Presentazione candidatura a consigliere nazionale XXIII Congresso, di Simona Zanella

Autore: Simona Zanella

Con questa mia lettera sono a presentare ai membri del congresso nazionale dell’Unione Italiana dei ciechi e degli Ipovedenti la mia candidatura per il Consiglio nazionale dell’Associazione che sarà da Voi eletto.
Sono Simona Zanella; sono affetta da glaucoma congenito che mi ha portato all’età di 13 anni a passare dalla condizione di ipovedente grave a quella di cieco assoluto. Ho 45 anni, sono residente a Feltre in provincia di Belluno. Ho conseguito il diploma presso l’Istituto magistrale Vittorino da Feltre e ho frequentato l’università di Padova nel corso di laurea in pedagogia con indirizzo filosofico. Sono socia dell’U.I.C.I praticamente da sempre e dai miei 24 anni in poi ho ricoperto ruoli dirigenziali in Associazione.
Ho ricoperto nei vari mandati la carica di consigliere provinciale per la sezione di Belluno o di vicepresidente della stessa occupandomi prima del settore dei giovani e in seguito di quello per le pari opportunità seguendo contemporaneamente il comitato per l’abbattimento delle barriere architettoniche e sensoriali dando attenzione negli ultimi anni al settore cani guida.
In questi vent’anni sono stata ininterrottamente anche rappresentante regionale per la mia sezione nel Consiglio regionale U.I.C.I. del Veneto nel quale ho curato gli stessi settori prima elencati nel corso degli anni. Ho ricoperto per l’ultimo anno e mezzo circa la carica di Vicepresidente regionale seguendo più da vicino il settore trasporti e mobilità e le problematiche legate al cane guida.
A livello provinciale mi sono dedicata alla sensibilizzazione verso le persone con disabilità visiva dei bambini e dei ragazzi nelle scuole di vari ordini intrattenendo numerosi incontri dove ho cercato di far conoscere agli alunni le difficoltà ma soprattutto le potenzialità dei non vedenti per far si che le barriere psicologiche e culturali cadano grazie a una migliore conoscenza della disabilità stessa. Significative in questo ambito sono state le lezioni tenute presso la facoltà di infermieristica di Feltre aventi lo scopo di avvicinare i futuri infermieri alla disabilità visiva per una migliore accoglienza e presa in carico del malato non vedente in ospedale.
Ho collaborato a lungo con l’amministrazione del Comune di Feltre per il posizionamento di percorsi tattilo-plantari e di semafori sonori in città in modo da agevolare la mobilità autonoma di ciechi e ipovedenti.
Mi sono occupata dell’organizzazione di svariate cene al buio prestando anche la mia opera di volontaria come cameriera riscontrando grande interesse nella cittadinanza e trovando soddisfazione nei risultati per l’opera di sensibilizzazione ottenuta. Ho organizzato eventi, in collaborazione con la Scuola Triveneta cani guida di Selvazzano, incontri aventi al centro il cane e le sue abilità in favore dell’uomo, in primis il cane guida, attirando l’attenzione non solo di centinaia di persone ma anche della stampa e delle televisioni locali.
In ambito regionale sono stata promotrice della campagna “non tutti sanno che…” composta di volantini e vetrofanie in varie lingue, rivolta ai negozianti, agli albergatori, ai ristoratori finalizzata a far meglio conoscere la legge che tutela il libero accesso del cane guida e del cieco in tutti i luoghi aperti al pubblico. La campagna si è potuta realizzare grazie a una parte di fondi da me fatti arrivare in Consiglio regionale in seguito alla denuncia di un episodio di discriminazione che ho subito essendomi stato vietato l’ingresso in un ristorante perché accompagnata dal mio cane guida. Un’altra parte di quel denaro ha finanziato degli incontri per i genitori di bambini non vedenti.
Sono stata una delle organizzatrici della manifestazione presso la stazione ferroviaria di Montebelluna “Un treno per tutti”, dove si reclamava la libertà di movimento per le persone con disabilità anche nelle stazioni minori ancora prive di qualsiasi accorgimento per il superamento delle barriere di tutti i tipi e di assistenza del personale sia di Trenitalia che di R.F.I. In seguito a questa manifestazione la stazione è stata dotata di percorsi per i non vedenti e di servizio di accompagnamento.
Dall’ottobre 2014 ad oggi, sono stata tra gli ideatori e promotori di un’iniziativa chiamata “Fotografa l’Impostore!”. Abbiamo raccolto da tutta Italia migliaia di testimonianze fotografiche relative al malcostume di chi parcheggia negli stalli per portatori di handicap senza averne diritto. Abbiamo contribuito con questa iniziativa a far parlare del problema. Sono usciti diversi servizi televisivi, molti articoli su vari quotidiani anche nazionali e dell’iniziativa si è occupata anche Slash Radio, nonché una puntata di “Vediamoci alla Radio”.
Non essendo stata eletta nel consiglio provinciale dell’unione di Belluno, da aprile 2015 ad oggi proseguo nella mia opera di sensibilizzazione sulle tematiche a me care collaborando con il coordinamento Handicap di Belluno e con la sezione di Treviso, dell’UICI per la quale svolgo a tutt’oggi l’incarico di responsabile per i cani guida e la mobilità e con la quale collaboro nell’ambito di un progetto finanziato da Coop Adriatica, grazie al quale andiamo nelle scuole a parlare di limiti e potenzialità delle persone con disabilità della vista.
Offro al Presidente, chiunque sia eletto, la mia esperienza e le mie competenze, maturate in oltre vent’anni di lavoro all’interno dell’Unione. Sono convinta che l’Unione, in un contesto nel quale sempre di più sono messi in discussione diritti e conquiste che avevamo dati per acquisiti, debba dotarsi di strumenti adatti per tornare ad essere quell’associazione di rivendicazione e difesa che chi ci ha preceduto aveva contribuito a costruire. Dobbiamo passare dalla logica del bisogno a quella del diritto ed è a questi principi guida che ispirerò il mio operato in seno al Consiglio nazionale, se i Signori Delegati al XXIII Congresso dell’UICI vorranno concedermi la Loro fiducia e la Loro preferenza.
Cordialmente, Simona Zanella.

