Messina – Finalmente approvato in Sicilia il profilo dell’assistente alla comunicazione, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Nel convulso momento sociale che stiamo vivendo, anche i servizi per la disabilità soffrono della mancanza di risorse di natura sia economica sia umana.
Uno dei problemi annosi che riguarda i servizi di supporto educativo alla disabilità, consiste nella poca specificità del personale da impiegare in essi, nella poca chiarezza sulle competenze richieste e sulla miglior formazione utile per la costruzione delle stesse.
A tal proposito la Città Metropolitana di Messina ha sostenuto con forza la necessità di definire in primis il profilo professionale dell’Assistente all’Autonomia e alla Comunicazione dei Disabili, da inserire nel repertorio delle qualifiche della Regione Sicilia, antesignana sul territorio nazionale per la lodevole iniziativa. L’intento ha sortito il risultato atteso e con D.A. 5630 del 19 luglio u.s. se n’è avuta l’approvazione a firma dell’Assessore all’Istruzione e Formazione professionale Bruno Marziano, che ha agito in concerto con il Dipartimento Regionale della Famiglia e delle Politiche Sociali.
In Sicilia, finalmente, grazie a tale lungimirante provvedimento, voluto fortemente anche dal Presidente Regionale dell’UICI Renzo Minincleri, esisterà un profilo che era atteso dal varo della Legge quadro 104/92 e che potrà assicurare una volta per tutte una professionalità efficace e di qualità a chi ha il compito di facilitare l’integrazione scolastica dell’alunno con disabilità, in un rapporto ad personam con l’utente mapronto a lavorare in team con le altre figure educative e assistenziali e secondo il Piano Educativo Individualizzato.
Ciò significa che la Sicilia è tra le prime Regioni italiane ad aver definito chiaramente le competenze ed il profilo di una professionalità prossima ad altre già ben consolidate e complementari (docente per il sostegno e assistente igienico personale) con cuirischiavano una confusione di ruolo e obiettivi. Inoltre si definisce che questi “nuovi” operatori devono essere formati contemporaneamente su entrambe le principali disabilità sensoriali visive e uditive, quando tradizionalmente in Sicilia la formazione di tali assistenti procedeva per vie distinte.
Per richiamare i temi scientifici che sottintendono ai saperi di detta “nuova” professionalità, il prossimo 24 ottobre, presso la Sala degli Specchi – Palazzo dei Leoni di Messina (ore 9,30 -16,30), su impulso della Dirigente dell’Ufficio Affari Generali della Città Metropolitana peloritana avv. Anna Maria Tripodo, sarà organizzato un Convegno dal significativo titolo “Autonomia scolastica dei soggetti con disabilità sensoriali e cognitive.”
All’incontro parteciperanno Relatori universitari di elevato livello (UniMe e UniMoRe) edel mondo associativo (I.Ri.Fo.R. e A.R.I.S.) con il sostegno dell’Istituto per sordi Annibale Maria di Francia. Durante il prestigioso Convegno scientifico, saranno tenute relazioni sulle criticità e potenzialità legate ai profili di funzionamento ed ai bisogni educativi dell’utenza (disabilità sensoriali, autismi, DSA) ed alle esigenze formative del personale educativo addetto.
Al riguardo, grazie all’instancabile impegno della Dott.ssa Marcella Nalli della Cooperativa Socioculturale “VedereSentire” e della Prof.ssa Elisabetta Genovese di UniMoRe, in occasione dell’autorevole Seminario, sarà ufficialmente presentato un percorso ad hoc, finalmente universitario ed unico nel suo genere, consistente nel Master di I livello bandito nel corrente anno accademico da UniMoRe “Formazione per Assistente alla comunicazione e per l’autonomia personale degli alunni con disabilità”.
A conclusione dell’evento su richiesta sarà rilasciato un attestato di partecipazione con CFU agli studenti universitari interessati.
Noi dell’UICI stiamo cercando di muoverci in tutti i modi presso il MIUR affinché il riconoscimento dell’Assistente alla comunicazione, così come previsto dall’art 13 comma 3 della Legge 104/92, diventi realtà. L’auspitto è quello che la Conferenza Stato-Regioni recepisca tali nostre sollecitazioni, riconoscendo finalmente questa figura come necessaria per garantire agli alunni con disabilità un sostegno “diffuso”, promosso da tutto il contesto e non solo dal docente specializzato.

Di seguito il programma del Convegno:

Convegno a Messina, Palazzo dei Leoni – Sala degli Specchi
24 ottobre 2017

“Autonomia scolastica dei soggetti con disabilità sensoriali e cognitive”

Città Metropolitana di Messina
In collaborazione con UniMe, UniMoRe,I.Ri.For., Istituto dei sordi A.M. di Francia di Messina, USP di Messina

Ore 9,30 Interventi di saluto delle Autorità (Avv. Anna Maria Tripodo, Dirigente Ufficio Affari Generali Città metropolitana di Messina, Assessore regionale alla Pubblica Istruzione Bruno Marziano con audio-messaggio, Prof Renzo Minincleri Presidente regionale e Commissario Sezione UICI Messina e Don Claudio, Istituto Annibale Maria di Francia
Ore 10,30 La sordità infantile (Deficit Uditivi Permanenti Infantili): attuali protocolli di screening, diagnosi precoce e terapia protesico-implantologica (prof. F. Galletti)
Ore 11,00 La riabilitazione e la rieducazione nella sordità infantile: (prof.ssa Genovese)
Ore 11,20 Il Disturbo dello spettro autistico: indicatori comportamentali per la diagnosi differenziale (prof.ssa A. GaglianoNPI)

Coffee-break
Ore 12.15 Gli outcomes in riabilitazione uditiva – con video (Dr.ssa Log. P. Longo)
Ore 12.30 La professione degli Assistenti alla comunicazione ed all’autonomia: master di I livello di UniMoRe eil profilo professionale del personale educativo dedicato in Sicilia

 

Ore 13,00Pausa pranzo

Ore 14,00 Le figure professionali a supporto dell’inclusione scolastica dei disabili visivi (Prof. Gianluca Rapisarda Direttore I.Ri.For.)
Ore 14,30Disabilità visive in età evolutiva: la riabilitazione neuro-sensoriale vs. la riab. ortottica tradizionale (Dr. A. Giuffré)
Ore 15,00 Le tecnologie e l’accesso all’informazione per i ragazzi ciechi (prof.G. Nicotra)
Ore 15,30 Il paradigma tiflologico nei processi d’inclusione (Prof.Stefano Salmeri Università Enna Kore)
Ore 16,00Dsa e deficit visivi: i confini tra le due situazioni ed il recupero (Prof. S. Scalinci)
Ore 16,30 Conclusioni e Chiusura convegno con rilascio dell’attestato di partecipazione e CFU agli studenti universitari

