostro “Network per l’Inclusione Scolastica. Altro che polemiche e confusione su di esso. Stiamo invece contribuendo a “riaccendere” il dibattito culturale all’interno dell’Unione.

E scrivo tutto ciò con un po’ di tristezza ed amarezza nel pensare a quanto di “fosco, oscuro e buio” sta al contrario accadendo nella mia bella Sicilia a livello “unionesco” in questi giorni. Qui pare che le gelosie, le invidiucce ed i “feudi” personali abbiano ormai preso il sopravvento, alimentando divisioni e scontri “fratricidi” al nostro interno, ma soprattutto provocando sempre più diffidenza da parte della politica, a noi mai troppo sensibile. L’antidoto a tutto questo “marasma” è l’essenza stessa, la “ragion d’essere”del “Network per l’Inclusione Scolastica” voluto fortemente dal nostro “lungimirante” Presidente Mario Barbuto. Infatti, il “perchè” dell’esistenza del nostro Network e del suo “ubi consistam” si fonda, a mio modesto avviso, proprio sul fatto che il dibattito associativo in seno all’UICI non si deve assolutamente appiattire e basare su bisogni di visibilità personali o su questioni di piccolo cabotaggio, quanto piuttosto, riprendendo e rimettendo al centro il confronto tra di noi sulle “idee di fondo” e sui “valori” che ci hanno sempre distinto dalle altre organizzazioni di disabili quali: l’istruzione, l’inclusione scolastica, il ruolo dei nostri centri di consulenza tiflodidattica e degli Istituti dei ciechi, il significato di “scienze tiflologiche” nel terzo millennio, ecc… I particolarismi e le “guerriglie” interne ci “uccidono”, mentre il confronto culturale (anche se aspro ed animato) sui “nobili” temi associativi di cui sopra, dei quali il Network si sta facendo genuino interprete e portavoce (“tecnico” e non politico) contribuirà certamente a far crescere la nostra Unione, rendendo veramente efficace il processo di inclusione degli studenti disabili visivi e garantendo loro finalmente un ruolo da “protagonisti” non solo tra i banchi di scuola , ma anche nella società e nella vita. Io ci credo sul serio e noi tutti dobbiamo essere profondamente convinti dell’importanza dell’esaltante sfida” culturale che è stata data al nostro Network. Allora, “networkari” e non, da qui in poi, adoperiamoci sempre più e profondiamo ogni nostra energia, senza riserva alcuna, per promuovere l’inizio della “terza fase” della tiflologia in Italia e cioè quella del suo rilancio definitivo. Secondo me, per favorire tale svolta “epocale” non dobbiamo “elucubrare” od elaborare chissà quali mega dottrine o nuovi sistemi educativi e pedagogici, ma i “nodi” salienti e le direttive del Network sono stati già magistralmente e sapientemente tracciati dal suo “Coordinatore operativo” Michele Borra. Mi riferisco naturalmente ai “famosi” quattro punti “strategici” da lui indicati già durante il primo incontro del Network dell’inclusione del 4 Maggio u.s. e che corrispondono all’agenda delle cose che il Network dovrà fare subito e cioè:

Elaborazione delle “linee guida” dell’inclusione scolastica degli studenti minorati della vista;

Indicatori di qualità e valutazione dei servizi dei nostri Centri di consulenza tiflodidattica e degli Istituti dei ciechi;

Formazione professionale dell’”Esperto in scienze tiflologiche” e dell’assistente per l’autonomia e la comunicazione degli alunni con disabilità sensoriale;

Elaborazione di un protocollo d’intesa da sottoporre al MIUR ed agli Enti locali sull’inclusione scolastica dei disabili visivi.

In merito al primo punto, io credo che il testo, prodotto in queste settimane da Giancarlo Abba, rappresenti un’ottima ipotesi operativa sulla quale poter lavorare e magari “partorire” un documento già in occasione della prossima riunione del Network del 15 Giugno p.v.

Sugli indicatori di qualità dei servizi erogati dai nostri Centri ed Istituti e sulla valutazione della qualità dei loro servizi, io ho dato il mio “modesto” apporto (con il mio contributo sui livelli essenziali delle prestazioni per garantire un’effettiva inclusione scolastica degli alunni minorati della vista e con la stesura di una bozza di scheda di valutazione dei nostri servizi da consegnare e far compilare ai nostri Centri ed ai loro utenti). Sull’altro “delicatissimo” e spinoso aspetto concernente la formazione professionale dell'”Esperto in scienze tiflologiche”, spetta senz’altro a Marco Condidorio, vero e proprio “pioniere” di questo nuovo “profilo” in Italia, impegnarsi alacrementea far si che il Master in TSE dell’Unimol, da esperienza “pilota”, con i dovuti accorgimenti ed aggiustamenti suggeriti dal Network, possa essere recepito come modello formativo di riferimento nazionale per tutti gli Atenei italiani. L’Unimol, aprendo un confronto costruttivo con il Network dell’inclusione, potrebbe diventare il nostro riferimento anche per l’istituzione ed il riconoscimento della tanto “agognata” cattedra universitaria di Tiflologia e perché no di una vera e propria “specialistica” in scienze tiflologiche, avente percorsi formativi e piani di studio concordati ovviamente con il nostro Network.

Ad uso dei nostri lettori, a proposito dell’”esperto in scienze tiflologiche, Mercoledì 25 Maggio u.s. nel corso di una riunione molto proficua, tutti i componenti il Network abbiamo fatto sintesi e trovato un accordo sul fatto che tale “figura” debba essere incardinata nell’ambito del dipartimento di scienze della formazione e che, come evidenziato saggiamente da Luciano Paschetta, pertanto :

  1. La definizione più idonea suggerita è quella di Esperto in scienze tiflologiche o di quella similare di Tiflopedagogista? (all’interno del Network pare non ci sia unanime consenso sulla denominazione inglese Typhlology skilled educator) e questo non per una mera questione nominalistica, ma perché la sua denominazione deve richiamare l’ambito di competenze nel quale egli opera;
  2. I titoli di accesso al master devono essere limitati a quelli dell’area (scienze della formazione, scienze dell’educazione, pedagogia, educatore specializzato, ecc.);
  3. Le competenze tiflologiche debbono innestarsi in questi contesti perché il nostro esperto possa entrare in relazione positiva con il bambino (il piccolo disabile visivo è prima di tutto un bambino ) ,la famiglia , i docenti, ecc. diversamente potremo fare dei tecnici esperti, ma non degli educatori. Dare la “patente” di tiflologo a chi non è ben preparato è più pericoloso per il futuro dell’inclusione che non avere tiflologi patentati.

Recependo le sempre attente e preziose osservazioni del Prof. Paschetta, il Network concorda dunque che in particolare occorre:

  1. Indicare una denominazione condivisa del titolo (“esperto in scienze tiflologiche o Tiflopedagogista?);
  2. Limitare le lauree di accesso a quelle dell’area psicopedagogica;
  3. Definire con puntualità il profilo professionale di questa nuova figura indicando con chiarezza le conoscenze necessarie (il suo “sapere”), le competenze (il suo “ saper fare”), le capacità relazionali (il suo “saper essere”) ;
  4. ridefinirne il curriculum in relazione al punto3;
  5. rivederne la didattica (aumentare le ore di lezione frontale e alternarle a quelle in FAD, prevedere laboratori in presenza, ecc.)
  6. cercare di garantire tirocini sul campo efficaci (le nostre sedi UICI, i nostri CCT e gli Istituti dei ciechi).

Relativamente alla formazione di “figure professionali” destinate
all’assistenza scolastica ed all’educazione dei ciechi, inoltre, non
ritengo tanto “peregrina” e per niente casuale la proposta avanzata ancora da Luciano Paschetta, mirante al riconoscimento del profilo dell'”Assistente per l’autonomia e comunicazione” degli studenti con disabilità sensoriale, non fosse altro perché già istituita ai sensi
dell’art. 13 comma 3 della 104.
Il Coordinatore del Network per l’Inclusione Scolastica Pietro Piscitelli avrà invece il duro compito, insieme al Coordinatore “operativo” Michele Borra, di sostenere l’ipotesi, da trasformarsi in realtà, secondo cui il Network debba acquisire lo statuto giuridico di gruppo tecnico o,
se volete, tavolo tecnico per l’inclusione scolastica. Questo è un obiettivo difficile ma nel contempo “irrinunciabile”  e che, proprio per tale motivo, necessita del supporto di tutti noi che amiamo l’Unione.

Infine, Enzo Bizzi dovrà darci un’ulteriore mano al fine di redigere quanto prima un “protocollo d’intesa” finale sull’inclusione scolastica, da sottoporre al MIUR ed agli Enti locali entro e non oltre la fine di quest’Estate. Non dimentichiamoci, infatti, che la nostra grande “scommessa” non è solo quella di assicurare un futuro sempre più inclusivo ai “ragazzi ciechi” (per dirla alla Romagnoli), ma anche e soprattutto quella di governare il “presente” e l'”esistente” nel migliore dei modi sin dall’inizio del prossimo anno scolastico.

L’ultima novità della Tiflologia italiana: “il “Network per l’Inclusione Scolastica”, di Gianluca Rapisarda

C’è aria di novità per la Tiflologia in Italia. Lo dimostra il recente primo “storico” incontro del “Network per l’Inclusione Scolastica”, tenutosi a Roma, lo scorso 4 Maggio, presso la sede del Centro di Documentazione Tiflologica della nostra Biblioteca per i ciechi.
La nascita del “Network” è stata deliberata dal coordinamento dei nostri Enti, su proposta del Presidente Nazionale dell’UICI Mario Barbuto, nella riunione del 30 Marzo u.s. Esso costituisce una vera e propria “rete” tra tutti i nostri centri di consulenza tiflodidattica, gli Istituti per ciechi più rappresentativi in Italia (Genova, Milano, Trieste, Bologna, Assisi e Roma), le sedi provinciali dell’I.Ri.Fo.R., nonchè le Facoltà di Scienze della Formazione ed i CTS territoriali interessati. La sua istituzione è stata ispirata dalla nostra forte consapevolezza di dover scongiurare a tutti i costi tentativi maldestri di anacronistici e pericolosi ritorni a “fantomatiche” scuole speciali per bambini ciechi e che l’attuale sistema del sostegno scolastico, a quarant’anni dalla 517, ha bisogno assoluto di un supporto.
L’attivazione del “Network dell’Inclusione” era indifferibile e necessaria perché, a nostro modesto avviso, il vero “male scolastico” del sistema del sostegno destinato ai disabili visivi italiani è consistito nel fatto che l’Unione ed i suoi Enti collegati hanno avuto finora a disposizione tante risorse, ma che tali risorse non sono state quasi mai collegate tra di loro ed utilizzate con una “visione” d’insieme.
Pertanto, con la “messa in rete” delle strutture di cui sopra e con la costituzione del sopracitato “network per l’Inclusione Scolastica”, le principali Organizzazioni dei disabili visivi italiani intendono porre fine a tale “scolleganza” tra i nostri Enti, provvedendo ad un più equo e razionale utilizzo delle nostre risorse sul territorio, fornendo finalmente una più adeguata ed idonea formazione a tutti gli operatori che, a vario titolo, si occupano di sostegno e, soprattutto, assicurando una migliore e più efficace inclusione scolastica ai ragazzi minorati della vista nella scuola di tutti.
Parafrasando una celebre frase di Giuseppe De Rosa, io direi che occorrono “Istituzioni pro ciechi nuove per i tempi nuovi”.
E proprio questo spirito rigeneratore dovrà caratterizzare tale nuovo “Network per l’Inclusione Scolastica”, il quale potrebbe dunque configurarsi come il terzo momento della Tiflologia italiana, e cioè come il momento del “rilancio”, dopo quello romantico di Valentin Haüy e quello metodologico di Augusto Romagnoli.
Solo esercitando tale rinnovato ruolo, le nostre Istituzioni potranno continuare a sostenere i ciechi nella lotta per il raggiungimento di quella identità che, nel rispetto della loro diversità da cui non dovranno più essere costretti a faticose mimetizzazioni e nel ritrovato valore positivo dell’alterità, li ponga nella condizione di affrontare il “cimento della vita ”non contro gli altri, né sugli altri, ma serenamente insieme con gli altri.
Questo rinnovato impegno non vuole riprendere ruoli ormai superati, ma offrire in chiave attuale nuovi servizi; il “Network per l’Inclusione Scolastica ”non si propone di surrogare compiti che sono propri della scuola, ma prospettare strumenti e azioni complementari, frutto di progetti capaci di sviluppare le maggiori sinergie possibili.
Le storiche Istituzioni dei Ciechi italiani devono tornare ad essere protagoniste, fortemente collegate al mondo della formazione, a quello dell’università e a quello dell’imprenditoria, come elementi strutturali di un grande disegno – di cui l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti è regista e attore principale – che ha l’obiettivo di fornire a tutti i ciechi e agli ipovedenti italiani percorsi formativi d’eccellenza omogenei in tutto il Paese.
Uniformità quindi, ma mai a danno della qualità che deve essere garantita ovunque, dal nord al più piccolo paesino del meridione, attraverso la rete capillare di soggetti costituita dagli Istituti storici, dai Centri di Consulenza e dalle strutture territoriali dell’I.Ri.Fo.R. Ciò potrà garantire il superamento delle distanze geografiche e delle disparità economiche.
Basta dunque agire per compartimenti stagni. Tutte le nostre Istituzioni devono aprirsi e, così come avviene già in alcune realtà, promuovere convenzioni e relazioni con gli Uffici scolastici regionali e con le università, in un interscambio fruttuoso per tutte le parti in gioco.
Per le università, ad esempio, e in particolare per le facoltà di scienze della formazione, sarebbe prezioso poter ricorrere alla comprovata preparazione di esperti tiflopedagogisti, per i quali si dovrebbe ritornare a discutere del riconoscimento giuridico della professione.
Infatti, in seguito al declino dell’Istituto Romagnoli di Roma ed a causa della mancata attuazione della legge 69 del 2000 che ne avrebbe finanziato la rinascita e riapertura, c’è una certa urgenza di ridefinire il percorso formativo ed il profilo professionale del tiflologo. Paghiamo cioè lo scotto della mancanza di una vera e propria generazione di esperti di Tiflologia, a cui il “network” deve necessariamente porre rimedio, pensando all’istituzionalizzazione di una nuova “figura” professionale più al passo con i tempi e più idonea e preparata a favorire l’inclusione scolastica dei ragazzi privi della vista del terzo millennio.
Tale “mission”, d’altra parte, si presenta certamente come non facile poiché quello del tiflologo è un profilo professionale obiettivamente difficile da definire, trattandosi di un esperto con competenze psicologiche, ma anche pedagogiche, educative e sociologiche. Per non parlare dei “famosi” assistenti alla comunicazione, istituiti dalla legge 104, che non si sono ancora radicati come “figure” del sostegno su tutto il territorio nazionale e comunque, laddove operano già, hanno una formazione lacunosa ed improvvisata, svolgendo alla fine solo un ruolo di informazione e non di comunicazione.
Al fine di superare queste difficoltà e nell’intento di creare tale nuovo profilo professionale, Il nostro Presidente Mario Barbuto, il componente la Direzione Nazionale dell’UICI Marco Condidorio ed il Direttore centrale dell’I.Ri.Fo.R. Luciano Paschetta hanno voluto fortemente organizzare insieme l’innovativo e “lungimirante master universitario in Typhlology Skilled Educator (esperto in scienze tiflologiche), avente il patrocinio dell’I.Ri.Fo.R. centrale. Tale Master, da esperienza “pilota” nel Molise, va generalizzato ed esteso in tutta Italia, diventando con i dovuti aggiustamenti ed adattamenti da parte del “Network”, il modello formativo di riferimento a livello nazionale.
Il Typhlology Skilled Educator potrebbe trovare impiego nei nostri “centri di consulenza tiflodidattica”, nei CTS come responsabile degli “sportelli tiflologici” (la cui apertura il “Network dell’Inclusione” dovrà pretendere) e nelle scuole come “figura” di supporto al “contesto” per promuovere un autentico processo inclusivo degli studenti non vedenti ed ipovedenti.
Si tratta di elaborare delle linee guida di un servizio che i diversi Enti dovranno fornire e i criteri valutativi per la sua verifica.
A tal proposito i punti essenziali su cui dovrà lavorare il nostro “Network per l’Inclusione Scolastica” sono i seguenti:
Elaborazione delle linee guida per l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità visiva
Elaborazione di un Protocollo da sottoporre al MIUR ed ai suoi “organi” periferici, ma anche ad Istituzioni ed Enti locali
Elaborazione dei parametri di valutazione dei servizi
Formazione professionale.
Il nostro ambizioso obiettivo è di stipulare una Convenzione con il MIUR entro la fine dell’estate, perché il nuovo organismo del ”network dell’inclusione” venga accreditato e riconosciuto ufficialmente dal Ministero e godere dunque di una sua “autorevolezza” anche nel mondo universitario e della ricerca e nel sistema educativo e formativo italiano.
Solo con un progetto di sistema, guidato da quelle realtà che negli ultimi cento anni si sono occupate di educazione, formazione ed inserimento professionale dei disabili visivi (UICI, Federazione Pro Ciechi, Biblioteca per i ciechi, I.Ri.Fo.R. ecc.), sviluppato però in modo integrato con il MIUR e con l’intero contesto della formazione e dell’istruzione, il “tiflologo”, uscendo dal limbo e dall’”indefinito” che oggi lo caratterizzano e diventando l’“esperto nelle scienze tiflologiche”, potrà aspirare ad avere un ruolo riconosciuto dall’intera comunità scientifica .
Ma soprattutto, è proprio “facendo rete”, che il nostro “Network” potrà riuscire a fugare pericolosi tentativi di ritorni anacronistici alle scuole speciali, garantendo veramente accoglienza ed inclusione a tutti gli alunni con disabilità visiva e, cosa ancor più nobile, contribuendo a far risplendere la “luce” della Tiflologia in Italia!

