Prendere il contesto inclusivo per superare l’emergenza educativa e uscire dalla “medicalizzazione” della diversità, di Luciano Paschetta

Autore: Luciano Paschetta

Venerdì scorso il governo ha approvato in via definitiva le otto deleghe alla legge 107 accogliendo in buona parte gli emendamenti proposti dalle associazioni, tuttavia, come sempre, l’approvazione di una norma non rappresenta solo un punto di arrivo, ma un nuovo punto di partenza.
In questi ultimi mesi, nel dibattito a “tutto tondo” che si è sviluppato sull’inclusione scolastica ho avuto modo di sottolineare più volte che a garantire una reale inclusione delle persone con disabilità, scolastica prima e sociale poi, era il livello di inclusività del “contesto”. Altri hanno avuto modo di ricordare che, perché l’inclusione si realizzi, occorre che la scuola e il contesto sociale cambi in questo senso, contemporaneamente però leggevamo articoli che parlavano di emergenza educativa nel nostro paese e statistiche che posizionavano la scuola italiana sempre più in basso. Oltre alla ormai diffusa convinzione che le leggi ci sono, ma poi tutto resta come sempre, credo occorra fare alcune riflessioni per capirne la carenza che sta degradando il nostro sistema educativo.
Il nostro sistema scolastico fino alla fine degli anni ’60 aveva funzionato secondo un modello che potremo definire: “scuola organismo”. Era questa la scuola gentiliana, governata e diretta dal centro, quella dove la norma era prescrittiva, che si reggeva su curriculum rigidi e su programmi predefiniti e dove il ruolo del docente rispetto all’organizzazione era sostanzialmente passivo e I suo dovere era applicare le norme e il suo piano di lavoro, quando richiesto, era , spesso, la trascrizione dell’indice del libro di testo. Definisco questo modello “scuola organismo” perché esso era caratterizzato dalle modalità di funzionamento analoghe a quelle dell’organismo umano, dove i vari organi funzionano ed interagiscono tra di loro secondo regole precise e determinati fenomeni si ripetono in modo immutato e ciclico. E’ questo il periodo che gli storici chiamano dell’”esclusione”: la scuola organismo non sapeva integrare il “diverso” al suo interno, così come l’organismo umano rigetta un corpo estraneo.
Quel modello è andato in crisi , non solo sotto la spinta ideologica del ‘68, ma come conseguenza del passaggio dalla scuola di “élite” a quella di “massa” e a partire dagli anni ‘70 la scuola si organizza secondo un modello che chiameremo ” modello arena”. Un’arena caratterizzata da un valore della norma sempre più debole, nella quale, rotti i vecchi schemi, nascono spontanee iniziative di sperimentazione con diversi tentativi di progettazione settoriale: è tipico di questo periodo avere, all’interno di un istituto, un gruppo di docenti che lavorano benissimo programmando insieme ed innovando la loro azione didattica, a fianco di altri che continuano più rigidamente a seguire i programmi ed ignorano cosa fanno i colleghi. E’ in questo “clima” che si avviano i primi inserimenti di alunni con disabilità nella scuola di tutti, che, nel ’77, preceduta nel ’74 dalla riforma Malfatti, viene emanata la legge 517, la quale pone quale “conditio sine qua non “perché l’integrazione si realizzi la modifica del contesto scuola. Cosa questa che, in questi anni, è avvenuta solo in modo disorganico e disomogeneo a “macchia di leopardo”, il “sistema” nel suo complesso non mutò, nonostante la legge 104, né le cose sono cambiate molto neanche con la concessione alle scuole dell’autonomia didattica e organizzativa, un modello di “scuola sistema dove la norma è solo più atto di indirizzo nell’ambito della quale ogni istituto esercita la sua autonomia dalla progettazione del piano dell’offerta formativa (definisce la propria carta dei servizi ed il regolamento disciplinare(è possibile anche modificare fino al 20% del curriculum, rendere flessibile l’orario dei docenti nel corso dell’anno, lavorare per classi aperte, ecc.), la normativa non è più prescrittiva: non descrive più il “come fare”, non precisa più le procedure specifiche, ma si limita a fornire gli “indirizzi”, ad indicare le “piste” entro le quali muoversi per raggiungere gli obiettivi definiti nel P.T.O.F..
Parallelamente all’evoluzione del sistema abbiamo avuto l’evoluzione dei principi ai quali si riferiva la scolarizzazione degli alunni con disabilità: fino alla fine degli anni ’60 la loro educabilità era fondata su una pedagogia incentrata sulle specifiche disabilità (scuole speciali per alunni con disabilità intellettive, visive, motorie auditive). Nei primi anni ’70 la proposta pedagogica dei sostenitori dell’integrazione degli alunni con disabilità , faceva riferimento alla pedagogia di “tutti” ed era incentrata sull’alunno in quanto persona da educare ed ha questo modello si ispirò la legge 517 , quando subordinò il successo dell’integrazione ad un adeguamento del contesto. L’evoluzione del modello, così come avvenuta negli anni ’80, ‘90 e continuata negli anni 2000, sottovalutando l’importanza del contesto e facendo del docente di sostegno il “perno” del processo di inclusione, ha favorito il sorgere delle cattedre di pedagogia speciale (non specialistica) il che ha incentrato il modello di inclusione su una “pedagogia speciale” riservata solo agli alunni con problemi, e ha rafforzato lo svilupparsi della delega creando il binomio tra l’alunno con disabilità e il “suo” docente per il sostegno. Tutto ciò a fatto dell’alunno con disabilità sempre più un “problema” di cui si occupa la pedagogia speciale o un “caso” di cui si devono occupare esperti del settore (psicologi, psicoterapeuti, neuropsichiatrici infantili, riabilitatori, ecc.)
Come abbiamo detto, al di là di felici situazioni, il sistema nel suo complesso spesso esprime ancora scarse capacità e competenze progettuali e organizzative e rimane incapace di utilizzare tutte le opportunità che la norma gli offre, rimanendo in un “limbo” tra il “vecchio” che non c’è più ed un “nuovo” che non riesce a costruire., con l’inevitabile caduta di qualità del servizio scolastico in generale e di una crescente incapacità nel garantire il successo dell’inclusione degli alunni con disabilità.
Se questa è, sia pur molto sintetica, l’analisi di come si è venuto evolvendo il nostro sistema scolastico e, al suo interno, il modello di inclusione, è necessario cercar di capirne la causa profonda.
In questi ultimi due mesi leggendo e rileggendo i testi degli atti di delega della legge 107 per proporne gli emendamenti possibili, ho fatto alcune considerazioni che vorrei condividere. La scuola dagli anni ’70 ad oggi dal punto di vista normativo è molto cambiata, così come è cambiata la normativa sull’inclusione , in entrambi i casi in senso positivo, negli anni nelle scuole sono entrate diverse nuove figure: il docente per il sostegno, ma anche psicologi, educatori, psicomotricisti, assistenti alla comunicazione alla persona, ecc. alla cui scarsa specializzazione abbiamo spesso imputato la “debolezza” del modello di inclusione, questo può essere vero, ma perché sostanzialmente il contesto oggi è meno inclusivo di quanto lo fosse nei primi anni ’70 e perché la nostra scuola non è riuscita a stare al passo con quella del resto dell’Europa? Cosa è mancato?
E proprio scorrendo gli atti di delega che ho notato come nel nostro sistema educativo manchi una figura fondamentale: quella del Pedagogista, tanto che nella commissione di valutazione per la definizione del profilo di funzionamento prevista dall’atto di delega 378, volendo inserire una figura con competenze pedagogiche non si è potuto far di meglio che in dicare genericamente un rappresentante esperto del MIUR, nella stesura del P.E.I. gli “esperti” sono tutti di area sanitaria (neurospichiatra infantile e riabilitatori), mi si dirà, ma i pedagogisti sono i docenti, questo può essere vero nella scuola per l’infanzia e nella primaria, ma certamente non nella secondaria. In quasi nessuno dei piani di studio che hanno condotto all’insegnamento delle diverse discipline sono previsti esami di pedagogia, docimologia e didattica della disciplina (non sto parlando di crediti relativi alle tematiche della disabilità). Questo mentre la scuola dell’autonomia non è più la scuola del “programma” uguale per tutti (principio di uguaglianza), ma la scuola della progettazione di percorsi formativi “per tutti e per ciascuno” (principio di equità). Una progettazione per unità didattiche per ciascuna delle quali dovrebbero essere previsti: le metodologie, e gli strumenti didattici da utilizzare, i tempi e le modalità di valutazione formativa e sommativa da applicare, capacità di progettazione queste che possiede solo chi è esperto pedagogista e che non appartengono certo alla generalità dei docenti. Le grandi assenti dalle nostre scuole sono le scienze pedagogiche: come potrà diventare inclusivo un contesto scolastico in cui i docenti imparano ad insegnare sulla pelle dei ragazzi, di tutti i ragazzi.
Nell’atto di delega 377 sulla formazione iniziale dei docenti per la scuola secondaria si è chiesto l’acquisizione di almeno 30 CFU sulle tematiche pedagogiche riferite alla disabilità, ma come si potrà parlare con profitto di metodologie didattiche particolari a studenti che nulla sanno di pedagogia e didattica.
Infine è sicuramente lodevole aver inserito i servizi per l’infanzia (0-3 anni) nel sistema educativo , atto di delega 380, ma anche qui a sostenere le famiglie fornendo consulenza saranno, ancora una volta, figure dell’area sanitaria, pediatri, psicologi e neuropsichiatrici infantili per i quali il bambino con difficoltà diventerà un “caso” da curare, anziché essere affidato ad un pedagogista che si “prenda cura” della sua educazione ed aiuti i genitori a vivere il loro ruolo di educatori dando loro gli strumenti per educare il bambino con attenzione alla sua diversità.
Infine l’atto di delega 378 richiamando l’art. 14 della legge 328/2000, per favorire l’inclusività del territorio, prevede nella procedura per l’inclusione scolastica la redazione del Progetto individuale che, unitamente al P.E.I. sarà alla base nella definizione delle risorse per il sostegno da affidare alla scuola, ma anche in questo caso manca la figura che dovrebbe avere le competenze necessarie a tracciare un percorso educativo efficace: quella del pedagogista, ma il decreto non poteva prevederlo mancando , nel nostro paese, il riconoscimento di tale figura.
Se è vero , come è vero che ciò che garantisce il successo del processo di inclusione è il livello di inclusività del contesto, se non vogliamo che questa resti , ancora una volta, una bella affermazione è urgente il riconoscimento della figura che, capace di “prendersi cura” (non curare” i ragazzi con disabilità affiancando i genitori nei primi anni di vita non per indicare “terapie”, ma suggerire comportamenti educativi e percorsi formativi idonei a sviluppare le potenzialità del loro bambino, ma anche di fornire alla scuola e alle diverse agenzie educative del territorio il necessario supporto per la progettazione di percorsi educativi attenti ai bisogni del singolo, sia in grado di rendere i diversi contesti inclusivi, favorendo altresì il superamento dell’emergenza educativa: il pedagogista. Da diversi mesi è giacente in Senato il Disegno di legge n. 2443 già approvato alla camera che ne prevede l’istituzione, ma che sembra essersi arenato, ci attende una nuova battaglia, rendere consapevoli parlamentari di un principio sul quale abbiamo promosso il processo di inclusione quando affermavamo che la scuola che è capace di includere gli alunni più deboli è la scuola che va meglio per tutti, così dotare il nostro sistema educativo di una figura con specifiche competenze nel settore, vuol dire uscire dalla “medicalizzazione” della diversità, favorire il superamento dell’emergenza educativa, rendere la nostra scuola più efficace e inclusiva.
Luciano Paschetta

