Era una giornata di sole di fine estate, nel settembre 2007, quando ho partecipato ad una gita organizzata dall’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Siena presso il Museo tattile Omero di Ancona. Ricordo contorni sfumati di sagome e contrasti luminosi che ancora popolavano la mia percezione visiva, ricordo le mie mani che sfioravano in modo maldestro braccia e gambe di sculture e bassorilievi, volti e addomi. Più forte di tutti è senz’altro però il ricordo della nausea che attanagliava il mio stomaco, il comprimere delle lacrime per uscire, quando le mie mani hanno preso contatto con l’ennesima statua, il David di Michelangelo, che fino a pochi mesi prima avevo potuto vedere slanciarsi con i miei occhi, in tutta la sua maestà al Piazzale Michelangelo nella città di Firenze in cui abitavo. Il viaggio di ritorno da Ancona è stato silenzioso, nella mia testa si è fatta spazio la ferma convinzione che non avrei più avuto accesso alla bellezza, che il tatto non mi avrebbe mai procurato lo stesso piacere che avevo provato abbracciando con gli occhi le opere d’arte, sia sui libri del liceo che nei diversi musei visitati fino a quel momento.
Sono passati due anni e la paura si è fatta certezza, non avrei potuto più vedere, neppure luci forti o contrasti, nell’autunno 2009 è stata scritta la parola fine al mio guardare il mondo da ipovedente.
E’ trascorso ancora del tempo ed ho vissuto una seconda esperienza, il luogo questa volta è la Galleria degli Uffizi a Firenze. Siamo nell’agosto 2014 in compagnia di una cara amica anche lei non vedente e delle nostre femmine di labrador, che ci hanno affiancato nei corridoi del museo, mentre noi eravamo impegnate a sfiorare con le mani sudate dentro i guanti di latex i particolari di molte opere d’arte, tra cui scene di sarcofagi e amorini. In quella sera d’estate fiorentina, quando sono uscita all’aperto in mezzo ai turisti di piazza della Signoria, ho avvertito che qualcosa dentro di me si era mosso, coabitavano due sentimenti: la nostalgia di non poter vedere colori, sfumature, contorni, insieme però al piacere di aver toccato ciò che la mia immaginazione poteva costruire, di aver riso e scherzato in compagnia di amici e guide museali esperte, mentre sotto le mie dita scorrevano frammenti d’arte.
In questo viaggio da Ancona a Firenze, aggiungiamo ora una terza ed ultima tappa a Bologna, Sostiamo presso il museo Anteros, all’interno dell’Istituto Francesco Cavazza, dove mi sono recata pochi giorni fa all’inizio di questo 2017, un nuovo anno tutto da vivere. Miei compagni di viaggio sono stati gli studenti di una quarta liceo artistico di Siena che al termine di alcuni incontri svolti con la locale sezione U.I.C.I., tra cui appunto questa visita al museo tattile didattico Anteros, dovranno realizzare il bassorilievo di un dipinto di Domenico Beccafumi, l’incontro di Gioacchino e Anna alla Porta Aurea esposto nel Museo senese di Santa Maria della Scala. Insieme a loro ho scoperto come chi non ha mai potuto vedere tramite gli occhi, possa con esperienze dirette e vicarie comprendere l’esistenza della prospettiva, i concetti di dimensione e disposizione nello spazio, possa conoscere in dettaglio e dare forma ad opere d’arte. Ho sfiorato la riproduzione del quadro di Botticellli La nascita di Venere e il profilo del duca Federico da Montefeltro di Piero della Francesca, con la guida sapiente degli operatori Michele e Matteo, ritrovando dentro di me il vivo piacere di incontrare la bellezza.
Queste tre esperienze, presso il museo Omero, gli Uffizi e il Museo Anteros mi hanno avvicinata pian piano ad una consapevolezza, dal dolore della perdita della vista ho camminato con gradualità verso la scoperta dell’avvolgenza del tatto, del contatto. Niente mi potrà mai restituire la possibilità di posare i miei occhi sui girasoli di Van Gogh o sui colori vivaci del crocifisso ligneo di San Damiano, ma sono arrivata comunque alla bellezza, ugualmente intensa e travolgente, che nasce dal toccare contorni e materiali, dal soffermarmi su dettagli e linee che si intrecciano per generare emozioni. La medesima sensazione di piacere scatenata dagli occhi può quindi scoppiare su strade percorse, con più lentezza e pazienza, rispetto all’immediatezza della vista, strade che hanno la loro origine sulle punte dei polpastrelli.
Per questa ragione allora prende forma un mandato e posso senza dubbio incoraggiare con convinzione i ragazzi della IV D del liceo artistico di Siena, dicendo loro che devono senza dubbio impegnarsi a fare di quel dipinto del Becafumi un bassorilievo, a fare dell’arte in tutte le sue forme un ambiente accessibile a chi come me non può gustarla con la fotografia scattata attraverso gli occhi, ma con l’abbraccio del contatto ed il paziente ascolto delle parole che descrivono.
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Il vero valore della vista?, di Varo Landi
Non esiste una sola risposta. Per qualcuno il suo valore è assoluto. Per altri è relativo: relativo verso cosa? E, si, perché parlando di relatività, dobbiamo usare un parametro di riferimento.
Così, per molti la vista è importante perché permette l’autonomia. Perché permette un movimento autonomo, Permette di leggere qualsiasi cosa su qualsiasi materiale, a qualsiasi distanza, e, non solo su fogli punteggiati. La vista permette movimenti veloci, spostamenti veloci, percezione immediata dell’ambiente, del mondo, e dell’universo.
Per la maggioranza dei ciechi, l’importanza della vista è relativa, principalmente nel contesto della autonomia. Spesso è tutta qui!
Perché? Ognuno avrà risposte diverse.
Per me la vista è un valore assoluto, non relativo verso qualcosa . La vista non permette solo l’autonomia , o di poter leggere tutto.
