Centro di Documentazione Giuridica: Condominio: legittima l’installazione dell’ascensore esterno senza autorizzazione dell’assemblea, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

La Corte di Cassazione con una recentissima sentenza del 16 maggio u.s. ha dichiarato legittima l’installazione di un ascensore esterno a servizio e a spese di un solo condomino, senza la previa autorizzazione dell’assemblea anche se l’opera non è prevista nel progetto originario dell’edificio.
I giudici di Piazza Cavour, con sentenza n. 10852 del 16 maggio 2014, hanno bocciato il ricorso di una donna contro la decisione della Corte d’Appello che riconosceva la legittimità dell’innovazione realizzata da altro condomino, proprietario di un appartamento nel medesimo edificio.
L’ascensore installato, nel caso di specie, è stato definito dalla suprema Corte, come “funzionale ad assicurare la vivibilità dell’appartamento, e quindi, assimilabile, quanto ai principi volti a garantirne la installazione, agli impianti di luce, acqua, riscaldamento e similari.” Esso dunque è “indispensabile ai fini di una reale abitabilità dell’appartamento, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti l’evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene, salvo l’apprestamento di accorgimenti idonei ad evitare danni alle unità immobiliari altrui (Cass. n. 7752 del 1995; Cass. n. 6885 del 1991; Cass. n. 11695 del 1990)”.
Pertanto, l’installazione di un ascensore o di altri dispositivi atti all’abbattimento delle barriere architettoniche che si frappongono alla concreta fruizione dell’immobile da parte di un proprietario disabile, non costituiscono violazione delle regole dettate dall’art. 1102 del cod.civ. (divieto di alterazione della cosa comune) ma le rendono, per così dire, inoperative.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

 

Centro di Documentazione Giuridica: L’ U.I.C.I. Onlus può richiedere gli elenchi nominativi dei soggetti sottoposti ad accertamenti per il riconoscimento della minorazione visiva, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

Non solo la giurisprudenza del Consiglio di Stato e dei Tar (cfr. ex multis Consiglio di Stato, V Sezione, Sentenza 9 gennaio – 11 maggio 2009, n. 2869, Consiglio di Stato, Sentenza 8 marzo 2011, n. 34311, T.A.R. Calabria – S.S. Reggio Calabria, Sentenza 30 novembre 2010, n. 1584,) ma anche l’INPS con un messaggio del 2011, di cui si riporta il testo integrale, considerata l’importanza dell’argomento, è intervenuto precisando che l’invio da parte delle ASL  e delle Commissioni di verifica dell’INPS alle associazioni di categoria, degli elenchi dei nominativi dei soggetti sottoposti a visita medica, ai sensi dell’articolo 8 della legge 118 del 1971, non viola la tutela della riservatezza dei dati sensibili dei soggetti sottoposti ad accertamento medico-legale.
Come già aveva precisato il Garante della privacy, il diritto dell’ANMIC a ricevere gli elenchi, per esercitare le proprie funzioni di tutela e rappresentanza degli invalidi civili, si coniuga con il diritto alla privacy dei soggetti invalidi attraverso la trasmissione dei soli dati anagrafici di tali soggetti, che non sono dati sensibili, omettendo qualsiasi informativa riguardo ai dati medico-legali. La precisazione dell’Ente di Previdenza sicuramente garantirà una maggiore tutela dei soggetti disabili.
Il Garante per la protezione dei dati personali, con nota 17 settembre 1997, Prot. n. 2786, ha stabilito che ai sensi dell’articolo 8, comma 4, della Legge 118/1971 resta a carico del segretario della Commissione sanitaria provinciale l’obbligo di trasmettere all’ANMIC gli elenchi dei soggetti sottoposti a visita, con l’esclusione, quindi, del relativo stato patologico.
Parimenti l’articolo 11, comma 8, della Legge 382/1970 ha specificato che «il segretario della Commissione provvede, altresì, a trasmettere trimestralmente alla Unione italiana dei ciechi l’elenco dei nominativi dei ciechi civili nei confronti dei quali, nello stesso periodo è stato effettuato l’accertamento oculistico, con l’indicazione dell’esito per ciascuno di essi».
Il Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica – Dipartimento dell’Amministrazione Generale del Personale e dei Servizi del Tesoro – Direzione Centrale degli Uffici Locali e dei Servizi del Tesoro, con circolare n. 40 del 22 febbraio 1999, Prot. n. 00241, ha comunicato che « il Garante per la protezione dei dati personali, in data 17 settembre 1997, si è pronunciato nel senso che la trasmissione degli elenchi prevista dall’art. 8 della citata Legge n. 118/1971 risulta compatibile con la disciplina recata dalla Legge n. 675 del 1996.
La suddetta Autorità, in particolare, ha infatti chiarito che il combinato disposto delle disposizioni normative relative all’ANMIC (Legge n. 458 del 1965, n. 118 del 1971 e D.P.R. n. 915 del 1978) soddisfa i requisiti di specificità richiesti dall’art. 22, comma 3, della richiamata normativa in materia di protezione dei dati personali.
Considerato, quindi, che analoghe disposizioni circa la trasmissione degli elenchi dei soggetti sottoposti a visita rinvengono anche per l’E.N.S. e per l’U.I.C., ne deriva che l’obbligo in questione deve essere adempiuto anche nei riguardi delle menzionate Associazioni.
Resta fermo che, a garanzia del diritto alla riservatezza, negli elenchi di cui trattasi dovrà essere omessa ogni indicazione sulle patologie riscontrate agli interessati in sede di visita medica.
Inoltre, con successiva circolare n. 39 del 26 aprile 2000, Prot. n. 1231, il suddetto Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica ha provveduto a trasmettere alle Commissioni mediche di verifica «il nuovo modello 11 da utilizzare per la trasmissione degli elenchi alle Associazioni di categoria. Tale modello oltre ad essere conforme ai principi enunciati dalla Legge n. 675 del 1996, è stato peraltro predisposto in osservanza delle indicazioni formulate dal Garante con apposito provvedimento del 1 dicembre 1999».
Quanto sopra risulta confermato anche dalla lettera del richiamato Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica del 5 giugno 2000, Prot. n. 01518, indirizzata all’ANMIC, con la quale è stata focalizzata l’attenzione sul fatto che «questa Direzione Centrale, con circolare n. 39 del 26 aprile 2000, ha provveduto, tra l’altro, a predisporre, in conformità alle prescrizioni normative ed alle indicazioni esplicative, apposito modulo per la trasmissione a codesta Associazione nonché all’U.I.C. e all’E.N.S. dei dati dei cittadini sottoposti a visita medica, nel quale verranno riportati progressivamente nominativi ed indirizzi dei medesimi, senza dati ulteriori, come quello sullo stato di invalidità, il quale, come del resto sottolineato dallo stesso Garante nel proprio provvedimento non figura quale informazione oggetto del trattamento di cui al più volte citato art. 8 della legge n. 118/1971».
In merito, il Ministero dell’Interno – Direzione Generale dei Servizi Civili – Servizio Assistenza Economica alle Categorie Protette con nota 4 luglio 2000, Prot. n. 2470/2000/MC/L/675/96, ha assicurato che « si ritiene di condividere il parere compiutamente espresso dal Dicastero del Tesoro con la nota 01518 del 5 giugno u.s. in conformità altresì alle prescrizioni impartite dal Garante per la protezione dei dati personali con provvedimento in data 1 dicembre 1999». Inoltre, il Ministero della Sanità – Dipartimento della Prevenzione – Ufficio IV, con lettera 18 ottobre 2000, Prot. n. DPV 4/H-D/687, diretta agli Assessorati alla Sanità delle Regioni e delle Province Autonome, ha ripetuto che « permane l’obbligo di trasmissione all’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili (ANMIC), nonché alle altre Associazioni regolate da analoghe norme (Unione Italiana Ciechi ed Ente Nazionale Sordomuti), degli elenchi degli invalidi sottoposti a visita dalle Commissioni mediche ASL». Nella stessa lettera il Ministero ha tenuto a precisare ulteriormente che «i suddetti elenchi devono contenere esclusivamente nome, cognome e indirizzo dei soggetti visitati». La più volte richiamata circolare n. 39 del Ministero del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica ha, fra l’altro, posto in evidenza che « la comunicazione di tali dati potrà essere ritenuta lecita solo a seguito della valutazione della sua stretta necessità rispetto alla finalità pubblica perseguita dalle competenti Amministrazioni».
Il diritto alla trasmissione degli elenchi nominativi dei soggetti sottoposti a visita di cui le Associazioni di categoria possono usufruire è legittimato anche dall’articolo 86 del Decreto legislativo 196/2003, sulla tutela della privacy (Testo Unico sulla privacy), in base al quale il trattamento di dati sensibili e giudiziari è da mettere in relazione «alle attività amministrative correlate all’applicazione della disciplina in materia di: assistenza, integrazione sociale e diritti delle persone handicappate effettuati, in particolare, al fine di:
1) accertare l’handicap ed assicurare la funzionalità dei servizi terapeutici e riabilitativi, di aiuto personale e familiare, nonché interventi economici integrativi ed altre agevolazioni;
2) curare l’integrazione sociale, l’educazione, l’istruzione e l’informazione alla famiglia del portatore di handicap, nonché il collocamento obbligatorio nei casi previsti dalla legge;
3) realizzare delle comunità-alloggio e centri socio riabilitativi; ».
Inoltre il Garante per la protezione dei dati personali, con provvedimento 21 marzo 2007 sulle attestazioni per il riconoscimento dell’invalidità civile, al punto 3.2 ha ribadito che in attuazione dei principi di pertinenza, non eccedenza ed indispensabilità, nelle certificazioni rilasciate dalle aziende sanitarie locali «non risulta indispensabile indicare i dati personali relativi alla diagnosi accertata in sede di visita medica ».
Inoltre anche l’art. 24 comma 6 della legge 183 del 4 novembre 2010 ribadisce tale diritto ed infatti dispone che :“Rimangono fermi gli obblighi previsti dal secondo comma dell’articolo 6 della legge 26 maggio 1970, n. 381, dall’ottavo comma dell’articolo 11 della legge 27 maggio 1970, n. 382, e dal quarto comma dell’articolo 8 della legge 30 marzo 1971, n. 118, concernenti l’invio degli elenchi delle persone sottoposte ad accertamenti sanitari, contenenti soltanto il nome, il cognome e l’indirizzo, rispettivamente all’Ente nazionale per la protezione e l’assistenza dei sordi, all’Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti e all’Associazione nazionale dei mutilati e invalidi civili.”
Infine qui di seguito riporto il testo integrale del messaggio n. 15941 del 4 agosto 2011 dell’INPS, con cui l’ente ha ribadito il diritto dell’U.I.C.I. Onlus e delle altre associazioni di categoria, di disporre dei predetti elenchi richiamando la normativa sopra citata e ha esortato le strutture periferiche a trasmettere prontamente tali elenchi onde evitare inutili contenziosi.
Caserta lì, 20 giugno 2014.
Avv. Paolo Colombo

 
Messaggio Inps numero 15941 del 4 agosto 2011
Invio degli elenchi delle persone sottoposte ad accertamenti sanitari nell’ambito del procedimento di riconoscimento delle minorazioni civili all’Ente nazionale per la protezione e l’assistenza dei sordi, all’Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti e all’Associazione nazionale dei mutilati e invalidi civili.
Direzione Generale

Direzione Centrale Sistemi Informativi e Tecnologici
Roma, 04-08-2011
Messaggio n. 15941

 

OGGETTO: Invio degli elenchi delle persone sottoposte ad accertamenti sanitari nell’ambito del procedimento di riconoscimento delle minorazioni civili all’Ente nazionale per la protezione e l’assistenza dei sordi, all’Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti e all’Associazione nazionale dei mutilati e invalidi civili.

Le Associazioni ANMIC – Associazione nazionale dei mutilati e invalidi civili, UIC – Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti ed ENS – Ente nazionale per la protezione e l’assistenza dei sordi hanno, come noto presentato in più occasioni richieste finalizzate ad ottenere la trasmissione da parte dell’Istituto degli elenchi dei soggetti sottoposti a visita nell’ambito dei procedimenti di riconoscimento rispettivamente dell’invalidità civile, della cecità civile e della sordità civile,  si rappresenta quanto segue.
Il diritto delle Associazioni citate a disporre dei menzionati elenchi trova fondamento in particolare nell’art. 6, comma 2 della legge n. 381/1970, che  detta la disciplina della  trasmissione in favore dell’ENS, nell’art. 11, comma 8 della legge n. 382/1970 che tratta in favore dell’UIC, e nell’art. 8, comma 4, della legge n. 118/1971, quest’ultima in favore dell’ANMIC.
Tali norme – la cui vigenza è stata da ultimo confermata dall’art.24, ultimo comma, della legge 24 novembre 2010, n.183 – fissano l’obbligo di trasmissione in discorso in capo alle Commissioni sanitarie provinciali, deputate all’accertamento dei requisiti sanitari dei soggetti interessati.
Le funzioni di dette  Commissioni, per quanto disposto dalla legge 15 ottobre 1990, n. 295, sono state poi attribuite alle Commissioni mediche delle Aziende sanitarie locali.
L’articolo 20, comma 1, del decreto legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, nel riformare il sistema di accertamento dell’invalidità civile, ha ripartito tali competenze tra le Commissioni ASL e le Commissioni INPS , riservando  una funzione generale di controllo alle Commissioni mediche INPS (Commissioni istituite presso le UOC/UOS medico-legali e Commissione Medica Superiore), per la definitività degli accertamenti effettuati.
In considerazione del nuovo assetto delle competenze  si è, quindi, resa necessaria una verifica in ordine alla titolarità dell’obbligo di trasmissione degli elenchi in oggetto alle citate Associazioni.
In tale contesto è, nel frattempo, intervenuto il Consiglio di Stato con la sentenza n. 3431 del 2011, depositata lo scorso 7 giugno, che, nell’ambito dello specifico contenzioso inerente la Sede di Reggio Calabria, ha affermato il diritto della sede locale dell’ANMIC a ricevere gli elenchi in oggetto da parte della Direzione provinciale INPS. Per l’effetto, è stato ordinato alla Sede di Reggio Calabria di trasmettere all’ANMIC, ai sensi dell’art. 8 della Legge n.118/71, gli elenchi degli invalidi civili sottoposti a visita dalla Commissione medica di verifica di 2a istanza e dalla Commissione medica Superiore di verifica.

Tale decisione chiude definitivamente per l’Istituto la questione aperta presso la Sede di Reggio Calabria, relativa alla trasmissione degli elenchi degli invalidi civili.

Alla luce del descritto contesto normativo e giurisprudenziale, l’Istituto ritiene necessario ed opportuno, al fine di evitare il proliferare di un contenzioso che lo vedrebbe soccombente anche in altre sedi, uniformare la propria linea di comportamento su tutto il territorio nazionale, disponendo  pertanto la trasmissione di tali elenchi all’ANMIC.
Inoltre, considerato che la trasmissione degli elenchi è normativamente riconosciuta anche con riguardo all’Ente nazionale per la protezione ed assistenza dei sordi e all’Unione Italiana dei ciechi e degli ipovedenti, al fine di evitare l’instaurarsi di analogo contenzioso con tali associazioni di categoria, viene stabilita nei loro confronti la medesima linea di comportamento.
Pertanto, tenuto conto altresì di un conforme parere del Coordinamento Generale Legale, a breve si darà avvio alla trasmissione alle Associazioni di cui sopra degli elenchi di pertinenza,  relativi ai soggetti sottoposti ad accertamenti sanitari dalle Commissioni mediche operanti presso le Unità operative semplici/unità operative complesse medico legali e dalla Commissione medica superiore nell’ambito delle procedure per il riconoscimento dell’esistenza  e/o della permanenza dei requisiti sanitari di invalidità civile, sordità civile, cecità civile e sordocecità.
Tali elenchi comprendono il nome, cognome e l’indirizzo dei soggetti interessati, così come espressamente previsto dall’art. 24, ultimo comma, della legge 24 novembre 2010, n.183.