Fispic, i giovani prima di tutto: nasce l’under 22 di calcio a 5 b2/3

Il lavoro della Fispic è sempre più rivolto verso i giovani. Il progetto, iniziato nei mesi scorsi con la creazione dell’Under 22 di Goaball, di Judo e di Calcio e 5 B1, ora vede protagonista il Calcio a 5 B2/3, che presto avrà una rappresentativa giovanile L’avviso è partito pochi giorni fa e sono già 18 i ragazzi che hanno aderito e parteciperanno al raduno che si svolgerà a Volpago del Montello (Treviso) dal 29 al 30 aprile 2017. Si tratta di un risultato straordinario che spinge la Federazione a promuovere con impegno sempre maggiore le opportunità per i ragazzi. L’obiettivo principale è il ringiovanimento delle rappresentative nazionali in vista dei Giochi Paralimpici di Tokio 2020. Al tempo stesso il programma darà nuova linfa alle società affiliate offrendo l’opportunità a molti ragazzi di praticare l’attività sportiva. L’evento di fine aprile rientra nella serie di misure approvate circa un anno e mezzo fa dal Consiglio Federale, che intende promuovere la pratica sportiva tra le persone con deficit visivo di età inferiore a 22 anni. Un’occasione importante per i nostri ragazzi, utilissima anche per l’integrazione e la socializzazione. Il presidente della Fispic, Sandro Di Girolamo, spiega con entusiasmo i propositi dell’iniziativa.  “Abbiamo sempre sostenuto che i giovani sono al centro del programma della Federazione – afferma Di Girolamo – con questo progetto cerchiamo di ringiovanire le varie rappresentative nazionali e dare nuovo slancio alle società. Dopo il Goalball, il Judo e il Calcio a 5 B1, tocca al calcio a 5 B2/3 e la straordinaria risposta che c’è stata subito dopo l’avviso con 18 ragazzi già intenzionati a cominciare gli allenamenti è per noi motivo di grande gioia e soddisfazione. Faccio i complimenti al Direttore Sportivo di disciplina, che con grande merito è riuscito già a coinvolgere un bel numero di Under 22”.
Allo stage del 29 e 30 aprile potranno prendere parte tutti gli atleti Under 22 tesserati alla FISPIC per l’anno sportivo corrente o, comunque, intenzionati ad effettuare il tesseramento alla FISPIC per l’anno sportivo 2016/2017. L’obiettivo è coinvolgere nuovi praticanti alle attività e perfezionare le qualità tecniche dei tesserati che di recente si sono avvicinati al movimento sportivo. Il programma prevede l’organizzazione di stage con programmi mirati alla preparazione e alla tecnica della disciplina. Gli atleti che dimostreranno le maggiori qualità andranno a formare la Nazionale 22 creata appositamente dalla Federazione e, con l’inizio del nuovo quadriennio paralimpico, rappresenterà un importante serbatoio per la Nazionale maggiore al fine di raggiungere buoni risultati agli Europei, ai Mondiali e, in ottica futura, ottenere il pass per i Giochi Paralimpici estivi di Tokyo 2020.

la squadra under 22

la squadra under 22  di calcio a 5 b2/3

 

