L’estate avanza, ma l’inclusione non va in ferie, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

Con il presente contributo, chi scrive prende spunto da un recente “garbato” scambio di vedute “vacanziere” avuto con un caro amico sui principali “buchi” del recente Decreto attuativo della Buona Scuola sull’inclusione scolastica.
D’altronde, che la confusione regni sovrana, a causa del succitato D.Lgs n. 66/2017, è sotto gli occhi di tutti, specialmente dei più autorevoli esperti di inclusione che, senza alcuna remora, l’hanno definito una “leggina” che evita solo il peggio.
E questo, perchè il suddetto Decreto legislativo n. 66/17 lascia irrisolti alcuni degli atavici “mali scolastici” del sostegno italiano, rispetto ai quali, neppure il clima spensierato delle vacanze e la “canicola” estiva devono farci abbassare la guardia e spegnere i riflettori.
Innanzitutto, mi riferisco al problema della formazione specifica iniziale ed in servizio di tutto il personale scolastico (e non solo dei docenti per il sostegno) sulla Didattica inclusiva e sulla Pedagogia speciale.
La formazione iniziale universitaria  specifica degli insegnanti per il sostegno della scuola dell’infanzia e primaria sarà caratterizzata da un aumento dei crediti formativi sulla Didattica inclusiva e sulla Pedagogia speciale dagli attuali 60 a 120 (art 12 D.Lgs n. 66 del 2017).
Lo stesso aumento di crediti, tuttavia, non è stato previsto dall’art 10 dell’altro Decreto attuativo della Buona Scuola n. 59/17 (nuove modalità di arruolamento e reclutamento dei docenti) per la formazione specifica sull’inclusione degli insegnanti specializzati della scuola secondaria di I° e II°. Inoltre, il loro percorso di inserimento lavorativo (il nuovo e farraginoso FIT) sarà più incentrato sulla quantità e sul numero dei crediti più che sulla qualità ed efficacia didattica dei contenuti.
Anche la formazione generalizzata di tutti i docenti di ruolo, degli ATA e dei dirigenti scolastici sulla Didattica inclusiva è stabilita solo “simbolicamente” dalla Buona Scuola, perchè essa, sbagliando, nonne fa loro obbligo.
Stanti così le cose,il problema e ora quello di capire se, con questa “benedetta” neonata delega sull’inclusione ci sarà un effettivo cambiamento qualitativo.
Voglio dire che la sola assegnazione dell’insegnante di sostegno con un numero congruo di ore all’alunno/studente con disabilità non è sufficiente a garantire il loro successo scolastico e formativo, se:
1) la medesima delega sull’inclusione della Buona Scuola fa finta di dimenticarsi che i docenti per il sostegno sono sovente insegnanti “in deroga”, in “messa a disposizione”, in esubero dalle altre classi di concorso ed utilizzati “pescando” dalle graduatorie di circolo e d’Istituto, anche
se non specializzati ed abilitati.
Tale situazione è gravissima e va assolutamente denunciata (e non solo con questo semplice articolo di giornale) e fa sì che l’attuale inefficace e deficitario sistema del sostegno, composto da oltre il 40% di insegnanti specializzati? precari e fondato sulla loro appartenenza all’organico di fatto e non a quello di diritto, si automanteneva vergognosamente, “legittimando” le famiglie dei nostri ragazzi a presentare ripetutamente ricorso alle autorità giudiziarie. 2) la presenza del docente per il sostegno non è affiancata da un contesto veramente “inclusivo”. Al riguardo, a parere di chi scrive, la nomina dell’insegnante specializzato, seppur rappresentando un “sacrosanto” diritto assolutamente esigibile dai nostri ragazzi e dalle loro famiglie, da sola rischia di essere quasi inutile e di ingenerare “false” aspettative nei genitori dei nostri ragazzi e di ripetere le “distorsioni” e gli sbagli dell’attuale modello dell’inclusione scolastica, che hanno finito per provocare i “deprecabili” fenomeni della “deresponsabilizzazione” dei docenti curricolari rispetto ai loro alunni con disabilità e la perversa “delega” al solo collega di sostegno dei loro insegnamenti e delle loro valutazioni.