Sintesi dei lavori del Network per l’Inclusione Scolastica del 4 maggio 2016, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Il 4 maggio 2016, alle ore 9,30, presso la sede del Centro di Documentazione Tiflologica, via della Fontanella di Borghese, 23 Roma, ha avuto luogo l’incontro fra i componenti il Network per l’Inclusione Scolastica, come da convocazione del 26 aprile 2016.
Erano presenti: il prof. Giancarlo Abba, il prof. Vincenzo Bizzi, il prof. Pier Michele Borra, il prof. Marco Condidorio, il prof. Luciano Paschetta, il prof. Pietro Piscitelli ed il prof. Gianluca Rapisarda.
Assente giustificata la prof.ssa Roberta Caldin.
Dopo i saluti di rito, il prof. Piscitelli illustra le ragioni dell’incontro, evidenziando le problematiche che riguardano l’inclusione scolastica, le carenze attuali dei CTS e mettendo in rilievo la necessità di una sinergia tra le risorse sul campo. La scuola non ha fatto della disabilità una vera cultura. Si tratta pertanto di presentarsi presso il MIUR con un progetto concreto al fine di dare sostegno e collaborazione.
Il prof. Borra ribadisce la necessità di mettere in rete le competenze che si sono formate negli anni, al fine di rendersi protagonisti nel discorso integrativo. Si tratta di elaborare delle linee guida di un servizio che i diversi Enti dovranno fornire e i criteri valutativi per la sua verifica. Passa poi a suggerire quattro punti, secondo lui essenziali, del lavoro del “network”:
Elaborazione delle linee guida per l’inclusione scolastica degli alunni con disabilità visiva
Elaborazione di un Protocollo da sottoporre al MIUR ed ai suoi “organi” periferici, ma anche ad Istituzioni ed Enti locali
Elaborazione dei parametri di valutazione dei servizi
Formazione professionale
In particolare il terreno della formazione professionale non è un ambito che possa essere lasciato ad altri, ma all’interno del quale occorre svolgere una attività significativa.
Il prof. Paschetta ripercorre le discussioni legislative relative alla formazione degli insegnanti di sostegno e ricorda la proposta di legge della FISH, gli standard minimi dei servizi (i LEA) e l’organizzazione territoriale, che prevede un Centro Unico per la Disabilità a livello provinciale. Occorre partire dalla formazione e definire le figure professionali che hanno il compito formativo e che devono avere un riconoscimento. Sono in particolare due figure: 1) il tiflologo; 2) l’assistente alla comunicazione. Le linee guida devono fondarsi su queste due figure. Occorre poi definire gli standard minimi per il sostegno da proporre al Ministero e una rete dei servizi sul territorio che comprenda gli Istituti, i CCT e altri soggetti istituzionali.
Il prof. Rapisarda ribadisce l’importanza della formazione e sottolinea come le figure del tiflologo e dell’assistente alla comunicazione siano a tutt’oggi figure ibride. In particolare, gli assistenti alla comunicazione non operano in maniera uguale ed omogenea su tutto il territorio nazionale. Ricorda come l’I.Ri.For. abbia in progetto dei bandi formativi per queste figure professionali e che, in particolare, in collaborazione con l’UniMol ha attivato un Master per “Typhlology Skilled educator”.
La rete del Network per l’Inclusione Scolastica deve porsi l’obiettivo improcrastinabile di predisporre il profilo professionale ed il percorso formativo degli “esperti nelle scienze tiflologiche” e degli assistenti alla comunicazione, aprendosi anche a centri esterni (es. Facoltà di Scienze della Formazione delle Università).
Il prof. Condidorio ricorda come la figura del tiflologo debba essere riconosciuta a livello ministeriale. Occorre portare le scienze tiflologiche all’interno delle agenzie formative (es. università). Il Network dovrà proporre un percorso formativo che sia proprio e riconosciuto, altrimenti si corre il rischio di dover fare affidamento ad enti esterni per la formazione. Occorre puntare alla certificazione delle competenze del tiflologo. Lamenta la scarsa funzionalità dei CTS e ne illustra i motivi: gli Uffici Scolastici Regionali non hanno competenze per istruire chi dovrebbe guidare i CTS. Inoltre gli Istituti Polo – a cui vengono affidati i CTS – non riescono di fatto a gestirli. Se ci sarà un Centro Unico per la Disabilità il rischio è che si abbia una formazione generalista. Ribadisce poi il fatto che non si debba confondere l’assistente alla comunicazione con l’assistente alla persona.
Il prof. Abba insiste sulla necessità di definire i bisogni dei bambini con cui l’insegnante si misura ogni giorno. Occorre stabilire cosa serva al bambino per stare a scuola come gli altri. Il tiflologo deve avere alle spalle una rete di servizi del territorio che lo sostenga. Si tratta di definire delle figure che possano trasmettere delle conoscenze che non ci sono più.
Alle ore 10.45 il prof. Rapisarda e il prof. Paschetta lasciano temporaneamente la riunione per impegni indifferibili di lavoro assunti precedentemente.
Il prof. Bizzi rammenta come sia fondamentale sensibilizzare sui bisogni del bambino non vedente, altrimenti si corre il rischio di iniziative errate. Nella formazione, occorre quindi definire i contenuti da far apprendere, come vadano trasmessi e come vada valutato il livello di apprendimento. Ricorda come la didattica sia una disciplina che va reinventata da bambino a bambino e perciò necessita di figure professionali esperte. Per questo è necessario definire chi è abilitato a fare lezione. Sono tanti gli interlocutori interessati, sia politicamente che economicamente. Ricorda poi la situazione dell’Abruzzo, dove non ci sono quasi iniziative in quanto gli Enti non hanno le competenze necessarie. Nei contatti con gli Enti andrebbe “tradotta” la parola tiflologo, che spesso non viene compresa nelle sue valenze semantiche.
Presenta ed illustra quindi tre suoi documenti – sul tiflologo, sull’assistente alla comunicazione e sui servizi di consulenza.
Segue una discussione tra tutti i presenti sul rischio di medicalizzazione esclusiva del bambino cieco, che invece necessita di cure formative e pedagogiche.
Il prof. Piscitelli sostiene che la compresenza di diverse figure attorno ad un singolo bambino con disabilità può essere negativa e propone una assistenza pomeridiana domiciliare.
Il prof. Bizzi, a questo proposito, ricorda come l’assistente domiciliare non è una figura che si limita a far fare i compiti, ma che deve curare tutto l’ambiente educativo del bambino cieco. I compiti divengono una occasione per sviluppare autonomia.
Il prof. Abba delinea alcuni aspetti della figura del tiflologo, in particolare: la capacità di porsi in relazione con l’insegnante e nel determinare i modi con cui uno studente disabile visivo arriva alle competenze. Deve inoltre saper mediare con le famiglie. Occorre ridare agli insegnanti le competenze sulla didattica, che spesso vengono delegate al neuropsichiatra o allo psicologo.
Il prof. Bizzi ricorda l’ideazione e la costituzione dei Centri di Consulenza Tiflodidattica della Biblioteca Italiana per i Ciechi e della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi. Ne rammenta le mansioni e auspica un miglioramento del livello dei servizi e delle attrezzature a loro disposizione.
Alle ore 12.30 si effettua una pausa per il pranzo.
Alle ore 14.30 riprende la riunione con la presenza di tutti i componenti.
Alle ore 15.00 il dott. Mario Barbuto, presidente nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, interviene all’incontro. Il prof. Borra e il prof. Piscitelli riassumono gli argomenti trattati.
Il Presidente Barbuto sottolinea la necessità di mettere insieme iniziative singole ma con standard comuni. E’ importante definire degli indicatori per una corretta valutazione. Occorre fare una analisi delle risorse che già sono presenti per avere risposte rapide alle necessità dei territori: in questo momento dobbiamo concentrarci non tanto sul “chiedere” risorse ma sull'”offrire” le risorse.
Il prof. Paschetta pone l’accento sul fatto che occorra procedere al riconoscimento della figura dell'”Esperto in Scienze Tiflologiche”. I presenti discutono sulla necessità di determinare le competenze e le necessità formative di questa figura, ad esempio una certificazione per l’insegnamento del Braille, dove certificazione significa aver fatto un certo percorso. Viene ritenuto necessario valutare la necessità o meno di istituire una eventuale cattedra di tiflologia. Viene ricordato il Master in TiflologySkilled Educator.
Il prof. Bizzi esprime qualche perplessità per la pluralità di questioni da trattare. Sarebbe auspicabile nel breve periodo una ricognizione delle risorse e dei servizi già disponibili per poi procedere, nei tempi medi, ai miglioramenti organizzativi e in ultimo ai criteri di qualità e valutazione.
Alle ore 16.00 il dott. Barbuto lascia la riunione.
Il prof. Borra riassume i punti affrontati e sottolinea la necessità di arrivare ad una posizione unitaria. Il “network” dovrà elaborare delle proposte che il MIUR e le Istituzioni dovranno tenere in considerazione.
Il gruppo determina poi il seguente calendario per le prossime riunioni:
Il 25 maggio 2016, dalle 14.00 alle 18.00
Il 15 giugno 2016, dalle 9.30 alle 17.30 (con pausa pranzo)
Null’altro essendoci da discutere, la riunione termina alle ore 16.45.

Gianluca Rapisarda

L’arte vista con le mani, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

La Federazione Nazionale Delle Istituzioni Pro Ciechi presenta: L’arte vista con le mani sabato 7 e sabato 14 maggio 2016, Montesano della Marcellana (Sa)

Per il grande e prezioso impegno profuso si ringrazia il nostro operatore Dott Vincenzo La Francesca.
Siete tutti invitati!.

E’ un dato di fatto che le minorazioni sensoriali, come ad esempio l’assenza totale o parziale di vista e udito, comportino inevitabilmente alcune limitazioni nel vivere quotidiano. E’ altrettanto vero che, grazie anche alle nuove tecnologie e ad un rinnovato senso civico multietnico, larga parte  degli ostacoli della vita quotidiana sono  sormontabili, specialmente per le persone che hanno problemi di vista.
E…, proprio per queste persone,  Come si può favorire al meglio la fruizione dell’arte, ed in particolare di luoghi d’arte quali i musei? Quali sono le modalità di relazione, e quali le tecniche per avvicinarle all’arte? Gli operatori dei musei della Campania, operatori scolastici e dei servizi pubblici, operatori di ordine pubblico e prevenzione sul territorio, genitori di alunni con minorazione visiva e curiosi guidati da personale esperto , vivranno due giornate di confronto e di formazione, durante le quali, verranno presentate le modalità con cui ipovedenti e non vedenti possono essere avvicinati al patrimonio artistico e culturale.
Il tema sarà diviso in due sottosezioni. In una prima parte si darà ampio spazio alla figura della persona minorata della vista, attraverso relazioni, testimonianze, esercitazioni pratiche, attraverso il gioco dei ruoli, e della valorizzazione degli altri sensi.
Ciò avrà lo scopo di avvicinare i partecipanti al mondo degli ipovedenti e dei non vedenti, poiché è opinione diffusa che il principale problema della diffidenza nei confronti della disabilità non sia l’omofobia o una qualche forma di razzismo, ma soltanto la scarsa conoscenza della tematica stessa.
Nella seconda parte le modalità di fruizione dell’arte e diversi progetti già realizzati saranno il punto di partenza, per poi sperimentare personalmente il mondo del vedere senza gli occhi, con giochi di ruolo, esercitazioni pratiche e dibattito.

Metodo

Il metodo utilizzato sarà quello della lezione frontale, intervallato con attività di gruppo, ed esperienze pratiche  su vari progetti già sviluppati inerenti opere d’arte, nel campo della pittura, scultura, e riproduzioni tattili di monumenti, con particolare attenzione alla Campania, oltre che alla realtà italiana.
Contributi audio e video saranno da supporto durante le attività.
Tutto il materiale documentale sarà messo a disposizione dei partecipanti.
Durata dell’attività: 12 ore, divisa in 2  giornate.

Contenuti.
Primo giorno: Ipovedenti e non vedenti: chi sono?
La minorazione visiva nel quotidiano.

0. Introduzione e saluti di rito.
saluto delle autorità
saluto dei rappresentanti di associazioni
saluti dei rappresentanti di organismi culturali.

argomento 1. Il non vedente e l’ipovedente: significato storico e medico della minorazione visiva.
video introduttivi:
In lavorazione…
proposti:
video dal film altri occhi: scena di Federico sulla neve
video dal film altri occhi: scena del gioco con album e piano in gomma
video dal film rosso come il cielo: scena iniziale dei ragazzi che giocano a mosca cieca

Gioco: Questionario “vero o falso”:
Scopo del questionario è verificare realmente cosa i partecipanti conoscono a proposito di non vedenti ed ipovedenti.
Relazione.
Dalle risposte dei questionari verranno fuori cose giuste e cose sbagliate. La relazione che segue deve mettere un po’ di ordine nelle cose dette, giuste o sbagliate, in particolare sui seguenti argomenti:
Non vedente totale, non vedente parziale o ipovedente: diverse cause della minorazione visiva
La classificazione dell’OMS.
minorazione visiva acquisita e dalla nascita.
Testimonianze:
Un operatore locale presenta uno studio  svolto sul disagio sociale dell’UICI nel quotidiano.
metodo: lezione frontale, più attività interattiva.

Argomento 2. Vedere con le mani, ovvero l’esplorazione aptica
Video e foto introduttivi:
video tratto da cultura senza barriere, dimostrazione del toccare un’opera
video tratto da altri occhi: paura di toccare
breve relazione: Sentire con il corpo: la percezione aptica, il senso cinestetico ed anamnestetico
attività pratica
Viene fatto vedere il video dell’esperienza sensoriale nel giardino, sempre tratta da cultura senza barriere.
le persone sono bendate, e per qualche minuto si fa loro vivere l’esperienza di immaginare, seguendo la voce che li guida nel video.
Breve raccolta di sensazioni dei partecipanti.
Nuova visione dello stesso video, ma senza benda.
Raccolta nuovamente delle impressioni dei partecipanti, con e senza benda.