Sport – I risultati del week-end

A Casoria (NA) si è concluso il torneo di qualificazione maschile ai Campionati Italiani di showdown.
Giuseppe Cesena e Riccardo Buelloni hanno conquistato l’accesso ai Campionati italiani di showdown in programma dal 19 al 21 maggio.
Di seguito le posizioni conquistate dai nostri soci:
Giuseppe Cesena – quinto
Riccardo Buelloni – decimo
Fabrizio Palumbo – dodicesimo
Giovanni Maria Giglio – tredicesimo
Alfonso Giorgio – trentunesimo
Oggi pomeriggio, domenica 9 aprile , si è svolta la quindicesima edizione del meeting interregionale lombardo di nuoto Città di Busto”.
La nostra giovane socia Martina Rabbolini ha vinto le tre gare (categoria S11 – non vedenti) a cui ha partecipato con i seguenti tempi:
400 stile libero – 6.03:00
100 rana – 1.39:00
100 dorso – 1,30:00
Per quanto riguarda il baseball per ciechi, a Staranzano, oggi pomeriggio, i Lampi Milano hanno riportato due vittorie contro i Ducks Staranzano (9 a 0 e 8 a 0).
La classifica del Girone Ovest è la seguente:
1. Patrini Malnate punti 8 vinte 4 pareggiate 0 perse 0 media 1000
2. Lampi Milano 8 4 0 2 667
3. Thunder’s Five Milano 4 2 0 2 500
4. Ducks Staranzano 0 0 0 6 000

Maratona di Roma: sport e partecipazione sociale, di Alessia Bazzoli e Michela Preite

Autore: Alessia Bazzoli e Michela Preite

Domenica, 2 aprile 2017 si è svolta la XXIII edizione della maratona di Roma. Siamo giunte sul luogo dove si svolgeva la maratona verso le 9 del mattino e ci siamo incontrati immediatamente con Alfio Pulvirenti che ci aveva contattato.. La partecipazione ha riguardato 16000 atleti provenienti da 131 paesi. L’Associazione Italiana Fisioterapisti del Lazio ha prestato assistenza agli atleti affaticati mediante l’impegno di circa un centinaio di studenti di Fisioterapia provenienti dai tre atenei romani. L’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti per il sesto anno consecutivo ha apportato il proprio contributo mediante la presenza di 5 fisioterapisti non vedenti ed ipovedenti, fra cui noi due, i quali hanno lavorato in stretta collaborazione con i colleghi vedenti. C’erano circa 12 lettini e vi abbiamo preso posto in attesa che arrivassero gli atleti. I primi arrivati giungevano verso mezzogiorno. Dovendo essere rapidi ci veniva suggerito di lavorare in coppia e le coppie erano composte da un fisioterapista vedente e da uno non vedente per lettino.
Gli atleti che volevano essere massaggiati erano in fila ad aspettare il proprio turno. Ogni 5 minuti si trattava un nuovo atleta e i fisioterapisti effettuavano un massaggio defaticante agli arti inferiori.
Abbiamo lavorato per circa 3 ore e verso le 15 del pomeriggio, piano piano, ci siamo incamminati verso la via del ritorno!
Anche questa volta, per il secondo anno, 50 soci della sezione romana dell’Unione, di cui alcuni accompagnati dagli amici a quattro zampe, hanno preso parte alla stracittadina, servendosi dell’apporto, in termini di accompagnamento, fornito da diversi studenti di fisioterapia.
Malgrado la pioggia abbia voluto ostacolare l’evento, l’entusiasmo degli atleti e dello staff di assistenza è prevalso. E’ stata un’esperienza indimenticabile, abbiamo potuto conoscere un sacco di gente, sfruttando la nostra poca conoscenza di inglese e francese.
E’ sempre bello conoscere persone di diverse nazionalità con usi e costumi diversi dai nostri, anche se gli atleti non avevano molta voglia di parlare data la stanchezza.
Il nostro ringraziamento va ad Alfio che ha organizzato tutto in maniera impeccabile; dall’accoglienza, al pasto, alla location e ha fatto in modo che andasse tutto liscio! Se quest’iniziativa fosse ripetuta anche l’anno prossimo sicuramente non mancheremo all’evento.

Alessia Bazzoli e Michela Preite

Un week-end di baseball, nuoto e showdown

E’ in programma a Casoria (NA), dal 7 al 9 aprile, il torneo di qualificazione maschile ai Campionati Italiani di showdown.
Saranno impegnati i nostri soci RICCARDO BUELLONI,GIUSEPPE Riccardo Buelloni, Giuseppe Cesena, Giovanni Maria Giglio, Alfonso Giorgio e Fabrizio Palumbo accompagnati dai tecnici Valerio Origo e Maurizio Regondi.
Domenica 9 aprile La Società sportiva ASD ProPatria Polisportiva Disabili, organizza con la collaborazione delle associazioni CUFFIE COLORATE, LIONS Busto Arsizio HOST ANFFAS Busto la quindicesima
edizione del meeting interregionale lombardo di nuoto Città di Busto”, che si svolgerà presso la piscina MANARA di via Manara Busto Arsizio.
La nostra giovane nuotatrice Martina Rabbolini parteciperà, nella categoria S11 (non vedenti) alle seguenti gare:
– 100 rana
– 100 dorso
– 400 stile libero
Sempre domenica 9 aprile i Lampi Milano saranno impegnati contro i Ducks Staranzano in un doppio incontro valevole per il Girone Ovest del XXI Campionato Italiano di baseball per ciechi.
L’appuntamento è per le 14:00 presso il campo Comunale di Staranzano (GO).