La vista è il possesso del mondo intero, dello spazio, del moto, delle luci, dei colori, delle fisionomie, ecc. Ed è molto di più che avere autonomia. Fosse solo un fatto di autonomia ,in certi casi, potremmo averla comunque. Ad esempio, la mia cecità è totale, ma riesco a fare lavori, bene quanto per un vedente, sfruttando il solo tatto e la conoscenza, insieme alla abitudine, magari sono lento , perché gli attrezzi sembra scappino via ogni volta che li cerco. Poi, però riesco a realizzare. Vinco il disagio con la pazienza e la volontà. Alleno la mente per immaginare le operazioni da fare cercando i modi più adatti per un non vedente. La fatica non è paragonabile a quella per un vedente, ma ,dico: si riesce. In casa ci sono tante riparazioni da fare: non si chiama uno specialista, intervenendo io, a modo mio, ma, si fa prima che chiamare qualcuno.
Però, appunto, il valore della vista è assoluto e, non sento un problema di autonomia, semmai un problema di moto, che essendo in difetto forzato, fa male al fisico.
spesso un cieco vive la sua esperienza attraverso diversi stadi sicuramente dolorosi e traumatici, giungendo, alla fine, allo stadio di rassegnazione e di accettazione , gli stadi nei quali non si lotta più per sottrarci ad un destino pesante. Allora la rassegnazione e l’accettazione, possono fermare il dolore psicologico, ma impediranno di lottare per opporci al destino: la logica che sopraggiunge è quella che se non ci si può fare niente è inutile lottare: meglio rilassare la mente e cercare di migliorare le condizioni di vita tramite aiuti di terzi, tramite gli ausili, ecc. Impegnando anche i familiari in una vita dipendente alle nostre necessità.
Il mio carattere è diverso: cerco la via di uscita che so essere difficile , ma che la medicina e la scienza possono trovare. A volte le speranze sembrano utopie, ma intorno a noi è pieno di realizzazioni che sembravano impossibili, ma che si sono realizzate , come, ad esempio, quella di gambe artificiali che permettono di correre più velocemente delle gambe naturali.
Tornando alla domanda iniziale, sul valore della vista, devo ribadire che il suo valore è assoluto. La vista vale il mondo intero: ,le immagini di un cielo che sfuma in mille colori, con nubi bianche o cangianti che si muovono realizzando forme mai uguali. I rossi dei tramonti , o i gialli, o i rosa , o gli aranciati ,dei tramonti. L’arcobaleno dopo i temporali. I fasci di luce che a volte filtrano tra nubi che si aprono . I fiori delle piante, le foglie delle piante . La neve che cade lenta in una atmosfera grigiastra. E, poi i volti dei nostri cari, i colori delle vesti, delle vetrine . Le luci delle vetrine, delle insegne . Il gatto che guarda verso la finestra per dirci che vuole uscire, o, si porta vicino alla porta per lo stesso motivo. Le immagini supernitide fornite dai nuovi televisori, inesistenti per un cieco. Il vecchio film muto che fa ridere tutti, tranne un non vedente. La mimica del comico che fa esplodere tutti in una risata improvvisa. Il dribling inaspettato dell’attaccante, prima di sparare in porta la saetta che porta la vittoria alla squadra del cuore.
Le stelle!
Puntini di luce nel cielo notturno. Quanti puntini? Tanti, così tanti che il buio notturno non è buio assoluto.
E, noi ci lamentiamo solo delle difficoltà a percorrere un tratto di strada familiare, senza un bastone bianco o un volontario al fianco.
La vista vale un mondo intero ,nel quale ci sono anche le opere degli artisti, i monumenti, grandiosi per bellezza che il solo tatto non può percepire .
Noi ciechi abbiamo già abbandonato il mondo , ne siamo fuori , tutto perché non è percepito a causa della perdita di un senso . Non vale la pena lottare per recuperarlo?
Dici che è impossibile? Un grande maestro di scacchi diceva che una partita di scacchi è perduta nel momento in cui la abbandoniamo .
Io dico che anche senza speranze, dobbiamo lottare, perché il mondo è pieno di imprevisti , ma va avanti anche seguendo le nostre opere ed i nostri desideri .
Varo Landi
Nel 2016, tre cari amici ci hanno lasciato, di Luciano Romanelli
Il 2017 è appena iniziato e il mio pensiero corre ancora al 2016, durante il quale, tre cari amici musicisti, qui di Genova, ci hanno lasciato: i Maestri, Giorgio Martini, Giuseppe Delucchi, (detto Pino), e Melchiorre Pasquero, (detto Marco). Sono scomparsi, rispettivamente: il 29 gennaio, il 13 aprile e il 18 dicembre.
Si trattava di tre personalità che, pur molto diverse fra loro, erano accomunate dalla passione per la musica e dalla conseguente professione di musicista.
Martini, dall’attività pianistica ottimamente poliedrica, che spaziava dalla musica classica al Jazz,dall’operetta alle canzoni, (che non di rado componeva), fra l’altro per diversi anni ha guidato un suo gruppo musicale Jazz, con il quale ha tenuto concerti in varie località d’Italia; è stato anche consulente musicale della Casa Discografica “Fonit Cetra”.
Egli ha svolto anche per molti anni l’insegnamento di Educazione Musicale nella Scuola Media Inferiore.
In anni lontani ha collaborato con l’U.I.C.I., ricoprendo anche la carica di Presidente della Sezione Provinciale di Genova.
Giuseppe Delucchi, (per gli amici, Pino), è stato a sua volta un ottimo insegnante di Scuola Media Inferiore. Personalità molto schiva e riservata, in possesso di un non indifferente talento pianistico, per un eccesso di modestia non ha mai voluto esibirsi in pubblico, preferendo farlo soltanto a casa, nel corso di piccole riunioni fra amici.