Quello che avrebbe dovuto promuovere il D.Lgs n. 66/17 e che colpevolmente non ha fatto, a mio avviso, è invece la promozione di un “contesto” veramente accogliente ed inclusivo, dove il Piano Annuale per l’Inclusività (PAI) possa essere finalmente parte integrante della progettazione, della didattica e della valutazione delle Istituzioni scolastiche italiane e, dunque, anche dei loro Piani Triennali dell’Offerta Formativa.
Con la delega sull’inclusione, al contrario, non è avvenuto nulla di tutto ciò: i CTS sono scandalosamente scomparsi dalla circolazione (e con loro la possibilità di aprire al loro interno anche “sportelli tiflodidattici” per alunni con disabilità visiva), sono stati sostituiti da “ectoplasmatiche” Scuole Polo e nessun accenno si fa a finanziamenti a sostegno di servizi extrascolastici di supporto all’inclusione degli alunni con disabilità (quali potrebbero essere ad esempio i17 Centri di Consulenza Tiflodidattica della Federazione Pro Ciechi e della Biblioteca “Regina Margherita” e gli ex Istituti dei ciechi).
Per non parlare della “vexata quaestio” della continuità didattica, da tutti invocata, ma quasi mai attuata concretamente a scuola per gli studenti disabili.
Circa la spinosa questione della continuità, mentre la prima bozza di decreto prevedeva un vincolo decennale sul sostegno per gli insegnanti, ora nel testo definitivo, entrato in vigore il 31 maggio u.s., all’art. 14, il Governo ha deciso di mantenere l’attuale “vincolo quinquennale” (sul ruolo e non nella stessa scuola), nelle more di superarlo definitivamente, al momento dell’entrata a regime della nuova disciplina della formazione iniziale e del reclutamento degli insegnanti. Inoltre, i contratti a tempo determinato potranno poi essere reiterati “a docenti supplenti più volte nel corso dell’anno scolastico successivo». Come dire: “Evviva la “supplentite”!
Ancora, all’articolo 14 dello Schema iniziale di Decreto 378 (continuità didattica) si aggiunge oggi nel testo definitivo del Decreto n. 66/17 che «al fine di garantire la continuità didattica durante l’anno scolastico, si applica l’articolo 461 del testo unico di cui al decreto legislativo n. 297 del 1994»: almeno per tutto l’anno l’insegnante di sostegno dovrebbe rimanere lo stesso.
Insomma, il D.Lgs n. 66/17 non solo sconfessa la stessa legge della Buona Scuola, di cui è un Decreto attuativo (l’art 1 comma 181 della Legge 107/15, che trae origine dalla pdl n. 2444 della FISH e della FAND, infatti, prevede il vincolo del docente per il sostegno all’intero segmento formativo seguito dall’alunno), ma finisce pervicacemente per provocare il perdurare delle attuali “criticità” del sistema dell’inclusione, a causa delle quali i nostri ragazzi sono costretti, ogni anno, a cambiare insegnanti specializzati ed a ricominciare sempre tutto da capo ed a non avere una “continuità del contesto extrascolastico”, facendo convincere pertanto i loro genitori che l’insegnante specializzato sia l’unica risorsa a disposizione dei loro figli.
Credo dunque che, di fronte alle attuali “aberrazioni e contraddizioni del nostro modello di inclusione, solo quelle che con l’amico Luciano Paschetta definiamo “continuità di contesto” (inclusivo) e “continuità di presenza” di un docente per il sostegno adeguatamente preparato e formato sulle esigenze specifiche degli alunni/studenti con disabilità del Terzo millennio possano loro assicurare un’effettiva difesa della continuità didattica e del loro diritto allo studio.
In definitiva, la verità è che, senza una funzione ed un ruolo ben definiti ed una formazione specifica non solo “quantitativa” dei docenti per il sostegno, senza un piano strutturale ed a lungo termine di loro assunzione e “stabilizzazione, senza investimenti seri ed efficaci sul contesto e sui servizi territoriali extrascolastici a supporto del processo d’inclusione degli allievi con disabilità e senza alcuna garanzia per loro di un’adeguata ed effettiva continuità didattica, nessuna riforma del sostegno potrà mai realisticamente assicurare per ogni alunno quelle condizioni di “pari opportunità” nel raggiungimento del massimo “possibile” dei traguardi d’istruzione, tanto decantate dalla recente normativa italiana sull’autonomia scolastica e soprattutto dal Decreto attuativo della Buona Scuola.