Breve relazione: il disegno e l’assenza di prospettiva.
metodo: lezione interattiva ed attività esperienziale

argomento 3: l’esperienza sensoriale attraverso esercitazioni pratiche giochi sensoriali, ovvero: Riconoscimento di oggetti, capacità di descrizione, di riprodurli, anche mediante materiale a rilievo o Riconoscimento di odori, sapori, stati d’animo
I giochi potranno essere svolti tutti o in parte, in base al tempo.

per ciascun gruppo di persone verrà proposto una delle attività seguenti:
prima: una persona è bendata, viene fatto cadere un oggetto in terra, per esempio una moneta, e la persona deve trovarla. se non ci riesce da sola, può essere aiutato da uno che lo guida, solo con la voce: avanti, dietro, destra ….
seconda: un puzzle tattile composto da 4 o 5 pezzi grandi viene consegnato. una persona alla volta, bendata, dovrà tentare di ricostruirlo, bendata, da sola, o successivamente guidata
terza: verranno consegnati alcuni animaletti, in plastica o altro materiale. Bendata, una persona deve indovinare l’animale
quarta: bendata, una persona, dovrà trovare il bicchiere sul tavolo, la bottiglia, e versarsi l’acqua; una seconda persona dovrà prendere il bicchiere da quella bendata e, sempre bendata, dovrà bere quinta: munito di coltello e forchetta, una persona bendata, magari guidata da una non bendata, dovrà tagliare a pezzi della plastilina, come volesse tagliare la carne.
sesta: ad una persona bendata, vengono passati in mano dei frutti, dovrà riconoscerli
settima: ad una persona bendata verranno fatti odorare frutti, boccette ripiene di odori particolari : dovrà riconoscerli (odori da definire)
ottavo: verrà fatto assaggiare, su un cucchiaino che una persona deve portarsi alla bocca, della marmellata, cioccolata, zucchero, e la persona deve riconoscerli.
Metodo: attività pratiche interattive

4. Strumenti per la scrittura, il disegno e la rappresentazione grafica
Relazione audio e video: la scrittura Braille e la scrittura ingrandita, breve panoramica

Gioco: indovina la lettera
A ciascuno dei gruppi verrà data la tabella con tutte le lettere in braille.
Un foglietto conterrà una parola Braille, che deve essere indovinata.
Vince chi ne indovina di più.
Le parole sono:
museo
scultura
pittura
colonna
quadro
colore
arte
toccare
braille
mano
occhio
altre ancora…

Brevissima  relazione: strumenti per il disegno a rilievo, cosa fare e cosa non fare.
Brevissima relazione: I minorati della vista e il computer: come fanno?

pratica con la strumentazione
per la scrittura braille, per il disegno a rilievo e con gli strumenti informatici
A disposizione ci sono:
piano in gomma, per il disegno a rilievo, con almeno una squadra e una riga;
Casellario Trieste: per la composizione delle lettere con i legnetti al posto dei puntini;
la dattiloritmica, puntini che si alzano e si abbassano, permettendo di scrivere le lettere;
il computer con sintesi vocale, per utilizzare windows; iphone.
Opportunamente guidate, le persone potranno avvicendarsi nell’uso di questi strumenti.
Metodo: lezione interattiva con esercitazione pratica
5. modalità di relazione: non così, ma così!
Video: Non così, ma così
Presa visione dell’opuscolo “non così … ma così” e dibattito.
Dall’opuscolo vengono scelte alcune situazioni e commentate con i partecipanti.

esercitazioni pratiche
Si lavora a coppie, almeno una per ogni gruppo.
In ciascuna coppia, uno si benda e fa il non vedente, l’altro fa il vedente. Magari poi si invertono.
Esperienze da provare: fare un percorso, tra le sedie. Saltare ad esempio uno ostacolo in terra. Fare un passaggio stretto.
Correzione degli errori che commettono, attraverso una prova pratica su strada a cura di V&G.
Metodo: relazione ed attività dinamica

Secondo giorno: I minorati della vista e l’arte

6. Introduzione al modo di fare arte per i minorati della vista.
Relazione audio e video: Presentazione di tavole e mappe tattili e loro difficoltà nella realizzazione.
La pittura e le sue difficoltà:  rendere tattile un quadro la scultura: il modo più semplice da toccare
L’arte che non si può toccare: chiaroscuri, mosaici…
Esempi di arte e cultura accessibile in Campania
Durante la relazione vengono visualizzate foto varie, tratte da materiale della produzione in federazione.
Metodo: lezione interattiva

7: presentazione e dimostrazione di alcuni progetti realizzati in varie realtà.
Vengono presentati alcuni brevi video su:
A spasso con le dita: libri tattili
Museo Omero di Ancona
Progetto Cassio
Musei vaticani
museo egizio

pratica: presa visione di alcune realizzazioni tratte dai progetti citati
Vengono messe a disposizione dei partecipanti varie tavole che si possono toccare, esplorare, e approfondire.
Spicca il materiale del progetto cassio, tavole di musei e monumenti vari della Campania, realizzati dal nostro centro di produzione.

Metodo: esperienziale, attraverso l’analisi concreta dei manufatti presenti all’incontro
8. dibattito
Risposta alle domande dei partecipanti, approfondimento eventuale di argomenti.
Esame delle varie situazioni dei musei di appartenenza, raccolta di proposte per la fruibilità.
Per finire…  un’esperienza al buio. Tutti bendati, tratto dal film Rosso come il Cielo,  i partecipanti ascolteranno, proprio come fanno nel film, al buio in un teatro, la favola della principessa Elisa, in cui la storia viene narrata soltanto attraverso voci e rumori.

9 Saluti e ringraziamenti

Il materiale documentale e i filmati utilizzati saranno consegnati ai referenti locali dei musei, che ne disporranno per le loro necessità.
Le tavole mostrate potranno, a richiesta, essere oggetto di acquisti separati, direttamente in contatto con il nostro Centro di produzione di via Giuseppe Mirri 2 a Roma.

L’emozione “unica” dei libri tattili illustrati, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Nelle mie vesti di Presidente di giuria della Terza edizione del Concorso di editoria tattile “Tocca a te”!, organizzato dalla Federazione pro Ciechi e dalla Fondazione Hollman e tenutosi nel Luglio 2015 presso la bella ed ospitale Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, ho avuto modo di conoscere la brava e “frizzante” esperta di libri tattili per bambini, Dott.ssa Laura Anfuso.
Presentazione di Laura Anfuso, studiosa, formatrice ed esperta di letteratura per l’infanzia.
Laura è una studiosa seria, pacata e dall’etica salda, una ricercatrice meticolosa, una sperimentatrice sensibile e appassionata che pone al centro della sua attività di promozione alla lettura il Bambino in quanto Persona da ascoltare e rispettare sempre. Tutto ciò che fa, lo fa con cura, grazia, impegno.
Di seguito un suo contributo davvero “stimolante” e ricco di spunti di riflessione per tutti coloro che si occupano di letteratura per l’infanzia e della promozione della lettura per bambini.
L’intervista è stata rilasciata all’esperta del settore, Dott.ssa Tamberlani che ha chiesto allo scrivente di volerla cortesemente divulgare a tutti i nostri soci ed ai genitori dei nostri bimbi, anche tramite la nostra stampa associativa.
Non mi resta che ringraziare immensamente la Dott.ssa Tamberlani per la gentile concessione ed augurarVi buona lettura.