Negli ultimi anni settanta e nei primi ottanta, è stato Consigliere dell’U.I.C.I., per la Sezione Provinciale di Genova.
Pino era anche un grande appassionato delle tecnologie della comunicazione, legate alla registrazione e alla riproduzione sonora, di cui era un grande esperto.
Melchiorre Pasquero, (Marco, per gli amici),era un musicista straordinario: eccellente pianista, dotato, oltre tutto di un orecchio finissimo, (aveva “l’orecchio assoluto”), per tantissimi anni è stato insegnante di Pianoforte Principale, prima, presso il conservatorio di Piacenza, poi presso quello di Genova, “Niccolò Paganini”. Cattedra ottenuta a seguito di partecipazione brillante a concorsi pianistici e ad una attività concertistica svolta in Italia e all’estero.
Nell’anno 2000, durante le manifestazioni svoltesi a Genova, in occasione dell’ottantesimo anniversario di fondazione dell’U.I.C.I.,ha eseguito presso il Teatro “Carlo Felice”, il “Concerto N.2, in Fa minore”, di Frédéric Chopin, insieme con l’Orchestra Sinfonica di Sanremo.
Marco ha fondato inoltre, alcuni gruppi vocali e strumentali che ha guidato per vari anni, (uno dei quali egli ha condotto, praticamente sino alla vigilia della sua dipartita). In questo ambito, spaziando in un repertorio vastissimo, comprendente genere classico, musical, sacro e liturgico, ha rivelato anche una capacità straordinaria di arrangiatore, trascrittore e adattatore musicale.
Tutti e tre i musicisti, sia pure in tempi diversi, provenivano dalla Scuola di Musica dell’Istituto “David Chiossone”, di Genova, la quale scuola, che ha formato anche il sottoscritto, aveva conosciuto il suo massimo fulgore negli anni quaranta, cinquanta e sessanta, , per estinguersi, poi, con il giungere degli anni settanta.
Scrivo queste righe a nome della Sezione Territoriale di Genova dell’U.I.C.I., di cui faccio parte; ma specialmente perché, come collega musicista e soprattutto come amico di Giorgio, Pino e Marco, intendo delineare il profilo delle loro figure, a beneficio di chi non li ha conosciuti. Non ho difficoltà a confessare che vengo colto da particolare commozione nel rievocare la loro personalità professionale ed umana. La scomparsa dei tre nostri amici, (per Martini e per Pasquero, inattesa ed improvvisa, mentre per Delucchi, sicuramente e drammaticamente annunciata da una relativamente breve quanto inesorabile malattia), ha lasciato un vuoto ed un rimpianto incolmabili in tutti noi, loro amici.
Luciano Romanelli
Il caso di Giorgia: friggiamoci con il nostro olio, di Calogero Zarcone
Comincia il nuovo anno scolastico 2016/2017 e, come al solito, si presentano varie difficoltà per l’integrazione scolastica dei ragazzi non vedenti e ipovedenti. Piuttosto che continuare a fare varie dissertazioni circa la soluzione delle carenze sull’integrazione scolastica, cerchiamo di essere più pratici ed intervenire in loco. Le Provincie, che prima fornivano i servizi di assistenza scolastica domiciliare ai sensoriali, a causa della mancanza di fondi, si rifiutano di fornire i finanziamenti per l’assistenza scolastica domiciliare. E che dire sulla buona scuola? I presidi fanno notare che mancano insegnanti col titolo di sostegno e sono disposti a utilizzare insegnanti precari anche senza titolo. Certamente l’Unione Italiana Ciechi ed Ipovedenti non può rimanere a guardare. Ad Agrigento prima, e a Palermo il 12 settembre, l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti, famiglie, alunni ed operatori hanno manifestato per sollecitare la Regione Siciliana a finanziare servizi per l’integrazione scolastica domiciliare dei sensoriali. A mio avviso ogni sezione provinciale dell’ Unione Italiana Ciechi deve operare nel territorio provinciale e, essendo rete sociale del territorio, deve cooperare con le scuole provinciali. Cosa significa “friggiamoci con il nostro olio”? Nell’anno scolastico 2015/2016 l’alunna Giorgia Lo Monaco, ipovedente, ha frequentato l’ultimo anno della scuola materna. Lo scrivente, prof. Calogero Zarcone, presidente onorario della sezione provinciale UIC e ipovedenti di Agrigento, nella qualità di responsabile del Gruppo Istruzione sezionale e tiflologo, in collaborazione con la famiglia e la dirigente della scuola Lauricella, sita in Agrigento, ha insegnato a Giorgia l’apprendimento di scrittura e lettura del metodo Braille. Siamo all’inizio dell’anno scolastico, grazie alla collaborazione della stamperia regionale siciliana, sita a Catania, Giorgia .è in possesso dei testi scolastici, ed è in grado di scrivere e di leggere il suo libro di lettura. Nella qualità di tiflologo ho avuto modo di incontrare tanti ragazzi che in terza elementare o quarta o prima media non sapevano leggere e scrivere e svolgevano programmi ridotti. Senza aspettare la manna dal cielo, con il nostro intervento precoce, Giorgia Lo Monaco è in grado di frequentare regolarmente la prima classe elementare. Rilevo con piacere che in Abruzzo è stata istituita all’Università la cattedra di tiflodidattica: ben vengano le varie iniziative per formare docenti ed utilizzarli per i ragazzi non vedenti ed ipovedenti inseriti nelle scuole. Come Unione, dal mio punto di vista, la sezione provinciale dell’UIC e Ipovedenti di Agrigento, è attrezzata con un gruppo di volontari che sono disponibili a intervenire presso le famiglie e le scuole. La figura del tiflilogo che, fino ad oggi, ha svolto attività di volontariato, dovrebbe essere istituita come figura stabile nella sezione provinciale e intervenire personalmente e quotidianamente e servirsi di collaboratori. Presto in sezione faremo un corso di 60 ore formato da docente per l’apprendimento del Braille, docente per la didattica speciale e un terzo docente per la tifloinformatica. Il tiflologo chi è costui? A mio avviso, in