Per garantire la celerità e, allo stesso tempo, la sicurezza delle comunicazioni in argomento, l’invio degli elenchi sarà effettuato a mezzo posta elettronica certificata, a cura della Direzione centrale sistemi informativi e tecnologici, utilizzando i dati presenti nelle procedure informatiche di gestione dell’invalidità civile e i contenuti testuali indicati in allegato.
Gli elenchi saranno trasmessi, con cadenza mensile, ai seguenti indirizzi di posta elettronica certificata:
–      protocollo@pec.ens.it (E.N.S. – Ente nazionale per la protezione e l’assistenza dei sordi), per ciò che concerne le persone sottoposte ad accertamenti sanitari di sordità civile e di sordocecità;
–      archivio@pec.uiciechi.it (U.I.C. – Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti), per ciò che concerne le persone sottoposte ad accertamenti sanitari di cecità civile e di sordocecità;
–      anmic.presidenza@postecert.it (A.N.M.I.C. – Associazione nazionale dei mutilati e invalidi civili), per ciò che concerne le persone sottoposte ad accertamenti sanitari di invalidità civile.
In alternativa all’invio a mezzo posta elettronica certificata, la trasmissione degli elenchi potrà avvenire – sempre con cadenza mensile e nel rispetto delle esigenze di celerità e di sicurezza delle comunicazioni – mediante l’utilizzo di un sistema di trasferimento dati del tipo FTP (File transfer protocol), secondo specifiche modalità da concordare tra la Direzione centrale sistemi informativi e tecnologici e le Sedi centrali delle Associazioni.
Quanto sopra sarà portato a conoscenza delle Sedi centrali delle Associazioni, mentre le Direzioni in indirizzo sono invitate a favorire la diffusione dell’informazione a livello locale.
Il Direttore Generale
Nori

a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

Centro di Documentazione Giuridica: Linee guida sulla riforma del Terzo Settore, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

E’ stata finalmente avviata la “rivoluzione” del Terzo settore”. Il Governo Renzi ha enunciato rendendole pubbliche le linee guida della riforma che non sarà “blindata” ma aperta alla consultazione online, che è già partita il 13 maggio e si concluderà il 13 giugno 2014, con la predisposizione di un disegno di legge delega da portare in Consiglio dei ministri il 27 giugno prossimo.
In un documento di sette pagine, pubblicato sul sito del Governo, di cui si riporta il testo integrale, è stata delineata l’idea di Terzo settore, che in realtà, “è il primo”.
Secondo il premier Renzi il profit e non profit possono oggi “declinarsi in modo nuovo e complementare per rafforzare i diritti di cittadinanza attraverso la costruzione di reti solidali nelle quali lo Stato, le Regioni e i Comuni e le diverse associazioni e organizzazioni del terzo settore collaborino in modo sistematico per elevare i livelli di protezione sociale, combattere le vecchie e nuove forme di esclusione e consentire a tutti i cittadini di sviluppare le proprie potenzialità”.
La riforma si prefigge il raggiungimento di tre obiettivi principali:
1. La costituzione di un nuovo welfare di marcato spessore partecipativo, capace di valorizzare lo straordinario potenziale di crescita e occupazione dell’economia sociale e delle attività svolte dal Terzo settore e di “premiare in modo sistematico con adeguati incentivi e strumenti di sostegno tutti i comportamenti donativi” dei cittadini e delle imprese.
2. Potenziare il 5 per mille – importante forma di sostegno al non profit – eliminando tra l’altro il tetto massimo di spesa, semplificando le procedure e obbligando i beneficiari a pubblicare online i propri bilanci.
3. Riformare il Codice Civile, nella parte che riguarda gli enti del non profit; aggiornare la legge 266 del 1991 sul volontariato; rivedere la legge 383 del 2000 sulle associazioni di promozione sociale; istituire una Authority del Terzo Settore.
Con l’attuazione di tali punti riformatori si farà decollare l’impresa sociale, promuovendone tra l’altro il relativo fondo, ampliando le categorie di lavoratori svantaggiati, riconoscendo le coop sociali come imprese sociali di diritto. Ancora, dare stabilità e ampliare le forme di sostegno economico, pubblico e privato, degli enti del terzo settore.
Si ridisegnerà, dunque, in modo più chiaro l’identità, non solo giuridica, del terzo settore, specificando meglio i confini tra volontariato e cooperazione sociale, tra associazionismo di promozione sociale e impresa sociale, dando inoltre stabilità e ampliamento alle le forme di sostegno economico, pubblico e privato, degli enti del terzo settore, assicurando la trasparenza, eliminando contraddizioni e ambiguità e fugando i rischi di elusione.

Particolare interesse è la riforma del Servizio civile contenuta nel testo, che con il ddl del 27 giugno, sarà universale, durerà 8 mesi e sarà aperto anche agli stranieri.
Il Governo Renzi propone una modifica all’attuale istituto del Servizio civile. Sarà universale per i giovani tra i 18 e i 29 anni, e accessibile anche agli stranieri.
La differenza rispetto al servizio civile attuale, è che i giovani potranno prestare la propria opera presso tutte le associazioni di volontariato e del Terzo settore in generale non solo presso quelle accreditate.
Nella proposta di riforma del governo il nuovo Servizio civile universale dovrà essere “garantito ai giovani che lo richiedono” e intendano “confrontarsi con l’impegno civile, per la formazione di una coscienza pubblica e civica”. Nel progetto di riforma si prevede l’impiego massimo di 100.000 giovani all’anno per il primo triennio dall’istituzione del Servizio.
I tempi di servizio si ridurranno dagli attuali 12 mesi ad otto eventualmente prorogabili per altri quattro, ciò per consentire ai giovani una esperienza significativa ma che non li tenga bloccati per troppo tempo.
Chi presterà il servizio civile non riceverà più la retribuzione, ma dei benefit analoghi ai crediti formativi universitari; ai tirocini universitari e professionali. Tali benefit riconosceranno al volontario le competenze acquisite durante l’espletamento del servizio.
Si prevede inoltre la stipula di accordi tra le Regioni e le Province autonome con le Associazioni di categorie degli imprenditori, con le associazioni delle cooperative e del terzo settore per facilitare il futuro ingresso sul mercato del lavoro dei volontari e per realizzare tirocini o corsi di formazione
Interessante è anche la possibilità di prestare il servizio in uno dei Paesi dell’Unione Europea avente il Servizio Civile volontario in regime di reciprocità.
Questa proposta di riforma è molto simile a quella presentata dall’U.I.C.I. Onlus nei mesi scorsi ed è senz’altro da valutare positivamente.
Invece ad avviso di chi scrive occorre prestare molta attenzione ai punti 8 e 26 delle linee guida di riforma. Essi sembrano aprire la strada a che le indennità di accompagnamento vengano sostituite da forniture di voucher. Tale possibilità è da valutare negativamente in quanto limiterebbe la libertà di scelta e l’efficacia dell’assistenza e di fatto creerebbe un concreto ostacolo all’inclusione sociale delle persone disabili.
Caserta, lì 29 maggio 2014.
Avv. Paolo Colombo

 

Linee guida per una Riforma del Terzo Settore
Esiste un’Italia generosa e laboriosa che tutti i giorni opera silenziosamente per migliorare la qualità della vita delle persone.
E’ l’Italia del volontariato, della cooperazione sociale, dell’associazionismo no?profit, delle fondazioni e delle imprese sociali.
Lo chiamano terzo settore, ma in realtà è il primo.
Un settore che si colloca tra lo Stato e il mercato, tra la finanza e l’etica, tra l’impresa e la cooperazione, tra l’economia e l’ecologia, che dà forma e sostanza ai principi costituzionali della solidarietà e della sussidiarietà. E che alimenta quei beni relazionali che, soprattutto nei momenti di crisi, sostengono la coesione sociale e contrastano le tendenze verso la frammentazione e disgregazione del senso di appartenenza alla comunità nazionale.
E’ a questo variegato universo, capace di tessere e riannodare i fili lacerati del tessuto sociale, alimentando il capitale più prezioso di cui dispone il Paese, ossia il capitale umano e civico, che il Governo intende rivolgersi formulando, dopo un dibattito che si trascina ormai da troppi anni, le linee guida per una revisione organica della legislazione riguardante il terzo settore.
Anche in questo caso, vogliamo fare sul serio.
Per realizzare il cambiamento economico, sociale, culturale e istituzionale di cui il Paese ha bisogno è necessario che tutte le diverse componenti della società italiana convergano in un grande sforzo comune. Il mondo del terzo settore può fornire un contributo determinante a questa impresa, per la sua capacità di essere motore di partecipazione e di autorganizzazione dei cittadini, coinvolgere le persone, costruire legami sociali, mettere in rete risorse e competenze, sperimentare soluzioni innovative.
Noi crediamo che profit e non profit possano oggi declinarsi in modo nuovo e complementare per rafforzare i diritti di cittadinanza attraverso la costruzione di reti solidali nelle quali lo Stato, le Regioni e i Comuni e le diverse associazioni e organizzazioni del terzo settore collaborino in modo sistematico per elevare i livelli di protezione sociale, combattere le vecchie e nuove forme di esclusione e consentire a tutti i cittadini di sviluppare le proprie potenzialità.
Tra gli obiettivi principali vi è quello di costruire un nuovo Welfare partecipativo, fondato su una governance sociale allargata alla partecipazione dei singoli, dei corpi intermedi e del terzo settore al processo decisionale e attuativo delle politiche sociali, al fine di ammodernare le modalità di organizzazione ed erogazione dei servizi del welfare, rimuovere le sperequazioni e ricomporre il rapporto tra Stato e cittadini, tra pubblico e privato, secondo principi di equità, efficienza e solidarietà sociale.

Un secondo obiettivo è valorizzare lo straordinario potenziale di crescita e occupazione insito nell’economia sociale e nelle attività svolte dal terso settore, che, a ben vedere, è l’unico comparto che negli anni della crisi ha continuato a crescere, pur mantenendosi ancora largamente al di sotto, dal punto di vista dimensionale, rispetto alle altre esperienze internazionali. Esiste dunque un tesoro inestimabile, ancora non del tutto esplorato, di risorse umane, finanziarie e relazionali presenti nei tessuti comunitari delle realtà territoriali che un serio riordino del quadro regolatorio e di sostegno può liberare in tempi brevi a beneficio di tutta la collettività, per rispondere agli attuali bisogni del secondo welfare e generare nuove opportunità di lavoro e di crescita professionale.
Il terzo obiettivo della riforma è di premiare in modo sistematico con adeguati incentivi e strumenti di sostegno tutti i comportamenti donativi o comunque prosociali dei cittadini e delle imprese, finalizzati a generare coesione e responsabilità sociale.

Per realizzare questi obiettivi, le nostre linee guida sono le seguenti:
? Ricostruire le fondamenta giuridiche, definire i confini e separare il grano dal loglio. Per superare le vecchie dicotomie tra pubblico/ privato e Stato/mercato e passare da un ordine civile bipolare a un assetto “tripolare”, dobbiamo definire in modo compiuto e riconoscere i soggetti privati sotto il profilo della veste giuridica, ma pubblici per le finalità di utilità e promozione sociale che perseguono. Abbiamo inoltre bisogno di delimitare in modo più chiaro l’identità, non solo giuridica, del terzo settore, specificando meglio i confini tra volontariato e cooperazione sociale, tra associazionismo di promozione sociale e impresa sociale, meglio inquadrando la miriade di soggetti assai diversi fra loro che nel loro insieme rappresentano il prodotto della libera iniziativa dei cittadini associati per perseguire il bene comune. Occorre però anche sgomberare il campo da una visione idilliaca del mondo del privato sociale, non ignorando che anche in questo ambito agiscono soggetti non sempre trasparenti che talvolta usufruiscono di benefici o attuano forme di concorrenza utilizzando spregiudicatamente la forma associativa per aggirare obblighi di legge.
? Valorizzare il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale.
L’azione diretta dei pubblici poteri e la proliferazione di enti e organismi pubblici operanti nel sociale si è rivelata spesso costosa e inefficiente. Nel sistema di governo multilivello che caratterizza il nostro Paese l’autonoma iniziativa dei cittadini per realizzare concretamente la tutela dei diritti civili e sociali garantita dalla Costituzione deve essere quanto più possibile valorizzata. In un quadro di vincoli di bilancio, dinanzi alle crescenti domande di protezione sociale abbiamo bisogno di adottare nuovi modelli di assistenza in cui l’azione pubblica possa essere affiancata in modo più incisivo dai soggetti operanti nel privato solidale. Pubblica amministrazione e terzo settore devono essere le due gambe su cui fondare una nuova welfare society.
? Far decollare davvero l’impresa sociale, per arricchire il panorama delle istituzioni economiche e sociali del nostro Paese dimostrando che capitalismo e solidarietà possono abbracciarsi in modo nuovo attraverso l’affermazione di uno spazio imprenditoriale non residuale per le organizzazioni private che, senza scopo di lucro, producono e scambiano in via continuativa beni e servizi per realizzare obiettivi di interesse generale.