Non abbandoniamo il Centri Territoriali di Supporto, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Recentemente, presso la prestigiosa sede romana della Fondazione Besso, si è tenuta la presentazione del libro edito da Erickson, intitolato “Storie di scuola”.
Alla predetta iniziativa, organizzata dal CTS di Roma “Edmondo De Amicis”, tra i cui operatori, figurano molti degli autori del libro di cui sopra, chi scrive ha avuto l’onore di essere invitato insieme ad altri esperti di inclusione.
Innanzitutto, con il presente contributo, lo scrivente vuol congratularsi con gli autori per l’ottima fattura del libro, rammaricandosi tuttavia di non averlo potuto leggere autonomamente, in quanto l’opera manca di formato accessibile. Al riguardo, durante la manifestazione, chi scrive ha colto l’occasione per offrire agli autori la propria disponibilità a coinvolgere le Istituzioni Pro ciechi perché trascodifichino il loro pregevole libro in braille, in nero-braille ed in formato elettronico, al fine di renderlo “inclusivo” a 360° e farlo conoscere all’intero mondo della disabilità.
Nel corso del mio intervento, ho sottolineato che diverse pagine di tale significativo testo dimostrano come insistere soltanto sulla centralità del docente per il sostegno non basta e non giova al processo di inclusione scolastica, poiché la deriva verso la delega al solo insegnante specializzato (tra l’altro troppo spesso desolatamente impreparato od inadeguatamente formato) dell’alunno con disabilità rappresenta una delle principali “distorsioni” del nostro attuale sistema educativo.
Il Miur, abbandonando finalmente posizioni “conservative”, dovrebbe invece ritrovare i principi autentici ed originari della “scuola per tutti e per ciascuno, dell’UDL, (Universal design of learning), dell’individualizzazione e della personalizzazione degli insegnamenti-apprendimenti e del “sostegno diffuso” in tutto il contesto, sanciti dall’ICF dell’OMS del 2000, da tutta la nostra legislazione inclusiva e dall’art 24 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
In quest’ottica, come dimostrato d’altra parte dal libro in questione, non si riesce a comprendere come mai un “tesoro inestimabile” di professionalità, di qualità e di “rete” tra il mondo della scuola, le famiglie e le associazioni dei disabili, quale quello dei Centri Territoriali di Supporto (CTS), possa essere stato dimenticato tout court dal Ministero dell’Istruzione e relegato ad “ectoplasmatiche” Scuole Polo dal recente Decreto attuativo della Buona Scuola sull’inclusione.
L’auspicio è che il Miur cambi rotta ed assuma una volta per tutte una visione “strategica” e non solo “emergenziale” sull’inclusione scolastica, rendendo organica al sistema di istruzione e formazione l’azione dei CTS, attraverso ulteriori investimenti in termini di risorse umane e strumentali e la creazione, al loro interno, di sportelli dedicati alle singole disabilità.
Solo l’attenzione alle differenze individuali di tutti gli alunni da parte di tutto il contesto, non considerando più la didattica inclusiva esclusivamente appannaggio del docente per il sostegno e dello studente con disabilità, potrà garantire al sistema scolastico del nostro Paese quel “cambio di paradigma”, raccomandatoci dalla Commissione delle Nazioni Unite il 25 agosto 2016, in occasione dell’esame dello stato di applicazione da parte dell’Italia della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.

Non più di 20 alunni per classe in presenza di studenti disabili, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Una delle novità positive (poche per la verità) del Decreto n. 66/17, attuativo della Buona Scuola sull’inclusione, è che il riferimento ad un numero massimo di 20 alunni per classe solo “di norma”, in presenza di studenti disabili, previsto dallo schema iniziale del Decreto, non compare più nel testo definitivo pubblicato in GU lo scorso 16 Maggio. Ciò, per breve tempo, ci ha dato la certezza che non fosse stato modificato negli art 4 e 5 comma 2 il DPR n. 81/09 che disciplina la materia.
In realtà la questione è stata soltanto rimandata ad una successiva nota esplicativa del Miur.
Ebbene, la suddetta Nota ministeriale, la n. 1153, è stata finalmente emanata in data 4 agosto u.s., recando per oggetto ”Decreto legislativo n. 66/2017 – Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, attuativo della legge n. 107/2015”.
In pratica, L’Amministrazione, con la predetta nota, ha fornito dei chiarimenti (si fa per dire) in merito alle decorrenze dettate dal succitato nuovo Decreto, disponendo incomprensibilmente un numero di 22 alunni per classe in presenza di studenti disabili.
Ovviamente, questo inaspettato dietrofront del Ministero dell’Istruzione ha destato scompiglio tra noi esperti di inclusione scolastica e, soprattutto, tanta preoccupazione tra i genitori dei nostri ragazzi.
Stupore, incredulità e disorientamento, che, “miracolosamente”, sono stati carpiti dal Ministero (e non poteva essere altrimenti).
Infatti, con il presente contributo, ci corre l’obbligo d’informare tutti quei familiari di alunni/studenti disabili che ci continuano ancora a chiedere di sollecitare il Miur, affinché sani quest’ingiustizia subita dai loro figli che, invero, il Ministero è intervenuto immediatamente a modificare quanto stabilito inspiegabilmente con la di cui sopra Nota n. 1153 dello scorso 4 agosto.
Ed effettivamente, già solo dopo qualche giorno, lo scorso 8 agosto, il Miur ha pubblicato un’ulteriore nota per rettificare quanto previsto in merito al numero massimo di alunni per classe, in caso di presenza di alunni disabili. Nella nota del 4 agosto, l’amministrazione aveva scritto che: “in presenza di alunni disabili le classi non devono, di norma, superare il numero di 22 alunni”.
Con la nuova nota n. 1157, pubblicata l’8 agosto u.s., il Miur, invece, rettifica quanto precedentemente comunicato e richiamando la nota prot.n. 1153 del 4 agosto u.s., avente pari oggetto, precisa che: “per mero errore materiale, nell’ultimo capoverso è stata riportata l’errata indicazione, di norma, di 22 alunni per classe, in caso di presenza di alunni disabili, anziché, di norma, di 20 alunni per classe, così come previsto dall’articolo 5, comma 2 del D.P.R.n.81/2009.
In definitiva, gli alunni di una classe delle scuole pubbliche di ogni ordine e grado, in presenza di studenti con disabilità, devono essere al massimo venti.
E meno male che il Miur ha rimediato al “mero errore materiale” dello scorso 4 agosto.
Tuttavia, anche se conclusasi con un lieto fine, questa triste vicenda non ci lascia ben sperare e non ci fa dormire sonni tranquilli.
Innanzitutto, perché la Nota n. 1157 del Miur, anche se migliorativa di quella precedente del 4 agosto, ripropone uno degli elementi più critici che sembrava superato dello schema iniziale del Decreto attuativo della Buona Scuola n. 378/17 sull’inclusione scolastica, e cioè che esso non stabiliva l’inderogabilità del numero di 20 alunni per classe in presenza di disabili, prevedendo che ciò avvenga soltanto in virtù della generica dicitura “di norma”.
Per ultimo, ma non certo ultimo, per chi scrive, pensare che una problematica così delicata e centrale per la realizzazione del progetto di vita indipendente delle persone con disabilità come il processo di inclusione scolastica possa essere in balia ed alla mercè della superficialità degli Uffici del Ministero dell’istruzione e dei loro refusi, è davvero inaccettabile in un Paese come il nostro, che si pregia di avere la legislazione più avanzata al mondo nel settore.
Come dire che, in Italia, ancora troppo frequentemente, viene prima la burocrazia ministeriale, con le sue non sporadiche clamorose “sviste” e poi i diritti fondamentali dei cittadini.