attesa che lo Stato istituisca la cattedra di tiflodidattica, il tiflologo laureato in psicologia e dotato di una profonda conoscenza delle scienze tiflodidattiche, deve essere presente nella pianta organica di ogni sezione ed essere di supporto alla scuola, alle famiglie e ai bisogni speciali dell’educando. Giorgia Lo Monaco ed altri, grazie agli sforzi della sezione provinciale, sono facilitati a proseguire serenamente l’iter del processo educativo. Friggiamoci dunque con il nostro olio, serviamoci di persone preparate nel territorio provinciale al fine di intervenire ic et nunc quotidianamente, senza aspettare miracoli dal ministero o sentenze dei vari Tar regionali. Il processo di integrazione scolastica è un continuum inarrestabile, non possiamo andare indietro nella storia, dobbiamo correre con gli altri, nessuno può essere lasciato a se stesso ma tutti dobbiamo andare verso l’Ovest. La follia di qualcuno che pensa al ripristino della scuola speciale costituisce un fatto antistorico, antisociale e privo di ogni fondamento. Il caso di Giorgina può essere imitato da tante altre nostre sezioni. Nei primi di novembre faremo una giornata di Braille nella scuola di Giorgina, per far conoscere ai suoi compagni di classe come legge Giorgina. Nel 1954 ho sostenuto gli esami di ammissione per frequentare la scuola media, nel giugno del 1957 ho conseguito con merito la licenza di terza media e nell’anno 1961 al liceo classico Empedocle di Agrigento ho conseguito la maturità classica a mio totale rischio e nessun aiuto statale e porgo un sentito grazie, alla fine di questa relazione, ai compagni di classe che si prestavano in mille modi aiutandomi a crescere e maturare insieme a loro.
Natale insieme giocando, di Mena Mascia
Pioviggina e fa freddo, quando insieme a Simona, munite di un’artistica tombola e dei conseguenti premi per le scommesse, lascio casa mia per raggiungere la sede provinciale, dove spero d’incontrare i soci per scambiarci gli auguri di un Santo Natale. tremando per qualche brivido, non lo dico, ma penso che pochi si muoveranno di casa con questo tempo così umido.
Quando qualcuno ci apre, invece, ci raggiungono voci allegre che ci accolgono festanti, contenti di essersi mossi per giocare insieme.
Dopo qualche chiacchiera di benvenuto e l’aggiunta di un tavolo e qualche sedia per far posto a tutti, , la seconda edizione di (Natale insieme giocando) inizia con la chiamata dei numeri e la voglia di star bene insieme in un posto che, per qualche ora, ognuno riesce a sentire suo.
E’ bello constatare tanta partecipazione ad un antico gioco, attraverso il quale il mio pensiero vola lontano e la mente si estranea in una preghiera di suffragio verso l’anima di un amico che non c’è più. Di certo Bartolo sarebbe stato contento di vedere la sua creatura nelle mani di persone che la utilizzano, come quando l’ho presentata in una mostra valorizzandone al massimo, come merita, la creativa fattura.
Ogni cartella, compreso il tombolone, è realizzato con delle caselline in pelle e plexiglas, di cui il colore diverso ne contrassegna la serie che va dall’azzurro al verde, dal bianco al rosso, dove ciascun numero, oltre che in nero, è contrassegnato in braille, così come i numeri del cartellone che per chi non vede presentano un incavo superiore, onde non sbagliarsi a leggerne il valore.
Cervello che si collega a mani che creano, perché chiunque ne goda, la tombola nel suo insieme è l’opera di un artista non vedente che gli sopravvive nella utilità, al di là del tempo e dello spazio.
Quando ci scambiamo gli auguri, tutti mi sembrano contenti ed anch’io lo sono, nella dolcezza di un ricordo che mi è caro.
Mena Mascia
Referendum ed inclusione dei disabili: Comunque andrà, sarà una “sfida” da cogliere, di Gianluca Rapisarda
A pochi giorni dal voto referendario, il quesito più ricorrente che “arrovella” anche noi cittadini italiani con disabilità è se la Riforma istituzionale, voluta dal Governo Renzi e, non dimentichiamolo, pure dalle nostre due Camere, sia qualcosa di estraneo rispetto alla nostra ”quotidianità” e dai nostri diritti oppure, al contrario, rappresenti il tentativo di riorganizzare il “sistema” e la qualità della vita di tutti gli italiani in termini più organici e coerenti con le sfide della ”modernità” e della nuova “società globale.
Volendo improvvisarmi nel fare un po’ di “storia” del sistema istituzionale italiano, potrei affermare che le profonde innovazioni che hanno investito il nostro Paese a partire dagli anni duemila, a mio modesto avviso, si sono sviluppate attorno ad un evento normativo “periodizzante”: la legge 3 del 2001, che ha profondamente riformato il Titolo V della nostra Costituzione.
La legge costituzionale 3 del 2001, infatti, da inizio ad un processo di “decentramento” e “federalismo” per il quale compiti e funzioni del Governo passano alle Regioni ed agli Enti territoriali (comuni, province e città metropolitane).
Come ogni provvedimento normativo, anche la riforma del Titolo V della nostra Carta costituzionale, al momento della sua emanazione, porta a compimento un processo evolutivo già in atto da tempo nella società italiana: date la complessità e l’”alta velocità” dei cambiamenti del sistema sociale, risulta difficile governare dal centro in modo unitario il Paese, per cui si opera la scelta di avvicinare al territorio il “luogo delle decisioni”, nella convinzione che più vicine esse sono ai cittadini, più risultano efficaci.
Il legislatore ritiene che, portando il luogo delle decisioni a livello locale, il “sistema” Italia avrebbe prestato più attenzione alle esigenze dell’utenza e che una maggiore libertà ed “autonomia” di azione delle Regioni avrebbe innalzato la qualità ed il livello dei servizi da erogare ai cittadini.