Assicurare una leva di giovani per la “difesa della Patria” accanto al servizio
militare: un Servizio Civile Nazionale universale, come opportunità di servizio alla comunità e primo approccio all’inserimento professionale, aperto ai giovani dai 18 ai 29 anni che desiderino confrontarsi con l’impegno civile, per la formazione di una coscienza pubblica e civica.
? Dare stabilità e ampliare le forme di sostegno economico, pubblico e privato, degli enti del terzo settore, assicurando la trasparenza, eliminando contraddizioni e ambiguità e fugando i rischi di elusione.
Ciascuna di queste linee guida richiede interventi concreti.
Ne indichiamo alcuni, su cui il Governo intende ascoltare la voce dei protagonisti, prima di intervenire con l’adozione di un disegno di legge delega da attuare in tempi brevi per un complessivo riordino del terzo settore.
I punti su cui vogliamo lavorare.
? Ricostruire le fondamenta giuridiche, definire i confini e separare il grano dal
loglio
1) riformare il Libro I Titolo II del Codice Civile, anche alla luce dell’articolo 118 della Costituzione, introducendo o rivisitando le norme in materia di:
? costituzione degli enti e valorizzazione della loro autonomia statutaria con specifico riguardo a quelli privi di personalità giuridica;
? requisiti sostanziali degli enti non profit ed eventuali limitazioni di attività;
? struttura di governance, affermando pienamente il principio democratico e partecipativo negli organi sociali;
? responsabilità degli organi di governo e obblighi di trasparenza e di comunicazione economica e sociale rivolti all’esterno;
? semplificazione e snellimento delle procedure per il riconoscimento della personalità giuridica, anche attraverso la digitalizzazione telematica delle pratiche;
? diversificazione dei modelli organizzativi in ragione della dimensione economica dell’attività svolta, dell’utilizzazione prevalente o comunque rilevante di risorse pubbliche e del coinvolgimento della fede pubblica;
? criteri per la gestione economica degli enti non profit;
? forme di controllo e accertamento dell’autenticità sostanziale dell’attività realizzata;
regime di contabilità separata tra attività istituzionale e imprenditoriale;
? codificazione dell’impresa sociale.
2) aggiornamento della legge 266/91 sul Volontariato, sulla base dei seguenti criteri:
? formazione alla cittadinanza del volontariato nella scuola;
? riconoscimento delle reti di volontariato di secondo livello;
? revisione del sistema degli albi regionali e istituzione del registro nazionale;
? ridefinizione dei compiti e delle modalità di funzionamento
dell’Osservatorio nazionale;
? riduzione degli adempimenti burocratici e introduzione di modalità adeguate e unitarie di rendicontazione economica e sociale;
? introduzione di criteri più trasparenti nel sistema di affidamento in convenzione dei servizi al volontariato;
? promozione e riorganizzazione del sistema dei centri di servizio quali strumenti di sostegno e supporto alle associazioni di volontariato;
3) revisione della legge 383/2000 sulle Associazioni di promozione sociale al fine
di:
? razionalizzare le modalità di iscrizione ai registri;
? ridefinire l’Osservatorio Nazionale dell’Associazionismo;
? una migliore definizione delle modalità di selezione delle iniziative e dei progetti di formazione e sviluppo;
? armonizzare il regime delle agevolazioni fiscali rispetto a quello di altre categorie di enti non profit;
4) istituzione di una Authority del terzo settore;
5) coordinamento tra la disciplina civilistica, le singole leggi speciali e la disciplina fiscale, con la redazione di un Testo unico del terzo settore;
? Valorizzare il principio di sussidiarietà verticale e orizzontale
6) aggiornamento della legge 328/2000 con riferimento alla programmazione e gestione dei servizi sociali ai fini della definizione di nuovi criteri e moduli operativi per assicurare la collaborazione degli enti no profit alla programmazione e non solo dell’esecuzione delle politiche pubbliche a livello territoriale;
7) revisione dei requisiti per l’autorizzazione/accreditamento delle strutture e dei servizi sociali e delle procedure di affidamento per l’erogazione dei servizi sociali da parte degli enti locali ad organizzazioni del terzo settore;
8) introduzione di incentivi per la libera scelta dell’utente a favore delle imprese sociali mediante deduzioni o detrazioni fiscali oppure mediante voucher;
? Far decollare l’impresa sociale
9) superamento della qualifica opzionale di impresa sociale, rendendo non facoltativa, ma obbligatoria l’assunzione dello status di impresa sociale per tutte le
organizzazioni che ne abbiano le caratteristiche;
10) ampliamento delle “materie di particolare rilievo sociale” che definiscono l’attività di impresa sociale;
11) ampliamento delle categorie di lavoratori svantaggiati;
12) previsione di forme limitate di remunerazione del capitale sociale;
13) riconoscimento delle cooperative sociali come imprese sociali di diritto senza necessità di modifiche statutarie e semplificazione delle modalità di formazione e presentazione del bilancio sociale, pur mantenendone l’obbligatorietà;
14) armonizzazione delle agevolazioni e dei benefici di legge riconosciuti alle diverse forme del non profit;
15) promozione del Fondo per le imprese sociali e sostegno alla rete di finanza etica;
? Assicurare una leva di giovani per la “difesa della Patria” accanto al servizio militare: il Servizio Civile Nazionale universale, da disciplinare sulla base dei seguenti criteri:
16) garantire ai giovani che lo richiedono di poter svolgere il Servizio Civile Universale, fino ad un massimo di 100.000 giovani all’anno per il primo triennio dall’istituzione del Servizio;
17) tempi di servizio in linea con la velocità delle trasformazioni che permettano ai giovani di fare una esperienza significativa che non li tenga bloccati per troppo tempo (8 mesi eventualmente prorogabili di 4 mesi);
18) partecipazione degli stranieri al SCN;
19) previsione di benefit per i volontari, quali: crediti formativi universitari; tirocini universitari e professionali; riconoscimento delle competenze acquisite durante l’espletamento del servizio;
20) stipula di accordi di Regioni e le Province autonome con le Associazioni di categorie degli imprenditori, associazioni delle cooperative e del terzo settore per facilitare l’ingresso sul mercato del lavoro dei volontari, la realizzazione di tirocini o di corsi di formazione per i volontari;
21) possibilità di un periodo di servizio in uno dei Paesi dell’Unione Europea avente il Servizio Civile volontario in regime di reciprocità;
? Dare stabilità e ampliare le forme di sostegno economico, pubblico e privato, degli enti del terzo settore, attraverso:
22) il riordino e l’armonizzazione delle diverse forme di fiscalità di vantaggio per gli enti del terzo settore, con riferimento ai regimi sia delle imposte dirette che indirette, anche al fine di meglio chiarire la controversa accezione di “modalità non commerciale”;
23) il potenziamento del 5 per mille, prevedendo:
? la revisione della platea e l’identificazione stabile dei soggetti beneficiari e il loro inserimento in un elenco liberamente consultabile;
? la possibilità di destinare il 5 per mille non solo dell’Irpef, ma anche delle imposte sostitutive per i contribuenti cosiddetti “minimi”;
? l’obbligo, per i soggetti beneficiari, di pubblicare on line i propri bilanci utilizzando uno schema standard, trasparente e di facile comprensione;
? l’eliminazione del tetto massimo di spesa, onde evitare che il 5 per mille si riveli in realtà il 4 per mille o anche meno;
? la semplificazione delle procedure amministrative a valle del calcolo dei contributi
spettanti a ciascun beneficiario, così da superare gli attuali tempi di erogazione
delle quote spettanti;
24) la promozione dei titoli di solidarietà già previsti dal D.Lgs. 460/97;
25) l’allargamento della platea dei beneficiari dell’equity crowdfunding ad oggi limitato alle sole start up;
26) una disciplina sperimentale del “voucher universale per i servizi alla persona e alla famiglia”, come strumento di infrastrutturazione del “secondo welfare”;
27) la definizione di un trattamento fiscale di favore per “titoli finanziari etici”, così da premiare quei cittadini che investono nella finanza etica i loro risparmi;
28) l’introduzione di nuove modalità per assegnare alle organizzazioni di terzo settore in convenzione d’uso immobili pubblici inutilizzati;
29) la riforma dell’attuale meccanismo di destinazione e assegnazione dei beni mobili e immobili confiscati alla criminalità organizzata, ai fini di un maggiore coinvolgimento degli enti del terzo settore nella gestione dei beni medesimi e per il consolidamento e lo sviluppo di iniziative di imprenditorialità sociale.

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Su tutte queste proposte, ci piacerebbe conoscere le opinioni di chi con altruismo opera tutti giorni nel terzo settore, così come di tutti gli stakeholder e i cittadini sostenitori o utenti finali degli enti del no?profit.
Per inviare le Vostre proposte e i Vostri suggerimenti, scriveteci all’indirizzo terzosettorelavoltabuona@lavoro.gov.it .
La consultazione sarà aperta dal 13 maggio al 13 giugno 2014. Nelle due settimane successive il Governo predisporrà il disegno di legge delega che sarà approvato dal Consiglio dei Ministri il giorno 27 giugno 2014.

a cura di Paolo Colombo

Centro di Documentazione Giuridica: Linee guida sulla riforma del terzo settore, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

E’ stata finalmente avviata la “rivoluzione” del Terzo settore”. Il Governo Renzi ha enunciato rendendole pubbliche le linee guida della riforma che non sarà “blindata” ma aperta alla consultazione online, che è già partita il 13 maggio e si concluderà il 13 giugno 2014, con la predisposizione di un disegno di legge delega da portare in Consiglio dei ministri il 27 giugno prossimo.
In un documento di sette pagine, pubblicato sul sito del Governo, di cui si riporta il testo integrale, è stata delineata l’idea di Terzo settore, che in realtà, “è il primo”.
Secondo il premier Renzi il profit e non profit possono oggi “declinarsi in modo nuovo e complementare per rafforzare i diritti di cittadinanza attraverso la costruzione di reti solidali nelle quali lo Stato, le Regioni e i Comuni e le diverse associazioni e organizzazioni del terzo settore collaborino in modo sistematico per elevare i livelli di protezione sociale, combattere le vecchie e nuove forme di esclusione e consentire a tutti i cittadini di sviluppare le proprie potenzialità”.
La riforma si prefigge il raggiungimento di tre obiettivi principali:
La costituzione di un nuovo welfare di marcato spessore partecipativo, capace di valorizzare lo straordinario potenziale di crescita e occupazione dell’economia sociale e delle attività svolte dal Terzo settore e di “premiare in modo sistematico con adeguati incentivi e strumenti di sostegno tutti i comportamenti donativi” dei cittadini e delle imprese.
Potenziare il 5 per mille – importante forma di sostegno al non profit – eliminando tra l’altro il tetto massimo di spesa, semplificando le procedure e obbligando i beneficiari a pubblicare online i propri bilanci.
Riformare il Codice Civile, nella parte che riguarda gli enti del non profit; aggiornare la legge 266 del 1991 sul volontariato; rivedere la legge 383 del 2000 sulle associazioni di promozione sociale; istituire una Authority del Terzo Settore.
Con l’attuazione di tali punti riformatori si farà decollare l’impresa sociale, promuovendone tra l’altro il relativo fondo, ampliando le categorie di lavoratori svantaggiati, riconoscendo le coop sociali come imprese sociali di diritto. Ancora, dare stabilità e ampliare le forme di sostegno economico, pubblico e privato, degli enti del terzo settore.
Si ridisegnerà, dunque, in modo più chiaro l’identità, non solo giuridica, del terzo settore, specificando meglio i confini tra volontariato e cooperazione sociale, tra associazionismo di promozione sociale e impresa sociale, dando inoltre stabilità e ampliamento alle le forme di sostegno economico, pubblico e privato, degli enti del terzo settore, assicurando la trasparenza, eliminando contraddizioni e ambiguità e fugando i rischi di elusione.

Particolare interesse è la riforma del Servizio civile contenuta nel testo, che con il ddl del 27 giugno, sarà universale, durerà 8 mesi e sarà aperto anche agli stranieri.
Il Governo Renzi propone una modifica all’attuale istituto del Servizio civile. Sarà universale per i giovani tra i 18 e i 29 anni, e accessibile anche agli stranieri.
La differenza rispetto al servizio civile attuale, è che i giovani potranno prestare la propria opera presso tutte le associazioni di volontariato e del Terzo settore in generale non solo presso quelle accreditate.
Nella proposta di riforma del governo il nuovo Servizio civile universale dovrà essere “garantito ai giovani che lo richiedono” e intendano “confrontarsi con l’impegno civile, per la formazione di una coscienza pubblica e civica”. Nel progetto di riforma si prevede l’impiego massimo di 100.000 giovani all’anno per il primo triennio dall’istituzione del Servizio.
I tempi di servizio si ridurranno dagli attuali 12 mesi ad otto eventualmente prorogabili per altri quattro, ciò per consentire ai giovani una esperienza significativa ma che non li tenga bloccati per troppo tempo.
Chi presterà il servizio civile non riceverà più la retribuzione, ma dei benefit analoghi ai crediti formativi universitari; ai tirocini universitari e professionali. Tali benefit riconosceranno al volontario le competenze acquisite durante l’espletamento del servizio.
Si prevede inoltre la stipula di accordi tra le Regioni e le Province autonome con le Associazioni di categorie degli imprenditori, con le associazioni delle cooperative e del terzo settore per facilitare il futuro ingresso sul mercato del lavoro dei volontari e per realizzare tirocini o corsi di formazione
Interessante è anche la possibilità di prestare il servizio in uno dei Paesi dell’Unione Europea avente il Servizio Civile volontario in regime di reciprocità.
Questa proposta di riforma è molto simile a quella presentata dall’U.I.C.I. Onlus nei mesi scorsi ed è senz’altro da valutare positivamente.
Invece ad avviso di chi scrive occorre prestare molta attenzione ai punti 8 e 26 delle linee guida di riforma. Essi sembrano aprire la strada a che le indennità di accompagnamento vengano sostituite da forniture di voucher. Tale possibilità è da valutare negativamente in quanto limiterebbe la libertà di scelta e l’efficacia dell’assistenza e di fatto creerebbe un concreto ostacolo all’inclusione sociale delle persone disabili.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

 

Centro di Documentazione Giuridica: Il Tar Lazio dichiara illegittime le verifiche straordinarie dell’Inps, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

Una sentenza storica per le persone con disabilità. Il Tar Lazio dichiara illegittime le verifiche straordinarie dell’Inps. L’Ente di previdenza per stanare i falsi invalidi, ha leso i diritti dei veri invalidi. La recente sentenza del 9 aprile n. 3851/2014 conclude un procedimento avviato nel 2011 dall’Anffas Onlus con l’intervento ad adiuvandum della Fish che ha posto sotto accusa una serie di messaggi e circolari con cui l’INPS, fra il 2011 e il 2012, ha disciplinato i controlli dei Piani straordinari di verifica sui cosiddetti “falsi invalidi” per 500 mila persone.
La sentenza riconosce che le modalità adottate dall’INPS per le verifiche straordinarie sono state illegittime e lesive dei diritti delle vere persone con disabilità sconfessando ancora un volta i dati forniti dall’Istituto in materia.
Il TAR del Lazio analizza e contesta l’illegittimità di una serie di Circolari Amministrative dell’INPS che nel corso degli anni hanno di fatto alterato le regole, non prevedendo, ad esempio, nelle commissioni di verifica straordinaria (quindi non nella sede originariamente preposta alle certificazioni e alle revisioni, ossia l’ASL), la presenza di un medico specialista in rappresentanza delle persone con disabilità intellettiva.
Il Tar ha infatti appurato che è mancata la tutela alle persone con disabilità intellettiva e/o relazionale poiché mentre i medici nominati dall’Anffas erano presenti nelle Commissioni ASL, questi erano di fatto esclusi dalle verifiche straordinarie dell’INPS, lasciando prive di specifica tutela le persone con tali tipologie di disabilità.
Inoltre, anche accolto i rilievi circa la non equiparabilità tra le visite di revisione ordinaria, di competenza prioritaria della Commissione ASL (primo punto di riferimento territoriale per il Cittadino), e quelle straordinarie di competenza esclusiva dell’INPS. Con tale modalità imposta dall’INPS, infatti, è stata impedita la visita presso le Commissioni Asl più vicine al Cittadino, costringendolo per la revisione ordinaria anche a trasferimenti di decine e decine di chilometri da casa e non garantendo quel doppio controllo che evitasse le sviste di una sola commissione.
La sentenza ha messo in luce che dal 2012 l’Inps ha incluso nelle verifiche straordinarie non solo le condizioni di invalidità, ma anche quelle di handicap (ex Legge 104/1992) senza averne una copertura normativa per farlo (giunta solo a fine 2012) e ha pienamente chiarito che si sono usate, almeno fino al 2013, le visite di verifica straordinaria per degli scopi che la norma statale non riconosceva: eliminare certificazioni per lo stato di handicap che erano e sono cosa ben diversa da quelle per riconoscere l’invalidità civile e le relative provvidenze economiche.
L’operato dell’Inps ha di fatto dato luogo ad un lungo periodo di illegalità durante il quale il conteggio delle pensioni revocate o riviste è stato arbitrario. Il numero delle revoche, alla fine dei controlli “straordinari”, è risultato artificiosamente elevato in quanto sono state sommate anche le posizioni già considerate rivedibili e destinate a revoca. I dati finali, resi noti in questi anni dall’INPS sull’ incidenza dei cosiddetti “falsi invalidi” sono dunque di fatto “gonfiati” e forieri solo di costi per l’Amministrazione, che sembrano addirittura aggirarsi intorno ai 30 milioni di euro, come da denuncia dell’Anfas a seguito della sentenza.
Al momento è opportuno che le Associazioni di disabili approfondiscano in maniera congiunta gli effetti diretti che la sentenza potrà avere sui disabili che si sono visti revocare le provvidenze economiche in forza di disposizioni amministrative dichiarate illegittime. La pronuncia del Tar infatti non solo mette in discussione le modalità delle verifiche già realizzate ma pone seri dubbi anche su quelle successive al 2012.
Sarebbe forse il momento giusto per richiedere interventi normativi che possano riformare chiarificandone una volta per tutte l’iter dell’intero sistema di accertamento di invalidità civile, stato di handicap e disabilità che è ormai obsoleto, farraginoso ed inefficiente.
Alla luce della recente sentenza sembra doveroso voltare pagina e porre finalmente fine all’ignobile demonizzazione degli invalidi perseguendo con serietà i veri truffatori.
Per l’importanza dell’argomento trattato si riporta il testo integrale della sentenza.
sentenza n. 3851/2014