Leggere è far emergere i colori del Bambino. Intervista a Laura Anfuso:
Qual è il valore della lettura ad alta voce? Perché, secondo Laura Anfuso, è importante leggere ai bambini?
Credo che la lettura ad alta voce sia un valore quando vengano rispettate la dignità del Bambino e le potenzialità del libro, quando la lettura rivela il progetto etico, la cura (per esempio, per quanto concerne la scelta del libro, il luogo in cui la lettura viene fatta, le modalità con cui viene proposto il libro, la relazione che è in grado di creare l’adulto mediatore tra il libro e il bambino, tra il libro, il bambino e i genitori, tra il libro e il gruppo di bambini, ecc.).
Per me, leggere ad alta voce ai bambini è importante perché sollecita il loro desiderio di esplorazione e di scoperta, sviluppa la costruzione autonoma di un’immagine del mondo e di se stessi, favorisce la conoscenza di qualcosa di cui non sapevano di aver bisogno, nutre la capacità di dare un nome ai sentimenti, consente l’espressione libera e consapevole delle emozioni, nutre il bisogno di silenzio, di ascolto, di accoglienza reciproca, di un confronto aperto con gli altri.
Leggere per me è ascoltare, è accogliere la Persona che sta crescendo, agire come una sorta di moltiplicatore di opportunità di esperienze per il Bambino, destare il suo stupore, suscitare la sua curiosità, offrirgli un’esperienza che possa risultare significativa dal punto di vista emotivo, come pure da quello cognitivo.
Leggere è far emergere i “colori”, favorire la costruzione dell’identità attraverso la consapevolezza dei “colori”. Ho sempre letto e continuerò a leggere la poesia di Shel Silverstein che per me rappresenta una sorta di epigrafe irrinunciabile:
Colori
La mia pelle ha un color di terra giallastro-rosa-bianco;
i miei occhi sono grigio-blu sul verde, e antracite quando sono stanco.
Ho i capelli rosso-biondo-bruni,
e se li bagno sembrano argentati…
Ma i colori, i colori che ho dentro,
ancora non li hanno mai inventati.
Shel Silverstein
Leggere ai bambini in famiglia: quando iniziare? Come farlo? Quali letture proporre ai propri figli?
In realtà, nei miei corsi (corsi per future mamme e corsi di sostegno alla genitorialità) ho sempre invitato i futuri genitori, soprattutto le future mamme, a leggere ad alta voce quando il bambino/la bambina/i bambini era/erano ancora in grembo. L’apparato uditivo comincia a svilupparsi intorno all’ottava settimana di gravidanza. Dalla sedicesima settimana di gestazione in poi il feto reagisce agli stimoli sonori, in modo particolare alle voci umane. Tra le ventiquattro e le ventotto settimane di gestazione l’udito è completo. Alcuni studi hanno dimostrato che il bambino nella pancia della mamma non solo è in grado di riconoscere i suoni, ma anche di ricordarli. La voce della mamma, già ascoltata più volte, sarà riconoscibile, quindi rassicurante per il bambino, anche nel momento delicato in cui verrà alla luce.
Dal momento della nascita, sarà poi importante continuare a prendersi cura del bambino con i canti, le ninnenanne, le filastrocche già proposti durante la gravidanza, anche con cose nuove, sperimentando in modo costante le possibilità della lettura. I libri dovranno essere proposti dopo un’accurata selezione, in modo diverso (i libri non sono tutti uguali!) e graduale (nel rispetto dei tempi del Bambino), studiando sempre le modalità attraverso le quali il Bambino risponderà alle diverse proposte di lettura.
Ogni bambino è una Persona e deve essere rispettato, stimolato senza gratuite forzature o assurde pretese di una precoce adultizzazione. Spesso i libri indicati per la primissima infanzia sono adatti ai bambini di età compresa tra i tre e i cinque anni. Inoltre, molti libri non vengono progettati in modo coerente per quanto concerne il formato del libro, o il codice verbale, o l’apparato iconico-grafico nella sua interezza, ecc.
Un altro aspetto che meriterebbe una certa attenzione è la qualità artistica delle illustrazioni di molti libri per bambini. Poiché colpiscono gli adulti, vengono acquistati e proposti al bambino piccolissimo come se quest’ultimo avesse già sviluppato un’alfabetizzazione iconica consona al godimento di quelle immagini e un’adeguata capacità di lettura critica della polisemia a cui esse rimandano.
Leggere a un gruppo di bambini: qual è la tua esperienza in questo ambito? Cosa significa leggere a un gruppo di bambini per te? Quali aspetti vanno curati, quale formazione e sensibilità sono necessarie?
Ho avuto la fortuna e il privilegio di leggere a bambini diversi in luoghi molto diversi: nel nido, a scuola (in classe, in palestra, nel teatro, nel cortile), in parrocchia (oratorio), all’università, in biblioteca, in libreria, in ludoteca, nel museo, in luoghi aperti nell’ambito di alcuni festival (sul palco in piazza, ecc.), nelle fiere, in ospedale, anche in una scuola-tenda e in una scuola-container a L’Aquila, dopo il terremoto, e ogni esperienza mi ha dato tantissimo. Certe cose non si imparano solo leggendo i libri. Sono cresciuta grazie all’interazione affettiva e culturale che ogni volta si è sviluppata con tempi e modalità diverse perché non esiste il gruppo di bambini, esistono i bambini, anzi esiste il Bambino. E ogni Bambino ha la sua personalità, il suo carattere, la sua storia, il suo vissuto, ecc.
Ogni volta, ho cercato di sapere qualcosa dei bambini a cui avrei dovuto leggere, del luogo in cui si sarebbe svolto il laboratorio, ho studiato e “ri-cercato” i libri e poi ho selezionato quello che mi sembrava più giusto proporre in quel momento, valutando anche diversi aspetti (l’età dei bambini, il percorso svolto dai bambini prima del mio intervento, il tema del libro, il contesto, ecc.).
Credo che la formazione, l’esperienza e la sensibilità siano aspetti fondamentali, irrinunciabili. Non credo che l’entusiasmo e il cuore possano contribuire a creare eventi significativi dedicati alla lettura, né penso che possa giovare alla promozione dei libri la confusione che un approccio di questo tipo sta contribuendo a creare nell’ambito dell’animazione alla lettura. Sembra che ci sia un’unica ricetta per realizzare l’animazione alla lettura e libri diversi tra loro vengono proposti nello stesso modo, come se questo fosse possibile. Molti libri hanno bisogno di silenzio, di silenzio sensibile, di tempo mediato, e, quando vengono usati in un certo modo, risultano solo sviliti, mortificati nelle potenzialità ed originali peculiarità che li contraddistinguono.
La formazione deve essere continua, deve sviluppare un continuo dialogo tra la ricerca e la sperimentazione, con uno sguardo ampio, pronto a cogliere gli stimoli che possano arrivare da letture diverse (saggi, poesia, teatro, arte, ecc.), dai viaggi, da un attento e costante esame della produzione mondiale per bambini, come pure dal ricco confronto con la disabilità. Essa ci regala la possibilità di spostare lo sguardo, di nutrire il desiderio di “ri-cercare” una “LETTURA” che possa rappresentare un valore per tutti, da condividere.
Come ti prepari a una lettura ad alta voce a un gruppo di bambini? Cosa determina, a tuo avviso, la buona riuscita di una lettura di gruppo?
Se posso, vado a vedere il luogo in cui dovrò leggere. Cerco di sapere il più possibile, di preparare l’accoglienza, di conoscere il libro molto bene in modo da poter leggere soprattutto gli occhi dei bambini, di essere più centrata sul loro ascolto, di essere disponibile e pronta ad aggiustare il tiro in ogni momento, a curare la delicata compresenza degli insegnanti o dei genitori.
Per me è anche importante il silenzio, leggere nel silenzio, leggere il silenzio apparente, creando pause di silenzio, per far emergere lo spazio interiore, la parola che stava appesa alle labbra, lì lì per essere detta, quella parola che, finalmente pronunciata o ascoltata, sarà attesa e rivelazione nel medesimo tempo.
Sento che il laboratorio ha avuto un senso quando, dopo la lettura, emerge la Voce del Bambino, anche quando, in un laboratorio successivo, mi ricordo delle osservazioni del Bambino, di come le parole del Bambino abbiano “compiuto” il Libro e la Lettura.
Un libro per bambini è di qualità se…
…guarda al Bambino con rispetto, se guarda ai bisogni profondi del Bambino, se si occupa delle relazioni che il Bambino pone in essere con se stesso e gli altri. In questo senso, la relazione deve essere vista sempre nel duplice aspetto di rapporto uomo-natura e di rapporto uomo-uomo, del Bambino nel suo essere insieme realtà naturale e realtà culturale-sociale.
Quali libri ami particolarmente?
Ci sono libri che presentano un equilibrio perfetto, che hanno il sapore unico della poesia, che spostano lo sguardo dal torpore dell’abitudine e dell’omologazione. Sono quelli i libri che amo, quelli a cui ho bisogno di ritornare sempre, quelli su cui posso lavorare con modalità diverse, con adulti e con bambini, quelli da cui attingere per la conduzione di corsi di formazione, quelli che io definisco irrinunciabili. Non posso citarli tutti, ma alcuni libri rappresentano, nello stesso tempo, un valore da condividere e da custodire in silenzio come Fammi una domanda! 108 domande per parlare un po’ insieme (Nuove Edizioni Romane, 2005), (Bohem Press Italia), L’isola (Orecchio Acerbo Editore),Io, tu, le mani (il libro con il quale Marcella Basso ha vinto due premi: Premio Miglior Libro Italiano, Concorso Tocca a te! 2015 e Premio Internazionale Typhlo & Tactus 2015), anche A cloud e Kakéra. Histoire d’un petit morceau (Les Trois Ourses), due doni della sensibilità artistica di Katsumi Komagata.
Puoi parlarci dei laboratori che conduci legati al TATTO e dell’impiego che fai dei libri tattili illustrati?
Mi occupo da tempo di Educazione al Tatto e ho cominciato a sperimentare i libri tattili illustrati quando erano ancora ignorati da molti, anche tra gli addetti ai lavori. Li ho cercati, acquistati, toccati più volte, analizzati, “ri-cercati”, confrontati, soprattutto alla luce delle potenzialità che emergevano attraverso la conduzione di laboratori con modalità diverse e in contesti differenti per bambini, ragazzi e adulti. La mia ricerca è stata anche sollecitata dall’esperienza preziosa di cui ho potuto godere in qualità di membro della Giuria Senior in tutte e tre le edizioni del Concorso Italiano di Editoria Tattile Illustrata “Tocca a te!”(Padova, 17 giugno 2011; Genova, 20-22 settembre 2013; Reggio Emilia, 19-21 giugno 2015), il concorso organizzato dalla Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi in collaborazione con la Fondazione Robert Hollman, per sostenere e promuovere l’editoria tattile e per stimolare la creazione, la produzione e la diffusione di libri tattili illustrati a livello nazionale.
I libri tattili illustrati hanno rappresentato la possibilità di sperimentare il buio, di far sperimentare il buio, di ideare percorsi al buio che potessero contribuire a sviluppare il tatto e a prendere coscienza delle possibilità del tatto. Uno degli articoli che ho scritto e, a cui tengo molto, è quello dal titolo Educare al tatto: l’importanza del buio che figura nel N. 1 della rivista “LG Argomenti” (gennaio-marzo 2013), pp. 40-46.
Tanti bambini, ragazzi e adulti hanno vissuto i laboratori come se nel buio potessero finalmente “scoprirsi”, porsi in una dimensione di ascolto profonda ed inedita. Per loro è stato anche importante soffermarsi sulle potenzialità del tatto attraverso l’esplorazione di materiali, forme e textures diversi. Per esempio, è stata una piacevole rivelazione la scoperta dei differenti aspetti che la carta può assumere, in seguito alla manipolazione, e la possibilità di soffermarsi sulla differenza non trascurabile tra superficie texture attraverso la comparazione di materiali diversi. In questo senso, l’esplorazione tattile sensoriale è stata stimolata anche dalla sperimentazione della varietà dei libri tattili illustrati proposti.
Ricerca, sperimentazione e consapevolezza sono cresciute insieme nel tempo. Con alcuni libri tattili illustrati ho realizzato dei progetti concernenti la maternità, altri mi hanno permesso di sviluppare una riflessione sul tatto e sulle sue potenzialità nella conduzione di laboratori per educatori del nido. Certi libri mi hanno permesso di ideare originali laboratori dedicati alla scrittura creativa; alcuni sono stati valorizzati da un dialogo suggestivo della musica con la poesia a cui ho voluto dar vita. Questo solo per dire che la consapevolezza delle potenzialità del tatto e l’analisi dei libri tattili illustrati mi hanno aperto la strada della ricchezza della molteplicità e sollecitato la capacità di ideare esperienze al buio che potessero essere significative per persone vedenti, non vedenti, anche disabili.
Per questo motivo, ho continuato a sottolineare l’importanza di una Educazione al Tatto e a creare una riflessione sul tatto attraverso la sperimentazione del buio e mirati interventi di sviluppo e valorizzazione dell’Educazione Sensoriale.
I libri tattili illustrati sono di difficile classificazione, spesso introvabili e richiedono una ricerca e una formazione ampia (dalla pedagogia alla psicologia, ecc.), la volontà di mettersi continuamente in gioco e in discussione, di confrontarsi con la persona non vedente (bambino e adulto), di guardare in modo ampio ad alcuni mirati espedienti tecnici e alle soluzioni artistiche la cui originalità, rispettosa ed inclusiva, valorizza il tatto e rende giustizia alla sua complessità. Significative esplorazioni tattili sensoriali sono per me quelle in grado di far prendere coscienza all’individuo di quanto il tatto possa stimolare la sua voglia di conoscere e di conoscersi, di come il tatto possa nutrire il linguaggio e le possibilità della relazione fra gli esseri umani (sviluppo della spiritualità).
Ci puoi parlare del tuo lavoro di scrittura nell’ambito dei libri d’artista?
Ricerco, seleziono, colleziono e, soprattutto, sperimento da tempo anche i libri d’artista. Sono libri preziosi su cui mi piace soffermarmi, che uso per cullare i miei occhi, libri da cui parto o prendo spunto per condurre seminari, laboratori, anche corsi di formazione. Il libro d’artista è per me quel mondo vasto, aperto, in cui fa nido la poesia, in cui il lettore si perde all’inizio per ritornare a vibrare, a rinnovarsi, come se quell’opera così speciale, unica, originale avesse saputo scuoterlo dal torpore dell’abitudine. Il libro d’artista è per me una ricerca che sollecita un’altra ricerca, è una sfida, una provocazione brillante, un invito al viaggio, un inno alla vita, un omaggio al mutamento, alla trasformazione, alla differenza, alla molteplicità.
Non sono autrice di libri d’artista, ma di poesie, ed è recente la collaborazione con Le MagnificheEditrici che ha visto la nascita di Parola e di Libro (Collana “LettereinParola”). I miei acrostici poetici sono stati interpretati da Le MagnificheEditrici (Manuela Marchesan e Laura Bertazzoni) che hanno progettato ed ideato due libri d’artista originali, in grado di conquistare la sensibilità di molti. Abbiamo già realizzato due presentazioni che mi hanno offerto molto nel senso di un confronto che è umano, culturale ed artistico insieme: una a Roma, il 13 novembre 2015, presso i locali della casa editrice Empiria, con il Poeta Elio Pecora e l’altra a Firenze, il 12 febbraio 2016, presso la Galleria/Atelier Cartavetra di Brunella Baldi. E andremo anche in altre città in cui i libri hanno destato curiosità ed interesse.
Per quanto concerne il testo, ci tengo a sottolineare che l’acrostico è stata una possibilità, una strada che ho voluto attraversare per trovare, nella sintesi, la pienezza. Dopo tante letture, anche tante esperienze al buio, mi sono affidata alla mia mente senza “costringere” le parole a volersi piegare ad un significato rigido, imposto come tema. Mi sono immersa nella mia mente, per combinare le parole come se fossero autonome di dire quello che sanno esprimere. L’acrostico è un gioco a cui mi abbandono, una sfida piacevole. Continuo a “ri-cercare” le parole, a sentirle, a esplorarle, a scuoterle in modo da “cullare” i significati che si vanno di volta in volta svelando, plasmando, riscoprendo. Anche per questo, sono felice che i miei acrostici siano “diventati” libri d’artista, un “corpo poetico” che accoglie il respiro di parole che non si fermano, che continuano ad essere se stesse pur rimandando ad altro, che richiedono tempo per svelare la magia di cui sono custodi. Perché, per rivelare tutto quello che sanno o che possono dire, la superficie di una pagina bianca sarebbe risultata troppo stretta, soffocante, un limite. Certe parole hanno bisogno di spazi ampi di visione, di percezioni dilatate, di essere lette, attraversate, “toccate con mano”, manipolate, percepite attraverso tutti i sensi per essere comprese, per “ri-comporre” la polifonia di voci a cui si schiudono generose.

Il rilancio della Tiflologia: un obiettivo possibile, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