Quali titoli ho scelto per il Congresso, di Katia Caravello

Autore: Katia Caravello

In continuità con l’attività associativa di questi ultimi 5 anni, ho deciso di proporre al XXIII Congresso del prossimo novembre la mia candidatura al Consiglio Nazionale.
Ciò che ritengo importante fare per il bene dell’Unione e, soprattutto, per il benessere degli ipovedenti e dei ciechi italiani lo potete leggere nel programma pubblicato nell’area del sito dell’Unione dedicata ai contributi delle candidate e dei candidati; in queste pagine, invece, vorrei cercare di trasmettervi i principi ed i valori ispiratori di quanto ho scritto nel documento programmatico.
E’ infatti relativamente semplice focalizzare i problemi da affrontare e individuare delle soluzioni, che spesso sono, se non uguali, molto simili a quelle proposte dagli altri candidati: la differenza sta nello spirito con cui si mettono in pratica tali soluzioni.
A tal fine, nella speranza di riuscire a chiarire qual è l’Associazione che vorrei e qual è l’animo con cui intendo affrontare il compito di Consigliere Nazionale se sarò eletta, ho deciso di condividere con voi le preferenze che ho espresso per la scelta del titolo del Congresso: esse, infatti rispecchiano fedelmente il modo con cui mi sono sempre occupata – anche da un punto di vista professionale – delle questioni inerenti la vita delle persone con deficit visivo.