Lo Stato, poi, con la legislazione nazionale ed i vincoli di risorse ed organizzativi avrebbe garantito il rispetto dell’unità del sistema e dei cosiddetti LEP (livelli essenziali delle prestazioni) in ambito nazionale.
Le due parole chiave autonomia e decentramento rintracciano tuttavia già nella Costituzione del 1948 una cogente e propulsiva indicazione, allorquando all’art 5 in essa si legge: “La Repubblica promuove le autonomie locali, attiva processi di decentramento amministrativo ed adegua i principi ed i metodi della sua legislazione all’autonomia ed al decentramento”.
Il principio ispiratore della legge 3 del 2001 è senz’altro quello della “sussidiarietà verticale” per cui: “i compiti e le funzioni amministrative devono essere affidati agli Enti territorialmente e funzionalmente più vicini ai destinatari dei servizi”.
Un’ ulteriore e determinante novità della legge 3 è stabilita dal “riformato” art 117, che fissa la potestà legislativa, distribuendola tra Stato e Regioni.
Lo Stato ha la potestà esclusiva nelle materie di sua pertinenza. Mentre la “legislazione concorrente” è divisa tra Stato e Regioni e dove queste ultime hanno la potestà esclusiva, lo Stato si limita ad intervenire determinando i principi generali.
In materia d’istruzione, problematica tanto cara allo scrivente ed alle nostre associazioni di e per persone con disabilità, lo Stato ha la potestà esclusiva sulle norme generali e sulla determinazione dei “livelli essenziali delle prestazioni” relativi ai diritti civili e sociali che devono essere garantiti sul territorio nazionale (tra i quali è pertanto incluso pure il diritto all’istruzione).
Le Regioni hanno invece la potestà esclusiva in materia di istruzione e formazione professionale, nella programmazione della rete scolastica e nella determinazione del calendario scolastico. I compiti amministrativi, nel rispetto del principio di sussidiarietà verticale, vengono invece affidati alle Province ed ai Comuni, tenendo conto dei criteri dell’attribuzione delle scuole del 2° grado alle Province e di quelle del 1° grado ai comuni e del conferimento ai Comuni delle competenze più significative (tra le quali: iniziative di educazione degli adulti, di continuità e di orientamento scolastico e professionale e d’integrazione degli alunni diversamente abili e stranieri (art 139 del D. l.vo 112 del 1998).
Nel 2014 con la Riforma Del Rio, e la definitiva soppressione delle province e la loro sostituzione con le “città metropolitane”, si assiste ad un “provvisorio” vuoto di poteri e competenze, che viene finalmente sanato con l’art 1 comma 947 della legge 208 del 2015, che sancisce il passaggio alle Regioni delle funzioni e dei servizi fino ad allora forniti dalle ormai “ex” province.
Infine la legge 3 del 2001, con il “novellato” art 118, ci dice che gli Enti territoriali periferici, sempre nel rispetto del principio della sussidiarietà verticale, devono pure adoperarsi per un’organizzazione e tutela “orizzontale” degli interessi, favorendo l’iniziativa e la collaborazione diretta degli stessi cittadini, specie se organizzati socialmente. Accanto al principio di sussidiarietà verticale, la costruzione di un rapporto più impegnativo con la società richiede, pertanto, pure la pratica della “sussidiarietà orizzontale”.
Dunque, superando la tradizionale impostazione del diritto pubblico che vedeva nei cittadini dei soggetti solo da “assistere ed amministrare” e che invece non venivano chiamati alla partecipazione attiva ed a forme di “partneriato “sociale”, finalmente anche noi cittadini con disabilità venivamo considerati “soggetti di diritto” ed attori protagonisti della “cosa pubblica”.
Però, come sovente avviene nel nostro Bel Paese, pur potendo contare su ottime leggi “sulla carta” , troppo spesso poi non si riesce ad applicare le norme in maniera davvero compiuta.
Ritengo che le “eterne incompiute” del sistema normativo italiano si siano intensificate nell’ultimo quindicennio, perchè una grande percentuale delle nostre leggi più recenti (ed ovviamente anche la riforma del Titolo V del 2001 non fa eccezione) è nata in un clima di contrapposizione politica esasperata e “preconcetta”.
In particolare la legge 3 del 2001 è diventata ben presto il luogo e la “bandiera” dello scontro tra i diversi partiti, indipendentemente dal valore della riforma in sé. Infatti, prima alcune Regioni amministrate dal centro sinistra e poi altre governate dal centro destra hanno a turno presentato, nel corso degli ultimi anni, ricorsi alla Corte costituzionale (in seguito tutti respinti) per lesione da parte dello Stato delle competenze loro attribuite dall’art. 117.
E tutto ciò a solo detrimento e nocumento dei cittadini più deboli e naturalmente di noi disabili (che siamo i “più deboli tra i deboli”), facendo sì che ancora nel 2016 (nonostante le belle parole e le “onorevoli” enunciazioni di principio contenute nella riforma del Titolo V del 2001, in quella tentata nel Giugno del 2006 ed infine nell’imminente Referendum istituzionale del prossimo 4 Dicembre), in realtà non ci sia per noi una vera “inclusione”, con conseguenti difficoltà da parte dei nostri bambini, ragazzi ed anziani a raggiungere apprezzabili livelli di qualità della vita.
Troppo facilmente e “desolatamente” è successo che, dal 2001 in poi, ai reali interessi della gente ed ai superiori principi della sussidiarietà verticale ed orizzontale ed al diritto di pari cittadinanza le varie Regioni italiane di qualsiasi “colore” politico abbiano invece anteposto logiche di “parte”, clientelari e “consociative” negli ambiti di pertinenza, che ha loro attribuito la legge 3. Questo loro grave “modus agendi” ha solo aumentato gli sprechi ed incrementato esclusivamente la difformità di trattamento a livello territoriale nell’erogazione dei servizi di trasporto e socio-sanitari, nella formazione professionale e nell’assistenza specialistica ai disabili.