Quindicesimo Campionato Nazionale di Scopone Scientifico ed. 2017

In considerazione del successo e degli apprezzamenti manifestati per le edizioni precedenti, e allo scopo di favorire e promuovere le relazioni dei Soci e tra i Soci, la nostra Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti indice il quindicesimo Campionato Nazionale di Scopone Scientifico.
Il Campionato è aperto a coppie di giocatori, costituite da uno o due Soci della nostra Unione, ed è articolato in fasi sezionali, regionali e nazionali.
L’organizzazione delle diverse fasi è affidata, rispettivamente, ai Presidenti delle Sezioni o loro delegati, ai Presidenti dei Consigli Regionali o loro delegati e al Coordinatore della Commissione Nazionale  Sport  Tempo Libero e Turismo sociale, Hubert Perfler, coadiuvato da Giuseppe Pinto.
Alle selezioni sezionali, sono ammesse tutte le coppie che ne fanno richiesta, salvo che gli organizzatori non abbiano motivo di disporre altrimenti.
Alle gare regionali, partecipano le coppie prima e seconda classificata nelle fasi sezionali.
Alle finali nazionali, partecipano le coppie prime classificate nelle gare regionali e la coppia  vincitrice del Campionato 2016, composta da Maurizio Viganò’ e Danilo Vanoni della regione Lombardia.
Per offrire a tutti i Soci l’opportunità di partecipare alla sfida nazionale, i Presidenti Sezionali e Regionali hanno facoltà di iscrivere alle fasi successive del torneo le coppie di giocatori, che desiderino concorrere al titolo e che, tuttavia, non trovino, nei rispettivi territori di origine, avversari con i quali misurarsi.
Le fasi sezionali e regionali dovranno concludersi, indicativamente, entro il 15 giugno e il 31 luglio 2017.
Le gare nazionali, come di consueto, si svolgeranno entro il  mese di Dicembre e quest’anno avranno sede in Lombardia , regione vincitrice dell’ultima edizione.
Per i finalisti nazionali e loro accompagnatori (uno per ogni socio), le spese di viaggio saranno a carico delle sedi regionali di competenza, mentre le spese di soggiorno saranno sostenute da questa Presidenza Nazionale.
Le coppie prime tre classificate avranno in premio una coppa.
La coppia vincitrice e la Regione di provenienza, avranno l’onore di ospitare senza oneri di spesa, le finali nazionali del sedicesimo Campionato che si giocherà nel 2018.
Le gare sezionali e regionali saranno giocate secondo le regole fissate dagli organizzatori in sede locale, mentre quelle nazionali si disputeranno secondo il Regolamento, che alleghiamo in copia e al quale i finalisti dovranno attenersi senza riserve.
Chiarimenti sulle regole di gioco potranno essere richiesti ad Hubert Perfler o a Giuseppe Pinto, raggiungibili, rispettivamente, agli indirizzi hubert_perfler@alice.it e g.pinto@aqp.it e ai numeri 348 642 3872 e 334 668 9311.
La data e il luogo di svolgimento delle finali del Campionato saranno comunicati in tempo utile. Prego i presidenti di adoperarsi perché il Campionato diventi occasione e momento di incontro, augurando a tutti i partecipanti buon gioco e buon divertimento.
Regolamento di gioco delle finali nazionali
1. Le finali del  Campionato Nazionale di Scopone Scientifico si giocano in un girone unico all’italiana semplice. Ogni coppia di sfidanti si misura, quindi, con tutte le altre, in partite senza rivincita.
2. Giudice Unico delle finali di Campionato è il Coordinatore della Commissione Nazionale Sport e Tempo Libero, Hubert Perfler, il quale è coadiuvato, e, in caso di necessità, sostituito, dal Giudice Delegato, Giuseppe Pinto.
3. Il Giudice Unico, o, eventualmente, il Giudice Delegato, vigila sulla regolarità e la correttezza delle gare, redige il calendario degli incontri, nomina i Giudici di Tavolo, tiene il conteggio dei punti, compila le classifiche intermedie e la classifica finale e proclama le coppie vincitrici del primo, del secondo e del terzo premio.
4. Il Giudice Unico, o, eventualmente, il Giudice Delegato, ha la facoltà di sospendere gli incontri che ritenga si stiano svolgendo in modo non corretto ed ha la facoltà di prendere qualunque decisione utile al regolare andamento delle gare.
5. Prima di dichiarare aperto il Campionato, il Giudice Unico, o, eventualmente, il Giudice Delegato, compila l’elenco dei Giudici di Tavolo, selezionati tra gli accompagnatori dei finalisti e gli eventuali spettatori, e comunica il calendario degli incontri.
6. I Giudici di Tavolo vigilano sulla regolarità degli incontri che sono chiamati ad arbitrare, conteggiano i punti conseguiti dalle coppie concorrenti e riportano al Giudice Unico, o, eventualmente al Giudice Delegato, il risultato con cui si chiude ciascun incontro.
7. I Giudici di Tavolo sono responsabili dei materiali di gioco, che vengono loro affidati dal Giudice Unico o, eventualmente, dal Giudice Delegato. A fine gioco, rendono gli stessi materiali al Giudice Unico o, eventualmente, al Giudice Delegato.
8. La durata delle partite dipende dal numero delle coppie presenti in gara. Se tale numero è inferiore o pari a dieci, ciascuna partita termina non appena una delle due coppie in gara raggiunge i 21 punti o, in mancanza, al 50-esimo minuto. Se il numero delle coppie finaliste è maggiore di dieci, ciascuna partita termina non appena una delle due coppie in gara raggiunge i 16 punti o, in mancanza, al 30-esimo minuto.
9. Se la partita termina con il raggiungimento dei 21 o dei 16 punti, vengono assegnati tre punti alla coppia vincente, zero punti alla coppia sconfitta. Diversamente, allo scadere del 50-esimo o del 30-esimo minuto, giocate le carte che ancora si hanno in mano, vengono assegnati tre punti alla coppia in vantaggio e zero punti a quella in svantaggio; in caso di pareggio, viene assegnato un punto a ciascuna coppia.
10.  Allo scadere del 50-esimo o del 30-esimo minuto, le partite si intendono in corso, se è stata avviata la distribuzione delle carte.
11. La classifica finale è stilata sulla base dei punti totalizzati nel corso del girone. In caso di parità, si aggiudica l’ordine più favorevole la coppia che ha concluso vittoriosamente lo scontro diretto. Nel caso le coppie a pari punti siano più di due, si aggiudicano gli ordini più favorevoli le coppie che, fatta la somma dei punti conseguiti negli scontri diretti, risultano a maggior punteggio.
12. All’apertura di ogni nuovo incontro, il Giudice Unico, o, eventualmente, il Giudice Delegato, sulla base delle previsioni del calendario, chiama le coppie gareggianti a sistemarsi ad uno dei tavoli  allestiti per il gioco e, ad ogni tavolo, assegna un Giudice di Tavolo.
13. Acquisisce il diritto a dare le carte chi, dei quattro giocatori in gara, alza la carta più alta per valore numerico; in caso di parità, si procede a nuova alzata.
14. Dopo aver mescolato le carte e fatto tagliare il mazzo dal giocatore alla sua sinistra, il mazziere di turno distribuisce le carte in senso antiorario, partendo dal giocatore alla sua destra. Spetta al mazziere decidere se distribuire le carte una per volta o cinque per volta. In caso di errore,  procede ad una nuova distribuzione. Al terzo errore consecutivo, viene sostituito dal Giudice di Tavolo.
15. Il tempo massimo di ogni giocata è di dieci secondi. E’ compito dei Giudici di Tavolo vigilare sul rispetto dei tempi.
16. Si è tenuti a giocare la carta del seme e del valore dichiarati, nel tempo massimo stabilito.
17. L’ultima carta giocata vale come scopa, se raccoglie tutte quelle presenti sul tavolo.