“La persona… al centro”
Questa è stata, ed è tutt’ora, la mia prima scelta perché credo fortemente che rappresenti il punto cruciale.
L’U.I.C.I. – e di conseguenza i suoi rappresentanti – si debbono adoperare per far comprendere alla società civile che, prima di essere ciechi o ipovedenti, siamo Persone (non è un caso che l’abbia scritto con la lettera maiuscola).
Fermarsi alla disabilità, non solo esclude la possibilità di riconoscere la persona nella sua globalità, ma dà anche origine a tutti quei pregiudizi e stereotipi che fanno tanto male… soprattutto a coloro che sono più fragili.
Solo se sapremo trasmettere questo messaggio sarà più facile superare le barriere culturali con le quali ci troviamo quotidianamente a combattere e che rendono la nostra vita, già complicata dalla minorazione visiva, ancora più faticosa.

“Innanzitutto cittadini”
L’indicazione di questo titolo deriva sostanzialmente dalle stesse motivazioni che mi hanno portato a scegliere il titolo precedente, con una piccola ma significativa aggiunta:
l’essere cittadini tra i cittadini ci garantisce sicuramente dei diritti, ma ci attribuisce anche dei doveri… ed è importante non venir meno ad essi.
Non è accettabile pretendere il rispetto dei nostri diritti senza assolvere ai nostri doveri, dunque non possiamo pensare che a solo titolo della minorazione tutto ci sia dovuto.
Non è così che deve funzionare: se vogliamo che gli altri ci considerino cittadini tra i cittadini, noi dobbiamo fare la nostra parte (ovviamente ognuno sulla base delle proprie capacità).
Per le stesse ragioni, un altro titolo che mi piace è: “Nella società per i nostri diritti e i nostri doveri”.

“Insieme per una società inclusiva e solidale”
Ciò che mi ha attratto di questo titolo è il concetto di “unità).
Per creare una società inclusiva e solidale è importante agire insieme, dialogando e superando le diversità di idee, e quando superare le differenze non è possibile, fare in modo che esse non costituiscano un ostacolo alla comunicazione ed un motivo di scontro.
Dobbiamo metterci al fianco delle altre associazioni di e per persone con disabilità, degli altri movimenti sociali e, in generale, delle altre realtà del terzo settore, al fine di lottare insieme per la difesa dei diritti di tutti.
L’unificazione della FAND e della FISH costituirebbe un importante passo in questa direzione, ma sarebbe importante essere solidali anche con altre fasce deboli della popolazione (penso ad esempio ai lavoratori in genere, i quali vedono spesso violati i propri diritti).
Il dialogo ed il superamento delle differenze deve, a mio avviso, essere un obiettivo da perseguire anche all’interno del nostro sodalizio: troppe volte, infatti, la differenza di opinioni viene considerata un elemento di rottura anziché un’opportunità di arricchimento reciproco.
Per tutte queste ragioni, un altro titolo che mi piace è: “Dalla differenza delle idee all’unità dell’azione”.
Katia Caravello
Cell. 3773048009
Email: caravello.katia@gmail.com