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Terza Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso integrato da motivi aggiunti n.5186 del 2011 proposto dall’Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale (A.N.F.F.A.S.), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Maria Alessandra Sandulli, Andrea Trotta e Gianfranco De Robertis ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Andrea Trotta in Roma, piazza della Libertà, 10;
contro
– l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alessandro Riccio, Gaetano De Russo, Daniela Anziano, Lidia Carcavallo e Francesca Ferrazzoli ed elettivamente domiciliato presso la sede della propria Avvocatura in Roma, Via Cesare Beccaria n.29;
– il Ministero della Salute, il Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona dei rispettivi Ministri pro-tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede in Roma, Via dei Portoghesi n.12, sono per legge domiciliati;
nei confronti di
Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi Civili (A.N.M.I.C), Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti Onlus (U.I.C), Ente Nazionale per la Protezione e l’Assistenza dei Sordi Onlus (E.N.S.), in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro-tempore, non costituiti in giudizio;
e con l’intervento di
ad adiuvandum:
Fish Onlus, rappresentato e difeso dall’avv. Alessandro Bardini, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via San Tommaso D’Aquino, 116;
per l’annullamento:
con il ricorso introduttivo:
a) del messaggio INPS n.6763 del 14.3.2011 avente ad oggetto “l’invalidità civile – accertamento sanitario delle prestazioni a scadenza. Nuove modalità gestionali ed operative” nella parte in cui disciplinando le visite dei verbali di invalidità civile che scadranno tra il 1° luglio 2011 ed il 31 dicembre 2011:
a1) non si prevede per un cittadino che ha una certificazione di invalidità civile, cecità civile o sordità civile la possibilità di richiedere l’esonero per tabulas dell’eventuale visita di revisione, anche laddove ricorrano i requisiti di cui al DM 2.8.2007;
a2) si prevede che le visite di revisione ordinaria siano fatte solo presso i Centri Medico Legali INPS senza prevedere, invece, la visita in prima battuta presso le Commissioni ASL;
a3) non si prevede la partecipazione dei medici rappresentanti di categoria, afferenti le Associazioni Anffas, Anmic, Uic, Ensm nelle commissioni istituite per verificare la persistenza dell’invalidità civile;
a4) si fanno rientrare le visite di revisione ordinaria ( ossia quelle da fare per scadenza del primo verbale di invalidità) in quelle 250.000 verifiche straordinarie che l’INPS deve fare nel corso del 2011 ai sensi dell’art.20 della L. 102/2009;
b) del successivo messaggio INPS n.8146 del 5.4.2011 che rispetto al precedente Messaggio 0761/2011 ha previsto che le Commissioni di verifica straordinaria della persistenza dei requisiti sanitari per l’invalidità civile siano integrate volta per volta, solo da un medico rappresentante delle Associazioni Anmic, Uic, Ens, senza la previsione del medico rappresentante dell’associazione Anffas;
c) di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale;
con il primo atto di motivi aggiunti:
d) della nota INPS del 15 novembre 2011 notificata in data 21 novembre 2011;
con il secondo atto di motivi aggiunti:
e) del messaggio INPS n.6796 del 19 aprile 2012 avente ad oggetto ” Programma di verifiche straordinarie da effettuare nell’anno 2012 nei confronti dei titolare dei benefici di invalidità civile, sordità civile ed handicap”.
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’INPS e degli intimati Ministeri;
Visto l’intervento ad adiuvandum proposto da Fish Onlus (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall’avv. Alessandro Bardini presso il cui studio legale in Roma, Via San Tomamso d’Aquino n.116, è elettivamente domiciliata;
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 marzo 2014 il dott. Giuseppe Sapone e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
Con il proposto gravame l’Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale (A.N.F.F.A.S.) ha impugnato i messaggi, in epigrafe indicati, nelle parti, pure in epigrafe descritte, con cui l’INPS ha fornito alle proprie strutture territoriali le istruzioni relative alle nuove modalità gestionali ed operative da osservare per i procedimenti di verifica della permanenza dello stato invalidante finalizzata alla conferma delle prestazioni patrimoniali riconosciute in favore dei titolari di benefici economici di invalidità civile, sordità, cecità civile ed handicap.
Il ricorso è affidato ai seguenti motivi di doglianza:
1) Violazione dell’art.118 u.c. della Costituzione per mancata consultazione delle Associazioni di categoria. Violazione D.M. 387/1991 nonché dei principi desumibili dalla Circolare n.131/2009 in tema di partecipazione al procedimento delle associazioni di categoria. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, carenza di motivazione, illogicità manifesta e contraddittorietà dell’azione amministrativa;
2) Violazione della L. n.295/1999 e del DM 387/1991 che regolano la visita per la revisione ordinaria. Eccesso di potere per carenza di motivazione, difetto di istruttoria, disparità di trattamento per le persone con patologie intellettive e/o relazionali rispetto al primo riconoscimento per mancanza della rappresentanza Anffas; disparità di trattamento per le persone con patologie intellettive e/o relazionali rispetto alle altre persone afferenti altri tipi di patologia per mancanza di rappresentanza Anffas nelle revisioni ordinarie e verifiche straordinarie;
3) Violazione art.6, comma 3, della L. n.80/2006 e DM 2 agosto 2007 per mancata previsione di un esonero precedente la visita di revisione. Contraddittorietà rispetto al messaggio INPS n.12727/2007. Violazione del principio di non aggravamento del procedimento amministrativo. Illogicità della motivazione in merito alle valutazioni di esonero antecedente la visita. Contraddittorietà dell’azione amministrativa tenuta dall’Istituto rispetto alle visite di verifica straordinaria.
Successivamente l’Associazione ricorrente ha proposto due atti di motivi aggiunti; con il primo dei suddetti atti ha impugnato la nota del 15 novembre 2011 con cui l’istituto resistente, nel rispondere ad una nota dell’A.N.F.F.A.S., ha fatto presente che avrebbe continuato ad utilizzare per i casi di prestazioni a scadenza lo strumento della verifica straordinaria, almeno sino a quando non sarà disponibile l’utilizzo di modalità di trasmissione telematica dei verbali e la relativa cooperazione applicativa, deducendo le seguenti censure:
4) Illegittimità derivata;
5) Violazione artt.2, 3 e 97 della Costituzione; Violazione art.20 del D.L. n.78/2009 convertito in L. n.102/2009. Violazione accordo quadro sancito in data 29 aprile 2008 tra Ministero del Lavoro e Conferenza Permanente per i rapporti tra lo stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano per l’affidamento della potestà concessiva dei trattamenti di invalidità civile; Eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità dell’azione amministrativa, sproporzionatezza nonché per violazione dei principi in tema di affidamento, buona fede e divieto di abuso del diritto;
6) Violazione della L. n.295/1990 e del DM n.387/1991 che regolano la visita per la revisione ordinaria. Eccesso di potere per carenza di motivazione. Difetto di istruttoria, disparità di trattamento per le persone con patologie intellettive e/o relazionali rispetto al primo riconoscimento per mancanza della rappresentanza A.N.F.F.A.S., disparità di trattamento per le persone con patologie intellettive e/o relazionali rispetto alle altre persone afferenti altre tipi di patologia per mancanza di rappresentanza A.N.F.F.A.S. nelle revisioni ordinarie e verifiche straordinarie;
7) Violazione art.6, comma 3, della L. n.80/2006 e del DM 2 agosto 2007 per mancata previsione di un esonero precedente la visita di revisione. Contraddittorietà rispetto al messaggio INPS n.12727/2007. Violazione del principio di non aggravamento del procedimento. Illogicità della motivazione in merito alla valutazione di esonero antecedente la visita. Contraddittorietà dell’azione amministrativa tenuta dall’Istituto rispetto alle visite di verifica straordinaria (Circ 76/2010).
Con il secondo atto di motivi aggiunti ha infine impugnato il Messaggio INPS n.6796/2012 avente ad oggetto “Programma di verifiche straordinarie da effettuare nell’anno 2012 nei confronti dei titolari dei benefici di invalidità civile, sordità, cecità civile ed handicap, deducendo le seguenti doglianze:
8) Illegittimità derivata;
9) Violazione della legge n.295/1990 e del DM n.387/1990 che regolano la visita per la revisione ordinaria. Eccesso di potere per carenza di motivazione, difetto di istruttoria, disparità di trattamento per le persone con patologie intellettive e/o relazionali rispetto al primo riconoscimento per mancanza della rappresentanza A.N.F.F.A.S.. Disparità di trattamento per le persone con patologie intellettive e/o relazionali rispetto alle altre persone altri tipi di patologie per mancanza di rappresentanza A.N.F.F.A.S. nelle revisioni ordinarie e verifiche straordinarie;
10) Violazione artt.2, 3 e 97 della Costituzione. Violazione art.20 del D.L. n.78/2009 convertito nella legge n.102/2009. Violazione artt. 3 e 4 della L. n.104/1992 e dell’art. 1 della L. n.295/1990. Difetto assoluto di potere. Incompetenza.
Si è costituito l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale prospettando in primis l’improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del proposto gravame e dei due atti di motivi aggiunti e contestando nel merito la fondatezza delle dedotte doglianze.
Si sono costituiti gli intimati Ministeri confutando genericamente la fondatezza delle prospettazioni ricorsuali e concludendo per il rigetto delle stesse.
Ha proposto intervento ad adiuvandum la Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap (Fish Onlus) sostenendo la fondatezza delle dedotte censure e concludendo per l’accoglimento delle stesse.
Alla pubblica udienza del 26.3.2014 il ricorso è stato assunto in decisione.
In proposito va previamente rilevato che non è suscettibile di favorevole esame l’eccezione con cui l’Istituto resistente ha prospettato che l’associazione ricorrente non avrebbe alcun interesse alla definizione della presente controversia per non aver impugnato il messaggio n.9302 del 7 giugno 2013 con cui l’INPS, nel fornire istruzioni alle strutture territoriali per la gestione dei procedimenti relativi all’avvio del programma di verifiche straordinarie per l’anno 2013, ha confermato le modalità procedurali descritte negli impugnati messaggi.
Al riguardo, come chiarito dall’associazione ricorrente in sede di discussione orale, la mancata impugnativa del messaggio del 2013 sarebbe dipesa unicamente dalla circostanza che l’Istituto resistente non ha proceduto a pubblicare sul proprio sito internet il suddetto messaggio né ha pubblicizzato sul medesimo sito l’avvenuta adozione dello stesso e neppure lo ha depositato in giudizio, per cui, non essendo stata in alcun modo provata la conoscenza da parte di A.N.F.F.A.S. del suddetto messaggio, la prospettata eccezione deve essere rigettata.
Il Collegio prima di passare all’esame nel merito delle dedotte doglianze ritiene necessario precisare i termini della presente controversia.
Innanzitutto deve essere evidenziato che nell’ambito delle verifiche la normativa vigente in materia di riconoscimento dell’invalidità civile prevede due tipologie di revisioni.
Il primo tipo di revisione, denominata ordinaria, si riferisce ad ogni accertamento medico che successivamente all’attribuzione dello stato di invalidità civile è diretto a verificare la perdurante persistenza dei requisiti di carattere sanitario; la seconda tipologia di revisione, definita straordinaria, ha ad oggetto l’attività di verifica intesa ad accertare la permanenza ( o nel caso dei falsi invalidi l’effettiva sussistenza) nei beneficiari del possesso dei requisiti sanitari per usufruire dei trattamenti economici di invalidità civile.
Relativamente a tale ultima tipologia, per quel che interessa la presente controversia, l’art. 20 del D.L. n.78/2009 convertito nella L. n.102/2009 ha previsto che ” per il triennio 2010/2012 l’INPS effettua con le risorse umane e finanziarie previste a legislazione vigente e in aggiunta all’ordinaria attività di accertamento della permanenza dei requisiti sanitari e reddituali un programma di 100.000 verifiche per l’anno 2010 e di 250.000 verifiche annue per ciascuno degli anni 2011 e 2012 nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile.
Relativamente alla revisione ordinaria sotto il profilo procedurale, giusta quanto stabilito dalla circolare INPS n.131/2009, è stato previsto:
I) lo svolgimento di una prima fase presso le Commissioni mediche istituite presso le ASL, le quali dovevano essere integrate, giusta l’art.1, comma 5, del DM n.387/1991, con medici rappresentanti degli enti esponenziali delle categorie di invalidi ( tra cui l’Associazione ricorrente) nonché da un medico dell’INPS come componente effettivo (art.20 de D.L. n.78/2009);
II) il suddetto accertamento poteva concludersi con:
A. giudizio medico-legale espresso all’unanimità dei componenti della Commissione integrata dal medico INPS;
B. giudizio medico-legale espresso a maggioranza dei componenti della Commissione;
III) nel primo caso, qualora il Responsabile del CML dovesse riscontrare elementi tali da non consentire l’immediata validazione del verbale, l’iter successivo è identico a quello previsto al punto B per i verbali con giudizio medico-legale espresso a maggioranza;
IV) nella seconda fattispecie l’INPS sospende l’invio del verbale al cittadino ed acquisisce dalla ASL la documentazione sanitaria. Il Responsabile del Centro Medico Legale territorialmente competente può, entro dieci giorni dalla sospensione, validare il verbale agli atti oppure disporre una visita diretta da effettuarsi entro i successivi venti giorni. La visita è effettuata da una Commissione medica costituita da: un medico INPS, indicato dal Responsabile del CML e diverso dal componente della Commissione medica integrata, con funzione di Presidente al quale compete il giudizio definitivo, da un medico rappresentante delle associazioni di categoria (A.N.M.I.C., E.N.S., U.I.C., A.N.F.F.A.S.) e dall’operatore sociale nei casi previsti dalla legge.
Relativamente alla composizione delle commissioni competenti per le verifiche straordinarie, è pacifico, giusta quanto previsto dal messaggio INPS impugnato con il primo atto di motivi aggiunti, che tale organo originariamente composto esclusivamente da due medici dell’INPS è stato successivamente integrato da sanitari espressioni delle associazioni di tutela della disabilità, con esclusione dei medici designati dall’associazione ricorrente.
Così precisato il quadro normativo la prima questione oggetto della presente controversia riguarda la legittimità dell’esclusione dalle commissioni straordinarie dei medici designati da A.N.F.F.A.S..
A sostegno della contestata esclusione l’INPS ha richiamato il disposto dell’art.10 del d.l. n.203/2005 convertito con modificazioni nella l. n.248/2005 il quale stabilisce che “L’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) subentra nell’esercizio delle funzioni residuate allo Stato in materia di invalidità civile, cecità civile, sordomutismo, handicap e disabilità, già di competenza del Ministero dell’economia e delle finanze. Resta ferma la partecipazione nelle commissioni mediche di verifica dei medici nominati in rappresentanza dell’Associazione nazionale mutilati e invalidi civili, dell’Unione italiana dei ciechi e dell’Ente nazionale per la protezione e l’assistenza dei sordomuti”.
Al riguardo il Collegio osserva che:
a) l’invocata disposizione non è stata ritenuta dal resistente Istituto preclusiva della partecipazione, come componenti delle commissioni INPS competenti per la verifica ordinaria, dei medici designati dall’A.N.F.F.A.S;
b) la composizione delle suddette commissioni è stata, infatti, disciplinata dalla citata circolare INPS n.131/2009, la quale ha previsto che del suddetto organo potesse far parte, oltre ad un medico INPS, anche un medico espressione sia delle Associazioni odierne controinteressate che di A.N.F.F.A.S.;
c) in tale contesto è palese, quindi, la contraddittorietà dell’operato dell’INPS il quale, andando in contrario avviso rispetto a quello che aveva autonomamente stabilito per la composizione delle commissioni competenti per le verifiche ordinarie, ha immotivatamente escluso i medici A.N.F.F.A.S. dalle commissioni straordinarie senza che sussistessero valide ragioni che potessero giustificare una simile scelta, tenuto conto, altresì, che il quadro normativo di riferimento era lo stesso, atteso che il legislatore non aveva dettato per la composizione dei suddetti organi una specifica normativa.
Alla luce di tali argomentazioni, pertanto, la doglianza, dedotta sia in via principale che con i motivi aggiunti, con cui è stata contestata l’illegittimità dell’esclusione dei medici designati dall’A.N.F.F.A.S. deve essere accolta.
Pure fondata è l’altra censura, sempre prospettata sia in via principale, che con entrambi i motivi aggiunti, con cui l’Associazione ricorrente ha contestato l’operato dell’INPS, il quale, alla luce delle difficoltà emerse in relazione all’incapacità delle commissioni ASL di provvedere tempestivamente in prima istanza all’attuazione delle verifiche ordinarie di loro competenza, ha disposto che anche tali tipologie di verifiche fossero effettuate con le stesse modalità previste per le verifiche straordinarie.
Secondo la prospettazione di parte ricorrente tale modus operandi determinava un duplice ingiusto effetto atteso che ” l’Istituto ometteva un passaggio prescritto dalla legge come necessario e utilizzava uno strumento di controllo sull’attività ordinaria come normale esercizio di quest’ultima, così tagliando il momento necessario di controllo”.
Al riguardo il Collegio, pur condividendo le ragioni che hanno indotto l’INPS a bypassare l’intervento delle commissioni ASL, atteso che le difficoltà operative delle stesse di procedere in prima istanza alle verifiche ordinarie di propria competenza avrebbero determinato una sospensione del pagamento delle indennità civili a favore dei soggetti che non erano stati sottoposti alle suddette verifiche per cause non imputabili agli stessi, sottolinea che tali difficoltà non potevano in nessun modo legittimare l’assorbimento delle verifiche ordinarie in quelle straordinarie, tenuto conto che:
I) per ovviare alle difficoltà operative delle Commissioni ASL era sufficiente fare eseguire direttamente le suddette visite dalle Commissioni mediche presso l’INPS composte secondo le modalità indicate dalla circolare n.131/2009;
II) il resistente Istituto non ha in alcun modo evidenziato che le Commissioni INPS ordinarie e quelle straordinarie avessero differenti poteri nell’accertare e nel valutare la permanenza dei presupposti che davano titolo ai benefici dell’invalidità civile;
III) si sarebbe evitato il vulnus denunciato dall’associazione ricorrente per i disabili dalla stessa tutelati, in quanto, alla luce della contestata diversità di composizione delle Commissioni straordinarie, dalle quali erano esclusi i medici designati dall’A.N.F.F.A.S., l’assorbimento delle verifiche ordinarie in quelle straordinarie avrebbe determinato una minore tutela per le persone con patologie intellettive e/o relazionali;
IV) né risulta idoneo per inficiare la fondatezza di tale conclusione il rilievo INPS secondo cui i soggetti con simili forme di patologie potevano farsi assistere davanti le Commissioni straordinarie da medici di loro fiducia, atteso che una tale forma di garanzia opera su un piano diverso rispetto a quella conseguente alla partecipazione dei medici A.N.F.F.A.S. alle Commissioni straordinarie.
Ciò considerato, pertanto, la doglianza in trattazione va accolta.
Da rigettare è, invece, la censura, con cui si lamenta che la prassi operativa posta in essere dal resistente Istituto nell’effettuare le visite ordinarie di revisione avrebbe determinato la soggezione a tali visti di soggetti che, giusta quanto previsto dal DM 2 agosto 2007, ne dovevano essere esclusi.
Al riguardo, come illustrato dal resistente Istituto sia la prassi operativa sia gli atti adottati per disciplinare la procedura de qua (circolare n.76 del 2010) ha annoverato tra i soggetti esclusi dalle verifiche straordinarie i soggetti portatori di menomazioni o patologie stabilizzate o ingravescenti di cui al decreto ministeriale 2 agosto 2007, ai quali è già stato applicato il suddetto decreto.
Suscettibile di favorevole esame è infine la doglianza prospettata avverso il messaggio dell’INPS n.6796/2012, il quale nell’avviare il programma di verifiche straordinarie per l’anno 2012 ha disposto che il suddetto programma di verifiche avrebbe ricompreso altresì l’accertamento della permanenza dei requisiti di legge anche per i soggetti portatori di handicap, per violazione dell’art.10 comma 2, del D.L. 78/2009 convertito nella L. n.122/2010.
Al riguardo deve essere evidenziato che:
I) la menzionata disposizione stabilisce che ” Per il triennio 2010-2012 l’INPS effettua, con le risorse umane e finanziarie previste a legislazione vigente, in via aggiuntiva all’ordinaria attività di accertamento della permanenza dei requisiti sanitari e reddituali, un programma di 100.000 verifiche per l’anno 2010 e di 250.000 verifiche annue per ciascuno degli anni 2011 e 2012 nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile”;
II) come chiarito dall’associazione ricorrente, non contestata sul punto, l’accertamento dello stato di handicap attiene a profili diversi rispetto alle implicazioni economiche connesse al riconoscimento dell’invalidità civile, pertanto, le verifiche straordinarie previste dalla menzionata disposizione non potevano estendersi ai soggetti de quibus;
III) la fondatezza di tale conclusione risulta avvalorata dalla circostanza che l’inclusione dei soggetti portatori di handicap nel programma di verifiche straordinarie è stata esplicitamente prevista solamente con l’art. 1, comma 109, della L. n.228/2012 il quale ha stabilito che ” l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nel periodo 2013-2015, realizza, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, un piano di 150.000 verifiche straordinarie annue, aggiuntivo rispetto all’ordinaria attività di accertamento della permanenza dei requisiti sanitari e reddituali, nei confronti dei titolari di benefici di invalidità civile, cecità civile, sordità, handicap e disabilità.”
In definitiva il proposto gravame va accolto relativamente:
a) alla mancata inclusione tra i componenti delle Commissioni straordinarie di un medico designato dall’A.N.F.F.A.S.;
b) alla contestata prassi dell’INPS, disposta con i gravati provvedimenti, in forza della quale le verifiche ordinarie sono state effettuate dalle Commissioni competenti per le verifiche straordinarie;
c) all’inclusione dei soggetti portatori di handicap nel programma di verifiche straordinarie per gli anni 2009-2010 e 2011.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione III quater, definitivamente pronunciando sul ricorso n. 5186 del 2011, come in epigrafe proposto, lo accoglie, e, per gli effetti, annulla i gravati provvedimenti giusta quanto specificato in motivazione.
Condanna l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS) al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 6.000,00 (seimila/00) così suddivisi:
– Euro 4.000,00 (quattromila/00) a favore dell’Associazione ricorrente;
– Euro 2.000,00 (duemila/00) a favore dell’Associazione interveniente ad adiuvandum.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2014 con l’intervento dei magistrati:
Italo Riggio, Presidente
Giuseppe Sapone, Consigliere, Estensore
Giulia Ferrari, Consigliere
L’ESTENSORE

IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/04/2014
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

Centro di Documentazione Giuridica: Usare e non abusare dei diritti in modo più adeguato per farli valere a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

Licenziamento disciplinare per illecito utilizzo permessi legge 104/92

La Suprema Corte di Cassazione con una recentissima sentenza . n. 4984 del 4.03.2014 si è pronunciata sull’illecito utilizzo del permesso ex articolo 33 l. 104/1992 da parte di un lavoratore, familiare di un disabile. In sintesi per la Cassazione va licenziato chi usa il permesso della “104” per andare in vacanza invece che dal familiare malato e il datore di lavoro può far pedinare il dipendente da un detective per provare l’illecito utilizzo del beneficio concesso unicamente  per garantire l’assistenza ai congiunti. La  sentenza, di cu si riporta il testo integrale, riguarda il caso di un licenziamento effettuato per  l’illecito utilizzo  di un  permesso previsto dall’art.33 della legge n.104/92  riscontrato dal datore di lavoro, attraverso un’ agenzia investigativa , che ha smascherato l’utilizzo per finalità  estranee a quelle dell’assistenza. Il lavoratore dipendente, attraverso l’uso improprio del permesso, ha violato  la finalità assistenziale e  la sua condotta è stata coerentemente ritenuta capace di integrare anche sotto il profilo dell’elemento intenzionale un comportamento idoneo alla ravvisabilità della giusta causa del recesso,  in quanto la sospensione dell’attività lavorativa era consentita solo per la finalità assistenziale garantita dal permesso indebitamente fruito. La Cassazione, inoltre,  ha legittimato il datore di lavoro anche ad utilizzare un investigatore per controllare il proprio dipendente che abusa del diritto. Tale controllo occulto, per quanto apparentemente  inopportuno, non è lesivo della privacy. Il divieto legittimo, per il datore, di spiare i dipendenti,  previsto dallo Statuto dei Lavoratori opera solo per i luoghi di lavoro e solo quando è rivolto a vigilare sull’attività lavorativa vera e propria. Nel caso di specie trattato in sentenza, invece, l’utilizzo del detective da parte del datore di lavoro, che  avviene fuori dall’unità produttiva ha come scopo quello di tutelare il patrimonio aziendale: ossia verificare se il dipendente sta adempiendo o meno alle obbligazioni del contratto di lavoro. L’accertamento dell’utilizzo improprio dei permessi della ex art. 33 della legge  non riguarda l’adempimento della prestazione lavorativa in sé, poiché viene effettuato al di fuori dell’orario di lavoro e in fase di sospensione dell’obbligazione principale lavorativa. Per cui avvalersi di “detective-spia” è pienamente legittimo. Sulla scorta di questa recentissima sentenza della Suprema Corte anche i lavoratori disabili che beneficiano per se stessi di tali permessi devono fare maggiore attenzione e non utilizzarli impropriamente per compiere attività estranee a quelle di riposo e di cura che hanno giustificato la loro assenza dal lavoro.
Per la rilevanza dell’argomento trattato, di qui seguito riporto il testo integrale della sentenza in commento.
Sentenza 04 marzo 2014 n. 4984
Lavoro – Contestazione disciplinare – Illecito utilizzo del permesso ex articolo 33 l. 104/1992 – Licenziamento – Agenzia investigativa Svolgimento del processo Con sentenza del 30.12.2010, la Corte di appello di Milano, in riforma della decisione impugnata, respingeva le domande proposte da N.D. intese alla declaratoria di invalidità del licenziamento intimato al predetto dall’A. s.p.a. il 30.4.2008 ed alla condanna di quest’ultima alla reintegrazione nel posto di lavoro, disposta dal Tribunale, sul presupposto dell’illegittimità del controllo operato dalla società ai fini dell’accertamento del fatto poi contestato in sede disciplinare e della conseguente inutilizzabilità della prova, in assenza di un illecito che giustificasse l’attività investigativa. La Corte del merito osservava che la contestazione disciplinare verteva sull’
illecito utilizzo di un permesso ex art. 33 I. 104/92 per fini del tutto estranei a quelli previsti dalla legge, tenuto conto della gravità del contegno del Nulli alla luce della qualifica direttiva posseduta, e rilevava che i fatti non erano stati contestati, essendone stata negata solo la rilevanza disciplinare nonché la liceità delle metodologie di accertamento. Pur convenendo con il primo giudice sul fatto che il controllo a mezzo di agenzia investigativa fosse consentito solo se indispensabile per l’accertamento di un illecito e se privo di alternative, osservava la Corte che, tuttavia, non poteva negarsi la natura illecita dell’abuso del diritto di cui all’art. 33 I. 104/92 citata, tanto ai danni dell’INPS che erogava l’indennità relativa ai giorni di permesso, sia ai danni del datore di lavoro a cui carico restavano per tali giornate l’accantonamento per il t.f.r. ed i disagi per fare fronte all’assenza. Peraltro, per giustificare il ricorso al controllo occulto “difensivo” era sufficiente che vi fosse il ragionevole sospetto che il lavoratore tenesse comportamenti illeciti e che non vi fosse la finalità di ampliare l’oggetto della contestazione disciplinare. I testimoni escussi avevano riferito che il Nulli in due occasioni, alla loro presenza, aveva dichiarato di avere trascorso una vacanza in week end lungo e che, in quanto svolgenti compiti attinenti al rilascio di permessi, essi erano al corrente che in quei giorni il N. era in permesso per la legge 104. Era, dunque, al cospetto di tali dichiarazioni, ragionevole il sospetto da parte dell’azienda che i permessi non fossero utilizzati per l’assistenza alla madre e quindi doveva ritenersi giustificato il controllo difensivo occulto per l’accertamento dell’illecito. Dalla liceità dell’accertamento difensivo conseguiva, pertanto, secondo il giudice del gravame, l’utilizzabilità in giudizio degli esiti dello stesso, non essendo stata contestata la veridicità dei fatti, la cui gravità era connessa non solo all’allontanamento temporaneo dall’abitazione materna, ma al fatto che il N.,  nel giorno di permesso chiesto per il venerdì 11 aprile 2008, alle 7,55 fosse partito con amici e valigia mettendo tra sé e la finalità di assistenza del permesso una distanza ed una previsione di rientro non prossimo, che rendevano evidente come lo stesso fosse stato utilizzato per altre finalità che la legge garantiva con l’istituto delle ferie. La Corte territoriale considerava, poi, la posizione del N. all’interno dell’azienda, quadro del Servizio Legale, e le competenze specifiche di laureato in giurisprudenza, che escludevano ogni possibilità di errore circa la finalità dei permessi e creavano un specifico pericolo di discredito dell’organizzazione aziendale ove gli altri lavoratori fossero venuti a conoscenza di week end allungati dal permesso per assistenza alla madre. L’abuso del diritto veniva, pertanto, ritenuto tale da integrare una condotta idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo di fiducia posto a fondamento del rapporto di lavoro. Per la cassazione di tale decisione ricorre il N., affidando l’impugnazione a cinque motivi, illustrati nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c Resiste, con controricorso l’A. s.p.a, che espone ulteriormente le proprie difese nella memoria illustrativa.
Motivi della decisione Con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 ed 8 I. 300/70, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., osservando che il controllo dell’ agenzia investigativa non può riguardare in nessun caso né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, alla attività lavorativa, che è sottratta alla vigilanza altrui, ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione contrattuale prospettata. Secondo il ricorrente, appare, quindi, violativo degli artt. 2 e 3 Statuto avere ritenuto legittimi i pedinamenti che hanno determinato la contestazione disciplinare prodromica al licenziamento, in quanto certamente non finalizzati a rilevare illeciti a danno del patrimonio aziendale, attenendo, invece, all’adempimento dell’obbligazione di fornire la propria prestazione lavorativa a fronte della percezione della retribuzione. Occorreva che i controlli occulti fossero disposti contro attività fraudolente o penalmente rilevanti, laddove la Corte del merito aveva introdotto il tema dell’abuso del diritto che esulava completamente dall’interpretazione delle norme citate dello Statuto, collegando a tale ipotesi di abuso la possibilità di controllo difensivo occulto e scardinando la consolidata acquisizione interpretativa che ritiene legittima tale forma di controllo solo ove finalizzata alla tutela del patrimonio aziendale, ovvero alla verifica di comportamenti delittuosi del lavoratore. Assume il ricorrente che, se l’esercizio di un diritto potestativo in caso di sviamento della sua propria funzione può rifluire nell’abuso del diritto stesso, il controllo verte sulle modalità di esercizio di un diritto, non finalizzato assolutamente a quei soli scopi che legittimano i controlli occulti. Peraltro, la fattispecie, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, non avrebbe integrato l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 640, comma 2, n. 1, c.p., in assenza di ogni artificio o raggiro posto in essere dal suo autore. Con il secondo motivo, il N. lamenta violazione dell’art. 342 c.p.c. e del d. Ig.vo 30.6.2003, n. 196, e deduce la nullità della sentenza, ex art. 156 e 161 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, n. 4 c.p.c., rilevando come la Corte territoriale abbia completamente omesso di considerare la circostanza, evidenziata dal giudice di primo grado, dell’autorizzazione al trattamento dei dati sensibili da parte degli investigatori privati laddove l’A. non aveva mai riferito alcunché a proposito dell’esistenza dell’atto di incarico e che ciò doveva indurre la Corte a dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione ex art. 342 c.p.c.. Ed invero, era richiesta la conformità dell’incarico alle autorizzazioni del garante, conformità che costituiva presupposto indispensabile ai fini della legittimità dell’investigazione e della legittimità del controllo e quindi della contestazione (in tale senso era la pronuncia del Tribunale). Poiché la inesistenza di un incarico conforme alle disposizioni del Garante non era controverso, non era invocabile l’art. 360, n. 5, c.p.c., atteso che la totale mancanza di motivazione sul punto determinava la nullità della sentenza, deducibile ai sensi dell’ art. 360, n. 4, c.p.c.. Con il terzo motivo, viene dedotta l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360, n. 5, c.p.c. e la violazione degli artt. 246, 416, 3° comma, 257 c.p.c. e dei principi in ordine alla testimonianza de relato, assumendo il N. che non vi sarebbe stata la prova del ragionevole sospetto che avrebbe legittimato il ricorso ad un controllo occulto, ma che, in base al tenore delle testimonianze di F. e V., doveva ritenersi che il preteso viaggio fosse proprio quello di cui al pedinamento e che la fonte fosse stata proprio l’Agenzia Investigativa, sicché la circostanza della vacanza riferita dal N. alla persona addetta alla segreteria costituiva dichiarazione priva di significato univoco, potendo la vacanza essersi realizzata in giorni estranei al permesso. Aggiunge, quale ulteriore considerazione a fondamento dell’impugnazione, che neanche sarebbe dato comprendere, alla luce dei risultati dell’investigazione, in quale data sarebbe stato effettuato il viaggio in Svizzera al quale si sarebbe riferito il N. conversando con le segretarie e la ragione per cui il predetto si sia indotto a confidare proprio alle stesse l’uso improprio del permesso ai sensi della legge 104. Peraltro, il M., firmatario della contestazione, aveva un interesse in causa che avrebbe potuto giustificare un suo intervento adesivo, atteso che, in caso di definitivo accertamento dell’illegittimità del licenziamento, l’A. avrebbe potuto rivalersi su di lui. La mancanza di motivazione sull’attendibilità del teste, una volta ritenuta la sua capacità a deporre, si traduceva, poi, in un vizio censurabile ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., ed anche la F. e la V. non potevano essere considerate testi di riferimento. Infine, si assume che il G., indicato de relato dal M., rappresentando l’A., non era persona estranea alla controversia, per cui non era possibile acquisirne la deposizione. Con il quarto motivo, il N. deduce la nullità della sentenza ai sensi degli artt. 156 e 161 c.p.c., ex art. 360 n. 4 c.p.c.) ed ascrive alla decisione violazione dell’art. 5 L. 604/66 ed omessa motivazione, evidenziandone la totale assenza con riguardo a fatti controversi e decisivi per il giudizio, tra i quali l’avere prestato cure alla propria madre in data 11.4.2008, non potendo