In Italia la condizione dei ciechi nel passato non era differente da quella del resto d’Europa. Nel 1818, sulle orme che Valentin Haüy tracciò in Francia, nasceva a Napoli l’ospizio per ciechi per opera di Giuseppe e Lucia Santi, nel quale venne accolto a scopo educativo un primo nucleo di ragazzi e ragazze privi della vista.
L’enorme successo raggiunto dall’opera di Valentin Haüy in Francia e in Europa stimolava in senso positivo l’immaginazione ed il sentimento dei filantropi illuminati, così anche in Italia si cominciò a prospettare l’assistenza ai ciechi come fenomeno di protezione sociale.
Nel 1838 sorgeva a Padova il Configliachi, il secondo istituto per ciechi in Italia e nel 1840 l’iniziativa di un gruppo di filantropi guidati da mons. Luigi Vitali dava origine a Milano a un grande istituto che accoglieva fanciulli ciechi della Lombardia e del Veneto e che divenne ben presto il più cospicuo grazie alla larga munificenza cittadina. Da allora in poi, un po’ ovunque in Italia si diffusero istituzioni pro ciechi, il cui carattere e le cui finalità rimanevano vincolati a un impegno prettamente assistenziale; la minorazione visiva veniva considerata come un impedimento insuperabile verso l’acquisizione di concrete forme di cultura e di conoscenze adeguate della realtà circostante. Il privo della vista veniva rappresentato, non solo dall’immaginazione popolare, ma anche e soprattutto dalle autorevoli voci di qualificate correnti psicologiche e fisiologiche, come un essere ai margini della normalità, confinato in un mondo privo di forme e di dimensioni.
L’educazione che vigeva nei primi istituti era improntata più ad un senso di pietosa assistenza che alla consapevolezza di preparare uomini da inserire tra gli altri uomini.
La didattica non poteva che essere impostata su un insegnamento nozionistico di poche e frammentarie informazioni selezionate tra quelle che avrebbero potuto facilmente essere affidate alla memoria, senza dover ricorrere alla faticosa sperimentazione, alla ricerca, all’osservazione.
Quando Louis Braille perfezionò la scrittura tattile e, conseguentemente, la lettura fondata sullo stesso metodo, le scuole andavano gradualmente verso l’adozione di quel metodo di scrittura e di lettura; nonostante ciò non si riuscì ad oltrepassare il puro e semplice insegnamento nozionistico forse anche perché i tempi non erano maturi per una profonda rivoluzione pedagogica. La scuola in generale era ferma su quei principi e i fermenti proposti dal pensiero e dall’opera di grandi pedagogisti, come la Montessori, le sorelle Agazzi, Decroly e Piaget restavano soltanto motivi di discussione teorica o di realizzazioni singole in centri particolarmente fortunati.
A ciò si aggiunga che il Codice Civile dello Stato Italiano del 1865 aveva sancito l’inabilità dei ciechi a provvedere alle proprie cose, fatta eccezione per chi fosse dichiarato abile in tal senso da una testimonianza in giudizio da parte dei propri familiari.
Una svolta a questa situazione si ebbe quando la capacità organizzativa dei ciechi portò il 26 Ottobre del 1920 alla fondazione dell’Unione Italiana Ciechi a Genova ad opera di Aurelio Nicolodi.
Il Novecento può dunque essere ritenuto il periodo del passaggio dall’assistenza dei ciechi alla loro istruzione. Nel 1923, con la riforma Gentile, furono emanati provvedimenti e norme per l’istruzione elementare obbligatoria: il RD 2841/1923 decretava il passaggio da ospizi per ciechi a istituti scolastici, da soggetti di assistenza a soggetti di educazione; con il RD 3126/23 l’istruzione per i fanciulli ciechi diveniva obbligatoria. Il passaggio dal concetto di istituto come ricovero assistenziale a quello di ente di istruzione era avviato.
Molto significativo era l’art. 1 dell’O.M. del 27 giugno del 1924, dove si leggeva: “L’obbligo si assolve nelle scuole private o paterne, negli istituti dei ciechi all’uopo designati e presso le pubbliche scuole elementari dove gli alunni ciechi debbono essere ammessi dalla quarta elementare”. Qui si ritrova il primo e fondamentale incunabolo dell’integrazione scolastica dei ragazzi ciechi nella scuola di tutti.
Nel 1925, con il RD 2483, a Roma veniva fondato l’Istituto “Romagnoli”. Esso costituiva la prima “scuola di metodo” per gli educatori dei ciechi del nostro paese. Tale “lungimirante” ed innovativa istituzione avrà come suo primo Direttore ovviamente Augusto Romagnoli e ricoprirà per diversi decenni in Italia un ruolo centrale nella consulenza tiflodidattica e nell’orientamento professionale degli educatori dei privi della vista.
Il contributo di Romagnoli al progresso dell’istruzione dei ciechi appare indubbiamente fondamentale e ancora oggi tale da farlo considerare il fondatore della tiflologia in Italia e tale da promuovere su di lui nuovi studi e ricerche. Si tratta di un contributo concreto, concentrato a focalizzare l’attenzione sociale sull’educabilità dei privi della vista e ad invitare i non vedenti stessi a partire dalle proprie responsabilità. Romagnoli, inoltre, pensava che “l’ideale sarebbe che i ragazzi ciechi venissero educati coi loro compagni vedenti”.
Tuttavia, tali embrionali esperienze d’integrazione sarebbero ben presto tramontate. Infatti, con il varo della legge 1463 del 26 ottobre 1952, che ai sensi dell’art. 1 prevede, per i fanciulli ciechi, l’obbligo di frequentare la scuola speciale, nacquero appunto le cosiddette “scuole speciali”.
Tale norma, benché si ispiri ad una verità pedagogica che anche la Corte Costituzionale ha riconosciuto come ineccepibile, applicata alla lettera, ha invece favorito, di là dalle intenzioni del legislatore, il dilatarsi dei mali interni agli Istituti, provocandone l’appiattimento e l’involuzione.
Augusto Romagnoli, in “Ragazzi ciechi”, aveva auspicato, fin dal 1924, che maturassero i tempi per l’integrazione dei fanciulli ciechi nella scuola ordinaria. Gli istituti, invece, si mossero fuori da questo spirito e dopo l’istituzione della scuola media dell’obbligo con la legge 1859 del 31 dicembre 1962, pur rimanendo importanti “baluardi” per l’accesso alla cultura e l’inserimento professionale dei non vedenti (grazie allo svolgimento di attività manuali, all’insegnamento del Braille, della musica, di tecniche di mobilità ed orientamento e di educazione motoria), dilatarono ulteriormente l’internato. Accadde così che nel 1968 qualcuno poté accusarli di essere “ghetti” o “gabbie dorate”,.
La tempesta sessantottina s’abbatté sulle scuole speciali, accusandole di rappresentare un sistema chiuso, un libro uguale per tutti. I docenti spesso erano ciechi, i direttori erano ciechi: un mondo autosufficiente che dava una risposta ai bisogni solo dei ciechi.
Naturale e scontata conseguenza di questa “ventata” rivoluzionaria fu la chiusura delle scuole speciali per ciechi, disposta con la Legge 360 dell’11 Maggio del 1976, cui seguì l’anno dopo la legge 517 che introdusse in Italia il principio dell’integrazione scolastica degli alunni portatori d’handicap nella scuola “normale”. La 517 del ‘77 inoltre prevedeva per gli studenti disabili l’assoluta e “storica” novità della presenza dell’insegnante di sostegno nella scuola di tutti che ancora oggi, seppure con enormi difficoltà, continua a rappresentare una conquista di civiltà ed una svolta storica della moderna pedagogia italiana.
Ma, come sopra accennato, a quasi quarant’anni dalla 517, il sistema del sostegno degli alunni minorati della vista presenta ancora delle forti criticità ed è ben lungi dall’assicurare e garantire ai nostri ragazzi una piena ed effettiva inclusione scolastica.
Ciò dipende dalle ambiguità e precarietà che caratterizzano il ruolo, la funzione e la formazione degli insegnanti di sostegno, dall’inadeguata e scadente preparazione degli assistenti all’educazione e comunicazione (di cui all’art 13 della legge 104 del 1992), ma soprattutto dalla grande confusione che riguarda la figura del Tiflologo.
A proposito della non idonea e modesta preparazione dei docenti di sostegno sulla disabilità visiva, grazie alla pressoché maggioritaria presenza nella scuola normale di disabili con ritardi di apprendimento, negli ultimi decenni, si è andata affermando una formazione , centrata senz’altro sulle tematiche relative alla disabilità, ma con una impostazione sempre più “generalista” e sempre meno attenta ai bisogni specifici derivanti dalle diverse tipologie di disabilità. Troppo spesso, ormai, capita di imbattersi desolatamente in insegnanti di sostegno di alunni ciechi che poco o nulla sanno di tiflopedagogia e tiflodidattica e che, cosa ancora più disdicevole, non conoscono neppure il Braille e la tifloinformatica. Di recente, per ovviare e scongiurare tali deficienze del “sistema”, la Fand e la Fish hanno presentato una proposta di legge mirante all’istituzione di un ruolo “ordinario” del sostegno, con una formazione universitaria “specifica” sulle singole disabilità.
Il considerare i tiflologi dei veri e propri “Carneadi” e la “dispersione” delle loro competenze tiflopedagogiche e tiflodidattiche sono invece da ricercarsi nel fatto che l’Istituto Romagnoli di Roma , Senza più il suo fondatore, il grande Augusto Romagnoli prematuramente scomparso nel 1948, è diventato sempre meno autorevole , incapace di continuare ad essere il punto di riferimento ed il “presidio” dell’indagine scientifica, della sperimentazione didattica e metodologica e della ricerca tiflologica a favore dei non vedenti ed ipovedenti, non esercitando più nessun “appeal” sull’”intelligentia” e sul mondo universitario ed iniziando una crisi lenta ma inesorabile, fino alla sua chiusura definitiva negli anni novanta.
Porsi il problema relativo alle funzioni del “tiflologo” nella spinosa tematica concernente l’istruzione dei ragazzi minorati della vista, oggi, a molti potrebbe sembrare, se non un “problema inventato”, certamente una questione oziosa, quasi un gioco di pedagogisti sfaccendati o, comunque, collocati fuori della realtà storica. Io ritengo invece che la tiflologia non costituisca una scienza di pochi eletti, di un circoscritto numero di iniziati, ma si prospetta come un capitolo della più vasta pedagogia. I problemi relativi all’inclusione degli allievi disabili visivi, quindi, sono oggi questioni che non appartengono più, come in un triste passato non troppo remoto, esclusivamente a chi non vede ed alla sua famiglia ma richiedono interventi oculati ed accorti di tutta la collettività.
Per tutti questi motivi, abbiamo assoluto bisogno di una ripresa e di un rilancio della Tiflologia. A mio modesto avviso, sotto il profilo pedagogico, la sua possibilità di esistere ancora e le prospettive di un suo rinverdimento e di un suo rinvigorimento, sussistono per almeno due ordini di riflessioni: in primo luogo, perché dalla didattica differenziata, da quella speciale, e nella fattispecie della cecità, dalla Tiflopedagogia e dalla Tiflodidattica non si può prescindere neppure quando l’educazione dei ragazzi ciechi si svolge nella scuola ordinaria. Un imperdonabile errore che si commette nel nostro tempo consiste nel contrapporre l’inclusione all’educazione specializzata che, invece, si integrano, non si elidono l’una con l’altra. In secondo luogo perché le istituzioni pro ciechi, rinnovandosi, possono costituirsi come “centri di risorse”, deputati all’erogazione di quei servizi tiflopedagogici che gli enti locali, le Regioni, ma spesso anche lo Stato, non sono in grado di fornire per mancanza di preparazione specifica.
Di fronte a tali carenze del sistema nazionale d’istruzione, la nostra Unione ed i suoi Enti collegati non sono stati a guardare e si sono invece adoperati con tutte le loro energie e le risorse economiche disponibili per dar vita a “centri di servizio”a supporto della scuola “comune”.
Trattasi dei cosiddetti “centri di consulenza tiflodidattica” (c.c.t.), istituiti dalla Federazione Nazionale Delle Istituzioni Pro Ciechi e dalla Biblioteca italiana per i ciechi “Regina Margherita” ai sensi della legge 284 del 1997. I nostri c.c.t. sono 17, sono distribuiti su tutto il territorio nazionale e si prefiggono il compito di fornire consulenza tiflodidattica e di far conoscere gli strumenti ed i materiali tiflodidattici agli insegnanti di sostegno, agli operatori scolastici, ai genitori ed agli alunni della scuola di ogni ordine e grado.
Dunque, il vero problema del sostegno degli allievi disabili visivi in Italia non sta nella mancanza di “centri di supporto” alla scuola, che ci sono e sono anche parecchi, quanto piuttosto nella totale assenza di una loro “visione d’insieme”, di un loro fattivo e sinergico collegamento, elementi che sarebbero al contrario indispensabili per un proficuo processo di inclusione dei nostri ragazzi nella scuola “normale”.
Al riguardo, su proposta del Presidente Nazionale dell’UICI Mario Barbuto, come da me già scritto qualche giorno fa, la Federazione ha approvato la costituzione di una vera e propria “authority dell’inclusione” con il “nobile” compito di coordinare ed integrare tutti gli Enti collegati all’Unione e magari, perché no, sciogliere definitivamente il rebus sull’inquadramento professionale del tiflologo.
Infatti, in seguito al declino dell’Istituto Romagnoli di Roma ed a causa della mancata attuazione della legge 69 del 2000 che ne avrebbe finanziato la rinascita e riapertura, c’è una certa urgenza di ridefinire il percorso formativo ed il profilo professionale del tiflologo. Paghiamo cioè lo scotto della mancanza di una vera e propria generazione di esperti di Tiflologia, a cui bisogna necessariamente porre rimedio, pensando all’istituzionalizzazione di una nuova “figura” professionale più al passo con i tempi e più idonea e preparata a favorire l’inclusione scolastica dei ragazzi privi della vista del terzo millennio.
Tale “mission”, d’altra parte, si presenta certamente come non facile poiché quello del tiflologo è un profilo professionale obiettivamente difficile da definire, trattandosi di un esperto con competenze psicologiche, ma anche pedagogiche, educative e sociologiche. Per non parlare dei “famosi” aec (assistenti all’educazione ed alla comunicazione), istituiti dalla legge 104, che non si sono ancora radicati come “figure” del sostegno su tutto il territorio nazionale e comunque, laddove operano già, hanno una formazione lacunosa ed improvvisata.
Al fine di superare queste difficoltà e nell’intento di creare tale nuovo profilo professionale, Il nostro Presidente Mario Barbuto, il componente la Direzione Nazionale dell’UICI Marco Condidorio ed il Direttore centrale dell’I.Ri.Fo.R. Luciano Paschetta hanno voluto fortemente organizzare insieme l’innovativo e “lungimirante master universitario in Typhlology Skilled Educator (esperto in scienze tiflologiche), avente il patrocinio dell’I.Ri.Fo.R. e che, da esperienza “pilota” nel Molise, va generalizzato ed esteso in tutta Italia.
Il nostro ambizioso obiettivo è di stipulare una Convenzione con il MIUR entro la fine dell’estate, perché il nuovo organismo dell’”authority dell’inclusione” venga accreditato e riconosciuto ufficialmente dal Ministero e godere dunque di una sua “autorevolezza” anche nel mondo scientifico ed universitario e nel sistema educativo e formativo.
Pertanto, l’”authority” dovrà essere lo strumento ed il “grimaldello” a nostra disposizione per “imporre” alle Regioni, cui compete l’assistenza scolastica e/o postscolastica – domiciliare l’assunzione dei sopramenzionati “esperti in scienze tiflologiche” come operatori privilegiati del sostegno degli allievi disabili visivi, perché dotati di una formazione finalmente adeguata e di una “specializzazione” sulla minorazione visiva. Infatti, il Typhlology Skilled Educator potrebbe trovare impiego nei nostri “centri di consulenza tiflodidattica”, nei CTS come responsabile degli “sportelli tiflologici” (la cui apertura l’”authority” dovrà pretendere) e nelle scuole come “figura” di supporto al consiglio di classe per promuovere un autentico processo inclusivo degli studenti non vedenti ed ipovedenti.
Solo così potremo fugare pericolosi tentativi di ritorni anacronistici alle scuole speciali, garantendo veramente accoglienza ed inclusione a tutti gli alunni con disabilità visiva e, soprattutto, facendo risplendere la “luce” della Tiflologia in Italia!

Il “network dell’inclusione”, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Cari amici,
è mio privilegio informarvi che la Federazione Pro Ciechi, nell’ultima seduta del suo CDA, tenuta lo scorso 17 Marzo, ha approvato all’unanimità una proposta davvero “rivoluzionaria” sull’inclusione scolastica.
Infatti, su proposta del Presidente Nazionale dell’UICI Mario Barbuto e del consigliere Michele Borra, nella consapevolezza di dover fugare a tutti i costi tentativi maldestri di anacronistici e pericolosi ritorni a “fantomatiche” scuole speciali per bambini ciechi e che l’attuale sistema del sostegno scolastico ha bisogno assoluto di un supporto, si è deliberato di costituire un “coordinamento” tra tutti i nostri centri di consulenza tiflodidattica, gli Istituti per ciechi più rappresentativi in Italia (Genova, Milano, Trieste, Bologna, Assisi e Roma), i c.c.t. della Biblioteca “Regina Margherita”, le sedi provinciali dell’I.Ri.Fo.R., nonché le Facoltà di Scienze della Formazione ed i CTS territoriali interessati, per dare vita ad un vero e proprio “network od authority dell’inclusione”.
Ciò perché, a nostro modesto avviso, il vero “male scolastico” del sistema del sostegno destinato ai disabili visivi italiani è consistito nel fatto che l’Unione ed i suoi Enti collegati hanno avuto finora a disposizione tante risorse, ma che tali risorse non sono state quasi mai collegate tra di loro ed utilizzate con una “visione” d’insieme.
Pertanto, con la “messa in rete” delle strutture di cui sopra e con la costituzione del sopracitato “network od authority dell’inclusione”, la Federazione intende porre fine a tale “scolleganza” tra i nostri Enti, provvedendo ad un più equo e razionale utilizzo delle nostre risorse sul territorio, fornendo finalmente una più adeguata ed idonea formazione a tutti gli operatori che, a vario titolo, si occupano di sostegno e, soprattutto, garantendo una migliore e più efficace inclusione scolastica ai ragazzi minorati della vista nella scuola di tutti.
In effetti, ancora oggi, i tiflologi costituiscono i veri e propri” convitati di pietra” dell’inclusione degli alunni privi della vista, mancando di un albo e profilo professionale (obiettivamente difficili da definire), e gli “aec” (di cui all’art 13 della legge 104 del 1992) pagano lo scotto di una preparazione fin troppo scadente, improvvisata e generalistica.
A tal proposito, Il “network od Authority dell’inclusione” dovrà essere guidato da un “board” molto snello, che sarà costituito da un rappresentante dell’UICI, della Federazione, della BIC, dell’I.Ri.Fo.R., da tiflologi e da alcuni docenti universitari di Pedagogia speciale. Il suo principale compito sarà quello di definire e predisporre il percorso formativo ed il profilo professionale delle figure del “Tiflologo” e dell’Assistente all’educazione ed alla comunicazione. Da questo punt di vista, il percorso più “virtuoso” e corretto mi pare essere quello già avviato e voluto fortemente dal nostro Presidente Barbuto, con l’organizzazione di master universitari aventi il patrocinio dell’I.Ri.Fo.R.
Il nostro ambizioso e “lungimirante” obiettivo è di stipulare una Convenzione con il MIUR entro la fine dell’estate, perché tale nuovo” organismo” venga accreditato e riconosciuto ufficialmente dal Ministero.
Solo così potremo “imporre” alle Regioni, cui compete l’assistenza scolastica e/o domiciliare, di “obbligare le cooperative e gli Enti che erogano tale servizio ad avvalersi di operatori del sostegno (tiflologi ed aec) finalmente e veramente “specializzati”.
Il Presidente Nazionale Mario Barbuto sottoporrà la proposta della costituzione del “network od authority dell’inclusione” all’approvazione del “coordinamento degli enti” nella riunione del 31 Marzo p.v.
Mi rendo conto che il nostro progetto non rappresenti la “panacea” del nostro “male scolastico” ma, come si suol dire, chi ben comincia è a metà dell’opera!

Sintesi dei lavori del consiglio di amministrazione del 27 Gennaio 2016, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Come da avviso n. 17 del 7 gennaio, il giorno 27 gennaio 2016 alle ore 14,00, si è riunito, presso la sede di Via Giuseppe Mirri, 2 – Roma, il Consiglio di Amministrazione della Federazione Nazionale delle Istituzioni pro Ciechi ONLUS.
Alle ore 14,35 risultano presenti il Presidente Rodolfo Masto, il Vice Presidente Hubert Perfler, i Consiglieri Pier Michele Borra, Gianluca Rapisarda, Mario Barbuto e il Consigliere Claudio Michele Cassinelli che segue in collegamento on line da Genova. Il consigliere Raffaele Ciambrone, trattenuto da un impegno, informa del suo imminente arrivo.
Risultano altresì presenti tutti i membri del Collegio sindacale dei revisori dei conti: il Presidente Dott. Carmine Silano, la Dott.ssa Patrizia Pellegrini e il Dott. Silvio Silvestro Vitale.
Il Presidente Rodolfo Masto alle 14,45 dichiara aperta e valida la seduta.
Verbalizza i lavori il Segretario Generale Arch. Innocenzo Fenici.
Approvazione del verbale della seduta del 3 dicembre 2015;
Il C.d.A. all’unanimità approva il verbale della seduta del 3 dicembre 2015.
2) Ratifica ordinanze adottate in via d’urgenza dal Presidente – sottoscrizione protocollo d’intesa con il Ministero dell’Interno;
Il Presidente sottopone al Consiglio di Amministrazione la ratifica dell’ordinanza n.3 del 23 dicembre 2015, riguardante la sottoscrizione del protocollo di legalità tra il Ministero dell’Interno e la Federazione Nazionale delle Istituzioni pro ciechi Onlus. Il consiglio ratifica.
Il Consigliere Mario Barbuto a proposito del protocollo sottoscritto con il Ministero dell’Interno riferisce che il sottosegretario On. Bubbico ha espresso gratitudine per la disponibilità dimostrata dagli Enti.

3) Comunicazioni del Presidente;
Il Presidente comunica che il giorno 20.02.2016 a Firenze si svolgerà la Giornata Nazionale del Braille. In tale occasione verranno premiati i vincitori del concorso di scrittura e lettura Louis Braille “Un alfabeto a punti per leggere e scrivere. Utilità e universalità nell’era della tecnologia”.
Il Presidente comunica inoltre che il giorno successivo (21 febbraio 2016) avrà luogo a Cagliari la celebrazione della IX Giornata Nazionale del Braille.
Il Presidente Masto parteciperà ad entrambe le manifestazioni. Su proposta del Consigliere Mario Barbuto, tutti i Consiglieri sono invitati a partecipare alle giornate commemorative.