Perché mi voglio candidare, di Annamaria Palummo

Autore: Annamria Palummo

Mi autocandido alle elezioni per il Consiglio Nazionale dell’UICI perché vorrei dare il mio contributo alla causa che ci vede impegnati con il nostro sodalizio.
L’esperienza maturata sul campo delle politiche sociali, sia come rappresentante politico a livello locale, sia come rappresentante sindacale a livello regionale, nonché l’esperienza professionale come consulente commerciale e come docente di tiflopedagogia presso l’UNICAL mi ha consentito di avere diverse fotografie delle relazioni umane e del come queste si intersecano con le logiche di governo e di cura al fine di condividere con passione e rispetto la politica associativa, assumendomi delle responsabilità, che, devo dire, non sono state leggere, sia come consigliere provinciale prima che come presidente regionale poi.
La conoscenza dei governi locali, coniugata con l’analisi dei bisogni espressi dalla base associativa, mi ha portato negli anni a considerare l’associazione uno strumento indispensabile nella rivendicazione dei diritti e nella conferma delle azioni necessarie per la progettazione di una giusta politica del welfare in materia di handicap.
Il coinvolgimento di ogni singolo associato nelle diverse fasi della sua esistenza e la risposta in termini di servizi e azioni, a supporto dei suoi bisogni espressi e intercettati, credo che siano state e saranno il must della dirigenza e il perno su cui costruire il cambiamento dell’organizzazione, pena il depauperamento degli iscritti e la perdita di valore della nostra storia.
Volere un’altra associazione con una nuova dirigenza, a valle della celebrazione del prossimo Congresso, non significa superare l’ordine esistente, piuttosto spostare l’obiettivo verso nuovi traguardi, perché l’oggi è deficitario di alcuni punti, che a mio avviso debbono essere contemplati, se si vuole sfidare il sistema politico sociale attuale, visti i continui attacchi e le continue invasioni di campo sul tema dei diritti e delle tutele, nonché sul sistema di cura e solidarietà .
Il contesto di riferimento è ricco di aspetti dicotomici, nei quali la nostra politica ha trovato il limite della forza d’impatto comunicativo e dell’agire rispetto agli intenti nazionali piuttosto che locali; un tema ridondante, ad esempio, è stato quello dei falsi ciechi, che a mio avviso ci ha proiettato negativamente nell’immaginario collettivo
Se da un lato assumiamo le direttive europee in tema di diritti esigibili, contemplando inclusione, pari opportunità e garanzie sociali, dall’altro, invece, cozziamo con sistemi di governo locali, che agiscono per moto proprio, non tenendo nella giusta considerazione le impostazioni nazionali o sovranazionali; questo succede a scuola, nelle ASL, nelle province o ex province, con ripercussioni non più sanabili, in termini di forza nell’agire e nel pretendere progetti di vita rispondenti alle aspettative.
Succede anche nei nostri piccoli contesti sezionali, ove le risorse scarse e la mancanza di supporto delle istituzioni locali inducono i dirigenti a portare avanti uno status quo privo di prospettiva, con una sofferenza della capacità rappresentativa che rasenta il niente.
Questo non è humus per garantire la cultura dell’autonomia: così si toglie spazio alla cultura del BRAILLE delle tecnologie assistive, del libro parlato ovvero ad ogni azione che ha come fine quella di facilitare il disagio provocato dalla privazione della vista.
Mettere a nudo le diverse sfaccettature della crisi del sistema sociale nazionale e della crisi economica, che ormai da legittimazione al processo di deresponsabilizzazione attivato da qualsiasi attore politico, può diventare un esercizio utile per ricostruire gli elementi fondanti della nostra mission, ossia ci aiuta a capire cosa possiamo esigere con la nostra nuova eventuale organizzazione, come interagire con il sistema politico nazionale, quanto scambio attivare con le altre organizzazioni, perché stimolare un dibattito interno sui nostri diversi livelli di rappresentanza e in ultimo, non certo per ordine d’importanza, quale modello associativo può sfidare l’anomia che vige all’interno del nostro perimetro.
Concepire delle strategie alternative al nostro ormai superato modo di confrontarci circa il volere, anzi il pretendere, un miglioramento delle nostre esistenze, sia in termini di qualità della vita, sia in termini di prospettiva, ci deve far riflettere in ordine alla necessità di creare nuovi percorsi per non rimanere fuori da tutto.
Penso al lavoro come diritto costituzionale, che ormai è diventato un lusso per pochi ciechi ed ipovedenti; penso all’istruzione, che dipende dai singoli dirigenti e dall’ostinazione delle famiglie e delle sezioni locali che presidiano i processi di inserimento, al fine di garantire didattica, testi e sostegno; penso alla sanità, che non offre le stesse cure e gli stessi protocolli; penso alle nuove tecnologie, che possono essere fruite solo nell’ordine delle soluzioni trovate negli altri contesti; penso alle prassi di rimanere iscritti all’associazione solo fino al completamento della pratica burocratica dell’iter di riconoscimento della disabilità.
Insomma, al pari delle fasi storiche già archiviate positivamente, rispetto a quanto l’associazione abbia dato e fatto, ci sono da esplorare e attivare nuove strategie, per non annullare quanto registrato e soprattutto per implementare la nuova piattaforma rivendicativa, che vede nella generazione dei giovani ciechi ed ipovedenti disoccupati e poco istruiti il culmine dell’interesse politico e nella resistenza sociale, rispetto all’abbattimento delle barriere architettoniche ed informatiche, l’annichilimento del nostro impegno.
Certamente non sono depositaria del potere di cambiare il mondo, ma sono un operatore dotato di buona volontà, che si auspica di poter lavorare con una squadra pronta alla sfida ma anche al confronto, alla strategia di gruppo, alla lotta, alla solidarietà. Una squadra che dovrà essere valorizzata e rispettata dalla base associativa e che dovrà trovare conciliazione con la leadership, considerato che la nostra organizzazione è sempre stata un modello democratico rappresentativo, identificata dalla linea del suo presidente.
Per quanto attiene alle competenze ed esperienze maturate, che metto a disposizione, rimando al mio Curriculum Vitae, agli articoli di stampa e agli atti pubblicati sul sito dell’UICI Calabria per il periodo in cui ho avuto l’onore di rappresentare la nostra associazione a livello regionale.
Un impegno a cui voglio dare ulteriore continuità, per l’inclusione, per le pari opportunità, per il diritto di tante donne, uomini, bambini a vivere un’esistenza in cui il buio degli occhi sia illuminato dalla luce della solidarietà.