I genitori non potranno scegliere l’insegnante di sostegno, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Nei mesi scorsi, subito dopo la pubblicazione in GU del Decreto attuativo della Buona Scuola n. 66/17, tanti Giornali ed addetti ai lavori avevano salutato con toni trionfalistici e celebrativi l’art 14 dello stesso, ai sensi del quale, si aprirebbe alle famiglie la possibilità di intercedere a favore di questo o quel bravo supplente, che nel corso dell’anno scolastico si sia contraddistinto per il suo lavoro con l’alunno disabile.
Effettivamente, il testo stabilisce che «al fine di agevolare la continuità educativa e didattica e valutati, da parte del dirigente scolastico, l’interesse dell’alunno e l’eventuale richiesta della famiglia, ai docenti con contratto a tempo determinato per i posti di sostegno didattico possono essere proposti, non prima dell’avvio delle lezioni, ulteriori contratti a tempo determinato nell’anno scolastico successivo.”
Tutto sembrava pronto già per questo nuovo anno scolastico ma, qualche giorno fa, la “macchina” organizzativa si è improvvisamente inceppata.
Infatti, la burocrazia ministeriale non sempre è così efficace. Innanzitutto, perché il Decreto è stato inviato al Consiglio superiore della pubblica istruzione solo ad agosto. Nel frattempo il ministero è rimasto in attesa. Alla fine il Cspi si è pronunciato, sentenziando che “occorre una conciliazione tra le esigenze del ministero che vorrebbe garantire la continuità didattica ai supplenti richiesti dalle famiglie e i diritti individuali dei lavoratori.”
Il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione si incontrerà di nuovo il prossimo mese per approfondire la questione, per poi passare definitivamente la “palla” al Consiglio di Stato ed attendere chissà quanto ancora.
La nuova regola prevista dalla Delega sull’inclusione era stata fortemente criticata dall’ANIEF e dal mondo sindacale, secondo i quali, la scelta su un lavoratore pubblico non può essere fatta da chi non ha competenze per valutare la didattica speciale.
Pur rispettando quanto eccepito dal mondo sindacale e dall’ANIEF, mi permetto di non condividerne le perplessità. Non concordo con loro, perché credo che in merito al provvedimento sull’inclusione licenziato lo scorso aprile, essi abbiano sbagliato clamorosamente “bersaglio”.
Fossi in loro, invece, concentrerei le mie energie e profonderei tutti gli sforzi per impedire ed evitare una volta per tutte che nel mondo della scuola si continui ancora a parlare di «supplenti a contratto determinato», dal momento che il vero “paradosso” del sostegno italiano è che – malgrado la neonata Delega – il Ministero insista pervicacemente con i docenti di sostegno supplenti (spesso privi di competenze specifiche sulla didattica inclusiva).
Tale perverso meccanismo corporativo va denunciato con forza, in quanto va a solo detrimento dei bisogni educativi degli alunni con disabilità e del loro successo formativo.
Anziché inseguire falsi problemi, i Sindacati e l’ANIEF dovrebbero battersi con maggiore decisione per un piano a lungo termine di stabilizzazione e assunzione dei docenti di sostegno, per il loro definitivo passaggio dall’attuale organico di fatto a quello di diritto, per il loro vincolo al segmento formativo dell’alunno con disabilità e per il potenziamento dei CTS (inspiegabilmente cancellati dalla Buona Scuola), tutti interventi strutturali e di sistema che purtroppo non sono previsti dalla tanto pontificata nuova riforma dell’inclusione, con buona pace della continuità didattica.

Nuovo anno, ma vecchi problemi di inclusione scolastica, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Nei miei ultimi giorni di ferie estive, in vista dell’imminente inizio del nuovo anno scolastico, mi è capitato di riflettere spesso su cosa dovranno attendersi dall’a.s. 2017-18 gli alunni con disabilità e le loro famiglie, anche alla luce della “neonata” delega sul sostegno della Buona Scuola.
Tali riflessioni “vacanziere”, effettuate in un’amena località abbarbicata sull’Etna, per la loro serietà ed importanza, mi hanno riportato dall’alto del vulcano più imponente d’Europa con i piedi per terra, riproiettandomi immediatamente alla “montagna” (tanto per rimanere in tema) di cose che l’UICI, i suoi Enti collegati ed il nostro NIS dovranno fare già da oggi per garantire un sempre più proficuo processo di inclusione agli alunni/studenti ciechi ed ipovedenti italiani.
Infatti, sebbene la nostra normativa inclusiva oggi sia unanimemente riconosciuta come una delle più avveniristiche e all’avanguardia nel mondo, non si può non rilevare che l’attuale nostro modello di inclusione presenti diverse criticità “strutturali” che, se come sembra saranno affrontate dal Miur anche stavolta con i soliti miopi interventi “tampone”, rimarranno tali anche per l’anno scolastico che inizia ufficialmente l’1 settembre p.v.
A parere di chi scrive, anche quest’anno, l’emergenza assoluta è rappresentata dal non più “eccezionale” e dallo spropositato numero di docenti in deroga, a cui il Ministero dell’Istruzione ricorre ormai da tempo in modo continuativo, anche più volte nel corso di uno stesso anno scolastico, per coprire le tantissime cattedre di sostegno rimaste vacanti.
Al riguardo, i numeri prodotti relativamente all’a.s. 2016-17 sono preoccupanti ed emblematici: se oltre 2 milioni e mezzo di alunni (il 33% dell’intera popolazione scolastica) si sono trovati con almeno un insegnante nuovo in classe, è andata ancora peggio agli alunni con disabilità, perché almeno 100.000 di loro (il 43% dei 233.000 alunni con disabilità presenti nelle classi di ogni ordine di scuola) hanno cambiato il docente di sostegno.
In tal senso la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) ha stimato lo scorso anno che quasi il 40% dei posti siano coperti tuttora da docenti precari (47.000 su un totale di 120.000).
Questa situazione preoccupante ha determinato di fatto l’impossibilità di assicurare agli alunni/studenti con disabilità quella continuità didattica che risulta essere un fattore determinante per favorirne il successo scolastico. Tale problema, secondo lo scrivente, non cambierà affatto neppure durante l’anno scolastico 2017-18, perché, in base ai dati recentemente forniti dal Miur, ad esempio in Sicilia, ben 4.872 cattedre di sostegno sono già state assegnate in deroga e ne sono rimaste libere oltre un migliaio.
Le cose non vanno meglio neanche nelle altre Regioni italiane, se si pensa che, solo a Milano, vi sono ancora da affidare più di 1.400 posti e, in Abruzzo, le “vacanze” sul sostegno sono 1.741, mentre in Liguria sono 603.
Tale valzer di cattedre si abbatte ciclicamente come uno tsunami sul sostegno (ed anche quest’anno, sfortunatamente, non farà eccezione), perché il Miur, ad aprile di ogni anno, quando cioè deve essere conteggiato l’organico di diritto (il numero dei docenti necessari per l’anno successivo), preferisce sottostimarlo e calcolarlo in difetto rispetto alle esigenze effettive, al solo fine di risparmiare, evitando dunque di aumentare le immissioni di insegnanti di ruolo.
Conseguenza di questa condotta non del tutto ineccepibile del Ministero è che, quando ogni anno ad agosto si fanno i conti reali, i nodi vengono al pettine e i vari Uffici Scolastici Regionali (USR) si trovano costretti ad integrare l’organico di diritto con quello “di fatto”, coprendo le migliaia di esuberi e di posti liberi, prima con le assegnazioni provvisorie (incarichi annuali attribuiti ad insegnanti titolari che chiedono il riavvicinamento) e poi, con la deroga a supplenti con contratto a tempo determinato che, cosa ancor più grave, di sovente, non sono neanche specializzati.
Ciò è dovuto al fatto che, di fronte alla penuria di insegnanti di sostegno di ruolo a causa dei concorsi al “contagocce” e delle loro relative tantissime non ammissioni di questi ultimi decenni, al quasi avvenuto svuotamento delle GAE (Graduatorie ad esaurimento) ed alla scarsa disponibilità di assegnazioni provvisorie, di recente, si sono susseguite decisioni ministeriali discutibili, che hanno finito con il mandare letteralmente in tilt il sistema scolastico territoriale.
In proposito, si ricordi la Nota Ministeriale Protocollo n. 24306 del 1° settembre 2016, che recitava testualmente: «In caso di esaurimento degli elenchi degli insegnanti di sostegno compresi nelle graduatorie ad esaurimento, i posti eventualmente residuati sono assegnati dai dirigenti scolastici delle scuole in cui esistono le disponibilità, utilizzando gli elenchi tratti dalle graduatorie di circolo e d’istituto, di prima, seconda e terza fascia». L’auspicio è che il Miur, ad anno scolastico ufficialmente ormai avviato, non riproponga nei prossimi giorni questa stessa sciagurata circolare perché essa, nel corso del passato a.s., ha causato soltanto danni, facendo sì che, in assenza di docenti di ruolo, con le GAE praticamente esaurite e con un numero irrisorio di posti assegnati alle assegnazioni provvisorie, migliaia di cattedre di sostegno siano state perciò affidate ad insegnanti senza alcun tipo di specializzazione, costringendo in tal modo le famiglie di persone con disabilità a ricorrere sempre più spesso ai giudici per dare un’istruzione adeguata ai loro figli (8,2% per la scuola primaria e 5,1% per quella secondaria di primo grado, di cui al Sud rispettivamente il 12,4% e il 9,1%).
Ad esasperare ulteriormente gli animi dei genitori dei ragazzi con disabilità ci ha pensato pure il Contratto collettivo Nazionale sulla mobilità annuale dello scorso 21 giugno, sulla base del quale, in Sicilia, ad esempio, quasi tutte le Province non hanno avuto per l’a.s. 2017-18 molti posti destinati alle assegnazioni provvisorie e quindi chi sta provando a rientrare sul sostegno in questi giorni su quelle Province, non ce l’ha fatta, o comunque, non ci riuscirà così facilmente. Ma il vero paradosso è che quei posti rimasti vacanti sul sostegno in Sicilia (ancora un migliaio, come sopra riferito) come in tante altre Regioni, e non solo del Mezzogiorno, potranno essere coperti nel corso di questo nuovo anno scolastico non da docenti titolari, ma da laureati neppure abilitati, con le semplici lettere di “messa a disposizione”. Insomma, l’esperienza di questi ultimi 40 anni sembra non aver insegnato al Miur che precarietà e scarso investimento sulla formazione degli operatori non giovano ai nostri ragazzi e che, soprattutto, il ricorso ormai quasi sistematico ad una quantità pletorica di insegnanti per il sostegno in deroga, non abilitati e specializzati non è garanzia di qualità dell’inclusione scolastica.
Infine, si rammenti che le nuove modalità di formazione specifica universitaria dei docenti specializzati e del loro arruolamento, previste dai Decreti attuativi della Buona Scuola nn. 59 e 66 del 2017, entreranno a pieno regime non prima di due anni. Quest’ultimo non irrilevante aggravante, ovviamente, ci rende ancora più preoccupati e non ci fa ben sperare per il presente e l’immediato futuro “inclusivo” delle studentesse e degli studenti con disabilità del nostro Paese.
A questo punto, stando così le cose e nonostante le recenti rassicurazioni del Ministro Valeria Fedeli, temo proprio che i drammatici numeri sopra riportati e l’atavica assenza di una “policy” a lungo termine del Miur (con la previsione di un Piano di formazione obbligatoria e specifica sulla Didattica inclusiva di tutto il personale scolastico e di assunzione strutturale dei docenti specializzati, con il loro mancato transito nell’organico di diritto, con il loro non avvenuto vincolo almeno al segmento formativo dell’alunno con disabilità e con l’assenza di un sostegno “diffuso” all’allievo con disabilità anche da parte del contesto territoriale, come confermato dall’inspiegabile cancellazione dei Centri territoriali di Supporto nel neonato Decreto attuativo della Buona Scuola sul sostegno) non potranno garantire agli alunni/studenti con disabilità, neppure durante l’anno scolastico 2017-18, un processo di inclusione davvero di qualità.