4) Approvazione primo assestamento di bilancio preventivo 2016;
Il Presidente sottopone al Consiglio l’approvazione dello schema di deliberazione riguardante le variazioni al bilancio di previsione esercizio 2016. Il Consiglio approva la relativa deliberazione.

5) Proposta di parziale riduzione e ridefinizione del mutuo contratto con Banca Popolare Commercio e Industria per un importo corrispondente al valore della porzione dell’immobile di Via Pollio destinato al “Centro Polifunzionale sperimentale di alta specializzazione per la ricerca tesa all’integrazione sociale e scolastica dei ciechi pluriminorati” mediante l’utilizzo dei fondi appositamente stanziati dalla Legge 278/2005;
Il Presidente sottopone all’approvazione dell’assemblea lo schema di deliberazione riguardante la riduzione e ridefinizione del mutuo ipotecario trentennale di € 4.000.000,00 in essere con la Banca Popolare Commercio e Industria – gruppo UBI Banca. A tal proposito, il Consiglio approva la deliberazione n. 2 del 27 Gennaio 2016.

6) Convocazione dell’assemblea prevista per il mese di aprile e valutazioni intorno alla necessità di convocare una seconda assemblea per l’approvazione del bilancio preventivo 2017;
Il Presidente informa che l’assemblea deve essere riunita entro il 30 di Aprile così come stabilito dall’art. 7 dello Statuto della Federazione, pertanto suggerisce ai Consiglieri la data del 19 aprile 2016. Inoltre si ritiene opportuno convocare un’assemblea straordinaria entro il 31 ottobre 2016 per l’approvazione del bilancio preventivo 2017.
Il Presidente sottopone al Consiglio l’approvazione dello schema di deliberazione.
Dopo ampia discussione il Consiglio di amministrazione approva all’unanimità la deliberazione n. 3 del 27 gennaio 2016, avente per oggetto l’argomento de quo.

7) Presa d’atto del parere del Ministero dell’Economia e delle Finanze (Dipartimento della Ragioneria dello Stato – Ispettorato Generale di Finanza – Ufficio X) in merito all’applicabilità alla Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi – ONLUS del decreto legislativo 12 aprile 2006, n.163 ed eventuali deliberazioni conseguenti;
Il Presidente introduce l’argomento illustrando il parere del Ministero dell’Economia e delle Finanze in merito all’applicabilità alla Federazione Nazionale delle Istituzioni Pro Ciechi ONLUS del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, inerente al codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, in attuazione alle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE. Il Presidente e il Consiglio prendono atto dei contenuti esprimendo dubbi e perplessità in quanto le norme sopra richiamate mal si conciliano con la natura associativa/federativa e con le limitate dimensioni di bilancio della Federazione. Tale applicazione, inoltre, risulterebbe particolarmente onerosa sotto il profilo economico ed organizzativo.
Il Presidente suggerisce di approfondire l’argomento anche presso le organizzazioni Ministeriali.
Il Consigliere Mario Barbuto sostiene che questa non è la sede per aprire una discussione rispetto ai contenuti del parere con i Sindaci Revisori. Inoltre sottolinea, che si sta comunque parlando di un parere espresso da un organo tecnico-contabile e non di parere legale pro-veritate del Ministero. Suggerisce altresì, di avviare i contatti presso il Ministero competente relativamente alle rappresentanze politiche, al fine di sottoporre un protocollo di intesa tra Federazione e Ministero. Si potrà così, con maggiore articolazione, evidenziare la tradizione, gli scopi e le modalità operative dell’Ente.
IL Presidente, inoltre, concordando con il consigliere Barbuto, sottopone al Consiglio lo schema di deliberazione sulla presa d’atto del parere.
Il Consiglio di Amministrazione, dopo ampia discussione, all’unanimità delibera di prendere atto del parere in oggetto e contestualmente di approfondire ulteriormente la problematica, anche nelle more degli ormai prossimi Decreti legislativi del Governo riguardanti la materia dei Contratti pubblici.

8) Breve relazione informativa del Segretario Generale relativa alle iniziative assunte in merito al trasferimento presso Via Pollio;
Il Presidente passa la parola al Segretario generale Arch. Innocenzo Fenici che illustra in modo sintetico la relazione tecnica, già a conoscenza dei consiglieri, inerente al trasferimento degli uffici e dei laboratori da via Giuseppe Mirri a via Alberto Pollio 10, trasferimento che si prevede possa essere realizzato entro il 1 ottobre 2016. Il Presidente descrive lo schema di deliberazione e sottopone al Consiglio l’approvazione della deliberazione n. 5. Il Consiglio approva all’unanimità la relazione e la deliberazione n. 5.

9) Definitivo avvio del protocollo di intesa sottoscritto tra la Federazione e l’Istituto Rittmeyer mirante allo svolgimento delle attività tese al finanziamento di progetti in ambito nazionale, europeo e internazionale a favore delle persone con disabilità visiva.
Il Presidente ricorda il protocollo d’intesa sottoscritto tra la Federazione e l’Istituto Rittmeyer, dando la parola al consigliere Hubert Perfler. Lo stesso comunica che solo poche istituzioni hanno confermato la propria adesione.
Il Consiglio quindi dà mandato al Presidente di inviare un’ulteriore sollecitazione a tutte le istituzione interessate.

10) Relazione del Consigliere Gianluca Rapisarda sull’andamento dei progetti di natura tiflologica con esplicito sviluppo dell’editoria tattile per la prima infanzia;
Il Presidente passa la parola al Consigliere Gianluca Rapisarda che informa il Consiglio sull’andamento di alcuni progetti in itinere. Prima di procedere, ringrazia il Consiglio di Amministrazione dell’Istituto David Chiossone di Genova, per aver preso la decisione, nella seduta del 15 dicembre 2015, di uscire dalla Fondazione Lucia Guderzo Onlus, rifiutando il progetto di apertura di una scuola per soli ragazzi ciechi, che avrebbe di fatto negato l’attuale modello pedagogico e didattico inclusivo. Il Consigliere Rapisarda auspica che venga al più presto ripreso il tema della formazione del personale che opera in ambito scolastico, quali operatori scolastici e assistenti alla comunicazione di tiflologia, per meglio favorire l’integrazione. Auspica anche la creazione di un “Autority della tiflologia” riconosciuta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e deputata a predisporre il percorso formativo ed il profilo professionale degli aec e dei Tiflologi.
Alle ore 15,22 arriva il Consigliere Raffaele Ciambrone rappresentante del MIUR. Il Consigliere Gianluca Rapisarda prosegue l’illustrazione e lo stato dei lavori dei progetti:
a)Tiflopedia, questo progetto dovrebbe essere sostenuto sia da risorse interne che da progetti esterni come quello in atto con l’Istituto Rittmeyer.
Le ultime 30 video lezioni sono in fase di completamento per essere inserite sia all’interno della piattaforma che nel progetto FAD (di formazione a distanza degli operatori scolastici e non del sostegno) “I colori del Buio” condiviso con la Biblioteca per Ciechi e con l’Irifor.
b)TiflopediApp, è un’applicazione che è stata pubblicata su Tiflopedia.org, ed è disponibile al download nella versione per Android. Nelle prossime settimane si potrà procedere alla stesura della versione per iOS per poi essere pubblicata sui rispettivi repository (GooglePlay e AppleStore).
L’applicazione di georeferenziazione faciliterà l’individuazione dei Centri di Consulenza Tiflodidattica ubicati nel territorio nazionale e degli Istituti che erogano servizi specifici;
c)La manifestazione a “Spasso con le dita” è stata richiesta e programmata per l’ultima settimana del mese di maggio, al Planetario di Torino. Il Planetario contribuirà alle spese per la manifestazione con un impegno di € 5.000,00.
Per quanto riguarda i libri tattili si potrebbe allestire nel nuovo Centro di via Pollio una “Biblioteca Nazionale del libro tattile” o “Tattiloteca” per poter accogliere scolaresche e illustratori al fine di organizzare corsi di formazione e laboratori didattici.
Si potrebbe inoltre inserire una vetrina dei libri tattili (book shop) sul sito internet accessibili da tutti gli utenti. La spesa preventivata è di circa € 1.500,00.
Il Presidente prende la parola e sintetizza quanto detto riguardo ai progetti esprimendo la necessità di un incontro con il settore informatico ed editoriale della Federazione.
A tal proposito, si rivolge al consigliere Raffaele Ciambrone chiedendo se sia possibile accedere ai contributi sull’editoria speciale.
Inoltre, il Presidente sostiene che la produzione del Materiale Didattico sia frutto di una ricerca scientifica pertanto chiede se sia ipotizzabile accedere all’elenco degli Enti di Ricerca e di Formazione riconosciuti dal MIUR.
Il Consigliere Ciambrone valuta positivamente la richiesta di accreditamento della Federazione, sempre se questo non risulti essere in conflitto con l’Irifor.
L’obbligo di formazione da parte degli insegnanti di ruolo istituito con la legge 107/2015 “La Buona Scuola” contempla un bonus di € 500,00 che potrebbe rappresentare ottime opportunità per tutti gli Enti di Formazione che offrono tale servizio. Il Consigliere Raffaele Ciambrone sostiene che anche la figura professionale del tiflologo deve essere riconosciuta anche dal Ministero della Salute.
Per quanto riguarda i contributi per l’editoria tattile, il Consigliere Ciambrone risponde che si deve inviare la domanda alla Presidenza del Consiglio dei Ministri dipartimento per l’editoria. Lo stesso informa che dal 4 al 7 aprile si svolgerà Bologna Children’s Book Fair. Quest’anno, tale evento, sarà dedicato alla disabilità, e sarà un’occasione da non perdere per la Federazione che potrà in quella sede presentare i libri tattili illustrati per l’infanzia.
Il Presidente chiede se sia possibile partecipare insieme al Miur avendo il Ministero un grande ed importante stand. Il Consigliere Ciambrone si impegna a inserire la Federazione alla manifestazione.
Il Consigliere Mario Barbuto informa che è stato attivato presso l’Università del Molise un Master Universitario di I livello in “EDUCATORE TIFLOLOGY ASSISTANT” per l’anno accademico 2015-2016. Il Master è svolto in collaborazione e con il contributo dell’Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione Onlus (IRIFOR) con sede in Roma. La responsabilità scientifica e l’attività di indirizzo e di coordinamento del Master è affidata ad un Comitato Tecnico Scientifico tra i quali figurano i proff. Marco Condidorio e Luciano Paschetta.
Il Consigliere Barbuto pensa che sia necessario iniziare da questo per giungere al riconoscimento della professione di Tiflologo.
Inoltre, sostiene che il coordinamento delle varie istituzioni che si occupano di didattica e tiflologia vada di nuovo riorganizzato. Occorre estendere lo studio intrapreso dal Consigliere Michele Borra sui Centri di Consulenza Tiflologica, anche a quelli gestiti dalla Biblioteca per Ciechi di Monza, al fine di rivitalizzare e riorganizzare il coordinamento dei Centri stessi.
Il Consigliere Ciambrone informa che è allo studio di una Commissione Ministeriale, di cui fa parte, il percorso di formazione concernente i futuri docenti compreso quelli di sostegno. La formazione sarà di tipo universitario con un maggiore numero di ore di formazione per le materie specifiche riguardanti le disabilità sensoriali.

11) Delibere di carattere organizzativo ed amministrativo.
Il Presidente illustra lo schema di delibera che ha come oggetto l’aggiornamento del limite di spesa fondo cassa economale a favore delle responsabili dei Centri di Consulenza Tiflodidattica. Il Consiglio di Amministrazione all’unanimità dei voti approva la relativa delibera.
Il Presidente passa a illustrare lo schema di delibera che ha come oggetto il prolungamento dell’accordo di trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a 40 ore a tempo parziale a 30 ore della dipendente Maria Paolella. Il Consiglio di Amministrazione all’unanimità dei voti approva.
Il Presidente descrive lo schema di delibera che ha come oggetto l’aggiornamento del contratto di assistenza sistemistica. Il Consiglio di Amministrazione approva all’unanimità.
Il Presidente illustra lo schema di delibera che ha come oggetto l’apertura del conto corrente presso UBI Banca Popolare Commercio e Industria S.p.a. (2039 sede di Roma, Corso Vittorio Emanuele II n. 25-27) per accreditamento contributo legge del 28 dicembre 2005 n. 278. Il Consiglio di Amministrazione all’unanimità dei voti approva.

12) Varie ed eventuali.
Il punto dell’O.d.G non è stato discusso.
Alle ore 17,35 avendo esaurito i punti posti all’o.d.g., il Presidente dichiara chiusa la seduta del Consiglio di Amministrazione.

Gianluca Rapisarda

Louis Braille: un cieco nella Francia del primo Ottocento, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

La ricerca storica di recente ha cominciato a prestare sempre più attenzione al tema della cecità. Dopo i pioneristici lavori di Pierre Villey e di Pierre Henri (questi ultimi pubblicati a metà Novecento e dedicati in particolare alle biografie di Valentin Haüy, Charles Barbier, Louis Braille) o, per l’Italia, di Enrico Ceppi e Augusto Romagnoli (ma l’elenco non può né vuole essere esaustivo), è soltanto dall’inizio di questo secolo che si sono avuti contributi significativi sull’argomento da parte di studiosi come Michael C. Mellor, Zina Weygand, Catherine Kudlick. La storia dei ciechi (e la ricostruzione del ruolo dei ciechi nella storia) si va così arricchendo di contributi volti a considerare la cecità dal punto di vista storico-sociale (attraverso la ricostruzione del processo, a volte problematico, di inserimento nella società europea), politico-istituzionale (attraverso l’analisi degli interventi statali con particolare attenzione alle politiche scolastiche) e culturale.
Alla luce delle indicazioni contenute in questi lavori, grazie al contributo dell’Istituto per ciechi “Ardizzone Gioeni” di Catania, il Prof. Emanuele Rapisarda ha potuto analizzare e curare nel 2011 per conto dell’Università di Catania (Edizione Bonanno )la traduzione delle ”Lettere inedite di Louis Braille”.
Tale opera è stata resa possibile in virtù del rinvenimento da parte dello scrivente della versione originale delle “Lettere” di cui sopra, conservate all’Institut National des Jeunes Aveugles di Parigi e scritte da Braille fra il 1831 e il 1851. Nella sua traduzione in italiano, il Prof. Emanuele Rapisarda ha cercato da un lato di tratteggiare in maniera più dettagliata la figura di Louis Braille dall’altro di collocarla nel più ampio contesto della condizione dei non vedenti nella società francese della prima metà dell’Ottocento.
In occasione della pubblicazione della traduzione in italiano delle “Lettere inedite di Louis Braille”, il sottoscritto ha condotto una ricerca storica sugli anni del nostro grande “benefattore”che, in vista dell’ormai imminente “Giornata del Braille”, riporto sinteticamente di seguito. Sperando di farvi cosa gradita, non mi resta che augurarvi buona lettura.