Far rinascere il sostegno, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Con il presente contributo, prendo spunto da un articolo di Giovanni Maffullo, intitolato “La rete sfilacciata dell’inclusione scolastica”, pubblicato sul Giornale Superando, lo scorso 27 Marzo.
Secondo Maffullo, infatti, la neonata delega sull’inclusione poco (se non addirittura niente) avrebbe stabilito per ovviare alle attuali gravi criticità del sistema inclusivo italiano e cioè: la scarsa e modesta formazione specifica di tutto il personale scolastico ma anche delle famiglie sulle singole disabilità e, conseguentemente, la deresponsabilizzazione degli insegnanti curricolari che, unitamente ai genitori dei ragazzi disabili, tendono a considerare i docenti specializzati dei veri e propri “tuttologi, ovvero gli unici responsabili su cui “scaricare” il processo di inclusione scolastica.
Ebbene, anche a causa di tali “lacune” dello schema di Decreto n. 378, che non mi sembrano sanate pienamente dalla mancata previsione 1) di un’adeguata formazione iniziale specifica dei futuri docenti di sostegno della secondaria di I° e II°, 2) dell’obbligo di formazione generalizzata di tutto il personale sulla Didattica inclusiva e sulla Pedagogia speciale e 3) di un’effettiva continuità didattica e di un Piano strutturale di assunzione e di stabilizzazione delle decine di migliaia di docenti specializzati “in deroga”, in un mio recente articolo uscito su queste pagine, ho definito la suddetta Delega sull’inclusione “un topolino partorito dalla montagna”.
La convinzione della “giustezza” ed appropriatezza di tale mio non lusinghiero epiteto affibbiato al D.Lgs n. 378 si è rafforzata in me in questi giorni, dopo aver ripreso, per motivi di lavoro, i dati di un’indagine scientifica che, su volontà di Luciano Paschetta, (il mio predecessore alla Direzione dell’Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione), l’I.Ri.Fo.R. dell’UICI ha condotto tre anni fa sullo stato dell’arte dell’inclusione scolastica degli allievi con disabilità visiva. Effettivamente, constato con rammarico ed amarezza che da allora non è cambiato pressoché nulla.
I risultati di quella ricerca sono stati davvero “sconfortanti” e preoccupanti e ci dicono che, a fronte di un massiccio intervento in termini di numero di ore di sostegno garantite negli ultimi anni ai ragazzi ciechi ed ipovedenti, anche con disabilità plurime, ciò non ha assolutamente prodotto un elevamento della qualità del loro processo di inclusione, anzi…
Basti pensare che, all’inizio degli anni Novanta dello scorso secolo, le ore medie settimanali erogate ad ogni 100 alunni disabili visivi frequentanti la scuola erano già considerevoli e cioè 1290, ma che nel 2012 tali ore per il medesimo numero di studenti è salito addirittura a 2510 (1630 svolte dai docenti per il sostegno, 420 dagli assistenti alla comunicazione e 460 dagli assistenti domiciliari), senza che tale aumento abbia favorito una loro migliore inclusione.
Le cause di tale “grave” stato di cose sono da individuare e rintracciare:
nell’insufficiente preparazione e formazione specifica sulla minorazione visiva da parte degli insegnanti specializzati e degli assistenti alla comunicazione (sempre dalla sopracitata recente indagine dell’I.Ri.Fo.R. è emerso che meno del 50% degli operatori scolastici conosce il Braille, che il 77,7% di loro non possiede competenze tiflodidattiche e tiflopedagogiche e che soltanto il 41,5% dei docenti per il sostegno e degli “assistenti” ha avuto esperienze pregresse con alunni non vedenti ed ipovedenti),
nella crescente delega al solo docente specializzato degli studenti con disabilità visiva (solo uno su quattro degli alunni minorati della vista svolge la lezione prevalentemente in classe, mentre più del 13% di essi è “emarginato” e “ghettizzato” nell’aula di sostegno),
ed infine, nell’ormai cronica “distorta” percezione da parte della stragrande maggioranza delle famiglie dei principi pedagogici e didattici dell’autentica “cultura” dell’inclusione.
Per avviare una virtuosa “controtendenza all’odierno sistema, indipendentemente dall’indifferibile riforma del sostegno, è invece necessario un “radicale” cambio di approccio e di mentalità da parte di certi genitori ed insegnanti per il sostegno, che dovrebbero smetterla finalmente di rincorrere i “totem” di un passato che faceva ritenere e per certi versi fa ancora ritenere l’insegnante specializzato (spesso poco qualificato e preparato) ed il maggior numero di ore possibile di sostegno quali uniche ed “ineccepibili” garanzie del successo formativo dei loro figli.
Non è il solo docente specializzato a garantire la qualità del sostegno, ma la scuola nel suo complesso, se ben valorizzata ed opportunamente stimolata. Solo questa “prospettiva” culturale e professionale più moderna, ancor più di mille Decreti sull’inclusione, potrà ridare dignità di ruolo e di funzione ai docenti specializzati.
Infatti, in una realtà scolastica così strutturata, il “nuovo” docente per il sostegno non dovrà né insegnare agli alunni/studenti con disabilità, né occuparsi della valutazione del loro profitto (restituendo una volta per tutte tali prerogative esclusivamente agli insegnanti curricolari), ma potrà “riqualificarsi” come esperto di progettazione, capace di supportare adeguatamente il collega titolare della disciplina, il Consiglio di classe, i Dipartimenti disciplinari, il Collegio docenti, i CTS ed i CTI ed ovviamente l’intera “rete” scolastica nella stesura, realizzazione e valutazione di un PianoAnnuale per l’Inclusività (PAI) quale premessa “imprescindibile” e parte integrante di un Piano Triennale dell’Offerta formativa finalmente “for all”.
Solo frequentando Istituti scolastici davvero inclusivi ed “autonomi”, caratterizzati da ambienti, materiali e strumenti didattici e tecnologici “accessibili”, il bambino/ragazzo con disabilità non sarà più soltanto l’alunno di questo o quel docente per il sostegno, ma della “scuola tutta”, potendo partecipare in condizioni di pari opportunità insieme ai compagni ad attività integrative e laboratoriali scolastiche ed extrascolastiche, a percorsi personalizzati ed individualizzati di insegnamento-apprendimento, per classi aperte e parallele, per gruppi omogenei ed eterogenei, a materie facoltative, aggiuntive ed opzionali, a stage efficaci di alternanza scuola-lavoro ecc…
Da questo punto di vista, oltre a recepire le necessarie modifiche allo Schema di Decreto n. 378 suggerite dalla FAND e dalla FISH, dovrà essere particolare cura del Ministero mettere finalmente tutte le scuole italiane di ogni ordine e grado nelle reali condizioni di sfruttare al meglio tutti gli strumenti che la normativa già esistente sul sostegno e sull’autonomia (fino alla recentissima e criticatissima Buona Scuola) loro consente, per implementare e migliorare la qualità del processo di inclusione scolastica dei ragazzi con disabilità, creando strutture organizzative flessibili e più confacenti alle effettive esigenze formative dei diversi alunni e utilizzando in modo funzionale l’organico potenziato per la progettazione e la realizzazione di una didattica autenticamente all’insegna dell’”UDL” (Universal Design for Learning).
Come d’incanto, in siffatto modo, la scuola si riscoprirà finalmente un’istituzione “inclusiva” ed attenta alle “differenze” individuali e capace di offrire risposte efficaci ed efficienti ai bisogni educativi di tutti e di ciascuno.
L’attenzione alle “differenze individuali” di ciascun alunno da parte di tutta la “comunità scolastica” e non solo del docente di sostegno per le necessità speciali degli allievi disabili: è questa la vera “discriminante”, lo spartiacque tra la vecchia dimensione “integrativa” della scuola italiana e la nuova cultura dell’inclusione “for all”.

l comitato tecnico scientifico nazionale dei fisioterapisti e massofisioterapisti e i suoi primi sei mesi di attività, di Ammirata, Angiari, Ciardone, De Rosa