ritenersi che non vi sia stata contestazione della veridicità dei fatti contestati.Con il quinto motivo, il ricorrente si duole della violazione degli artt. 1 L. 604/66, 2119 e 2106 c. c. e rileva ancora la nullità della sentenza, ex art. 156 e 161 c.p.c. oltre che l’omissione od insufficienza della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che la contestazione relativa a fattispecie analoga a quella di abuso di congedo parentale non era in linea con i principi in materia di proporzionalità del licenziamento disciplinare ed alla valutazione della condotta secondo i criteri applicativi di norme elastiche, da condursi con giudizio di valore adeguato al contesto storico sociale. Assume che il giudizio della Cassazione deve ritenersi esteso alla sussunzione del fatto nell’ipotesi normativa, con valutazione di un contegno che nelle finalità del permesso contempli anche l’esigenza dalla persona che assiste di avere ulteriore occasione di riposo o di stacco e ciò anche nella prospettiva di un giudizio sulla proporzionalità della sanzione. Il ricorso è infondato. Il primo motivo deve essere disatteso stante quanto ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla portata delle disposizioni (artt. 2 e 3 della legge n. 300 del 1970), che delimitano – a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali – la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi – e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell’attività lavorativa (art. 3) -, ma non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (quale, nella specie, un’agenzia investigativa) diversi dalla guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, né, rispettivamente, di controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 cod. civ., direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica. Ciò non esclude che il controllo delle guardie particolari giurate, o di un’agenzia investigativa, non possa riguardare, in nessun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza, ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione (cfr. , in tali termini, Cass. 7 giugno 2003, n. 9167). Tale principio è stato ribadito ulteriormente, affermandosi che le dette agenzie per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, dall’art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, restando giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass. 14 febbraio 2011, n. 3590). Né a ciò ostano sia il principio di buona fede sia il divieto di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, ben potendo il datore di lavoro decidere autonomamente come e quando compiere il controllo, anche occulto, ed essendo il prestatore d’opera tenuto ad operare diligentemente per tutto il corso del rapporto di lavoro (cfr. Cass. 10 luglio 2009 n. 16196).Nel caso considerato il controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio dei permessi ex art. 33 L. 104/92 (suscettibile di rilevanza anche penale) non ha riguardato l’adempimento della prestazione lavorativa, essendo stato effettuato al di fuori dell’orario di lavoro ed in fase di sospensione dell’obbligazione principale di rendere la prestazione lavorativa. Deve, pertanto, ritenersi che la decisione impugnata sia conforme ai principi sanciti in materia ed in linea con gli orientamenti giurisprudenziali richiamati. Quanto al secondo motivo di ricorso, che evidenzia la nullità della decisione per avere superato, omettendo ogni motivazione al riguardo, quanto affermato nel capo della sentenza di primo grado con riguardo alla mancanza di un atto di incarico conforme alle specifiche autorizzazioni del Garante per la protezione dei dati personali, occorre considerare che in realtà l’affermazione, costituendo un mero inciso di motivazione, reso ad abundantiam, non necessitava di espressa impugnazione, e quand’anche si ritenesse diversamente, la fattispecie implicava il coinvolgimento di dati personali non sensibili e chiaramente pertinenti rispetto allo scopo perseguito dalla società che, come sopra detto, era del tutto rispettoso delle norme dello Statuto poste a tutela del lavoratore. Non si poneva, pertanto, una questione di acquiescenza ad un capo di decisione autonomo, idoneo anche da solo a sorreggere la decisione, sicché l’asserita violazione dell’art. 342 c.p.c. risulta, in definitiva, destituita di giuridico fondamento.
Il terzo motivo è ugualmente infondato. Nella prima parte della censura si assume che le circostanze riferite dalle testi F. e V. sarebbero le stesse di cui all’accertamento investigativo, sicché sostanzialmente non vi era stato il sospetto ingenerato da circostanze preventivamente acquisite da tali testi, ma il datore avrebbe affidato il mandato all’agenzia a scopo meramente esplorativo. La censura mira in tale maniera a sollecitare una non consentita valutazione del merito, in contrasto con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui il ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi della motivazione della sentenza, deve contenere la precisa indicazione di carenze o di lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la decisione (o il capo di essa) censurata, ovvero la specificazione di illogicità, o ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, e quindi l’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l’insanabile contrasto degli stessi, mentre non può farsi valere il contrasto dell’apprezzamento dei fatti compiuto dal giudice di merito con il convincimento e con le tesi della parte, poiché, diversamente opinando, il motivo di ricorso di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. finirebbe per risolversi in una richiesta di sindacato del giudice di legittimità sulle valutazioni riservate al giudice di merito (v. tra le altre, Cass. 5 marzo 2007 n. 5066, Cass. 5274/2007 e, precedentemente, Cass. 15693/2004). La seconda parte della censura verte, invece, sulla ritenuta incapacità a deporre del teste M., ma in primo luogo deve rilevarsi che nessun accenno viene fatto ali termini ed ai modi in cui una tale eccezione era stata tempestivamente sollevata nella fase del merito. Vero è, poi, che ove la capacità a deporre del teste non possa essere messa in discussione per non essere stata la relativa questione tempestivamente sollevata, il giudice del merito non è esonerato dal potere – dovere di esaminare l’intrinseca attendibilità di detto testimone, specialmente in caso di contrasto tra le risultanze di prove diverse, e legittimamente può tener conto dell’interesse del teste all’esito del giudizio, anche là dove tale interesse non sia formalmente tale da legittimare la sua partecipazione allo stesso, (cfr. Cass. 18 marzo 2003 n. 3956). Nel caso considerato non si ravvisano, tuttavia, errori di valutazione idonei a legittimare la censura come prospettata anche con riguardo al profilo dell’attendibilità delle deposizioni acquisite, essendo state le testi di riferimento legittimamente escusse sulla base dell’indicazione di conoscenza dei fatti ad esse attribuita. Il quarto motivo solleva una critica avulsa dalle risultanze processuali laddove si contesta l’iter argomentativo in relazione alla circostanza che la contestazione da parte del ricorrente vi era stata anche con riguardo all’effettivo verificarsi dei fatti contestati. Ed invero, posta la rilevanza probatoria attribuibile per quanto sopra detto ai risultati dell’investigazione, non rilevano circostanze ulteriori riferite alla assistenza comunque prestata alla madre dal N. prima di partire per il week end, permanendo l’abuso del diritto connesso all’utilizzo improprio del permesso ex art. 33 L. 104/92.
Ove l’esercizio del diritto soggettivo non si ricolleghi alla attuazione di un potere assoluto e imprescindibile, ma presupponga un’autonomia comunque collegata alla cura di interessi, soprattutto ove si tratti – come nella specie – di interessi familiari tutelati nel contempo nell’ambito del rapporto privato e nell’ambito del rapporto con l’ente pubblico di previdenza, il non esercizio o l’esercizio secondo criteri diversi da quelli richiesti dalla natura della funzione può considerarsi abuso in ordine a quel potere pure riconosciuto dall’ordinamento. L’abuso del diritto, così inteso, può dunque avvenire sotto forme diverse, a seconda del rapporto cui esso inerisce, sicché, con riferimento al caso di specie, rileva la condotta contraria alla buona fede, o comunque lesiva della buona fede altrui, nei confronti del datore di lavoro, che in presenza di un abuso del diritto al permesso si vede privato ingiustamente della prestazione lavorativa del dipendente e sopporta comunque una lesione (la cui gravità va valutata in concreto) dell’affidamento da lui riposto nel medesimo, mentre rileva l’indebita percezione dell’indennità e lo sviamento dell’intervento assistenziale nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico. In base al descritto criterio della funzione, deve ritenersi verificato un abuso del diritto potestativo allorché il diritto venga esercitato, come nella specie, non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività. La condotta del ricorrente si è posta in contrasto con la finalità della norma su richiamata, e pertanto la sua connotazione di abuso del diritto e la idoneità, in forza del disvalore sociale alla stessa attribuibile, a ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario correttamente sono state ritenute dal giudice del gravame capaci di integrare il comportamento posto dal datore a fondamento della sanzione disciplinare.
Il quinto motivo verte sulla correttezza del giudizio di proporzionalità espresso dalla Corte territoriale con riguardo alla condotta del N.. In ordine ai criteri che il giudice deve applicare per valutare la sussistenza o meno di una giusta causa di licenziamento, la giurisprudenza è pervenuta a risultati sostanzialmente univoci, affermando ripetutamente (come ripercorso in Cass., n. 5095 del 2011 e da ultimo ribadito da Cass. 26.4.2012 n. 6498) che, per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare. È stato, altresì, precisato (Cass., n. 25743 del 2007) che il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (L. n. 604 del 1966, art. 3) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.).
In tema di ambito dell’apprezzamento riservato al giudice del merito, è stato condivisibilmente affermato (cfr. fra le altre, Cass. n. 8254 del 2004 e, da ultimo Cass. 6498/2012 cit.) che la giusta causa di licenziamento, quale fatto che non consente la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto, è una nozione che la legge, allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modello generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici. A sua volta, Cass. n. 9266 del 2005 ha ulteriormente precisato che l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c., (norma c.d. elastica) compiuta dal giudice di merito – ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento – mediante riferimento alla “coscienza generale”, è sindacabile in cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli “standards”, conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale. Al riguardo deve rilevarsi che la decisione impugnata dal lavoratore sotto tale profilo appare rispettosa dei principi di diritto enunciati in materia da questa Corte, in quanto il giudice dal gravame ha dato conto delle ragioni poste a fondamento della stessa, valorizzando, ai fini della valutazione della gravità della condotta, non solo e non tanto l’allontanamento temporaneo dall’abitazione materna “quanto il fatto che N. nel giorno del permesso ex art. 33 chiesto per la giornata di venerdì 11 aprile, alle 7,55 sia partito con amici e valigia al seguito, così mettendo fra sé e la finalità di assistenza del permesso una distanza e una previsione di rientro non prossimo che rendono del tutto evidente che il permesso …. è stato utilizzato per altra finalità, che la legge garantisce con l’apposito istituti delle ferie”. In tale modo il Nulli – come condivisibilmente osservato dal giudice del merito – ha violato, attraverso l’abuso del relativo diritto, la finalità assistenziale allo stesso connessa e la condotta posta in essere è stata, pertanto, coerentemente ritenuta capace di integrare anche sotto il profilo dell’elemento intenzionale un comportamento idoneo alla ravvisabilità della giusta causa del recesso, sia perché le eventuali convinzioni personali del ricorrente di potere fare affidamento in una prassi consolidata o nella collaborazione di una badante sono dei tutto irrilevanti in presenza di comportamento che ha compromesso irrimediabilmente il vincolo fiduciario, sia perché la sospensione dell’attività lavorativa era consentita, come chiarito in sentenza, solo per la finalità assistenziale garantita dal permesso. Peraltro, deve anche aversi riguardo al fatto che, come, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, l’intensità della fiducia richiesta è differenziata a seconda della natura e della qualità del singolo rapporto, della posizione parti, dell’oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che queste richiedono e che il fatto deve valutarsi nella sua portata oggettiva e soggettiva, attribuendo rilievo determinante alla potenzialità del medesimo a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento (cfr., tra le altre, Cass. 10.6.2005 n. 12263). Per tutte le esposte considerazioni, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio, in forza del principio della soccombenza, cedono a carico del ricorrente, e vanno liquidate nella misura di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge

a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

Centro di Documentazione Giuridica: Indennità di mansione spetta anche per i periodi di fruizione ex Legge n. 104/1992, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