Tra XVIII e XIX secolo: un nuovo clima
Il processo che condusse alla creazione di un clima favorevole all’opera di Braille cominciò a delinearsi in Europa tra la fine del XVII ed il principio del XVIII secolo. A quel tempo, infatti, grazie alle teorie dell’empirismo e del sensismo, che attribuivano agli organi di senso ed all’esperienza l’origine del processo conoscitivo, si finì col riconoscere una certa rilevanza alle persone cieche. Esse diventarono, così, i miti fondatori e le figure paradigmatiche della nascente filosofia dei Lumi, in un processo che concorse a rivalutare la cecità, fino ad allora intesa in maniera principalmente negativa – malattia incurabile e marchio indelebile di vergogna, peccato e diversità.
Uno dei momenti importanti di questa riflessione può essere collocato nel 1693, quando William Molyneux in una lettera inviata al filosofo empirista inglese John Locke, gli sottopose un «problema curioso» che Locke incluse nella seconda edizione del suo An Essay Concerning Human Understanding (Saggio sull’intelletto umano) del 1694: se un uomo non vedente dalla nascita, abituato nel corso della sua vita a riconoscere perfettamente col tatto un cubo ed una sfera, dovesse improvvisamente recuperare la vista, egli potrebbe distinguere con l’esperienza visiva e senza toccarli i due summenzionati oggetti? Molyneux e Locke, prima, Berkeley e Voltaire, dopo, esclusero tale possibilità, convinti com’erano che, giacché non esistono idee innate e tutte le idee della mente dell’uomo derivano unicamente dall’esperienza, il cieco che recupera la vista deve riadattare la propria percezione del mondo dalle forme tattili degli oggetti alle loro immagini. Inoltre, tali argomentazioni tradivano ancora il pregiudizio della preminenza assoluta del senso della vista su tutti gli altri.
A tali speculazioni teoriche, poi, sembrarono sopraggiungere ben presto anche delle conferme sperimentali e pratiche. A tal proposito vanno ricordate le osservazioni cliniche fatte dal chirurgo inglese William Cheselden, che nel 1728 effettuò con successo il primo intervento chirurgico su un adolescente affetto da cataratta congenita e ne osservò il comportamento dopo l’operazione, suffragando quanto avevano asserito Molyneux, Locke e gli altri. Fu così che le persone cieche operate di cataratta diventarono una delle prove delle tesi sensiste del nascente Illuminismo. Tuttavia, ciò nonostante, i non vedenti rimasero nella prima metà del Settecento solo degli oggetti passivi e dei semplici spettatori di tali studi filosofici e sperimentazioni scientifiche.
Si dovette attendere la pubblicazione in Francia nel 1749 della Lettre sur les aveugles à l’usage de ceux qui voient (Lettera sui ciechi ad uso di coloro che vedono) dell’illuminista Denis Diderot per la maturazione di un nuovo sguardo sui non vedenti. Diderot, infatti, fu il primo ad osservare e ad indagare le persone cieche dal di dentro, preoccupandosi di descriverne dettagliatamente ed analiticamente gli usi, le principali occupazioni, le potenzialità e la loro percezione del mondo. Esemplari al riguardo appaiono le figure di cieco dalla nascita, il cosiddetto «cieco di Puiseaux», e del matematico inglese non vedente Nicolas Saunderson tratteggiate da Diderot nella sua Lettera. Il primo spicca per scaltrezza e prontezza intellettiva, il secondo per metodicità e per la straordinaria capacità di supplire col tatto alla mancanza della vista. Comincia così a configurarsi un nuovo cambiamento di contesto culturale, in cui non è più l’organo sensoriale della vista a predominare sugli altri, ma inizia a farsi largo quello del tatto (il cieco di Puiseaux, interrogato se avesse desiderato acquistare la vista, risponde che avrebbe voluto piuttosto perfezionare sempre di piu’ il tatto, poiché, mentre gli occhi possono sempre sbagliare, le mani sono infallibili). In tale nuovo ambito culturale si innestano le figure di Georges-Louis Leclerc Buffon, autore di una poderosa Histoire naturelle (Storia naturale) pubblicata a partire dal 1749, in cui sostiene il primato del tatto sulla vista, e Jean-Jacques Rousseau, che nel suo celebre Emile (Emilio) del 1762, asserendo quanto l’affinamento del tatto potesse servire tanto ai bambini non vedenti quanto a quelli vedenti, getta le basi di una pedagogia tattile che utilizzi l’esperienza del tatto per l’educazione delle persone cieche.
Si inizia così ad affermare nella Francia della seconda metà del ‘700 l’assunto che l’uomo non possiede un solo organo di senso e che in caso di assenza di uno qualsiasi degli organi sensoriali, gli altri possono intervenire a sostituire quello deficitario o mancante. E’ questo il presupposto su cui si fa strada la cosiddetta pedagogia della «vicarianza» (compensazione) che mira ad educare i disabili sensoriali (sordomuti e ciechi) facendo leva sulle abilità di cui essi sono dotati per «vicariare» quelle di cui sono privi. Al riguardo, si distinse nella Francia di quegli anni l’opera illuminata e benefica dell’abate Charles-Michel de l’Épée in favore dell’educazione delle persone sordomute e del traduttore Valentin Haüy per l’educazione di quelle cieche.
Il primo, negli anni Settanta del XVIII, secolo si prodigò a realizzare una grandiosa opera di istruzione collettiva e pubblica dei sordomuti fondata sull’uso del linguaggio naturale dei segni e dei gesti per superare i deficit uditivi, dando prova dei soddisfacenti risultati ottenuti in diverse esibizioni pubbliche. Valentin Haüy, primo maestro dei ciechi, profuse tutte le sue energie per garantire al maggior numero di non vedenti di ogni classe sociale la possibilità di accedere alla cultura attraverso l’apprendimento della lettura e della scrittura coi caratteri ordinari in rilievo, mirando a fare del senso del tatto il punto di forza del riscatto culturale degli individui ciechi.
E’ noto l’episodio che determinò l’impegno benefico di Haüy, ispirato alla Lettera di Diderot ed all’attività di istruzione pubblica di massa di Charles-Michel de l’Épée. Nel 1771, dopo la partecipazione ad un concerto burlesco presso un Caffè parigino tenuto da un’orchestra di non vedenti dell’ospizio dei Quinze-Vingts (il celebre asilo fondato a metà del XIII secolo da San Luigi per i soldati divenuti ciechi durante le Crociate), scioccato e profondamente ferito dal modo farsesco con cui venivano rappresentati e fatti esibire i disabili visivi, Haüy giurò a se stesso che avrebbe fatto leggere, scrivere e suonare armoniosamente i ciechi di tutti gli ordini sociali. Così, negli anni successivi (caratterizzati, fra l’altro, dalla fondazione nel 1780 della prima Société Philantrophique con scopi di assistenza per i portatori di handicap) egli concepì il suo Plan general d’Institution (1784) che consisteva nel lungimirante progetto educativo di istruire a leggere, scrivere e far di conto i bambini nati ciechi di tutte le estrazioni sociali.
Due anni dopo Haüy poté codificare il suo metodo educativo, facendo stampare agli stessi allievi non vedenti un suo Essai dedicato al re e finalizzato ad istruire i non vedenti di ogni ceto alla lettura, alla scrittura, al calcolo matematico, alla storia, alla geografia, alla musica coi caratteri lineari in rilievo nonché all’apprendimento di alcuni mestieri quali la filatura, la tessitura e la stampa. Gli studenti privi della vista imparavano a leggere su libri che venivano stampati coi caratteri normali in rilievo e a scrivere con la matita o la penna per mezzo di placche, su cui erano incise le forme delle lettere dell’alfabeto, e con dei «guidamano» formati da una serie di fili tesi a distanza opportuna.
Nel 1791, in piena Rivoluzione francese, in ossequio ai principi rivoluzionari di Egalité e di Fraternité, l’Istituto dei bambini ciechi dalla nascita di Haüy venne unificato a quello dei sordomuti, per esserne poi separato nel 1794 ed assumere l’anno seguente la nuova denominazione di Institut national des aveugles-travailleurs (Istituto nazionale dei ciechi lavoratori). Esso fungeva sia da ospizio che da scuola e vide il definitivo passaggio dal patrocinio privato della Société Philanthopique a quello statale. Durante l’eta’ napoleonica l’Istituto fu accorpato all’ospizio dei Quinze-Vingts (1800) per motivi principalmente economici, perdendo notevolmente il carattere di istituto d’educazione e di inserimento lavorativo. Nello stesso periodo, Napoleone fondò l’Hotel des Invalides per l’accoglienza dei ciechi di guerra. In questo stesso periodo nascevano anche in diversi paesi europei le prime istituzioni scolastiche per non vedenti: a Liverpool nel 1791, a Vienna nel 1804, a Berlino e a San Pietroburgo nel 1806, etc.
Con la Restaurazione, l’Istituto fu nuovamente distaccato dall’Hospice des Quinze-Vingts (1815) riacquistando la sua autonomia ed assumendo il nome di Institution royale des jeunes aveugles. Qui, sotto la direzione di Alexandre-René Pignier, Louis Braille perfezionò il suo alfabeto di lettura e scrittura dei ciechi.

Louis Braille e il nuovo metodo di scrittura e lettura per ciechi
Il metodo concepito da Braille si ispirava al procedimento di scrittura notturna a dodici punti pensato dall’ex ufficiale d’artiglieria ed appassionato di scrittura rapida e segreta, il francese Charles Barbier de La Serre. Questi, nella suo opera Essai sur divers procédés d’expéditive française contenant douze écritures différentes avec une Planche pour chaque procédé (Saggio su diversi procedimenti d’espeditiva francese contenente dodici scritture differenti con una tavola per ogni procedimento), codificò nel 1815, tra gli altri sistemi di scrittura rapida, un sistema di scrittura facile per insegnare a leggere e a scrivere a tutti coloro che, per svariati motivi, avevano difficoltà a farlo con i metodi tradizionali. Esso si basava su dodici caratteri puntiformi in rilievo disposti su due colonne verticali da sei, dalla cui combinazione, regolata secondo una tavola predefinita che gli studenti dovevano apprendere preventivamente, derivava la rappresentazione delle lettere e dei suoni dell’alfabeto. Il metodo Barbier, chiamato pure sonografia, ben si adattava alla lettura e scrittura notturna dei militari, ma anche, soprattutto, alla possibile applicazione ai non vedenti. Fu così che Pignier, recependo in modo lungimirante le riserve dei non vedenti sui caratteri ordinari in rilievo e sui vecchi sistemi di apprendere la scrittura in corsivo, poco adatti ai bisogni percettivi del tatto ed alla scrittura per le persone cieche, lo cominciò a sperimentare all’Institut. Gli allievi ne furono subito entusiasti, ma presto ne colsero alcuni piccoli difetti. Ne derivarono riflessioni ed osservazioni critiche; da queste, e in particolare da quelle argute, brillanti e precise fatte dal giovane Braille, che fece notare come dodici punti fossero troppi per un’esplorazione tattile veloce, nacque il celebre metodo a sei soli punti in rilievo disposti su due colonne verticali da tre inventato da quest’ultimo.
Ma chi era Louis Braille?
Braille venne al mondo il 4 gennaio del 1809 in Francia a Coupvray, un paesino vicino Parigi, da una famiglia che se non versava nell’indigenza, certo non era neppure ricca. Egli era l’ultimo figlio di quattro fratelli: Catherine-Josephine, Louis-Simon, Marie-Celine ed, appunto, Louis, il beniamino, l’ultimo figlio, nato undici anni dopo la terzogenita. Il padre, Simon-René Braille, faceva il sellaio; la madre Monique Baron non lavorava.
Braille divenne cieco alla tenerissima età di tre anni a causa di un tragico e disgraziato incidente occorsogli nel laboratorio paterno. Mentre giocava afferrò un trincetto per tagliare il cuoio e, nel tentativo di sezionare delle cinghie, finì con l’essere colpito ad un occhio. Di lì a poco, come accade in tutti i casi di oftalmite simpatica, si infettò pure l’altro occhio ed il bambino perse sfortunatamente del tutto la vista. I genitori di Braille, malgrado fossero estremamente provati da tale brutto colpo, non s’abbatterono e, convinti com’erano dell’importanza della cultura (a casa Braille tutti sapevano leggere e scrivere), vollero che il ragazzino frequentasse la scuola del villaggio dove Braille spiccò per dolcezza ed intelligenza. Inoltre, il padre gli commissionava spesso dei lavoretti manuali, come il confezionamento delle frange per le selle, che gli servirono per perfezionare le abilità tattili. Successivamente, su consiglio dell’abate e dell’istitutore di Coupvray, chiesero l’ammissione del figliolo all’Institution royale des jeunes aveugles, ricevendo il consenso all’iscrizione il 15 gennaio del 1819. Il mese dopo Louis Braille metteva piede nei vetusti ed umidi locali dell’edificio che ospitava l’Institution (il vecchio seminario di Saint Firmin fino al 1843, anno nel quale l’Institut venne trasferito nell’odierno e più salubre complesso sito al Boulevard des invalides). Dal suo ingresso nell’Institution Braille visse in internato fino alla sua morte, sicche’ l’Istituto si trasformò nella sua seconda casa, dalla quale egli s’allontanò solo per i soggiorni di vacanza e di riposo trascorsi nella sua Coupvray. Se da un lato l’Istituto gli offrì l’opportunità di raggiungere una notevole preparazione culturale ed un certo prestigio sociale (Braille diventò prima ripetitore e poi professore dell’Institution), dall’altro molto presto la salute del fragile Braille cominciò ad essere irrimediabilmente compromessa dalla prolungata permanenza all’interno dei malsani ambienti del vecchio seminario. Infatti, sia che egli fosse già affetto da tubercolosi quando entrò all’Istituto, sia che, com’è più probabile, abbia contratto la tisi nel seno di quegli insalubri locali, manifestò le prime avvisaglie del terribile morbo intorno all’età di 26 anni e finì con l’andare incontro ad una morte precoce quando aveva solo 43 anni.
All’interno dell’Institution Braille si distinse ben presto per la sua predisposizione allo studio delle lettere e delle scienze, vincendo ogni anno numerosi riconoscimenti e premi. Eccelleva pure per la sua destrezza manuale e per il suo talento musicale. Egli era, soprattutto, un virtuoso organista e suonava (ed accordava ) pure piuttosto bene il pianoforte ed il violoncello.
Ma la memoria della figura di Braille sarà indelebilmente legata all’invenzione del suo metodo di lettura e di scrittura per le persone non vedenti. Il Braille, dalla sua ideazione fino ad oggi, ha rappresentato, infatti, uno strumento indispensabile per l’accesso dei ciechi alla cultura e per il loro inserimento sociale, strappandoli al loro passato di mendicanti per portarli a svolgere con merito le più svariate professioni. Ecco perché Louis Braille si meritò giustamente l’appellativo di “Johan Guttenberg” dei ciechi” ovvero di loro benefattore.
La genesi del Braille affonda le sue radici al già descritto procedimento Barbier. Dopo l’introduzione della sonografia di Barbier presso l’Institut a partire dal 1821, infatti, l’arguto adolescente Braille, incuriosito da quel nuovo sistema, cominciò a farne largo uso, notandone, però, subito degli inconvenienti. Barbier non dovette accettare di buon grado i rilievi mossigli dal giovane Braille, ma questi non demorse e proseguì nella sua opera. Già nel 1825 Braille aveva concepito per grandi linee le sue modifiche al procedimento del vecchio ufficiale, ma si concesse ancora qualche anno di riflessione e sperimentazione per codificare definitivamente il suo metodo nel 1829. In tale anno egli dettò al suo amato direttore, monsieur Pignier, il suo Procédé pour écrir les Paroles, la Musique et le Plain-chant au moyen des points, à l’usage des aveugles et disposé pour eux (Procedimento per scrivere le parole, la musica ed il canto pieno attraverso i punti ad uso dei ciechi e disposto per loro), in cui egli espose per la prima volta il suo nuovo geniale metodo. I motivi che lo avevano indotto a proporre il superamento della metodologia sonografica di Barbier erano: occupare meno spazio per adattarsi meglio alle necessità di una più veloce esplorazione con le dita (infatti Braille fonda il suo procedimento su sei soli punti in rilievo collocati in due colonne verticali parallele da tre punti ciascuna piuttosto che su dodici punti in due colonne da sei; due punti del Braille occupavano lo spazio di un punto del Barbier); poter rappresentare tutti i caratteri dell’alfabeto, sia le lettere semplici che accentate, nonché i segni di punteggiatura, le cifre ed i simboli matematici; poter rappresentare anche le note musicali. Comunque Braille, pur se ventenne, riconobbe apertamente nell’avvertenza alla succitata opera che senza il sistema di scrittura notturna di Barbier non ci sarebbe stato il suo metodo. Infatti, la tavoletta, il righello ed il punteruolo necessari per la scrittura Braille derivano da quelli del Barbier.
Il Procédé del 1829 venne stampato in caratteri lineari in rilievo; poi, quando venne esposto nel 1834, venne stampato pure coi punti in rilievo. Esso conteneva pure una parte finale con l’indicazione di un sistema di rappresentazione stenografica del Braille dotato di soli venti segni (in questo sistema stenografico tre punti del Braille occupavano lo spazio di un punto del Barbier). Tuttavia, Louis Braille si rese conto che nella prima edizione del 1829 vi erano dei piccoli difetti, come, ad esempio il fatto che alcuni segni che indicavano cifre, la punteggiatura e i simboli matematici presentavano dei tratti lisci ovvero delle lineette indistinguibili dai due punti in successione e che, inoltre, al di là delle buone intenzioni, il lavoro del 1829 non aveva ancora formalizzato una vera e propria notazione musicale coi punti in rilievo. Per superare tali problemi Braille redasse una seconda edizione del suo Procedé che venne stampata in rilievo lineare nel 1837. Qui l’autore soppresse i tratti lisci, introdusse il segna-numero e codificò il suo sistema musicale in punti in rilievo. La nuova edizione venne esposta ai Prodotti dell’industria nel 1839. In quest’edizione Braille aggiunse pure la preghiera del Padrenostro, stampata sia coi punti in rilievo che coi caratteri lineari in rilievo, oltre che in francese, pure in latino, italiano, spagnolo, tedesco ed inglese, come primo tentativo di applicare il suo nuovo procedimento ad altre lingue europee. In tale direzione Pignier inviò un esemplare dell’opera di Braille negli Stati Uniti e in diverse città europee (tra le quali Milano e Napoli).
Nel 1839 Braille, infine, si dedicò appassionatamente all’abbattimento di un’altra barriera apparsa prima di lui insormontabile: la possibilità di corrispondenza scritta tra non vedenti e vedenti. Fu così che pubblicò in quell’anno il Nouveau procédé pour représenter par des points la forme même des lettres, les cartes de géographie, les figures de géométrie, les caractères de musique etc., à l’usage des aveugles (Nuovo procedimento per rappresentare attraverso dei punti la forma stessa delle lettere, le carte di geografia, le figure di geometria, i caratteri della musica, ecc, ad uso dei ciechi). In tale lavoro descrisse un sistema che permetteva ai privi della vista, avvalendosi di una tavoletta, di una griglia e di un punteruolo, di comunicare coi vedenti, raffigurando attraverso la combinazione di dieci punti in rilievo la forma delle lettere dell’alfabeto, cosicché esse potevano essere controllate col tatto dalle persone prive della vista e lette da quelle vedenti. Quindi, lavorando al perfezionamento dell’obiettivo di garantire la corrispondenza tra i ciechi ed i vedenti, nel 1841, l’ingegnoso degente dei Quinze-Vingts Pierre-François-Victor Foucault concepì con Braille una macchina (poi chiamata raffigrafo) che scriveva con rapidità e precisione le lettere dell’alfabeto in rilievo.
Negli anni successivi, purtroppo, gli attacchi della tisi si fecero sempre più frequenti e violenti, sicché l’infermo Braille dovette gradualmente ridurre i suoi intensi ritmi di lavoro. La sua salute si aggravava progressivamente di anno in anno, finche’ la malattia se lo portò via dal mondo terreno il 6 gennaio del 1852. Le sue spoglie prima sepolte al cimitero della sua cittadina natale, vennero poi trasferite in occasione del centenario della sua morte nel Pantheon di Parigi, come tributo postumo di gratitudine eterna di tutta la nazione francese al genio del suo illustre figlio, famoso ormai in tutto il mondo. Il metodo di Braille, infatti, dopo le iniziali difficoltà ad imporsi (in quanto considerato, erroneamente, come un mezzo di segregazione del non vedente, piuttosto che di sua integrazione) ebbe il suo primo riconoscimento internazionale al Congresso universale per il miglioramento della sorte dei ciechi e dei sordomuti tenuto a Parigi in occasione dell’Esposizione universale del 1878, quando venne decisa la prima generalizzazione internazionale del metodo Braille originale non modificato. Quindi, seguirono nel 1917 l’adozione del Braille originale pure negli Stati Uniti d’America, nel 1929 il riconoscimento internazionale della Notazione musicale Braille ed, infine, nel 1949, su decisione dell’Unesco, l’uniformità dei vari alfabeti Braille, cosicché esso venne adottato nelle lingue arabe, in quelle orientali e nei dialetti africani, diventando, così, il metodo universale di lettura e di scrittura dei ciechi di tutto il mondo.
Ma chi era veramente Louis Braille? Un’analisi delle già citate lettere private ci permette una conoscenza più circostanziata e ravvicinata dell’uomo privato consegnandoci il ritratto di una persona sensibilissima, umile, caratterizzata da una timidezza e da un pudore forse persino eccessivi.

