Autore: Francesco Piccolo
“Assorbito nella contemplazione della bellezza sublime, la vedevo da vicino, la toccavo per così dire. Ero giunto a quel livello di emozione, dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti ed i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce, ebbi un tuffo al cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere”(Stendhal, “Roma, Napoli, Firenze. Viaggio in Italia da Milano a Reggio Calabria”)
Sebbene non totalizzante come per Stendhal, anche la nostra fruizione dell’Arte si configura come esperienza che sedimenta a lungo in noi stessi e di conseguenza, ci modifica.
Infatti, al ritorno da un viaggio particolarmente coinvolgente, ci si sente cambiati poiché, quando si è visto il mondo, non lo si può più ignorare.
Siamo certi però, che sia necessario “vedere”?
Il vasto quadro legislativo e normativo asserisce che una persona con disabilità, ipovedente nello specifico, ha il diritto di fare turismo; tuttavia è prassi consolidata delimitare piuttosto marcatamente e strettamente l’ambito del tour. Infatti, se da un lato le specifiche disposizioni rendono accessibili alcuni ambienti, ciò che spesso viene a mancare è la possibilità di esperire non la singola opera o monumento, ma l’intero contesto culturale entro cui l’opera d’arte si inserisce.
L’obiettivo che ci si propone con il progetto Sentire l’Arte è offrire strumenti utili a chi voglia organizzare itinerari turistici che restituiscano a non vedenti ed ipovedenti un’idea olistica dei luoghi visitati superando, ove possibile, anche l’assenza dei tradizionali ausili (mappe a rilievo, segnali e piste tattili).
Con profonda umiltà ma altrettanta determinazione, si è scelto di preparare un itinerario di prova nella città di Gallipoli. Le guide sapevano di non dovere raccontare e descrivere l’Arte, ma farla esperire. Del tutto consapevoli che, ponendosi tra la Città e il Turista, operavano come filtro ed amplificatore esse hanno scelto di preferire alla neutralità, qualità sacrificabile in un contesto artistico, l’autenticità del loro coinvolgimento, qualità apprezzabile sia nell’opera che nella esperienza che di questa viene fatta.
Il primo passo è stato interrogarsi sulla matrice culturale della città di Gallipoli, per poi redigere un identikit che andasse dai luoghi, ai sapori, ai suoni, ai profumi specifici di questa terra. Delineato il percorso/esperienza da offrire si è affrontata la sfida più ardua: attuarlo. La competenza implementata è stata quella creativa.
Ogni singola attività è stata testata su volontari. Ultimato l’itinerario lo si è ulteriormente testato su un gruppo di altri 10 partecipanti volontari, vedenti ed ipovedenti. Ai vedenti è stato chiesto di indossare occhialini oscuranti a schermo totale. Accompagnato da due guide abilitate il gruppo si è mosso dalla zona portuale, luogo di incontro, e attraversando il vecchio mercato del pesce ha raggiunto il fossato del Castello angioino. Qui il primo contatto con la pietra. Il tema del percorso infatti è sintetizzato dal titolo stesso: “petre e mare”.
La perla dello Jonio è una piccola isola di pietra calcarea erosa dal mare e dal vento. Questa è l’aspetto che si è scelto di vivere. Introducendo la storia del luogo e il tipo di percorso si è data una padella con coperchio. La forma tonda richiama le mura cittadine, il pomo del coperchio allude alla struttura bizantina del borgo dove sul punto più alto c’è il tempio. Il manico è il ponte che collega alla terra ferma.
Dal fossato del castello si è giunti ai suoi portali, a ridosso del mercato coperto di fine ‘800. Un tempo cuore pulsante della città; ora è il suo salotto e centro di promozione culturale. Qui il primo incontro con i sapori locali e l’artigianato. Le guide hanno utilizzato il dialetto per interagire con i pescatori, gli artigiani, i ristoratori, per rendere gli ospiti partecipi dei suoni della città. Procedendo per la via principale, è stato dato un avviso quando si passava affianco alle mura della Cattedrale e dell’Episcopio. Il tempo trascorso per giungere dal fondo alla facciata già restituisce un’idea delle dimensioni.