L’indennità di mansione è dovuta ai centralinisti non vedenti pubblici e privati per ogni giornata di effettivo servizio svolto trattandosi, per ratio normativa, di un emolumento correlato alla menomazione e connesso «… alla maggiore gravosità della prestazione che consegue all’esistenza della cecità».
Assenza per ferie: Con circolare 4 novembre 1992, n. 84, il Ministero del Tesoro ha chiarito che l’indennità di mansione <… non si corrisponde durante i giorni di assenza dal servizio per qualsiasi causa, esclusi quelli per congedo ordinario, quelli per congedo speciale a seguito di infortunio in servizio, quelli per infermità riconosciute dipendenti da cause di servizio e quelli concessi agli invalidi di guerra per cure necessarie a seguito di ferite o infermità contratte in guerra, sempreché coincidenti con giornate feriali>. Inoltre, l’indennità di mansione è dovuta ai dipendenti che frequentano corsi professionali tenuti dall’amministrazione di appartenenza, ai dipendenti in permesso per motivi sindacali limitatamente al numero massimo di quattro giornate mensili, ai dipendenti donatori di sangue ed al personale assente per documentate esigenze di servizio.
Assenza per permessi 104/1992, art. 33, comma 6: Si premette che i permessi presi dai lavoratori disabili gravi per se stessi sono equiparati alla presenza in servizio in termini di percezione di ogni indennità o emolumento nonché di ogni altro accessorio collegato alla presenza effettiva in attività (differentemente da quanto avviene per coloro che richiedono i permessi per l’assistenza ad un familiare disabile grave). In caso di assenza dal servizio per la fruizione di permessi retribuiti, ad esempio i permessi di cui all’art. 33 della legge n. 104/1992, la Funzione Pubblica, con nota del 27 maggio 1999, Prot. 2207/10.2/15181, ha espresso <…. parere favorevole alla fattispecie concreta>», in ragione della equiparazione della assenza alla presenza in servizio. Il già Ministero per i Beni e le Attività Culturali è dello stesso orientamento, nel senso che <… le assenze tutelate dalla legge n. 104/92, non comportano decurtazione dell’indennità di mansione ex art. 9 l. n. 113/85>. Sulla base di un’interpretazione analogica delle norme, si può pertanto ribadire che, ai fini del pagamento dell’indennità di mansione, <… possono essere calcolati, tra i giorni da valutare come presenze di servizio, oltre ai casi previsti dalla l. n. 113/85, anche quelli dell’art. 33 l. n. 104/92, in quanto rispondenti alla medesima ratio che giustifica i casi di assenza “retribuita” già espressamente contemplati dall’art. 9 l. 113 del 1985>. Sull’argomento è intervenuto anche il Tribunale del Lavoro di Reggio Calabria che, con sentenza 21 marzo 2006, n. 782/2005 R.G.A., ha considerato detta misura indennitaria come <… parte integrante della retribuzione fissa di coloro che versino nelle condizioni di non vedenti e siano centralinisti> e, quindi, <… va da sé che nella retribuzione dovuta in caso di assenze retribuite vada sempre compresa la cd <indennità di mansione>.
Ad ogni buon conto, riepiloghiamo  le diverse modalità previste per l’erogazione dell’indennità di mansione che spetta per tutti i giorni di effettivo servizio prestato e non si corrisponde durante i giorni di assenza, fatte salve alcune eccezioni (cfr. circolare n. 84 del Ministero del Tesoro del 4.11.1992):
* assenza per ferie
* assenza per malattia dipendente da causa di servizio
* cure necessarie per infermità contratte in guerra
* assenza per infortunio sul lavoro
* frequenza corsi professionali previsti a livello datoriale
* donatori di sangue
* motivi sindacali
* beneficiari della legge n. 104/1992, art. 33, comma 6
* congedo di maternità, compresa l’interdizione anticipata dal lavoro, e congedo di paternità (astensioni obbligatorie)
* assenze per permessi lutto
* assenze dovute alla fruizione di permessi per citazione a testimoniare e per espletamento delle funzioni di giudice popolare
* assenze previste dall’art. 4, comma 1, della legge n. 53/2000
Per previsione normativa sono soggetti alla prescrizione di 5 anni tutti i crediti di natura retributiva pagati con periodicità annuale o inferiore, compresi quindi anche le somme relative all’indennità di mansione per centralinisti, spettanti ma non pagate.

a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

Disabili, nessun limite ai permessi, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

Al lavoratore dipendente, pubblico o privato, costretto ad assentarsi dal lavoro per assistere un suo familiare lavoratore e con grave disabilità, spettano i permessi previsti dall’art. 33 della legge 104/1992. Lo stesso diritto è riconosciuto allo stesso familiare disabile con grave handicap che può usufruire dei permessi lavorativi per se stesso. Su questa materia, il 5 novembre scorso il Dipartimento della Funzione pubblica ha espresso un circostanziato parere (n. 44274 /2012), che risolve le perplessità di alcune pubbliche amministrazioni sulla concessione dei permessi nel rispetto della legge. Il provvedimento ministeriale risponde al dubbio se i giorni di permesso dei due soggetti interessati (il lavoratore che assiste il familiare disabile e il disabile lavoratore) possano essere fruiti nelle stesse giornate. Nelle norme in vigore, non si riscontra alcuna espressa preclusione per il lavoratore assistente di assentarsi dal lavoro anche quando il familiare assistito chiede i permessi per se stesso. E la legge 104 non offre alcuna indicazione su come conciliare i due diritti. La situazione ordinaria – richiama il Dipartimento – è che le giornate fruite come permesso possono coincidere. A sollecitare l’intervento ministeriale, e confermare la regolarità dei permessi, il caso del lavoratore assistente che abbia la necessità di assentarsi per conto del disabile, il quale si rechi però regolarmente al lavoro non essendo necessaria la sua presenza. Una eventuale limitazione alle agevolazioni previste dalla legge – così conclude il parere n. 44274 – difficilmente potrebbe trovare una idonea giustificazione.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

 

Non licenziabile il disabile che fa troppe assenze, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

Importante sentenza della Corte di cassazione (Sez. Lavoro n. 15269 del 12 settembre 2012) in materia di licenziamento di lavoratori disabili. Per i giudici di piazza Cavour, in caso di aggravamento delle condizioni di salute, il disabile può chiedere che venga accertata la compatibilità delle mansioni a lui affidate con il proprio stato di salute. Anche il datore di lavoro può chiedere che vengano accertate le condizioni di salute del disabile per verificare se, a causa delle sue minorazioni, possa continuare a essere utilizzato presso l’azienda. La richiesta di accertamento e il periodo necessario per il suo compimento non costituiscono causa di sospensione del rapporto di lavoro: esso può essere risolto nel caso in cui, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, l’apposita commissione accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’azienda. Il licenziamento dell’invalido assunto in base alla normativa sul collocamento obbligatorio segue la generale disciplina normativa e contrattuale solo quando è motivato dalla comune ipotesi di giusta causa e giustificato motivo, mentre, quando è determinato dall’aggravamento dell’infermità che ha dato luogo al collocamento obbligatorio, è legittimo solo per la perdita totale della capacità lavorativa o la situazione di pericolo per la salute e l’incolumità degli altri lavoratori o per la sicurezza degli impianti.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)

Usare e non abusare dei diritti in modo più adeguato per farli valere, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

LICENZIAMENTO DISCIPLINARE PER ILLECITO UTILIZZO PERMESSI LEGGE 104/92

La Suprema Corte di Cassazione con una recentissima sentenza . n. 4984 del 4.03.2014 si è pronunciata sull’illecito utilizzo del permesso ex articolo 33 l. 104/1992 da parte di un lavoratore, familiare di un disabile. In sintesi per la Cassazione va licenziato chi usa il permesso della “104” per andare in vacanza invece che dal familiare malato e il datore di lavoro può far pedinare il dipendente da un detective per provare l’illecito utilizzo del beneficio concesso unicamente  per garantire l’assistenza ai congiunti. La  sentenza, di cu si riporta il testo integrale, riguarda il caso di un licenziamento effettuato per  l’illecito utilizzo  di un  permesso previsto dall’art.33 della legge n.104/92  riscontrato dal datore di lavoro, attraverso un’ agenzia investigativa , che ha smascherato l’utilizzo per finalità  estranee a quelle dell’assistenza. Il lavoratore dipendente, attraverso l’uso improprio del permesso, ha violato  la finalità assistenziale e  la sua condotta è stata coerentemente ritenuta capace di integrare anche sotto il profilo dell’elemento intenzionale un comportamento idoneo alla ravvisabilità della giusta causa del recesso,  in quanto la sospensione dell’attività lavorativa era consentita solo per la finalità assistenziale garantita dal permesso indebitamente fruito. La Cassazione, inoltre, ha legittimato il datore di lavoro anche ad utilizzare un investigatore per controllare il proprio dipendente che abusa del diritto. Tale controllo occulto, per quanto apparentemente  inopportuno, non è lesivo della privacy. Il divieto legittimo, per il datore, di spiare i dipendenti,  previsto dallo Statuto dei Lavoratori opera solo per i luoghi di lavoro e solo quando è rivolto a vigilare sull’attività lavorativa vera e propria. Nel caso di specie trattato in sentenza, invece, l’utilizzo del detective da parte del datore di lavoro, che  avviene fuori dall’unità produttiva ha come scopo quello di tutelare il patrimonio aziendale: ossia verificare se il dipendente sta adempiendo o meno alle obbligazioni del contratto di lavoro. L’accertamento dell’utilizzo improprio dei permessi della ex art. 33 della legge  non riguarda l’adempimento della prestazione lavorativa in sé, poiché viene effettuato al di fuori dell’orario di lavoro e in fase di sospensione dell’obbligazione principale lavorativa. Per cui avvalersi di “detective-spia” è pienamente legittimo. Sulla scorta di questa recentissima sentenza della Suprema Corte anche i lavoratori disabili che beneficiano per se stessi di tali permessi devono fare maggiore attenzione e non utilizzarli impropriamente per compiere attività estranee a quelle di riposo e di cura che hanno giustificato la loro assenza dal lavoro.
Per la rilevanza dell’argomento trattato, di qui seguito riporto il testo integrale della sentenza in commento.
Sentenza 04 marzo 2014 n. 4984
Lavoro – Contestazione disciplinare – Illecito utilizzo del permesso ex articolo 33 l. 104/1992 – Licenziamento – Agenzia investigativa.

Svolgimento del processo.

Con sentenza del 30.12.2010, la Corte di appello di Milano, in riforma della decisione impugnata, respingeva le domande proposte da N.D. intese alla declaratoria di invalidità del licenziamento intimato al predetto dall’A. s.p.a. il 30.4.2008 ed alla condanna di quest’ultima alla reintegrazione nel posto di lavoro, disposta dal Tribunale, sul presupposto dell’illegittimità del controllo operato dalla società ai fini dell’accertamento del fatto poi contestato in sede disciplinare e della conseguente inutilizzabilità della prova, in assenza di un illecito che giustificasse l’attività investigativa. La Corte del merito osservava che la contestazione disciplinare verteva sull’
illecito utilizzo di un permesso ex art. 33 I. 104/92 per fini del tutto estranei a quelli previsti dalla legge, tenuto conto della gravità del contegno del Nulli alla luce della qualifica direttiva posseduta, e rilevava che i fatti non erano stati contestati, essendone stata negata solo la rilevanza disciplinare nonché la liceità delle metodologie di accertamento. Pur convenendo con il primo giudice sul fatto che il controllo a mezzo di agenzia investigativa fosse consentito solo se indispensabile per l’accertamento di un illecito e se privo di alternative, osservava la Corte che, tuttavia, non poteva negarsi la natura illecita dell’abuso del diritto di cui all’art. 33 L. 104/92 citata, tanto ai danni dell’INPS che erogava l’indennità relativa ai giorni di permesso, sia ai danni del datore di lavoro a cui carico restavano per tali giornate l’accantonamento per il t.f.r. ed i disagi per fare fronte all’assenza. Peraltro, per giustificare il ricorso al controllo occulto “difensivo” era sufficiente che vi fosse il ragionevole sospetto che il lavoratore tenesse comportamenti illeciti e che non vi fosse la finalità di ampliare l’oggetto della contestazione disciplinare. I testimoni escussi avevano riferito che il Nulli in due occasioni, alla loro presenza, aveva dichiarato di avere trascorso una vacanza in week end lungo e che, in quanto svolgenti compiti attinenti al rilascio di permessi, essi erano al corrente che in quei giorni il N. era in permesso per la legge 104. Era, dunque, al cospetto di tali dichiarazioni, ragionevole il sospetto da parte dell’azienda che i permessi non fossero utilizzati per l’assistenza alla madre e quindi doveva ritenersi giustificato il controllo difensivo occulto per l’accertamento dell’illecito. Dalla liceità dell’accertamento difensivo conseguiva, pertanto, secondo il giudice del gravame, l’utilizzabilità in giudizio degli esiti dello stesso, non essendo stata contestata la veridicità dei fatti, la cui gravità era connessa non solo all’allontanamento temporaneo dall’abitazione materna, ma al fatto che il N.,  nel giorno di permesso chiesto per il venerdì 11 aprile 2008, alle 7,55 fosse partito con amici e valigia mettendo tra sé e la finalità di assistenza del permesso una distanza ed una previsione di rientro non prossimo, che rendevano evidente come lo stesso fosse stato utilizzato per altre finalità che la legge garantiva con l’istituto delle ferie. La Corte territoriale considerava, poi, la posizione del N. all’interno dell’azienda, quadro del Servizio Legale, e le competenze specifiche di laureato in giurisprudenza, che escludevano ogni possibilità di errore circa la finalità dei permessi e creavano un specifico pericolo di discredito dell’organizzazione aziendale ove gli altri lavoratori fossero venuti a conoscenza di week end allungati dal permesso per assistenza alla madre. L’abuso del diritto veniva, pertanto, ritenuto tale da integrare una condotta idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo di fiducia posto a fondamento del rapporto di lavoro.Per la cassazione di tale decisione ricorre il N., affidando l’impugnazione a cinque motivi, illustrati nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c Resiste, con controricorso l’A. s.p.a, che espone ulteriormente le proprie difese nella memoria illustrativa.
Motivi della decisione.