L’Authority della Tiflologia ed il ruolo definitivo del sostegno, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Queste le proposte della Federazione Pro Ciechi sull’inclusione scolastica.

Nei giorni scorsi è stato pubblicato sui nostri Giornale on line e Corriere Braille un mio “pezzo” dal titolo “Scuola speciale per bambini ciechi? No Grazie!”. In tale articolo, a nome del c.d.a. della Federazione Pro Ciechi, rivolgevo i ringraziamenti più sentiti e fervidi al nostro collega Claudio Cassinelli, Presidente del “glorioso” Chiossone di Genova, per la decisione presa dal “suo” Istituto di fuoriuscire dalla Fondazione Guderzo, dopo l’annuncio da parte della medesima Fondazione di voler realizzare a breve una scuola “speciale” per bambini ciechi.

Infatti, un simile progetto è ritenuto da noi della Federazione un “pericoloso” ritorno al passato e soprattutto una falsa soluzione ed un inganno rispetto ai reali bisogni educativi ed al corretto percorso di crescita di cui necessitano i “ragazzi ciechi”, per dirla alla Romagnoli.

Qualche giorno fa, mi sono poi imbattuto nello stimolante ed, oserei dire, “provocatorio” articolo di Luciano Paschetta pubblicato su Redattore sociale, intitolato “Alunni ciechi? Togliamogli il sostegno e creiamo centri di supporto alla scuola”.

Ebbene, data la delicatezza della questione e poiché si rischia di ingenerare confusione tra i “non addetti ai lavori”, vorrei ricordare, prima che ancora al Prof. Luciano Paschetta, a me stesso ed ai nostri lettori che tali centri di servizio o di supporto alla scuola esistono già in Italia.

Trattasi dei cosiddetti “centri di consulenza tiflodidattica” (c.c.t.), istituiti dalla Federazione Nazionale Delle Istituzioni Pro Ciechi e dalla Biblioteca italiana per i ciechi ai sensi della legge 284 del 1997. I c.c.t. oggi sono 17, sono distribuiti su tutto il territorio nazionale e si prefiggono il compito di fornire consulenza tiflodidattica e di far conoscere gli strumenti ed i materiali tiflodidattici agli insegnanti di sostegno, agli operatori scolastici, ai genitori ed agli alunni della scuola di ogni ordine e grado.

A dire il vero, vi sono altresì le “famose” u.t.c. (unità territoriali di coordinamento), che costituiscono delle strutture regionali di coordinamento tra i c.c.t., i centri autonomi rispetto ai nostri centri di consulenza tiflodidattica, le sezioni provinciali dell’UICI, le ASP e gli Uffici scolastici provinciali e regionali, ossia tra tutte le Agenzie che operano nel territorio a sostegno dell’integrazione scolastica degli studenti minorati della vista.

Dunque, il “vero” problema del sostegno degli allievi disabili visivi in Italia non sta nella mancanza di “centri di supporto” alla scuola, che ci sono e sono anche parecchi, quanto piuttosto nella totale assenza di una “visione d’insieme”, di un fattivo e sinergico collegamento tra di loro, elementi che sarebbero invece indispensabili per un proficuo processo di inclusione dei nostri ragazzi nella scuola di tutti.

Anzi, io sono fortemente persuaso che proprio tale assoluta “scolleganza” in materia di politica scolastica tra l’Unione ciechi ed i suoi enti collegati, tra cui anche l’I.Ri.Fo.R., sia tra le cause principali del nostro attuale “male scolastico” e cioè dell’inadeguata e precaria preparazione e formazione degli operatori che, a vario titolo, si occupano del sostegno degli studenti non vedenti ed ipovedenti.

Consapevole di ciò, il c.d.a. della Federazione Pro Ciechi, (che si onora di avere tra i suoi componenti anche il Dott. Raffaele Ciambrone, Dirigente dell’Ufficio Disabili della Direzione Generale per lo studente del MIUR), nella sua ultima seduta del 27 Gennaio u.s., su proposta del Presidente Nazionale UICI Mario Barbuto, ha deliberato di costituire un coordinamento tra tutti i suoi c.c.t. e quelli della B.I.C., nella convinzione di dover coinvolgere in questo nuovo “organismo” anche le ASP, gli Enti di ricerca e le più prestigiose Facoltà di Scienze della formazione italiane.

Il “lungimirante” ed ambizioso progetto della Pro Ciechi è quello di pervenire entro la fine di quest’Estate alla sottoscrizione di una Convenzione con il MIUR, perché tale coordinamento venga accreditato dal Ministero e riconosciuto ufficialmente come “Authority della Tiflologia”.

L’Authority dovrà avere un suo Direttore Generale ed un “board” (gruppo di lavoro) molto snello, composto da non più di cinque esperti del settore, che saranno deputati a definire il percorso formativo ed il profilo professionale dei “famosi” assistenti alla comunicazione (di cui all’art 13 della legge 104 del 1992) e dei veri e propri “convitati di pietra” del sostegno degli alunni minorati della vista e cioè i Tiflologi!

Oggi, infatti, la “figura” del Tiflologo non esiste per legge e non dispone di un suo apposito albo professionale, così come, d’altra parte, molti “aec” sono improvvisati e sono privi di un’idonea preparazione.

Pertanto, solo con la nascita della sopraccitata “Authority della tiflologia” potremo garantire agli assistenti alla comunicazione ed ai Tiflologi “diritto di cittadinanza” ed un’adeguata formazione, potendo finalmente far impegnare le Regioni (a cui compete l’assistenza scolastica e/o domiciliare) ad “obbligare” gli enti e le cooperative che erogano tale servizio ad avvalersi di tali educatori specializzati.

Altro tema caldo è quello della modesta preparazione e dell’indifferibile ed ineludibile necessità di una maggiore specializzazione dei docenti di sostegno italiani. Infatti, nonostante siano trascorsi quasi quarant’anni dalla “sacrosanta” legge 517, tante sono ancora le ambiguità e le precarietà che connotano il sistema del sostegno in Italia.

Mi riferisco ovviamente all’ambiguità e precarietà del “ruolo” del sostegno. L’insegnante di sostegno ha l’obbligo di restare sul sostegno solo per cinque anni, tra l’altro non necessariamente nella stessa scuola, e non fa parte dell’organico di diritto delle istituzioni scolastiche, ma di un organico provinciale. Tale suo “non ruolo” è il fattore determinante che favorisce la provvisorietà ed occasionalità della scelta degli insegnanti di sostegno, che preferiscono “fuggire” presto da questa “ibrida” classe di concorso per passare invece nei ruoli ordinari di docenza. Tutto ciò naturalmente provoca scarsa motivazione, poco interesse all’aggiornamento da parte dei docenti di sostegno e gravissime ripercussioni per la continuità didattica per i nostri ragazzi.

Di ambiguità e precarietà si può parlare anche relativamente alla funzione dell’insegnante di sostegno. Da uomo della scuola, mi è abbastanza chiaro come i docenti di sostegno non abbiano ancora ben compreso se la loro funzione sia quella di insegnare la disciplina agli alunni privi della vista e verificare i loro apprendimenti in aule spesso “isolate” dalle altre, o piuttosto quella di supportare il consiglio di classe e l’intero contesto scolastico a progettare modelli e percorsi inclusivi a favore dei ragazzi disabili visivi.

Infine, l’ultima e più dannosa ambiguità e precarietà che caratterizza il sistema inclusivo italiano è l’inadeguata e scadente preparazione e formazione dei docenti di sostegno. Dagli opinabili, (seppur apprezzabili) Corsi polivalenti, si è infatti passati ai TFA universitari, contraddistinti dall’eccessiva genericità, dall’essere quindi “generalisti” e poco attenti alle specificità e specialità di ciascuna singola disabilità.

Ora, malgrado tali evidenti e strutturali criticità e carenze del “sistema”, io non credo che togliere il sostegno agli alunni ciechi sia la “panacea” ed il rimedio giusto. Infatti, nonostante tutto, il nostro sistema inclusivo è invidiato un po’ dappertutto e specialmente in Europa, dove ad es. in Germania esistono ancora le scuole “speciali” per ciechi ed in Francia il cosiddetto “sistema misto” non “vince” e convince.

L’attuale sistema del sostegno in Italia non va spazzato via od eliminato tout court, va invece riordinato e riformato. E di questo, secondo quanto riferitoci dal Dott. Ciambrone nel corso dell’ultima seduta del consiglio d’amministrazione della Federazione, si sta discutendo in sede ministeriale a proposito dei vari decreti attuativi della legge de “la buona scuola”, anche tenendo conto della famosa proposta di legge della Fand e della Fish sul sostegno e sull’inclusività.

Tale proposta di legge, che noi della Federazione condividiamo in toto, lo rammento, prevede le seguenti significative novità sul sostegno:

l’obbligo di un semestre di formazione universitaria iniziale per tutti i futuri docenti curricolari; l’obbligo di una apposita nuova specializzazione dei futuri docenti per il sostegno di durata triennale, successiva ad una laurea triennale come avviene per tutti; l’obbligo dell’aggiornamento in servizio sia dei dirigenti scolastici, sia dei docenti curricolari e per il sostegno, che per i collaboratori scolastici e per gli assistenti per l’autonomia e la comunicazione; l’obbligo di alcune ore mensili di programmazione congiunta di tutti i docenti, come da sempre avviene per i docenti di scuola dell’infanzia e primaria e  sino ad oggi assente per i docenti di scuola secondaria; la costituzione di appositi ruoli per il sostegno, distinti per ordine di scuole, dai quali si può uscire solo per passaggio di cattedra.

Due sono, infatti, i punti qualificanti su cui dobbiamo insistere in queste settimane di “intenso” dibattito al MIUR sulla riforma del sostegno e cioè: la formazione di base sulla disabilitàà in genere di tutti i docenti disciplinari e la maggiore specializzazione dei docenti di sostegno con la creazione di un’apposita loro classe di concorso e di un loro “specifico” ruolo.

La formazione di base sulle più disparate tematiche della disabilità (pure quella visiva) di tutti gli insegnanti curricolari è infatti fondamentale per evitare il perverso e fin troppo frequente (a scuola) meccanismo della “delega” dell’alunno minorato della vista al solo docente di sostegno, perché in realtà del processo di inclusione si deve far carico l’intero “contesto”.

Invece, la maggiore specializzazione dell’insegnante di sostegno e la costituzione di un suo ruolo “ordinario” potrà finalmente dotarlo di quelle competenze pedagogiche, didattiche, tecniche e metodologiche (nel caso della cecità e dell’ipovisione conoscenza della Tiflodidattica, della Tifloinformatica e del Braille), capaci di “trasformarlo” in un progettista ed attuatore di modelli inclusivi, volti a rendere efficaci gli insegnamenti e gli apprendimenti degli studenti privi della vista in un ambiente veramente “accogliente”.

Per quanto finora argomentato, la Federazione Nazionale Delle Istituzioni Pro Ciechi ritiene che togliere il sostegno agli alunni ciechi possa lasciare il tempo che trova. Infatti, il sostegno va invece potenziato e riformato, creando un suo ruolo “specifico”.

Solo così potranno essere fugate le tentazioni di ritorni anacronistici alle scuole speciali, garantendo veramente accoglienza ed inclusione a tutti gli alunni con disabilità visiva.