40 anni fa veniva approvata la Legge 517, architrave dell’inclusione, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

A 40 anni dalla sua emanazione, la Legge n. 517 del 4 Agosto 1977, costituisce ancora la «pietra miliare», il caposaldo dell’attuale modello di inclusione scolastica del nostro Paese. Infatti, all’articolo 2 ed all’articolo 7 di quella norma, in riferimento all’inclusione nella scuola primaria ed in quella secondaria inferiore degli alunni disabili, si prevede l’introduzione di un «docente di sostegno» in possesso di un apposito titolo di specializzazione, con il compito di supportare il Consiglio di classe nella progettazione di una «didattica inclusiva». La figura del docente di sostegno, pertanto, diventa centrale ai fini dell’integrazione scolastica degli alunni-studenti con disabilità, ma ancora soltanto all’interno della scuola elementare e media. Qualche anno dopo, e precisamente nel 1987, la sentenza n. 215 della Corte Costituzionale riconoscerà il pieno diritto allo studio degli allievi disabili, aprendo di fatto a tutti loro anche le porte della scuola secondaria superiore. E tuttavia, in quegli anni, abbiamo assistito soltanto ad un inserimento «selvaggio» degli alunni con disabilità nella scuola «di tutti», senza lo sviluppo di una seria riflessione pedagogica e didattica sulle modalità di una loro più adeguata ed efficace inclusione. Noi abbiamo accettato con grande gioia e con soddisfazione questo passaggio dalla scuola speciale alla scuola «comune», ma quando ciò è avvenuto, tale trasferimento è stato fatto con eccessiva disinvoltura, con la superficialità che contraddistingue molte iniziative italiane e in particolare della scuola. Naturalmente non vorrei ingenerare equivoci, non sto tessendo le lodi del tempo dell’educazione «speciale», sto soltanto dicendo che abbiamo operato questo passaggio senza preoccuparci della necessità di dare a questi ragazzi quei supporti necessari e specifici che conseguono alla loro disabilità. Pertanto, è accaduto che, malgrado la Legge 104 del 1992, e tutta la successiva normativa sull’autonomia scolastica, l’organizzazione della scuola è restata «incastrata» ed inchiodata in un contesto nel quale, a tutt’oggi, nella programmazione ordinaria destinata agli allievi con disabilità, non trovano posto – o lo trovano solo saltuariamente attività di orientamento e all’autonomia personale, di avviamento allo sport, di orientamento professionale, di insegnamento del Braille e della Lis, dell’uso delle tecnologie «assistive» ecc… In pratica, il docente per il sostegno si è da sempre trovato a dover gestire da solo l’alunno-studente con disabilità. A ciò si aggiunga che il 40% degli attuali docenti di sostegno sono «precari privi di un’adeguata preparazione» e che i nuovi «corsi polivalenti di specializzazione» degli anni 80 e 90 dei docenti di sostegno (fino agli odierni Tfa) sono diventati ormai troppo «generalisti» e generici, con scarsissima attenzione alle specificità delle singole disabilità. Tale grave stato di cose ha causato la realizzazione di un modello di inclusione che, snaturando i suoi originali ed iniziali principi pedagogici e didattici, è divenuto sempre più «assistenziale» ed inefficiente, provocando gli attuali «punti deboli» del sistema e cioè: la carente ed insufficiente formazione specifica degli insegnanti specializzati, la totale impreparazione dei docenti curricolari, del personale Ata e di tutto il «contesto» scolastico nei confronti degli allievi disabili e, soprattutto, l’ormai consolidata e «perversa» delega al solo docente per il sostegno dell’alunno-studente con disabilità, con la conseguente ed inevitabile emarginazione e «ghettizzazione» di quest’ultimo nelle famigerate «aule di sostegno». L’esperienza di questi quarant’anni ci ha insegnato che non serve assumere «a contratto determinato» un esercito di docenti specializzati «supplenti» ed «in deroga» (spesso poco preparati e competenti sulle singole disabilità) ed aumentare il numero di ore di sostegno per garantire la qualità del processo di inclusione dei nostri ragazzi con disabilità. Per assicurare il pieno successo scolastico degli alunni-studenti con disabilità, occorrerebbe invece promuovere finalmente un’adeguata e specifica azione formativa di massa di tutto il personale scolastico e non solo dei docenti specializzati sulla Didattica inclusiva e sulla Pedagogia speciale ed una «vera» ed efficace continuità didattica, che passi però da un Piano serio e strutturale di assunzione dei docenti di sostegno e dal loro definitivo transito nell’organico di diritto (disposizioni ancora colpevolmente non adottate neppure dalla recente Delega sull’inclusione entrata in vigore lo scorso 31 maggio). Ma soprattutto, è indispensabile realizzare contesti «flessibili», dotati di strumenti, ambienti e materiali «accessibili» e capaci di progettare ed attivare iniziative per classi «aperte e parallele», per gruppi omogenei ed eterogenei ed insegnamenti personalizzati ed individualizzati, attenti veramente alle «differenze individuali» ed ai bisogni educativi di tutti e di ciascun alunno. A parere di chi scrive, il più grande difetto del nostro sistema inclusivo è che, in Italia, abbiamo leggi innovative e tra le più avanzate nel mondo in questo settore, ma quasi mai si traducono in «buone prassi», non sortendo alcuna ricaduta concreta sul diritto allo studio degli alunni-studenti disabili. Non basta scrivere bellissime leggi, da tutti invidiate, da molti copiate e che ci fanno vincere prestigiosi riconoscimenti internazionali, se poi il nostro Ministero dell’istruzione è privo di una visione strategica, di una vera e propria «policy» sull’inclusione scolastica e non è in grado di programmare a medio e lungo termine. Adeguiamo ed applichiamo una volta per tutte la nostra normativa «inclusiva» alla luce dei moderni principi dell’approccio «bio-psico-sociale» alla disabilità dell’Icf del 2000 e della nuova prospettiva culturale delineata dall’art 24 della Convenzione Onu del 2006 che considera il diritto all’istruzione un diritto umano «insopprimibile» di ogni persona, a prescindere dalla sua limitazione funzionale. Solo così, riusciremo a rendere definitivamente la scuola italiana davvero inclusiva e «for all» ed a modificare i presupposti dell’intera nostra organizzazione scolastica, ritrovando e riaffermando lo spirito originale dell’autentica cultura dell’inclusione sancito dalla legge 517-77.