La visita in Basilica ha riservato le sorprese maggiori.
Grazie all’ausilio di un’applicazione gratuita per smartphone ed iphone sono stati consegnati file multimediali ai singoli partecipanti:
– ci si è trovati testimoni del rito greco ortodosso come il fonte battesimale in marmo e legno attesta;
– catapultati nel chiostro delle Clarisse mentre si canta alla Martire Agata, come commento al quadro posto sull’altare del braccio sinistro del transetto;
– trasportati da Scarlatti tra le nuvole di un dipinto di 100 mq di cui si è calcato il perimetro e drammatizzato il contenuto.
Dal punto di vista tattile un triangolo ha reso lo schema prospettico dei quadri del Coppola, un ostensorio ha suggerito la composizione pittorica del San Sebastiano del Malinconico, il pizzo macramè ha restituito la ricchezza esasperata del Barocco leccese e un filato di pasta spiegato l’andamento di una colonna salomonica.
Le pietre, il carparo e la leccese bianca, esplorate in blocchi grezzi e lavorati.
L’olfatto ha commentato l’altare maggiore in marmo policromo e racchiuso in una nota salmastra l’imponenza dell’intero complesso architettonico.
La percezione posturale ha chiuso questo momento richiamando alla mente che, uscendo da quel luogo, ci si poneva in una nicchia proprio come i santi sulla facciata.
Dal punto più alto del percorso, per altra via, attraversando il resto della città, si è raggiunto il luogo dove pietra e mare si incontrano: la spiaggetta della Purità.
Complice il sole del pomeriggio che dona tutto il suo calore prima di sparire tra le onde, i partecipanti hanno potuto toccare ciò che resta della “petra” di cui Gallipoli è fatta: sabbia finissima. Un canto popolare ha calato il sipario su questo racconto di una città fatta di vento, di pietra e di mare; tra il fragore delle onde, col sole in fronte, protetti dalle mura e dai bastioni alle spalle.
I commenti e le valutazioni raccolte al termine del percorso tramite questionario sono incoraggianti. Alla domanda “l’itinerario proposto le ha descritto, anche a grandi linee, l’identità dei luoghi visitati?” tutti hanno detto “sì” motivando la scelta e apprezzando il ricorso alle tecniche d’impatto e ai contenuti multimediali. Alla richiesta “ dal punto di vista emotivo come ha trovato questa esperienza?” è stato risposto: mistica; coinvolgente; affascinante; insolita; trasportata in altra dimensione; intensa; rilassante; piacevole; sensoriale; molto forte; emozionante; bella.
Siamo molto soddisfatti di questo risultato e tuttavia consapevoli del lavoro che ha richiesto.
Nondimeno si rafforza in noi la convinzione che percorrendo le differenti vie sensoriali si possa giungere a quella percezione sincretica del singolo manufatto e dell’ambiente prossimo ed esteso entro cui esso si inserisce. Tuttavia senza una traccia emozionale tale vissuto non troverebbe duratura collocazione nella memoria, e di conseguenza l’esperienza dell’opera d’arte, dello specifico monumento, dell’intero itinerario andrebbe fallito. Da qui l’attenzione sull’aspetto essenziale del vissuto esplorativo/turistico: il dato emotivo.
Sebbene non sia l’estraniamento stendhaliano quello che si cerca nondimeno esso rappresenta la deriva di un sano ed emozionante stupore che rende possibile il passaggio dall’accessibilità, garantita dalle norme e dalle infrastrutture, alla reale fruizione dell’opera d’arte e quindi all’esperienza estetica.
Francesco Piccolo
Psicologo, ideatore responsabile del progetto Sentire l’Arte