Care colleghe, cari colleghi,
il comitato desidera, con questa lettera, informarvi circa l’impegno profuso in diverse attività. Abbiamo constatato come le comunicazioni di prassi tra CTSN (comitato tecnico scientifico nazionale), COORDINATORI REGIONALI, COORDINATORI PROVINCIALI E SOCI, del territorio nazionale, si interrompano sviluppando, in chi dovrebbe usufruire delle informazioni, ovvero i soci, la percezione di immobilismo e di inattività del CTSN.
Per questo motivo periodicamente e direttamente proviamo a raggiungervi attraverso gli organi di stampa dell’UICI.
Poiché questi canali potrebbero non essere sufficienti a raggiungere tutti i colleghi, per svariati motivi, il coordinatore, nel prossimo incontro del Comitato porterà all’attenzione del consiglio l’opportunità di aprire una pagina facebook di carattere informativo.
Il primo obiettivo del CTSN è stato l’aggiornamento dell’anagrafe di categoria che si allega in appendice: i risultati ottenuti sono già stati presentati in Commissione lavoro il 16 u.s..
I componenti del CTSN hanno avuto difficoltà nel far comprendere l’importanza della standardizzazione dei dati. Il contarsi, standardizzare i dati, evidenziare le aree di criticità aiutano a sviluppare strategie migliorative; nascondere le difficoltà non aiuta chi deve interfacciarsi con coloro che hanno potere di indirizzo e proposta (Direzione Nazionale) con gli organi parlamentari.
I dati, recentemente raccolti, messi a confronto con quelli raccolti nel 2012 evidenziano che:
– nel nostro ambito sono presenti disoccupati;
– il computo delle assunzioni conforme alla legge 29/1994 non ha dato l’esito positivo sperato;
– chi ha conseguito il diploma dopo il 1999 (massofisioterapisti) e ha deciso di lavorare autonomamente, si è visto costretto ad abbandonare la professione o a ritornare a studiare e conseguire la laurea;
– chi lavora nel pubblico impiego ha difficoltà a usufruire dei mezzi tecnologici per la cartella elettronica o i documenti delle intranet aziendali evidenziando l’inapplicabilità della Legge 4/2004 da parte delle Aziende Sanitarie;
– ci sono ancora colleghi che percepiscono stipendi più bassi in quanto inquadrati in fascia C anche se il loro titolo è equipollente e dovrebbero di diritto essere inquadrati in fascia D.
Il 13 dicembre si è svolto a Roma, l’incontro su richiesta di AIFI, per discutere circa il complesso fenomeno delle scuole regionali che continuano a diplomare persone con titolo che nulla ha a che vedere con la figura del professionista sanitario ma, con escamotage al quanto discutibili, in un secondo momento riescono ad eludere il fabbisogno formativo del M.I.U.R. e i test di ingresso presso le università che hanno attivato i corsi di fisioterapia. Alla riunione fu consegnata al coordinatore del ctsn una memoria storica redatta da AIFI.
La memoria AIFI ha permesso ai componenti del ctsn di elaborare un documento in cui si evidenziano in particolare i pro e i contro che potrebbero derivare per il collocamento obbligatorio, nel caso in cui venissero abrogate le leggi citate da AIFI.
Tale documento è stato presentato dal coordinatore ctsn alla riunione tenutasi dalla commissione lavoro il 16 febbraio u.s., ora quindi è al vaglio della commissione, noi ci auguriamo che possa essere di aiuto per un prossimo incontro con AIFI.
Nella medesima riunione, il Comitato ha presentato un progetto formativo per coloro che vorranno approfondire la tecnica manuale del Dott. TICCHI: “Ticchi e Trigger Points”: tale progetto è all’attenzione degli organi I.Ri.Fo.R per un eventuale finanziamento.
E’ stata inviata una e-mail ai cordinatori regionali e ai presidenti regionali al fine di conoscere se è presente l’Albo Regionale dei Terapisti della Riabilitazione non vedenti a norma del decreto attuativo del ministero del lavoro n.775 del 1994.
Questo dato è molto importante da rilevare, in quanto a tale Albo possono iscriversi anche i fisioterapisti non vedenti laureati, unico strumento fino ad oggi valido per rientrare nell’assunzione obbligatoria ai sensi della Legge 29/1994.
il Comitato sta lavorando anche su un testo di legge da presentare in Direzione, il cui obiettivo è migliorare la legge 29/94 prendendo spunto dalla proposta di legge del Senatore D’AMBROSIO-LETTIERI rimasta inascoltata. Poiché questa proposta risale già a qualche anno, si rende necessario migliorarne alcuni aspetti imprescindibili per la nostra categoria.
Vi chiediamo di intensificare la richiesta di informazione sulle attività dei vostri Coordinatori Provinciali, unico modo per essere tutti partecipi attivi alle evoluzioni che ci riguardano.
Dall’appendice anagrafica, infatti, si evidenzia un’involuzione di interesse dei singoli individui.
i componenti del Comitato si augurano che tutti questi aspetti possano essere al più presto migliorati, permettendo di organizzare un incontro con tutti i coordinatori regionali e successivamente un’assemblea generale di categoria.
Un saluto fraterno a tutti.