A ciò si aggiunga che l’”organismo” che avrebbe dovuto evitare tali “squilibri” e scompensi territoriali nella fornitura dei servizi, e cioè la “Conferenza Stato Regioni, a mio parere, poco è servito finora a garantire un adeguato coordinamento tra il potere centrale e gli Enti periferici, non riuscendo ad assicurare una reale visione d’insieme che potesse definire ed omogeneizzare le potenzialità delle singole realtà regionali in un unico e condiviso “sistema” nazionale unitario dei servizi.
Tornando alla questione del prossimo Referendum, ormai dall’inizio della scorsa Estate, non facciamo altro che sentire parlare di riforma istituzionale ed elettorale. Ma i dibattiti ed i “faccia a faccia” televisivi sono “egemonizzati” soltanto dai facili personalismi e dalle sterili polemiche tra le opposte fazioni, piuttosto che dal buon senso e dalla voglia di far capire ad esempio a noi persone con disabilità se e come cambierà realmente la nostra vita ed il “mare magnum” del sociale, in caso di vittoria del sì.
Sappiamo per certo che dovrebbe cessare il “tira e molla” ed il ping-pong del sistema bicamerale, che troppe volte ha ritardato od addirittura “bloccato” l’approvazione di alcune significative leggi a nostra tutela, che dovrebbe essere eliminato il CNEL ed infine che dovrebbe mutare radicalmente il (fino ad oggi) ”controverso” e “frazionato” rapporto tra lo Stato e gli Enti locali, con la nascita del famoso “Senato delle Regioni o delle autonomie”.
E proprio quest’ultimo tema mi sta particolarmente a cuore e credo che certamente sarà uno degli argomenti all’ordine del giorno nell’agenda politica e nella attività delle associazioni di e per disabili dei prossimi anni. Infatti, indipendentemente dall’esito del voto referendario, sono fortemente persuaso che tutti i nostri partiti di oggi e di domani non possano e potranno prescindere dalla consapevolezza, che deve diventare sempre più diffusa all’interno del mondo politico, che la qualità del servizio offerto agli utenti disabili deve essere il più possibile omogenea a livello territoriale.
In effetti, oggi, anche a causa dell’uso distorto ed a volte di “bottega” che tutte le Regioni italiane hanno fatto delle competenze loro concesse dalla legge 3 del 2001, è abbastanza chiaro che esistono forti disparità territoriali. Una disomogeneità di trattamento che è spesso molto evidente, con zone dove, grazie soprattutto alla solidarietà locale, si riesce a far “decollare” strutture nuove ed “accoglienti”, e altre regioni del Paese dove invece i servizi sono decisamente di fortuna.
E si badi bene che le discrepanze non sono basate sulla classica divisione italiana tra Nord e Sud. Il fenomeno si presenta a macchia di leopardo, con alternativamente zone del Meridione e del Settentrione servite bene oppure lasciate in condizioni preoccupanti.
Ebbene, io penso invece che, qualsiasi sarà l’assetto istituzionale della nostra Repubblica dal 5 Dicembre in poi, non potranno più esserci province dove le cose funzionano bene e altre dove invece i nostri utenti non ricevono le prestazioni adeguate.
In questo senso, sia che dovessero avere la meglio i sostenitori del sì, sia che dovessero prevalere i fautori del no, da cittadino con disabilità permeato da un forte “senso dello Stato” ed estremamente fiducioso nelle nostre istituzioni, ho la convinzione che il Referendum del 4 Dicembre p.v. costituirà comunque per tutte le nostre forze politiche l’”occasione” giusta per fare uno sforzo di analisi puntuale e di riflessione profonda sullo stato dell’arte del “sistema dell’inclusione” in Italia e delle sue varie e difformi articolazioni e declinazioni territoriali.
A tal proposito, sarà nostro impellente compito e nostra indifferibile responsabilità, grazie al traino della FAND e della FISH, sfruttare il Referendum e qualsiasi suo risultato, come una “sfida” da cogliere per abbandonare le gelosie ed invidiucce del passato e per fare “squadra”, creando tra di noi una “rete” coesa e compatta capace di “guidare” ed orientare la politica nell’organizzazione di un “sistema” nazionale unitario ed omogeneo dei servizi, che possa garantire finalmente a tutti i disabili del nostro Paese autentiche condizioni di pari opportunità e le stesse “chance” di crescita formativa e di assistenza.
A politici e a confessionali: una ipocrisia tutta italiana, di Massimo Vita
Come per tutti gli articoli pubblicati nella sezione “Contributi dei lettori”, vale anche per il presente pezzo la regola che si tratta dell’opinione personale dell’autore.
La redazione
In tanti Statuti o regolamenti di ONLUS o ONG, si trova la frase: “a politici e a confessionali”. Qualche volta, in modo più attento, ma non meno ipocrita, si scrive: “a partitici e a confessionali”.
Credo che questi due principi siano difficili da sostenere perché si negano da soli.
La “a” privativa è una negazione e non si può affermare un principio che parte da una negazione.
Poi, in una organizzazione sociale che voglia dirsi e essere democratica, ci devono essere regole condivise e questo comporta delle scelte e quindi: scegliere è fare politica.
Facciamo politica quando scegliamo un mezzo di trasporto piuttosto che un altro, quando per cibarci acquistiamo prodotti della filiera corta o di un qualsiasi supermercato.
A chi dice che questo è fare politica ma non essere partitici, rispondo che ogni scelta si può identificare con questa o quella linea di questo o quel partito o questa o quella coalizione.
In una società dove gli ISMI, crescono a dismisura, dovremmo tutti riprenderci il diritto di fare politica e riportare al centro dell’organizzazione sociale i partiti così come li avevano visti i padri costituenti.