Istruzione – Attivazione nuovi corsi UNITELMA Sapienza

L’Università degli Studi di Roma UNITELMA Sapienza ha attivato nuovi corsi di laurea per il prossimo anno accademico 2017/2018.
Oltre ai già noti corsi:
• dell’area GIURIDICA – laurea triennale in scienze dell’amministrazione e della sicurezza (L16); laurea magistrale in management delle organizzazioni pubbliche e sanitarie (LM63); laurea magistrale a ciclo unico in giurisprudenza (LMG01);
• dell’area ECONOMICA – laurea triennale in scienze dell’economia aziendale (L18); laurea magistrale in economia, management e innovazione (LM77).
Ora si potrà completare il percorso scolastico iscrivendosi ai seguenti ulteriori nuovi corsi:
• nell’area INFORMATICA – laurea triennale in Informatica (L31);
• nell’area PSICOLOGICA – laurea triennale in scienze e tecniche psicologiche (L24);
• nell’area ARCHEOLOGICA – laurea magistrale in classical archeology (LM2) – in lingua inglese.

Per più dettagliate informazioni, vi invito a visitare la pagina web: http://www.unitelmasapienza.it/didattica.
Aver ampliato il ventaglio dei corsi di laurea fa sì che l’Università UNITELMA dimostri di aver sempre quell’attenzione alla formazione e all’aggiornamento dei giovani in modo da facilitarne l’inserimento nel mondo del lavoro, mantenendo sempre alta l’attenzione verso l’accessibilità e l’usabilità del materiale didattico e delle strumentazioni messi a disposizione. L’Unione, ovviamente, condivide tutto ciò!
Si ricorda ancora che percorsi di tirocinio curriculare, previsti nei piani di studio individuali, potranno essere svolti presso le strutture territoriali dell’Unione (secondo convenzione UICI-UNITELMA Sapienza), con conseguente riconoscimento dei crediti formativi da parte dell’Ateneo, a cui spettano anche i costi del carico assicurativo. Lo stesso vale per i tirocini extracurriculari.
Rimangono ferme tutte le condizioni tariffarie in essere, di maggior favore riservate ai soci UICI e loro familiari, previste dalla convenzione stipulata con questa Presidenza Nazionale in data 19/11/2015.

L’estate avanza, ma l’inclusione non va in ferie, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Con il presente contributo, chi scrive prende spunto da un recente “garbato” scambio di vedute “vacanziere” avuto con un caro amico sui principali “buchi” del recente Decreto attuativo della Buona Scuola sull’inclusione scolastica.
D’altronde, che la confusione regni sovrana, a causa del succitato D.Lgs n. 66/2017, è sotto gli occhi di tutti, specialmente dei più autorevoli esperti di inclusione che, senza alcuna remora, l’hanno definito una “leggina” che evita solo il peggio.
E questo, perchè il suddetto Decreto legislativo n. 66/17 lascia irrisolti alcuni degli atavici “mali scolastici” del sostegno italiano, rispetto ai quali, neppure il clima spensierato delle vacanze e la “canicola” estiva devono farci abbassare la guardia e spegnere i riflettori.
Innanzitutto, mi riferisco al problema della formazione specifica iniziale ed in servizio di tutto il personale scolastico (e non solo dei docenti per il sostegno) sulla Didattica inclusiva e sulla Pedagogia speciale.
La formazione iniziale universitaria  specifica degli insegnanti per il sostegno della scuola dell’infanzia e primaria sarà caratterizzata da un aumento dei crediti formativi sulla Didattica inclusiva e sulla Pedagogia speciale dagli attuali 60 a 120 (art 12 D.Lgs n. 66 del 2017).
Lo stesso aumento di crediti, tuttavia, non è stato previsto dall’art 10 dell’altro Decreto attuativo della Buona Scuola n. 59/17 (nuove modalità di arruolamento e reclutamento dei docenti) per la formazione specifica sull’inclusione degli insegnanti specializzati della scuola secondaria di I° e II°. Inoltre, il loro percorso di inserimento lavorativo (il nuovo e farraginoso FIT) sarà più incentrato sulla quantità e sul numero dei crediti più che sulla qualità ed efficacia didattica dei contenuti.
Anche la formazione generalizzata di tutti i docenti di ruolo, degli ATA e dei dirigenti scolastici sulla Didattica inclusiva è stabilita solo “simbolicamente” dalla Buona Scuola, perchè essa, sbagliando, nonne fa loro obbligo.
Stanti così le cose,il problema e ora quello di capire se, con questa “benedetta” neonata delega sull’inclusione ci sarà un effettivo cambiamento qualitativo.
Voglio dire che la sola assegnazione dell’insegnante di sostegno con un numero congruo di ore all’alunno/studente con disabilità non è sufficiente a garantire il loro successo scolastico e formativo, se:
1) la medesima delega sull’inclusione della Buona Scuola fa finta di dimenticarsi che i docenti per il sostegno sono sovente insegnanti “in deroga”, in “messa a disposizione”, in esubero dalle altre classi di concorso ed utilizzati “pescando” dalle graduatorie di circolo e d’Istituto, anche
se non specializzati ed abilitati.
Tale situazione è gravissima e va assolutamente denunciata (e non solo con questo semplice articolo di giornale) e fa sì che l’attuale inefficace e deficitario sistema del sostegno, composto da oltre il 40% di insegnanti specializzati? precari e fondato sulla loro appartenenza all’organico di fatto e non a quello di diritto, si automanteneva vergognosamente, “legittimando” le famiglie dei nostri ragazzi a presentare ripetutamente ricorso alle autorità giudiziarie. 2) la presenza del docente per il sostegno non è affiancata da un contesto veramente “inclusivo”. Al riguardo, a parere di chi scrive, la nomina dell’insegnante specializzato, seppur rappresentando un “sacrosanto” diritto assolutamente esigibile dai nostri ragazzi e dalle loro famiglie, da sola rischia di essere quasi inutile e di ingenerare “false” aspettative nei genitori dei nostri ragazzi e di ripetere le “distorsioni” e gli sbagli dell’attuale modello dell’inclusione scolastica, che hanno finito per provocare i “deprecabili” fenomeni della “deresponsabilizzazione” dei docenti curricolari rispetto ai loro alunni con disabilità e la perversa “delega” al solo collega di sostegno dei loro insegnamenti e delle loro valutazioni.
Quello che avrebbe dovuto promuovere il D.Lgs n. 66/17 e che colpevolmente non ha fatto, a mio avviso, è invece la promozione di un “contesto” veramente accogliente ed inclusivo, dove il Piano Annuale per l’Inclusività (PAI) possa essere finalmente parte integrante della progettazione, della didattica e della valutazione delle Istituzioni scolastiche italiane e, dunque, anche dei loro Piani Triennali dell’Offerta Formativa.
Con la delega sull’inclusione, al contrario, non è avvenuto nulla di tutto ciò: i CTS sono scandalosamente scomparsi dalla circolazione (e con loro la possibilità di aprire al loro interno anche “sportelli tiflodidattici” per alunni con disabilità visiva), sono stati sostituiti da “ectoplasmatiche” Scuole Polo e nessun accenno si fa a finanziamenti a sostegno di servizi extrascolastici di supporto all’inclusione degli alunni con disabilità (quali potrebbero essere ad esempio i17 Centri di Consulenza Tiflodidattica della Federazione Pro Ciechi e della Biblioteca “Regina Margherita” e gli ex Istituti dei ciechi).
Per non parlare della “vexata quaestio” della continuità didattica, da tutti invocata, ma quasi mai attuata concretamente a scuola per gli studenti disabili.
Circa la spinosa questione della continuità, mentre la prima bozza di decreto prevedeva un vincolo decennale sul sostegno per gli insegnanti, ora nel testo definitivo, entrato in vigore il 31 maggio u.s., all’art. 14, il Governo ha deciso di mantenere l’attuale “vincolo quinquennale” (sul ruolo e non nella stessa scuola), nelle more di superarlo definitivamente, al momento dell’entrata a regime della nuova disciplina della formazione iniziale e del reclutamento degli insegnanti. Inoltre, i contratti a tempo determinato potranno poi essere reiterati “a docenti supplenti più volte nel corso dell’anno scolastico successivo». Come dire: “Evviva la “supplentite”!
Ancora, all’articolo 14 dello Schema iniziale di Decreto 378 (continuità didattica) si aggiunge oggi nel testo definitivo del Decreto n. 66/17 che «al fine di garantire la continuità didattica durante l’anno scolastico, si applica l’articolo 461 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 297 del 1994»: almeno per tutto l’anno l’insegnante di sostegno dovrebbe rimanere lo stesso.
Insomma, il D.Lgs n. 66/17 non solo sconfessa la stessa legge della Buona Scuola, di cui è un Decreto attuativo (l’art 1 comma 181 della Legge 107/15, che trae origine dalla pdl n. 2444 della FISH e della FAND, infatti, prevede il vincolo del docente per il sostegno all’intero segmento formativo seguito dall’alunno), ma finisce pervicacemente per provocare il perdurare delle attuali “criticità” del sistema dell’inclusione, a causa delle quali i nostri ragazzi sono costretti, ogni anno, a cambiare insegnanti specializzati ed a ricominciare sempre tutto da capo ed a non avere una “continuità del contesto extrascolastico”, facendo convincere pertanto i loro genitori che l’insegnante specializzato sia l’unica risorsa a disposizione dei loro figli.
Credo dunque che, di fronte alle attuali “aberrazioni e contraddizioni del nostro modello di inclusione, solo quelle che con l’amico Luciano Paschetta definiamo “continuità di contesto” (inclusivo) e “continuità di presenza” di un docente per il sostegno adeguatamente preparato e formato sulle esigenze specifiche degli alunni/studenti con disabilità del Terzo millennio possano loro assicurare un’effettiva difesa della continuità didattica e del loro diritto allo studio.
In definitiva, la verità è che, senza una funzione ed un ruolo ben definiti ed una formazione specifica non solo “quantitativa” dei docenti per il sostegno, senza un piano strutturale ed a lungo termine di loro assunzione e “stabilizzazione, senza investimenti seri ed efficaci sul contesto e sui servizi territoriali extrascolastici a supporto del processo d’inclusione degli allievi con disabilità e senza alcuna garanzia per loro di un’adeguata ed effettiva continuità didattica, nessuna riforma del sostegno potrà mai realisticamente assicurare per ogni alunno quelle condizioni di “pari opportunità” nel raggiungimento del massimo “possibile” dei traguardi d’istruzione, tanto decantate dalla recente normativa italiana sull’autonomia scolastica e soprattutto dal Decreto attuativo della Buona Scuola.