RELAZIONE ANAGRAFE E RISCONTRI CON IL 2012

VALUTAZIONE DATI 2016 2012 NOTE NUMERO DI PROVINCE COINVOLTE DALL’INDAGINE 85 86 Il numero delle province evidenzia una partecipazione equivalente dopo 4 anni. sNUMERO DI PROFESSIONISTI COINVOLTI DALL’INDAGINE: 514 430 I questionari hanno raggiunto più colleghi della precedente anagrafica di categoria N. DI QUESTIONARI COMPILATI CENSITI: 368 345 I questionari compilati risultano superiori all’anagrafe del 2012 come numeri assoluti, relazionando il dato ai questionari distribuiti si evidenzia una disaffezione e sottovalutazione della necessità della statistica come metro valutativo della condizione della categoria nel tempo. N. DI POSSESSORI DEL DIPLOMA DI MATURITA’: 153 265 La disaffezione a partecipare è evidenziata in una categoria importante come quella dei diplomati DIPLIMA DI MASSOFISIOTERAPISTA ANTECEDENTE AL 17/03/1999
243 228 I massofisioterapisti equipollenti risultano ancora oggi il gruppo più cospicuo dei nostri iscritti; questo dato ci dice che ha partecipato alla nuova anagrafe i colleghi con una fascia di età dai 35 anni in su N. DI MASSOFISIOTERAPISTI DIPLOMATI DOPO IL 17/03/1999 PRESSO SCUOLE REGIONALI: 3 0 Anche se il dato non ha rilevanza statistica però indica che in alcune realtà si sta verificando un orientamento verso percorsi facilitati ma che poco hanno a che fare con la professione sanitaria universitaria N. DI MASSOFISIOTERAPISTI DIPLOMATI DOPO IL 17/03/1999 PRESSO SCUOLE STATALI RICONOSCIUTE DAL DM 10/07/1998: 35 81 La difficoltà di trovare un posto di lavoro come dipendente e le difficoltà ad intraprendere la libera professione è il dato che caratterizza la fragilità occupazionale di questa categoria vittima di una insipienza legislativa di tutela degli organi parlamentari N. DI FISIOTERAPISTI CON LAUREA DI 1° LIVELLO: 95 85 In questo dato fondamentale per i professionisti del presente e del futuro manca: la regione TOSCANA dove è presente l’unica università, UNIFIi, con 5 posti tutelati per i non vedenti per ogni anno accademico: non partecipando alla nuova anagrafe ha ridotto sensibilmente il dato statistico seppur in aumento dei laureati presenti N. DI FISIOTERAPISTI CON LAUREA SPECIALISTICA DI 2° LIVELLO: 9 10 In 4 anni tra laureati triennali e equipollenti chi è riuscito a superare il test di ingresso è visibile alla vostra attenzione; questo dato ci impone di elaborare ipotesi di variazione sul tipo dei test psico attitudinale e di logica che sono le vere barriere da abbattere in questo ambito N. DI DIPENDENTI IN ATTIVITA’ PRESSO AZIENDA PUBLICA: 200 249 La riduzione degli occupati negli enti pubblici non può essere imputata solo al pensionamento delle categorie in esaurimento ma evidenzia anche i disattesi parametri del collocamento obbligatorio della L. 29/94 N. DI DIPENDENTI IN ATTIVITA’ PRESSO STRUTTURA PRIVATA O CONVENZIONATA: 35 54 Il lavoro dipendente nel settore privato ricalca ciò che abbiamo già evidenziato nel settore pubblico N. DI LIBERI PROFESSIONISTI: 48 66 La perdita di un terzo delle capacità di fare impresa ci impone un ragionamento a tutti i livelli istituzionali UICI nel comprendere la solitudine e l’incertezza che circonda i nostri soci che si affacciano o che si vorrebbero affacciare nel mondo del lavoro autonomo; in un mondo del lavoro che si allontana sempre di più dal dipendente tutelato, che va comunque salvaguardato, bisognerà spostare l’attenzione con strategie valide anche verso questo aspetto della nostra professione. N. DI PROFESSIONISTI CON IL RICONOSCIMENTO DELLA QUALIFICA DI MASSOTERAPISTA RIPORTATO IN BUSTA PAGA 33 58 N. DI PROFESSIONISTI CON IL RICONOSCIMENTO DELLA QUALIFICA DI MASSOFISIOTERAPISTA RIPORTATO IN BUSTA PAGA: 77 73 N. DI PROFESSIONISTI CON IL RICONOSCIMENTO DELLA QUALIFICA DI TERAPISTA DELLA RIABILITAZIONE RIPORTATO IN BUSTA PAGA: 24 50 N. DI PROFESSIONISTI CON IL RICONOSCIMENTO DELLA QUALIFICA DI FISIOTERAPISTA RIPORTATO IN BUSTA PAGA: 75 127 L’inquadramento dei dipendenti in varie categorie di qualifica professionale ci inducono a pensare come ogni azienda interpreta a suo piacimento le norme e le leggi per una tutela difensivistica degli enti N. DI PROFESSIONISTI CON INQUADRAMENTO GIURIDICO IN FASCIA C: 11 64 A norma di legge nella fascia C, parlando di professioni sanitarie con laurea e equipollenti, non dovrebbe esserci nessuno: la presenza ancora di persone in fascia C dovrebbe spingerci a valutare come mai questi colleghi non sono stati adeguatamente difesi e protetti dalle sedi territoriali competenti N. DI PROFESSIONISTI CON INQUADRAMENTO GIURIDICO IN FASCIA D: 167 188 La flessione è dovuta fisiologicamente per raggiungimento della pensione N. DI PROFESSIONISTI CON INQUADRAMENTO GIURIDICO IN FASCIA DS:: 8 22 Simile alla valutazione precedente N. DI PROFESSIONISTI CON MENO DI 5 ANNI DI ANZIANITA’ DI SERVIZIO: 14 38 N. DI PROFESSIONISTI CON ANZIANITA’ DAI 5 AI 10 ANNI DI SERVIZIO: 32 50 N. DI PROFESSIONISTI CON ANZIANITA’ DAI 10 AI 20 ANNI DI SERVIZIO: 57 122 N. DI PROFESSIONISTI CON ANZIANITA’ SUPERIORE AI 20 ANNI DI SERVIZIO: 95 125 Le sensibili flessioni nelle quattro categorie di anzianità ci fanno comprendere il mancato ricambio generazionale dei non vedenti nelle strutture pubbliche e private N. DI PROFESSIONISTI CON ANZIANITA’ SUPERIORE AI 30 ANNI EFFETTIVI DI SERVIZIO. 36 101 La presenza di colleghi con oltre 30 anni di servizio è da imputare al blocco della contribuzione degli anni figurativi e alla legge Fornero N. DI PROFESSIONISTI CHE TRATTANO PATOLOGIE DI CARATTERE ORTOPEDICO: 290 310 N. DI PROFESSIONISTI CHE TRATTANO PATOLOGIE DI CARATTERE NEUROLOGICO: 101 189 N. DI PROFESSIONISTI CHE TRATTANO PATOLOGIE DI CARATTERE ONCOLOGICO: 150 125 Le tre voci che qui si susseguono indicano la mancanza di specificità e aggiornamento professionale relegando i nostri professionisti a attività non di primo livello N. DI PROFESSIONISTI CHE TRATTANO PATOLOGIE DI CARATTERE ACUTO IN REGIME DI RICOVERO IN REPARTO: 61 140 Rimarca quello già affermato nella voce precedente N. DI PROFESSIONISTI CHE TRATTANO PATOLOGIE SUB ACUTE E CRONICHE IN AMBITO AMBULATORIALE: 236 267 La massiccia partecipazione a attività ambulatoriali rimarcano il dato negativo già indicato nelle precedenti voci N. DI PROFESSIONISTI CHE TRATTANO PAZIENTI IN ETA’ EVOLUTIVA: 66 150 Le attività riabilitative in età evolutiva sono in flessione e in numero ridotto perché legato o a professionalità acquisita con corsi specifici o al possesso di diploma di laurea N. DI PROFESSIONISTI CHE TRATTANO PAZIENTI DI ETA’ MISTA: 191 329 N. DI PROFESSIONISTI CHE TRATTANO PAZIENTI IN ETA’ GERIATRICA: 154 222 Nell’organigramma lavorativo delle Aziende le attività in genere e nello specifico in quelle riabilitative, che hanno valore economico, sono quelle acute e svolte nei reparti di degenza; come si può dedurre il numero massiccio di professionisti che lavorano con pazienti in età geriatrica e adulta, implica il relegare, per varie motivazioni, del professionista non vedente in attività secondarie e ambulatoriali N. DI PROFESSIONISTI CHE EFFETTUANO ATTIVITA’ DI TUTORAGGIO: 30 0 100000N. DI PROFESSIONISTI CHE HANNO INCARICHI DI DOCENZA: 17 0 I valori delle attività di tutoraggio e docenza non erano presenti nella precedente indagine; i numeri risibili ci fanno comprendere che pochi professionisti sono stimolati e preparati a svolgere attività che non riguardano soltanto la sfera professionale ma anche di responsabilità educativa N. DI PROFESSIONISTI CHE UTILIZZANO STRUMENTI ELETTROMEDICALI ADATTATI: 43 104 N. DI PROFESSIONISTI CHE UTILIZZANO STRUMENTI ELETTROMEDICALI NON ADATTATI: 133 175 In un sistema lavorativo improntato sempre di più verso le Evidence Based Medicine, il supporto riabilitativo delle strumentazioni di terapia fisica è sempre più rilegato nella sfera della non scientificità; la flessione di attrezzature adattate e del suo utilizzo in genere ci stimolano a spostare l’attenzione verso altre branche della sfera riabilitativa più professionalizzanti come le varie tecniche di terapia manuale N. DI PROFESSIONISTI CHE NON UTILIZZANO STRUMENTI ELETTROMEDICALI DI ALCUN GENERE: 75 127 Questo dato potrebbe essere male interpretato per quello appena detto sopra ma, in realtà, il passaggio dai 127 che non usavano nessun tipo di elettromedicali nel 2012 ai 75 del 2016 era dovuto all’impossibilità logistica dei non vedenti totali a usare i macchinari presenti in azienda senza sistemi adattati con sintesi vocali o indicazioni tattili. Il fatto che il dato è in flessione non è dovuto alla sostituzione di apparecchiature non adattate a quelle adattate ma alla rimozione dall’interno delle aziende delle apparecchiature di terapia fisica. N. DI PROFESSIONISTI CHE POSSONO USUFRUIRE DI UNA POSTAZIONE INFORMATICA ACCESSIBILE SUL POSTO DI LAVORO: 63 83 La flessione di postazioni informatiche adattate presenti nelle nostre aziende ci devono indurre alla sensibilizzazione delle strutture territoriali dell’UICI a richiedere un controllo maggiore sulle tutele di accessibilità conforme alla Legge 4/2004. N. DI PROFESSIONISTI CHE POSSONO ACCEDERE AUTONOMAMENTE AI PROPRI DATI INFORMATIZZATI SUL POSTO DI LAVORO: 91 86 Il dato sarebbe in contraddizione con quanto dichiarato sopra ma, nella realtà delle condizioni lavorative, l’accesso ai propri dati informatizzati, vengono scaricati e visionati da apparecchi personali scambiando per postazione reale (PC) gli archivi virtuali (INTRANET) N. DI PROFESSIONISTI CHE UTILIZZANO LA CARTELLA CLINICA INFORMATIZZATA DEL PAZIENTE: 32 84 Il dato rilevante è che dei 63 colleghi che hanno dichiarato che sul loro posto di lavoro è presente una postazione accessibile solo 32 usano un programma per la cartella elettronica adattata, quindi, è evidente, la dicotomia tra accessibilità generalista e potenzialità lavorativa.