Cedere il passo ai burocrati o ai grandi strateghi dell’immagine è stato un grave errore che, purtroppo ha commesso la sinistra o, per meglio dire, certa sinistra.
Il primo errore di questo genere viene da lontano ossia da quando Bassanini realizzò la Legge di riforma degli enti locali.
Ridimensionare le assemblee e dare potere ai tecnici ha creato delle sacche pericolose di potere che non rispondono ai cittadini.
Nel mondo del sociale sia quello legato alle categorie come l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, sia quello legato alle Organizzazioni non governative, si dovrebbe ripartire e avere il coraggio di scegliere una linea politicamente visibile per dare un nuovo impulso alla vita democratica delle organizzazioni, delle comunità, dei comuni e dello Stato.
In questi giorni si nota, sia sul dibattito referendario sia sulla elezione statunitense, che poco contano i contenuti reali e sono convinto che dopo il 5 dicembre, nessuno avrà vinto e nessuno avrà perso.
Coltivo una speranza: l’uomo è custode di grandi risorse e saprà ripartire anche quando avrà raggiunto il livello più basso possibile.
Io credo che più in basso di così non si possa andare e allora mi auguro che vi sia al più presto un moto di orgoglio tutto umano e si riprenda a combattere politicamente e partiticamente.
Massimo Vita
Fa bene al sociale il Sì? E ai disabili?, di Massimo Vita
Da mesi ormai si parla del referendum costituzionale ma nella maggior parte dei casi non sentiamo riflessioni tecnicamente comprensibili bensì polemiche personalistiche che lasciano il tempo che trovano.
Io vorrei aprire una riflessione su quanto questa riforma costituzionale e la riforma elettorale possano incidere sulla vita dei disabili e sul vasto mondo del sociale.
La prima motivazione è legata ai carrozzoni che vengono finalmente eliminati dopo anni di polemiche: le provincie e il CNEL.
Due strutture che tanti hanno definito inutili. Io penso che il CNEL non ha mai giustificato la sua esistenza e anche ultimamente si sono aumentato lo stipendio.
Sulle provincie io la penso diversamente da molti perché le provincie assicuravano un coordinamento territoriale soprattutto nel sociale e adesso il territorio è troppo frazionato.
A mio avviso andavano eliminati i tanti piccoli comuni che sono solo fonte di spreco e di clientelismo.
Si elimina poi, il vergognoso balletto del sistema bicamerale che troppo spesso è stato la scusa per non approvare leggi importanti.
Chi ritiene che la riforma sia di tipo centralista e antidemocratica, dovrebbe spiegare cosa vi è di anti democratico nello stabilire che una maggioranza scelta dal popolo possa governare senza i ricattucci che oggi si vedono nel regime politico italiano.
In termini di riordino del sistema sociale è importante la ridefinizione delle competenze in materia di sanità oggi troppo dispersive.
Un vantaggio per tutti noi è la semplificazione del sistema burocratico e istituzionale ma anche la velocizzazione del sistema legislativo per renderlo più al passo con i tempi.
Penso che la nostra radio abbia fatto bene a programmare un approfondimento in materia perché così possiamo farci una opinione matura perché informata.
Io voto sì, dunque, perché dopo tanti anni di chiacchiere, finalmente si opera un cambiamento reale del sistema istituzionale anche se si doveva e poteva fare di più.
Soggiorno estivo montano a Pozza di Fassa 2016, di Simone Andretto
Esistono luoghi, ambienti e tempi, che per loro natura sono evocativi di sensazioni, atmosfere, stati dell’anima e condizioni del corpo, evocazioni significative, che l’esperienze vissute hanno inciso nell’intimo umano. Questi luoghi e tempi, per il gruppo pari opportunità del Veneto si chiamano estate in Val di Fassa.
La memoria condivisa che si fa storia, storia di gruppo e personale, si rafforza e si perpetua ogni anno, presso l’hotel Montana a Pozza di Fassa (TN), dal 24 luglio al 7 agosto 2016, organizzato dal settore pari opportunità e diretto dalla coordinatrice Sig.ra Luciana dalle Molle.
Le iniziative, sempre organizzate e dirette dal Dott. Paolo Giovanni Zanin, in collaborazione con la sua equipe, vertono su una gamma di proposte, dall’escursione tipicamente alpina, alla passeggiata naturalistica, alla meta culturale-storico-gastronomica, dove l’importante non è raggiungere l’obiettivo della conquista della vetta, ma sperimentare e rafforzare il rapporto umano, in connessione con la comunità dell’ambiente montano.
I partecipanti, 65 soci con accompagnatori e simpatizzanti, hanno aderito entusiasticamente alle proposte, tutte libere, contribuendo con il loro impegno alla positiva riuscita delle iniziative. Tra le escursioni culturali e ricreative realizzate, ricordiamo valle San Nicolò e le “Cascatelle”, rifugio del Buffaure, passo e lago Fedaia, mostra sulla prima guerra mondiale a Moena, santuario della Madonna di Pinè e lago di Baselga, portate regolarmente a termine, nonostante le condizioni meteorologiche non siano state sempre favorevoli.
Per concludere, auspichiamo che questi eventi coinvolgano maggiormente il settore giovanile dell’associazione ed amici sostenitori.