A Catania si conclude il progetto Braillando insieme, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Il prossimo 26 Maggio, presso l’aula Magna del Liceo Scientifico “Galilei” di Catania, nel corso di un incontro pubblico, saranno rendicontati alla cittadinanza i risultati della significativa esperienza scolastica denominata “Braillando insieme”, di cui il nostro Giornale si è già occupato nei mesi scorsi.
Tale progetto del Liceo “Galileo Galilei” rappresenta un’iniziativa “unica” nel suo genere in Italia perchè, grazie al metodo di lettura e scrittura Braille, ha impegnato per un intero semestre gli studenti della scuola etnea in un progetto realmente inclusivo di alternanza scuola-lavoro, presso il locale Polo Tattile Multimediale – Stamperia Regionale Braille.
Sfruttando al meglio il “nuovo” Piano Triennale di Formazione Obbligatorio, infatti, Gabriella Chisari, dirigente di quella scuola, ha deciso di scommettere proprio sulla promozione dell’inclusione degli studenti con BES (Bisogni Educativi Speciali) e DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento), individuandola tra le priorità strategiche da fare acquisire ai docenti del proprio liceo, mediante apposite iniziative formative.
Al riguardo, il Collegio Docenti dell’istituto etneo ha ritenuto opportunamente che anche la nuova pratica dell’alternanza scuola-lavoro, introdotta nel sistema formativo ed educativo dalla Legge 107/15 (la cosiddetta Buona Scuola), potesse davvero aiutare il Galilei a raggiungere il nobile scopo di promuovere un modello di scuola più inclusiva e di qualità.
Braillando insieme è stato elaborato in linea con le Direttive Ministeriali e con l’atto di indirizzo dell’istituto scolastico che ne è protagonista, prevedendo la realizzazione di una forma di apprendimento basato su quanto indicato nella Strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva di tutti e di ciascuno.
Il progetto ha preso avvio alla fine del mese di novembre 2016 e si concluderà appunto il 26 maggio p.v.
Insieme agli amici del Polo Tattile – del quale ringraziamo in particolare il direttore generale Pino Nobile, venticinque studenti della Quarta H del Liceo “Galilei” di Catania hanno realizzato una mappa tattile della scuola e prodotto in Braille, in Large-Print (a caratteri ingranditi) e in formato digitale alcuni capitoli tratti da diverse opere di Galileo Galilei.
Di qui, l’idea di costituire uno staff operativo di classe che, in alternanza presso la Stamperia Regionale Braille e il suo Polo Tattile Multimediale, ha appreso e sperimentato il “mestiere” della scrittura in Braille e in Large-Print, oltreché della realizzazione di testi digitali in formato accessibile e della produzione grafica multisensoriale, anche in 3D.
Si è trattata, pertanto, di un’opportunità didattica concreta e coinvolgente che è servita ad avvicinare gli studenti al futuro professionale, ma non solo.
Infatti, il principale auspicio della dirigente Gabriella Chisari è che la mappa tattile e i testi in Braille, Large-Print e formato elettronico realizzati dagli alunni della propria scuola e che saranno custoditi “gelosamente” dal Liceo catanese possano fungere da strumento di integrazione e da occasione di stimolo continuo del dibattito sui temi dell’inclusione, dell’uso delle nuove tecnologie digitali accessibili e della progettazione “per tutti” (for all).
Si può dunque dire, in conclusione, che l’alternanza scuola-lavoro, per il tramite del Braille, anche nel profondo Sud del nostro Paese può e deve contribuire a porre le basi per una società migliore e a misura di tutti e di ciascuno.