N. DI PROFESSIONISTI CHE FREQUENTANO CORSI DI FORMAZIONE ECM CON SOVVENZIONAMENTO COME DIPENDENTE: 156 199 N. DI PROFESSIONISTI A CUI I CORSI FORMATIVI SONO PRECLUSI: 45 88 Il dato in flessione di Aziende che precludono alla formazione in medicina dovrebbe rallegrarci ma, questo dato dovrebbe essere supportato dall’aumento dei professionisti che vengono spinti verso la formazione volontaria o aziendale: in realtà questo non accade N. DI PROFESSIONISTI CHE FREQUENTANO CORSI FORMATIVI FACOLTATIVI A PROPRIO CARICO: 149 200 La formazione obbligatoria in medicina è il vero cruccio della nostra categoria. La flessione indicata in queste tre voci a partecipare all’aggiornamento, che sia volontario o programmato dall’azienda ci devono far comprendere che la percezione di poca professionalità inducono i colleghi vedenti e le amministrazioni a percepirci come categoria assistita e poco incline all’aggiornamento. N. DI PROFESSIONISTI CHE POSSEGGONO TITOLO DI OSTIOPATA: 3 Questo dato non trova riscontro nella realtà ed è da valutare il perché dell’omissione da parte dei colleghi di questo dato DISOCCUPATI 16 Il dato dei non occupati non era presente nell’anagrafe 2012 e doveva essere la punta di diamante di questa anagrafe per indirizzare il lavoro di questo Comitato Tecnico Scientifico, della Commissione Lavoro e della Direziona Nazionale.
In realtà hanno risposto compiutamente solo 9 Regioni: Basilicata, Marche, Emilia Romagna, Friuli, Lazio, Umbria, Veneto, Province Autonome Tn/Bz; la Campania ha dato solo il numero dei disoccupati senza analisi del dato.

I componenti ctsn Ammirata, Angiari, Ciardone, De Rosa
Il coordinatore Cancelliere

Sport- I risultati del week-end

Ottime notizie giungono da Portici, in provincia di Napoli, dove si è svolto l’XI Campionato Italiano Assoluto Invernale di Nuoto Paralimpico (vasca 50 m).
Martina Rabbolini ha vinto, nella categoria S11 (non vedenti), entrambe le gare a cui ha partecipato con i seguenti tempi:
100 rana – 1.35,07 (record italiano)
400 stile libero – 5.57,62 (record personale)
Per quanto riguarda il baseball per ciechi, le nostre due formazioni hanno riportato due vittorie e due sconfitte.
Ieri, sabato 1 aprile, i Lampi hanno perso (7 a 0 e 4 a 1) entrambi gli incontri con i Patrini Malnate.
A Staranzano, oggi pomeriggio, i Thunder’s Five hanno riportato due vittorie contro i Ducks Staranzano (13 a 3 e 9 a 1).
La classifica del Girone Ovest è la seguente:
1. Patrini Malnate punti 8 vinte 4 pareggiate 0 perse 0 media 1000
2. Lampi Milano 4 2 0 2 500
3. Thunder’s Five Milano 4 2 0 2 500
4. Ducks Staranzano 0 0 0 0 000
Buone notizie anche da Tito (Potenza) dove Sonia Tranchina, vincendo il torneo, ha conquistato l’accesso ai Campionati Italiani di showdown in programma il 20 e 21 maggio p.v..
Gruppo Sportivo Dilettantistico Non Vedenti Milano ONLUS
Via Vivaio, 7
20122 Milano
tel/fax: +390276004839
Email: info@gsdnonvedentimilano.org
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Facebook: https://www.facebook.com/GSDNONVEDENTIMILANO

Presentazione del libro “Il cervo rosso”, di Alfio Pulvirenti

Autore: Alfio Pulvirenti

È il titolo del romanzo scritto da Carlo De Angelis, fisioterapista non vedente, già da tempo in pensione. Trattasi di un ulteriore contributo dell’autore al lustro della categoria dei ciechi e ipovedenti.
Lunedì 27 marzo, presso la sezione romana dell’U.I.C.I. avveniva la presentazione del libro. Dopo i saluti di rito, da parte del Presidente Giuliano Frittelli, una Socia, ha introdotto la presentazione del volume ponendo in risalto il carattere suggestivo del romanzo. Il tema dominante è l’amore, espresso nei diversi contesti. Il libro, disponibile anche in formato audio, aveva già carpito l’entusiasmo di alcuni fra i presenti nella sala, i quali, durante il dibattito, hanno affermato il riscontro di familiarità con i luoghi del paesaggio descritto e con i caratteri dei personaggi. L’autore, nel descrivere le vicende che hanno scandito la “gestazione” dell’opera, affermava che i personaggi perdevano, mano a mano, la timidezza iniziale  suggerendogli, sempre con maggior chiarezza, le vicende da riportare  su carta. Il paesaggio presenta una puntualità descrittiva che, dovendola attribuire a un non vedente, dimostra che l’autore possiede una conoscenza concettuale delle caratteristiche architettoniche con cui definisce quei luoghi.
La familiarità con i fatti narrati nel libro, il sentirsi parte integrante delle vicende che si succedono nel romanzo, riferiti da alcuni non vedenti presenti fra il pubblico, indurrebbe alcune riflessioni. Pertanto sarebbe interessante chiedersi se, in effetti, si tratta di familiarità con i contenuti dell’opera o con il modello linguistico descrittivo, proprio della cultura del non vedere. In una società dove sia gli addetti ai lavori, sia la gente comune ricorre al concetto di inclusione, i contenuti del romanzo possono definirsi inclusivi.
La descrizione corretta dell’architettura degli edifici descritti, come ha riferito lo stesso autore, costituirebbe il tentativo del non vedente di descrivere una realtà percettiva visiva. A questo proposito Carlo non si è lasciato condizionare dall’impossibilità di percepire le colonne, i capitelli, gli archi di cui riferisce nel suo libro ma ha osato oltrepassare il confine culturalmente consentito a chi non vede. Tutto ciò, ad una prima riflessione, potrebbe apparire paradossale ma, di fatto, non lo è! Carlo ha scelto il romanzo per esprimere i contenuti propri della cultura visiva, essendo esso il contesto in cui l’immaginazione e la fantasia sono legittimate. Pertanto il romanzo costituisce, molto probabilmente, un luogo inclusivo, una grande risorsa per comunicare.