Nella scuola forse manca la voce degli studenti, di Carlo Carletti
Considero importante il dibattito in atto sull’organizzazione scolastica, sul ruolo degli insegnanti curriculari, di sostegno e di altre figure professionali per una migliore inclusione dei ragazzi ciechi e ipovedenti nella scuola di tutti. Pur consapevole di non possedere adeguati titoli di studio e le necessarie competenze per affrontare tali impegnativi argomenti, sulla base di ormai 53 anni di vita associativa, provo ad esprimere il mio pensiero, chiedendo anticipatamente scusa per eventuali castronerie. I resoconti pubblicati dal dott. Rapisarda, offrono la conoscenza degli argomenti trattati nelle riunioni che esperti del settore, hanno tenuto più volte nell’arco dell’anno nel tentativo di individuare le migliori soluzioni da prospettare agli organi istituzionali competenti. Il resoconto della riunione del 15 giugno u.s., mi è sembrato fornire un percorso teorico, ma un po’ confuso sulle competenze e sui ruoli delle figure, professionali, sicuramente troppe, che dovrebbero accogliere e sostenere le attività degli studenti con disabilità visiva. Sorprende che tali esperti, non abbiano valutato alcuni aspetti pratici volti ad assicurare il pieno diritto allo studio e il miglior apprendimento scolastico degli studenti. Credo, infatti, che insieme alle problematiche pedagogiche e alla professionalità degli operatori, siano importanti anche i materiali didattici speciali e i libri di testo che dovrebbero essere forniti in tempi utili, al fine di non compromettere l’apprendimento scolastico, in particolare dei bambini delle prime classi elementari. L’assenza di tali elementi, non consente agli operatori scolastici, anche se preparati, di svolgere compiutamente le loro attività. Se gli esperti dell’UICI, continuano a volare alto, tanto alto, tralasciando gli argomenti pratici, considerati essenziali dagli ambienti scolastici, dalle loro famiglie e dagli studenti, questi non riusciranno a sentirli attuali e vicini alle loro problematiche. Nell’assolvere il ruolo di dirigente di Sezione ho potuto costatare che i fanciulli con disabilità visiva, quando hanno la fortuna di trovare nei tempi giusti gli strumenti pratici e la competente assistenza di un operatore scolastico, superano indenni la scuola elementare, risultano preparati all’uso del braille e delle più avanzate tecnologie. Conseguono la piena consapevolezza di sé e delle problematiche che dovranno affrontare. Spesso risultano molto autonomi ed anche più maturi dei loro coetanei vedenti. Nel proseguo degli studi, sono più impegnati nel raggiungere gli obiettivi, tanto che quelli che si diplomano, spesso risultano essere fra i migliori degli istituti scolastici che frequentano. In questi giorni ho incontrato un genitore di un ragazzo ora diciottenne, trasferitosi da circa 7 anni a Boston, prioritariamente con la speranza, risultata vana, di poter curare una retinite del figlio, il quale mi ha raccontato che quando ancora il ragazzo possedeva un residuo visivo, tutti i testi gli venivano ingranditi con l’uso di strumenti elettronici e nulla è mai stato stampato a caratteri ingranditi sulla carta come avveniva in Italia. Poi quando ha perso completamente la vista, avendo imparato molto bene l’uso del computer, legge il tutto con la sintesi vocale e la barra Braille e quasi nulla di cartaceo gli viene stampato. Mi ha riferito inoltre che è stato assistito da persone specializzate, appartenenti ad una specifica Fondazione solo fino al conseguimento dell’autonomia, mediante l’uso delle più avanzate tecnologie. Mi è parso di capire che mentre in altre parti del mondo si opera per la soluzione dei problemi puntando sulla autonomia dei disabili visivi mediante interventi di qualità, nel nostro bel paese dobbiamo fare speranza su una improbabile e futura preparazione degli insegnanti di sostegno, su possibili altre figure professionali, sull’ormai storico e romantico ruolo della BIC e sui centri di trascrizione. Alcune volte, nella tanto famigerata scuola, mi capita anche di vedere operatori scolastici consigliare, essi stessi, l’uso del video ingranditore o del tablet per l’ingrandimento dei testi scolastici e l’uso del computer con barra braille e sintesi vocale che, però, raramente trovano chi può insegnarne l’uso agli studenti, specie se abitano nei comuni più lontani dal capoluogo. Dal momento che non si può fare alcun affidamento, in tempi brevi, sulla preparazione degli insegnanti di sostegno, potrebbe essere utile puntare sugli assistenti alla comunicazione che l’IRIFOR potrebbe meglio professionalizzare, anche perché, questi, potrebbero offrire maggiore continuità. Qualche esperto del settore, mi ha confermato che con i costi degli ingrandimenti cartacei e delle stampe in braille dei testi, si potrebbero coprire quelli della preparazione digitale dei testi stessi, la fornitura delle attrezzature informatiche e il loro insegnamento all’uso. Ho letto sul giornale UICI online, una rassicurante nota del dott. Rapisarda, diretta agli operatori dei vari CCT, evidentemente preoccupati per il nuovo che avanza. Posso comprendere il tutto, se ciò non significhi rimanere fermi sull’attuale stato delle cose. Sarebbe quanto mai opportuno poterne leggere anche altra, altrettanto rassicurante e impegnativa diretta alle famiglie dei fanciulli ciechi e agli studenti. La situazione è in evoluzione e gli esperti che dirigono le varie strutture dell’UICI o che studiano da tempo le problematiche del settore, appaiono in difficoltà nell’offrire concrete soluzioni per il prossimo futuro agli studenti ciechi. Penso che potrebbe essere forse opportuno rendere partecipi della soluzione dei problemi della scuola anche gli stessi studenti ciechi, per sentire anche la loro opinione sulle loro effettive necessità. Penso che gli studenti conoscano le attuali problematiche della scuola tanto da consentire loro di partecipare a confronti alla pari con gli esperti dell’UICI, che spesso hanno vissuto l’ambiente scolastico in tempi non attuali e dal solo punto di vista dei docenti . Considero, pertanto utile, che l’UICI possa cogliere l’occasione per costituire la Consulta Nazionale degli Studenti, per coinvolgerli e renderli responsabili delle problematiche che si trovano ad affrontare. L’UICI, da questo momento di difficoltà, potrebbe trarre l’occasione per rilanciare il proprio futuro dando fiducia e speranza proprio ai giovani i quali sono coloro che meglio lo potrebbero rappresentare.