Annamaria Palummo

Democrazia fittizia e presidenzialismo reale, di Giovanni Taverna

Autore: Giovanni Taverna

Mi scuso con il presidente Stilla per la parafrasi del suo titolo. Non lo faccio per spregio, anzi lo ringrazio per aver suscitato un problema stuzzicante, anche se partendo da analisi esattamente opposte alle sue.In primis mi permetto di affermare che il parere sullo statuto di un candidato presidente anche di notevole caratura vale esattamente 1 su 280, cioè esattamente quanto quello del più sconosciuto dei delegati. Non si tratta di una macroscopica offesa, si tratta di semplice evidenza della norma statutaria, poiché lo statuto lo approva il congresso e un candidato presidente ha il diritto di esprimere la sua opinione esattamente alla pari con tutti gli altri delegati. Dirò di più. Se per ventura il congresso approvasse uno statuto che non piacesse per nulla al presidente eletto, questi non potrebbe fare altro che attuarlo scrupolosamente, con buona pace delle sue opinioni personali, pena il palese rifiuto di aderire alle prescrizioni statutarie e congressuali, con conseguenze facilmente immaginabili. Se non erro, il candidato Stilla chiama a dimostrazione del suo assunto di una deriva presidenzialista le nuove norme per le elezioni sezionali. Anzi dipinge a tinte fosche il tentativo di mettere un uomo ed una squadra al comando come tradimento della democrazia rappresentativa. Qualche malalingua ha già sbottato che tali osservazioni non risultano ne dai lavori di commissione o di consiglio nazionale, ove pure Stilla era presente. Deploro vivamente questi commenti, perché ritengo del tutto legittimo che il presidente Stilla possa cambiare idea, o farsene una più precisa, lo dica pubblicamente e senza remore, come già accaduto nel 2014 su altro tema .Respingendo quindi tutti i commenti che non portano espressioni razionali, mi affretto a proseguire. Personalmente,1 su 280 anch’io, ritengo positiva la nuova modalità per eleggere il presidente sezionale. Ci lamentiamo da anni della disaffezione che i soci mostrano rispetto alle assemblee sezionali e non si capisce perché renderle più cogenti debba essere un vulnus alla democrazia rappresentativa. Non comprendo infatti cosa possa esserci di più rappresentativo e democratico della possibilità che sia l’intero corpo sezionale a decidere chi dovrà guidarlo. Uomo solo al comando? Dittatore in pectore? Ma il consiglio sezionale non è stato abolito! Anzi, qualora si manifestino tendenze strane è in grado , tramite dimissioni, di mandare a casa dittatorelli e affini. Contrariamente , se permettete, a quanto accaduto fino ad oggi, con lo statuto attuale presentato come campione di tradizione democratica, che per garantire un minimo di ricambio dirigenziale ha dovuto stabilire per norma un limite di 3 mandati. Siamo proprio sicuri che le più che ventennali presidenze sezionali sparse per tutta Italia siano stati chiari esempi di democrazia rappresentativa? Rappresentativa di cosa?. Mi permetto di affermare che in troppi casi si è trattato invece di presidenzialismo reale, di permanenza al vertice ad ogni costo, cioè esattamente un uomo solo al comando con una piccola squadra di emuli, cioè esattamente quel che il presidente Stilla vorrebbe evitarci. Non vi sto raccontando favole. Nomi e città sono nella memoria di tutti noi. Malgrado tutto questo, arrivo a dire che se il congresso non approvasse le nuove procedure non griderei allo scandalo o al tradimento perché ritengo