Con il primo motivo, il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 ed 8 I. 300/70, ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., osservando che il controllo dell’ agenzia investigativa non può riguardare in nessun caso né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, alla attività lavorativa, che è sottratta alla vigilanza altrui, ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione contrattuale prospettata. Secondo il ricorrente, appare, quindi, violativo degli artt. 2 e 3 Statuto avere ritenuto legittimi i pedinamenti che hanno determinato la contestazione disciplinare prodromica al licenziamento, in quanto certamente non finalizzati a rilevare illeciti a danno del patrimonio aziendale, attenendo, invece, all’adempimento dell’obbligazione di fornire la propria prestazione lavorativa a fronte della percezione della retribuzione. Occorreva che i controlli occulti fossero disposti contro attività fraudolente o penalmente rilevanti, laddove la Corte del merito aveva introdotto il tema dell’abuso del diritto che esulava completamente dall’interpretazione delle norme citate dello Statuto, collegando a tale ipotesi di abuso la possibilità di controllo difensivo occulto e scardinando la consolidata acquisizione interpretativa che ritiene legittima tale forma di controllo solo ove finalizzata alla tutela del patrimonio aziendale, ovvero alla verifica di comportamenti delittuosi del lavoratore. Assume il ricorrente che, se l’esercizio di un diritto potestativo in caso di sviamento della sua propria funzione può rifluire nell’abuso del diritto stesso, il controllo verte sulle modalità di esercizio di un diritto, non finalizzato assolutamente a quei soli scopi che legittimano i controlli occulti. Peraltro, la fattispecie, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di appello, non avrebbe integrato l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 640, comma 2, n. 1, c.p., in assenza di ogni artificio o raggiro posto in essere dal suo autore. Con il secondo motivo, il N. lamenta violazione dell’art. 342 c.p.c. e del d. Ig.vo 30.6.2003, n. 196, e deduce la nullità della sentenza, ex art. 156 e 161 c.p.c., ai sensi dell’art. 360, n. 4 c.p.c., rilevando come la Corte territoriale abbia completamente omesso di considerare la circostanza, evidenziata dal giudice di primo grado, dell’autorizzazione al trattamento dei dati sensibili da parte degli investigatori privati laddove l’A. non aveva mai riferito alcunché a proposito dell’esistenza dell’atto di incarico e che ciò doveva indurre la Corte a dichiarare l’inammissibilità dell’impugnazione ex art. 342 c.p.c.. Ed invero, era richiesta la conformità dell’incarico alle autorizzazioni del garante, conformità che costituiva presupposto indispensabile ai fini della legittimità dell’investigazione e della legittimità del controllo e quindi della contestazione (in tale senso era la pronuncia del Tribunale). Poiché la inesistenza di un incarico conforme alle disposizioni del Garante non era controverso, non era invocabile l’art. 360, n. 5, c.p.c., atteso che la totale mancanza di motivazione sul punto determinava la nullità della sentenza, deducibile ai sensi dell’ art. 360, n. 4, c.p.c..Con il terzo motivo, viene dedotta l’insufficienza e contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360, n. 5, c.p.c. e la violazione degli artt. 246, 416, 3° comma, 257 c.p.c. e dei principi in ordine alla testimonianza de relato, assumendo il N. che non vi sarebbe stata la prova del ragionevole sospetto che avrebbe legittimato il ricorso ad un controllo occulto, ma che, in base al tenore delle testimonianze di F. e V., doveva ritenersi che il preteso viaggio fosse proprio quello di cui al pedinamento e che la fonte fosse stata proprio l’Agenzia Investigativa, sicché la circostanza della vacanza riferita dal N. alla persona addetta alla segreteria costituiva dichiarazione priva di significato univoco, potendo la vacanza essersi realizzata in giorni estranei al permesso. Aggiunge, quale ulteriore considerazione a fondamento dell’impugnazione, che neanche sarebbe dato comprendere, alla luce dei risultati dell’investigazione, in quale data sarebbe stato effettuato il viaggio in Svizzera al quale si sarebbe riferito il N. conversando con le segretarie e la ragione per cui il predetto si sia indotto a confidare proprio alle stesse l’uso improprio del permesso ai sensi della legge 104. Peraltro, il M., firmatario della contestazione, aveva un interesse in causa che avrebbe potuto giustificare un suo intervento adesivo, atteso che, in caso di definitivo accertamento dell’illegittimità del licenziamento, l’A. avrebbe potuto rivalersi su di lui. La mancanza di motivazione sull’attendibilità del teste, una volta ritenuta la sua capacità a deporre, si traduceva, poi, in un vizio censurabile ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., ed anche la F. e la V. non potevano essere considerate testi di riferimento. Infine, si assume che il G., indicato de relato dal M., rappresentando l’A., non era persona estranea alla controversia, per cui non era possibile acquisirne la deposizione.Con il quarto motivo, il N. deduce la nullità della sentenza ai sensi degli artt. 156 e 161 c.p.c., ex art. 360 n. 4 c.p.c.) ed ascrive alla decisione violazione dell’art. 5 L. 604/66 ed omessa motivazione, evidenziandone la totale assenza con riguardo a fatti controversi e decisivi per il giudizio, tra i quali l’avere prestato cure alla propria madre in data 11.4.2008, non potendo ritenersi che non vi sia stata contestazione della veridicità dei fatti contestati.

Con il quinto motivo, il ricorrente si duole della violazione degli artt. 1 L. 604/66, 2119 e 2106 c. c. e rileva ancora la nullità della sentenza, ex art. 156 e 161 c.p.c. oltre che l’omissione od insufficienza della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che la contestazione relativa a fattispecie analoga a quella di abuso di congedo parentale non era in linea con i principi in materia di proporzionalità del licenziamento disciplinare ed alla valutazione della condotta secondo i criteri applicativi di norme elastiche, da condursi con giudizio di valore adeguato al contesto storico sociale. Assume che il giudizio della Cassazione deve ritenersi esteso alla sussunzione del fatto nell’ipotesi normativa, con valutazione di un contegno che nelle finalità del permesso contempli anche l’esigenza dalla persona che assiste di avere ulteriore occasione di riposo o di stacco e ciò anche nella prospettiva di un giudizio sulla proporzionalità della sanzione.

Il ricorso è infondato.

Il primo motivo deve essere disatteso stante quanto ribadito dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla portata delle disposizioni (artt. 2 e 3 della legge n. 300 del 1970), che delimitano – a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali – la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi – e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell’attività lavorativa (art. 3) -, ma non precludono il potere dell’imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti (quale, nella specie, un’agenzia investigativa) diversi dalla guardie particolari giurate per la tutela del patrimonio aziendale, né, rispettivamente, di controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative e quindi di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 cod. civ., direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica. Ciò non esclude che il controllo delle guardie particolari giurate, o di un’agenzia investigativa, non possa riguardare, in nessun caso, né l’adempimento, né l’inadempimento dell’obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l’inadempimento stesso riconducibile, come l’adempimento, all’attività lavorativa, che è sottratta alla suddetta vigilanza, ma deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione (cfr. , in tali termini, Cass. 7 giugno 2003, n. 9167). Tale principio è stato ribadito ulteriormente, affermandosi che le dette agenzie per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria, riservata, dall’art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori, restando giustificato l’intervento in questione non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass. 14 febbraio 2011, n. 3590). Né a ciò ostano sia il principio di buona fede sia il divieto di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, ben potendo il datore di lavoro decidere autonomamente come e quando compiere il controllo, anche occulto, ed essendo il prestatore d’opera tenuto ad operare diligentemente per tutto il corso del rapporto di lavoro (cfr. Cass. 10 luglio 2009 n. 16196).Nel caso considerato il controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio dei permessi ex art. 33 L. 104/92 (suscettibile di rilevanza anche penale) non ha riguardato l’adempimento della prestazione lavorativa, essendo stato effettuato al di fuori dell’orario di lavoro ed in fase di sospensione dell’obbligazione principale di rendere la prestazione lavorativa. Deve, pertanto, ritenersi che la decisione impugnata sia conforme ai principi sanciti in materia ed in linea con gli orientamenti giurisprudenziali richiamati. Quanto al secondo motivo di ricorso, che evidenzia la nullità della decisione per avere superato, omettendo ogni motivazione al riguardo, quanto affermato nel capo della sentenza di primo grado con riguardo alla mancanza di un atto di incarico conforme alle specifiche autorizzazioni del Garante per la protezione dei dati personali, occorre considerare che in realtà l’affermazione, costituendo un mero inciso di motivazione, reso ad abundantiam, non necessitava di espressa impugnazione, e quand’anche si ritenesse diversamente, la fattispecie implicava il coinvolgimento di dati personali non sensibili e chiaramente pertinenti rispetto allo scopo perseguito dalla società che, come sopra detto, era del tutto rispettoso delle norme dello Statuto poste a tutela del lavoratore. Non si poneva, pertanto, una questione di acquiescenza ad un capo di decisione autonomo, idoneo anche da solo a sorreggere la decisione, sicché l’asserita violazione dell’art. 342 c.p.c. risulta, in definitiva, destituita di giuridico fondamento.

Il terzo motivo è ugualmente infondato. Nella prima parte della censura si assume che le circostanze riferite dalle testi F. e V. sarebbero le stesse di cui all’accertamento investigativo, sicché sostanzialmente non vi era stato il sospetto ingenerato da circostanze preventivamente acquisite da tali testi, ma il datore avrebbe affidato il mandato all’agenzia a scopo meramente esplorativo. La censura mira in tale maniera a sollecitare una non consentita valutazione del merito, in contrasto con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui il ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi della motivazione della sentenza, deve contenere la precisa indicazione di carenze o di lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la decisione (o il capo di essa) censurata, ovvero la specificazione di illogicità, o ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, e quindi l’assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l’insanabile contrasto degli stessi, mentre non può farsi valere il contrasto dell’apprezzamento dei fatti compiuto dal giudice di merito con il convincimento e con le tesi della parte, poiché, diversamente opinando, il motivo di ricorso di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. finirebbe per risolversi in una richiesta di sindacato del giudice di legittimità sulle valutazioni riservate al giudice di merito (v. tra le altre, Cass. 5 marzo 2007 n. 5066, Cass. 5274/2007 e, precedentemente, Cass. 15693/2004). La seconda parte della censura verte, invece, sulla ritenuta incapacità a deporre del teste M., ma in primo luogo deve rilevarsi che nessun accenno viene fatto ali termini ed ai modi in cui una tale eccezione era stata tempestivamente sollevata nella fase del merito. Vero è, poi, che ove la capacità a deporre del teste non possa essere messa in discussione per non essere stata la relativa questione tempestivamente sollevata, il giudice del merito non è esonerato dal potere – dovere di esaminare l’intrinseca attendibilità di detto testimone, specialmente in caso di contrasto tra le risultanze di prove diverse, e legittimamente può tener conto dell’interesse del teste all’esito del giudizio, anche là dove tale interesse non sia formalmente tale da legittimare la sua partecipazione allo stesso, (cfr. Cass. 18 marzo 2003 n. 3956). Nel caso considerato non si ravvisano, tuttavia, errori di valutazione idonei a legittimare la censura come prospettata anche con riguardo al profilo dell’attendibilità delle deposizioni acquisite, essendo state le testi di riferimento legittimamente escusse sulla base dell’indicazione di conoscenza dei fatti ad esse attribuita. Il quarto motivo solleva una critica avulsa dalle risultanze processuali laddove si contesta l’iter argomentativo in relazione alla circostanza che la contestazione da parte del ricorrente vi era stata anche con riguardo all’effettivo verificarsi dei fatti contestati. Ed invero, posta la rilevanza probatoria attribuibile per quanto sopra detto ai risultati dell’investigazione, non rilevano circostanze ulteriori riferite alla assistenza comunque prestata alla madre dal N. prima di partire per il week end, permanendo l’abuso del diritto connesso all’utilizzo improprio del permesso ex art. 33 L. 104/92.

Ove l’esercizio del diritto soggettivo non si ricolleghi alla attuazione di un potere assoluto e imprescindibile, ma presupponga un’autonomia comunque collegata alla cura di interessi, soprattutto ove si tratti – come nella specie – di interessi familiari tutelati nel contempo nell’ambito del rapporto privato e nell’ambito del rapporto con l’ente pubblico di previdenza, il non esercizio o l’esercizio secondo criteri diversi da quelli richiesti dalla natura della funzione può considerarsi abuso in ordine a quel potere pure riconosciuto dall’ordinamento. L’abuso del diritto, così inteso, può dunque avvenire sotto forme diverse, a seconda del rapporto cui esso inerisce, sicché, con riferimento al caso di specie, rileva la condotta contraria alla buona fede, o comunque lesiva della buona fede altrui, nei confronti del datore di lavoro, che in presenza di un abuso del diritto al permesso si vede privato ingiustamente della prestazione lavorativa del dipendente e sopporta comunque una lesione (la cui gravità va valutata in concreto) dell’affidamento da lui riposto nel medesimo, mentre rileva l’indebita percezione dell’indennità e lo sviamento dell’intervento assistenziale nei confronti dell’ente di previdenza erogatore del trattamento economico. In base al descritto criterio della funzione, deve ritenersi verificato un abuso del diritto potestativo allorché il diritto venga esercitato, come nella specie, non per l’assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività. La condotta del ricorrente si è posta in contrasto con la finalità della norma su richiamata, e pertanto la sua connotazione di abuso del diritto e la idoneità, in forza del disvalore sociale alla stessa attribuibile, a ledere irrimediabilmente il rapporto fiduciario correttamente sono state ritenute dal giudice del gravame capaci di integrare il comportamento posto dal datore a fondamento della sanzione disciplinare.

Il quinto motivo verte sulla correttezza del giudizio di proporzionalità espresso dalla Corte territoriale con riguardo alla condotta del N.. In ordine ai criteri che il giudice deve applicare per valutare la sussistenza o meno di una giusta causa di licenziamento, la giurisprudenza è pervenuta a risultati sostanzialmente univoci, affermando ripetutamente (come ripercorso in Cass., n. 5095 del 2011 e da ultimo ribadito da Cass. 26.4.2012 n. 6498) che, per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, ed in particolare di quello fiduciario, occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare. È stato, altresì, precisato (Cass., n. 25743 del 2007) che il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali (L. n. 604 del 1966, art. 3) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.).

In tema di ambito dell’apprezzamento riservato al giudice del merito, è stato condivisibilmente affermato (cfr. fra le altre, Cass. n. 8254 del 2004 e, da ultimo Cass. 6498/2012 cit.) che la giusta causa di licenziamento, quale fatto che non consente la prosecuzione, neppure provvisoria, del rapporto, è una nozione che la legge, allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo, configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle c.d. clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modello generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici o giuridici. A sua volta, Cass. n. 9266 del 2005 ha ulteriormente precisato che l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c., (norma c.d. elastica) compiuta dal giudice di merito – ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento – mediante riferimento alla “coscienza generale”, è sindacabile in cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli “standards”, conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale. Al riguardo deve rilevarsi che la decisione impugnata dal lavoratore sotto tale profilo appare rispettosa dei principi di diritto enunciati in materia da questa Corte, in quanto il giudice dal gravame ha dato conto delle ragioni poste a fondamento della stessa, valorizzando, ai fini della valutazione della gravità della condotta, non solo e non tanto l’allontanamento temporaneo dall’abitazione materna “quanto il fatto che N. nel giorno del permesso ex art. 33 chiesto per la giornata di venerdì 11 aprile, alle 7,55 sia partito con amici e valigia al seguito, così mettendo fra sé e la finalità di assistenza del permesso una distanza e una previsione di rientro non prossimo che rendono del tutto evidente che il permesso …. è stato utilizzato per altra finalità, che la legge garantisce con l’apposito istituti delle ferie”. In tale modo il Nulli – come condivisibilmente osservato dal giudice del merito – ha violato, attraverso l’abuso del relativo diritto, la finalità assistenziale allo stesso connessa e la condotta posta in essere è stata, pertanto, coerentemente ritenuta capace di integrare anche sotto il profilo dell’elemento intenzionale un comportamento idoneo alla ravvisabilità della giusta causa del recesso, sia perché le eventuali convinzioni personali del ricorrente di potere fare affidamento in una prassi consolidata o nella collaborazione di una badante sono dei tutto irrilevanti in presenza di comportamento che ha compromesso irrimediabilmente il vincolo fiduciario, sia perché la sospensione dell’attività lavorativa era consentita, come chiarito in sentenza, solo per la finalità assistenziale garantita dal permesso. Peraltro, deve anche aversi riguardo al fatto che, come, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, l’intensità della fiducia richiesta è differenziata a seconda della natura e della qualità del singolo rapporto, della posizione parti, dell’oggetto delle mansioni e del grado di affidamento che queste richiedono e che il fatto deve valutarsi nella sua portata oggettiva e soggettiva, attribuendo rilievo determinante alla potenzialità del medesimo a porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento (cfr., tra le altre, Cass. 10.6.2005 n. 12263). Per tutte le esposte considerazioni, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio, in forza del principio della soccombenza, cedono a carico del ricorrente, e vanno liquidate nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.

a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)