Pubblicato in Gazzetta il Decreto sull’inclusione, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Il CDM ha licenziato il Testo finale della Delega sull’inclusione della Buona Scuola lo scorso 13 Aprile, ma la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del tanto atteso D.Lgs n. 66/17 è avvenuta solo qualche giorno fa.
Il Decreto entrerà definitivamente in vigore il 31 Maggio p.v. ed i suoi contenuti non presentano novità di rilievo rispetto a quanto già anticipato dal nostro Giornale nelle scorse settimane.
Innanzitutto, estremamente positivo ed apprezzabile è stato lo sforzo dell’Esecutivo nell’accogliere taluni suggerimenti provenienti dalle organizzazioni di persone con disabilità e delle loro famiglie, quali l’inserimento dell’associazionismo di riferimento tra gli interlocutori dei processi di inclusione scolastica insieme alle famiglie, o anche quello dell’Osservatorio per l’Inclusione Scolastica tra i soggetti che esprimeranno un parere sulla valutazione della qualità dei servizi delle istituzioni scolastiche; e bene anche il recepimento della Classificazione ICF.
Infatti, con il D.Lgs n. 66/17 pubblicato in GURS qualche giorno fa, la famiglia partecipa a tutte le fasi: dalla formulazione del profilo di funzionamento dell’alunno (che sostituisce la valutazione diagnostica funzionale, come chiesto dalle associazioni, ndr), alla quantificazione delle risorse da assegnare. Su richiesta delle famiglie, poi, il Piano educativo individualizzato (Pei) entra a far parte del profilo di funzionamento.
Se la prima bozza introduceva la valutazione diagnostico-funzionale (che andava a sostituire gli attuali profilo dinamico funzionale e diagnosi funzionale), adesso, il testo finale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale parla di un «profilo di funzionamento secondo i criteri del succitato modello bio-psico-sociale dell’ICF, ai fini della formulazione del progetto individuale (di cui all’articolo 14 della legge 8 Novembre 2000 n. 328), nonché per la definizione del Piano Educativo Individualizzato (PEI).
In verità, c’è un po’ di confusione, poiché nel PEI non paiono esserci cenni al sostegno didattico (art .7), mentre i sostegni – incluso quello didattico – sembrano dover essere contenuti nel profilo di funzionamento: quindi a determinare e quantificare le ore di sostegno sarà pare l’unità di valutazione multidisciplinare, oggi sì arricchita di componenti rispetto alla bozza iniziale ma comunque non composta dalle persone che effettivamente conoscono il ragazzo e con un assetto prevalentemente medico.
Una delle novità più significative del testo finale pubblicato in Gazzetta, a parere dello scrivente, è il fatto che la valutazione dell’inclusione scolastica sia parte integrante della valutazione della scuola, tramite indicatori che l’Invalsi andrà a definire. Alla stesura di questi indicatori, razie all’intervento delle principali Associazioni di e per disabili, parteciperà, come detto sopra, anche l’Osservatorio per l’inclusione scolastica istituito presso il Miur (art. 15).
Un discorso più approfondito richiede la “delicata “questione relativa alle nuove modalità di formazione iniziale dei docenti per il sostegno della scuola dell’infanzia, di quella primaria e di quella secondaria di primo e secondo grado ed alle nuove procedure del loro reclutamento.
Dopo la pubblicazione in GURS dei Decreti attuativi della Buona Scuola, la materia è ora disciplinata dall’art 12 del D.Lgs n. 66/17 sulla promozione dell’inclusione scolastica(formazione iniziale dei docenti per il sostegno della scuola dell’infanzia e primaria) e dall’art 10 del D.Lgs n. 59/17 sulla formazione ed il reclutamento del personale docente (formazione iniziale degli insegnanti specializzati della secondaria di primo e secondo grado).
La formazione iniziale universitaria  specifica degli insegnanti per il sostegno della scuola dell’infanzia e primaria sarà caratterizzata da un aumento dei crediti formativi sulla Didattica inclusiva e sulla Pedagogia speciale dagli attuali 60 a 120 (art 12 D.Lgs n. 66 del 2017).
In sostanza, i futuri docenti specializzati della scuola dell’infanzia e di quella primaria, durante il corso di laurea magistrale a ciclo unico in Scienze della formazione primaria, oltre ai 31 crediti formativi già previsti dal normale piano di studi, dovranno conseguire ulteriori 60 cfu sulle Didattiche dell’inclusione. Successivamente, potranno accedere ad un apposito Corso di specializzazione in Pedagogia speciale e Didattica dell’inclusione, con il rilascio di altri 60 cfu. Infine, il superamento di tale Corso, costituirà titolo abilitante per l’insegnamento sui posti di sostegno della scuola dell’infanzia e di quella primaria.
Per la formazione iniziale degli insegnanti specializzati della secondaria di primo e di secondo grado, bisogna invece fare riferimento ad un altro Decreto attuativo della Buona Scuola, e precisamente all’art 10 del D.Lgs 59/17, quello relativo cioè alle nuove modalità di reclutamento del personale docente.
Oggi chi vuole diventare insegnante curricolare e per il sostegno della scuola secondaria deve abilitarsi, dopo la laurea, attraverso un tirocinio formativo (TFA). L’abilitazione dà accesso alle graduatorie di istituto per le sole supplenze. Per entrare in ruolo, infatti, bisogna attendere e superare un concorso. Dal 1999 il primo concorso bandito in tempi recenti è stato quello del 2012 seguito, poi, da quello del 2016. Con lunghi periodi di attesa e di vuoto, senza certezze per le e gli aspiranti docenti.
Con la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del nuovo decreto e la sua definitiva entrata in vigore, tutte le laureate e tutti i laureati potranno partecipare ai concorsi, a patto che abbiano conseguito 24 crediti universitari in settori formativi psico-antropo-pedagogici o nelle metodologie didattiche. I concorsi avranno cadenza biennale, il primo sarà nel 2018.
Dunque, per diventare docente per il sostegno della scuola secondaria di primo e secondo grado, occorrerà superare un concorso ordinario.
I requisiti per accedere al concorso sono i seguenti:
laurea magistrale o o a ciclo unico, oppure diploma di II livello dell’alta formazione artistica, musicale e coreutica, oppure titolo equipollente o equiparato, coerente con la classe di concorso;
certificazione del  possesso di almeno 24 crediti formativi universitari o accademici, acquisiti in forma curricolare o extra curricolare, nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e nelle metodologie e tecnologie didattiche, garantendo comunque il possesso di almeno sei crediti in almeno tre dei seguenti quattro ambiti disciplinari: pedagogia, pedagogia speciale e didattica dell’inclusione; psicologia; antropologia; metodologie e tecnologie didattiche;
attestazione delle competenze linguistiche, corrispondenti almeno al livello B2 del Quadro comune europeo, ai sensi dell’articolo 7, comma 1, del decreto ministeriale 22 ottobre 2004, n. 270, e delle competenze informatiche e telematiche.
Il Concorso prevede tre prove scritte ed un colloquio orale:
prima prova scritta: ha l’obiettivo di valutare il grado delle conoscenze del candidato sulla specifica disciplina, scelta dall’interessato tra quelle afferenti alla classe di concorso. Il superamento della prima prova è condizione necessaria per accedere alla prova successiva;
seconda prova scritta: ha l’obiettivo di valutare il grado delle conoscenze del candidato sulle discipline antropo-psico-pedagogiche e sulle metodologie e tecnologie didattiche. Il superamento della seconda prova è condizione necessaria per accedere alla prova successiva;
prova aggiuntiva: è scritta ed è sostenuta dopo la seconda prova scritta, al fine di valutare il grado delle conoscenze di base del candidato sulla pedagogia speciale sulla didattica per l’inclusione scolastica e sulle relative metodologie;
prova orale:  consiste in un colloquio che ha l’obiettivo di valutare il grado delle conoscenze del candidato in tutte le discipline facenti parte della classe di concorso, nonché di accertare la conoscenza di una lingua straniera europea e il possesso di abilità informatiche di base.
Vinto il concorso, si potrà accedere al nuovo percorso triennale FIT (formazione, inserimento e tirocinio), che si concluderà con la stipula del contratto a tempo indeterminato. In pratica, il FIT manda definitivamente in soffitta il precedente TFA.
Durante il primo anno, sarà necessario conseguire un Diploma di specializzazione, dopo la frequenza di un Corso in Didattica dell’inclusione e Pedagogia speciale, con il rilascio finale di 60 cfu.