questo tema una parte ridotta dell’intera impalcatura descritta dalla bozza del nuovo statuto. La bozza va però valutata nella sua interezza senza far assurgere un singolo particolare a parametro unico di giudizio. Secondariamente, riprendendo le mie frasi iniziali, aggiungo che non voterò certo un presidente nazionale basandomi sul fatto che sia favorevole o meno alla elezione diretta del presidente sezionale: è materia di congresso non di decisione presidenziale e tutte le opinioni sono quindi ugualmente rispettabili con l’aggiunta che un presidente nazionale dovrà mettere in atto anche le disposizioni che personalmente non gli piacciono. Quel che però mi colpisce particolarmente nell’articolo del presidente Stilla è la palese difesa di alcuni comportamenti che vengono definiti “legittimi”; tra questi sicuramente il più estroso è la legittimità da attribuirsi al fatto che il territorio, leggi regione, desideri inviare in consiglio nazionale “persone di fiducia”. Fiducia di chi? Del presidente regionale, di una maggioranza consiliare? Questa è democrazia rappresentativa? Soprattutto, perché i regionali hanno necessità di avere ciascuno il proprio fiduciario all’interno del consiglio nazionale? Non vi sono già i presidenti come membri di diritto? Per caso qualche presidente regionale ha la convinzione che se non riesce a portare in consiglio nazionale un certo numero di fiduciari la sua regione sarà penalizzata rispetto alle altre? O magari qualcuno è convinto che avendo suoi rappresentanti diretti in consiglio sia possibile avere qualche rappresentante di propria fiducia in direzione, permettendo così di indicare propri conterranei alla direzione di questo o quello, pena il voto contrario a provvedimenti proposti da altri. Democrazia rappresentativa anche questa o spartizione correntizia degli organi direttivi e degli enti collegati?Ma tutte queste sono solo mere ipotesi vero? Nella tradizione democratica garantita dallo statuto vigente non è mai accaduto nulla di simile, vero? Sulle altre “legittimità” pretese non mi soffermo neppure, perché delineano sinceramente un quadro ove è facilissimo trovarsi davanti ad un pantano di accordi, consorterie, mercatini, che possono accadere o non accadere, ma che il presidente Stilla non può ignorare e che troppo spesso affiancano le legittime ricerche di voti senza che nessuno faccia nulla per contrastarle. Dimenticavo! Tra i comportamenti legittimi mi piacerebbe sapere se si inseriscono anche la distribuzioni di 12 tipi di tredicine diverse da votare per delegazioni, al solo scopo di eludere la norma statutaria che salvaguardia le minoranze nel consiglio nazionale. Nel 2010 al congresso era presente anche il presidente Stilla e mi auguro che in omaggio alla democrazia rappresentativa non abbia distribuito quei foglietti. Mi chiedo e vi chiedo: è questa la tradizione democratica che dobbiamo salvaguardare per non essere sommersi da “un uomo e una squadra”, magari dichiarate apertamente, trasparentemente dotate di un programma esposto preventivamente al Congresso? Questa credo sia la sfida vera. La tradizione democratica contrapposta al presidenzialismo UICI l’ha superata decenni fa, facendo troppo spesso vincere talora una forma di presidenzialismo come attaccamento al potere, tal’altra una democrazia dichiarata assoluta e poi negata nei comportamenti. Non facciamoci intrappolare da generiche affermazioni di filosofia politica, guardiamo ai fatti. Tutti, possibilmente.
Giovanni Taverna

Lettera aperta ai candidati presidenti, di Silvana Piscopo

Autore: Silvana Piscopo

Cari candidati, vi ho ascoltati nella trasmissione del 16 settembre e, poiché tutti e 3 avete sollecitato la partecipazione attiva di espressione, pensiero e proposta, eccomi qui: ho apprezzato l’impegno che avete assunto di garantire un dibattito precongressuale e congressuale basato sul rispetto reciproco e, dunque senza ricorrere ad una propaganda volta al discredito tra i competitori; questo , però, non mi pare l’abbiate concretamente applicato da subito, perché avete parlato di un momento di grandi speranze tradottosi nell’elezione del presidente Barbuto, e, poi, una grande tempesta di fine estate del 2014 che avrebbe provocato dolore, delusione e, mi auguro, non altro, al candidato presidente Nicola Stilla; e qui comincio a disorientarmi: se vi rispettate e ci rispettate: perché usate la tattica del dire e non dire? io che non sono delegata, che per parecchi anni mi sono comportata solo da socia informata dell’Uici, che mi sono riavvicinata solo dopo le conclusioni del xii congresso da cui è nato il movimento uicirinnovamento, che, dunque, non ho partecipato a ipotetiche trattative, così come tanti altri che pure avranno seguito il vostro dire e non dire, cosa abbiamo dovuto arguire dalle sofferenze partecipateci dal candidato stilla, l’imbarazzo del presidente Barbuto, i sorrisi del candidato Simone? Ho capito che l’ipotesi avanzata dal presidente Barbuto di costruire una sintesi tra voi 3 per guidare l’associazione dal congresso ormai alle porte, fino alla completa definizione dello statuto sociale che sarà approvato in questa tornata congressuale, quindi per un tempo determinato tra i 20 e 24 mesi, non trova la disponibilità di Nicola Stilla che, come comunicato, farà conoscere il proprio programma di conduzione dell’Uici, dopo il 3 di ottobre, ma, per contro, non ho capito come, perché e da cosa si dissocia dall’attuale presidente per essere motivato a decidere di candidarsi in alternativa, così come non l’ho capito per Peppino Simone.
Io, come penso altri, avrei voluto sapere, visto anche che si discute di democrazia rappresentativa, o di presidenzialismo, se una tale discussione sia riferibile ad un concetto di apparato, ad un metodo di governo, all’introduzione di sostanziali azioni di trasformazione dell’associazione da struttura rigida e piramidale in una Uici che si apre a tutte le istanze associative del pianeta disabili, ma anche a tutte le organizzazioni sociali, sindacali, datoriali; avrei gradito capire in quale misura verranno valorizzati tutti i consigli dal nazionale ai sezionali cui, invece del potere propositivo e deliberativo, viene, tranne poche eccezioni, assegnato un ruolo ratificatorio; mi sarebbe piaciuto sapere cosa si pensa di fare per tutelare tanti di noi di fronte alla continua violazione delle leggi in materia di autonomia, mobilità, lavoro, ecc.
Personalmente mi sono impegnata nuovamente nell’Uici e, nella fattispecie, nel consiglio provinciale della sezione di Napoli dove vivo ed ho aderito alla proposta di candidarmi in aprile perché mi riconoscevo nel programma della lista guidata da Mario Mirabile che oggi è il presidente e con il quale posso lavorare senza nascondere convergenze e divergenze; attualmente mi sono resa disponibile per la candidatura al consiglio nazionale, perché mi riconosco nel modo di lavorare dell’attuale presidente Barbuto del quale auspico la riconferma; tuttavia, indipendentemente dai risultati delle elezioni del consiglio, sarò presente per qualsiasi contributo che mi verrà richiesto ma a patto che chi dirigerà la nave, lo farà da timoniere e non da padrone.