I futuri docenti specializzati della scuola superiore di I° e di II° potranno completare la loro formazione, nel corso del secondo anno del percorso FIT, attraverso tirocini diretti ed indiretti e supplenze presso istituzioni scolastiche del loro ambito territoriale di appartenenza, con l’acquisizione di ulteriori 40 crediti formativi e, nel terzo ed ultimo anno del FIT, tramite la graduale acquisizione di autonome funzioni di docente per il sostegno con supplenze su posti vacanti o disponibili in scuole dell’ambito scolastico di riferimento.
Durante il periodo di formazione e di tirocinio, il contrattista percepirà uno stipendio di 600 Euro lorde, che aumenterà gradatamente fino all’arruolamento definitivo.
Il superamento del percorso triennale di FIT e delle relative “prove intermedie” e della valutazione complessiva finale, determinerà la definitiva messa in ruolo del docente di sostegno della secondaria di primo e secondo grado.
I docenti assunti a tempo indeterminato sui posti di sostegno possono chiedere il passaggio sui posti comuni dopo 5 anni (come gli attuali) di appartenenza nelle sezioni dei docenti per il sostegno didattico (art 14 del D.Lgs n. 66/17). Nel computo dei 10 anni si considera  anche il servizio prestato sul posto di sostegno in epoca antecedente all’assunzione in ruolo a tempo indeterminato, purché il predetto servizio sia stato svolto in costanza del possesso dello specifico titolo di specializzazione.
Il decreto n. 59/17 prevede una fase transitoria che, in prosecuzione con il Piano di assunzioni della Buona Scuola, dovrebbe continuare ad offrire risposte al precariato storico. Saranno esaurite innanzitutto le Graduatorie ad esaurimento e quelle dell’ultimo concorso del 2016. Ci saranno delle procedure concorsuali specifiche per chi sta già insegnando come supplente da tempo. Per le docenti e i docenti abilitati della seconda fascia delle graduatorie di istituto ci sarà un concorso nel 2018 con una prova orale seguita – quando si verificherà disponibilità di posti – da un anno di servizio con una valutazione finale. I partecipanti entreranno in ruolo, dunque, dopo una ulteriore verifica in classe. Le iscritte e gli iscritti nelle terze fasce di istituto, quelli con 3 anni di servizio, potranno accedere a concorsi con uno scritto e un orale, se vincitori accederanno al percorso FIT facendo il primo e terzo anno.
Come dire che per la piena entrata a regime del nuovo sistema ci vorranno diversi anni. D’altra parte, la possibilità stabilita dall’art 14 del D.Lgs n. 66/17 attuativo della Buona Scuola di garantire la continuità didattica dei docenti di sostegno, attraverso la possibilità di confermare per più volte nel corso dell’anno scolastico successivo lo stesso docente con contratto determinato, non depone a favore dell’eliminazione di uno dei mali storici dell’inclusione scolastica italiana e cioè la “supplentite” e di certo non fa ben sperare in termini di qualità del modello.
A ciò si aggiunga che, a mio avviso, resta il” rebus” della mancata previsione della medesima formazione universitaria iniziale specifica per i docenti per il sostegno della scuola dell’infanzia e primaria e quelli della superiore di I° e II°. Su tale parte del decreto, ritengo che il MIUR debba necessariamente intervenire.
In ogni caso, mi pare che si sia esagerato più sul “quanto” della formazione che sul “come”, trascurandone la qualità ed i contenuti specifici.
Anche a formazione generalizzata di tutto il personale scolastico sulle singole disabilità stabilita dall’art. 13 del decreto n.378, a detta del Direttore Rapisarda, pare un po’ lacunosa, in quanto non prevede alcun obbligo di osservarla. A tal proposito, per ovviare a ciò, il recente “Piano Triennale di Formazione Obbligatorio” per i docenti curricolari e di sostegno in servizio potrebbe costituire un ottimo strumento e una preziosa opportunità da cogliere da parte di tutte le Istituzioni scolastiche, facendo individuare dai loro Collegi docenti l’inclusione scolastica tra le loro “priorità” tematiche.
Invece, valuto positivamente il mantenimento ad un massimo di 20 alunni per classe in presenza di ragazzi con disabilità da parte del testo del D.Lgs n. 66 pubblicato in Gazzetta. Infatti, tale disposizione recepisce quanto previsto dagli articoli 4 e 5 del D.P.R. n. 81 del 2009, intendendo contrastare il proliferare delle classi “pollaio” tanto deleterie per gli alunni con disabilità. Però, resta il fatto che il Decreto non stabilisce l’inderogabilità del numero di 20 alunni per classe in presenza di disabili, prevedendo che ciò avvenga soltanto in virtù della generica dicitura “di norma”.
Circa la spinosa questione della continuità, mentre la prima bozza di decreto prevedeva un vincolo decennale sul sostegno per gli insegnanti, ora nel testo pubblicato qualche giorno fa sulla GURS, all’art. 14, il Governo ha deciso di mantenere l’attuale “vincolo quinquennale”, nelle more di superarlo definitivamente, al momento dell’entrata a regime della nuova disciplina della formazione iniziale e del reclutamento degli insegnanti. Inoltre, come sopra accennato, i contratti a tempo determinato potranno poi essere reiterati “a docenti supplenti più volte nel corso dell’anno scolastico successivo», in caso di fruttuoso rapporto docente-alunno e con il consenso delle famiglie.
Inoltre, all’articolo 14 dello Schema iniziale di Decreto 378 (continuità didattica) si aggiunte oggi nel testo definitivo del Decreto n. 66/17 uscito in Gazzetta nei giorni scorsi che «al fine di garantire la continuità didattica durante l’anno scolastico, si applica l’articolo 462 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 297 del 1994»: almeno per tutto l’anno l’insegnante di sostegno dovrebbe rimanere lo stesso.
A parere di chi scrive, sulla continuità didattica, qualche ombra rimane, e cioè che il neonato Decreto non prevede nulla per contrastare il fatto che più del 40% degli attuali docenti per il sostegno sono supplenti e hanno incarichi precari “in deroga”. Per ovviare, bisognerebbe rivedere i criteri degli organici dei docenti specializzati, che dovrebbero poter transitare dal presente organico di fatto a quello di diritto delle scuole e prevedere un serio e strutturale Piano di assunzione attraverso appositi Concorsi.
In merito alla continuità “negata”, ritengo che il MIUR si sia dimenticato inspiegabilmente della raccomandazione della medesima legge della Buona Scuola che indicava di “vincolare il docente di sostegno all’intero ciclo d’istruzione dell’alunno con disabilità”.
Sull’altro tema “caldo” delle Deleghe, e cioè la valutazione degli alunni con disabilità in sede di Esame di Stato, dopo la pubblicazione dei Decreti attuativi della Buona Scuola in Gazzetta, le mie considerazioni sono positive.
Infatti, l’articolo 12 del D.Lgs. n. 62/17, sulla valutazione degli alunni con disabilità e disturbi specifici dell’apprendimento, che aveva creato molte perplessità nella sua bozza iniziale, viene ora stabilito: per gli alunni con disabilità certificati il consiglio di classe o i docenti contitolari della classe, possono prevedere per lo svolgimento delle prove standardizzate misure compensative o dispensative, adattamenti della prova o l’esonero dalla prova.
All’esame di Stato che conclude il primo ciclo di istruzione, il vecchio testo diceva che le prove differenziate – qui stava la preoccupazione – «se equipollenti a quelle ordinarie, hanno valore ai fini del superamento dell’esame e del conseguimento del diploma finale», mentre ora, secondo quanto pubblicato in Gazzetta ufficiale, «le prove differenziate hanno valore equivalente ai fini del superamento dell’esame e del conseguimento del diploma».
In definitiva, per quanto finora esposto, questo testo definitivo della Delega sull’inclusione della Buona Scuola, pubblicato sulla GURS in questi giorni, è da ritenersi “vecchio” dal punto di vista culturale e pedagogico.
Esso, infatti, non fa esplicito riferimento all’articolo 24 (Educazione) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e considera ancora “staticamente” la didattica inclusiva come una prerogativa soltanto degli alunni/studenti con disabilità e non come una preziosa risorsa al servizio dei bisogni educativi di tutti e di ciascuno.
L’attenzione alle differenze individuali di ciascun alunno da parte di tutto il contesto e non solo del docente di sostegno per le necessità degli allievi con disabilità: ecco la vera discriminante pedagogica, lo spartiacque su cui non ha “colpevolmente” insistito il D.Lgs n. 66/17 per transitare definitivamente dalla vecchia dimensione integrativa della scuola italiana alla nuova cultura dell’inclusione “per tutti” (for all).