Silvana Piscopo

Presentazione al Consiglio Nazionale, di Valter Calò

Autore: Valter Calò

Non è facile presentarsi in poche righe. Proprio per questo, invece di farlo attraverso un formale curriculum e la descrizione dei progetti, ho scelto prima di presentarmi attraverso un racconto dei miei 55 anni e secondariamente di illustrare quello che è il mio sogno. Parlo di sogno, non tanto perché ritengo che sia qualcosa di irraggiungibile, anzi!, ma perché, anche se si sogna da soli, un sogno può essere realizzato solo se si è uniti e lo si condivide.
1. Vi racconto la mia storia
Per prima cosa chiarisco il mio handicap, sono una persona fortunata o sfortunata a seconda di come si vede la vita, personalmente non lo so neppure io passano i giorni e non riesco ancora a definirmi, alcuni giorni mi ritengo fortunato in quanto la mia vita è continuata a migliorare sotto certi aspetti, altri giorni penso che è veramente difficile convivere con il nostro handicap.
Vi spiego subito perché.
Ho passato i miei primi 40 anni come vedente, non proprio un aquila ma neppure una talpa, improvvisamente per distacchi di retina La mia vista ha iniziato a peggiorare, sei operazioni non sono servite ad evitare di diventare in pochi mesi ipovedente.
Non finisce qui, ma il continuo peggioramento in una manciata di anni si è concluso con l’ultimo verdetto, cieco.
Ma ricominciamo dal principio… scuole elementari medie e liceo classico a Brunico
Una piccola cittadina a due passi dal confine austriaco, in provincia di Bolzano, dove convivono due gruppi linguistici italiani e tedeschi. Chiariamo subito, abbiamo una mentalità mitteleuropea dove due culture importantissime della vecchia Europa si incontrano e a volte si scontrano ma attualmente, prevale sempre la volontà di comunicare e risolvere le problematiche.
Dopo il liceo ho scelto una facoltà universitaria che si avvicinasse al mio carattere, un insieme di avventura e spirito di sacrificio, medicina veterinaria a Parma.
Anni favolosi, ricchi di amicizie in tutta Italia e non solo, tanto sport e anche tanta fatica sopra i libri. Ho citato lo sport, altro elemento fondamentale della mia vita. Ho praticato numerosi sport sia singoli che di squadra, per piacere o per agonismo, ma soprattutto continuo a praticarli e invito tutti a farlo, specialmente noi con ridotta mobilità, perché ne abbiamo tanto bisogno: non serve correre e sudare, ma camminare è obbligatorio per tutti noi, minimo 30-60 minuti tutti i giorni.
Alla fine mi sono laureato a Torino per la collaborazione attiva con un professore di quella università, sviluppando una tesi sulla protezione animale richiestami dal ministero della sanità e che successivamente ha dato il via alle leggi nazionali riguardanti benessere e protezione degli animali in Italia.
Durante gli ultimi anni di università facevo pratica presso una clinica per piccoli animali e in estate seguivo un veterinario specializzato in vacche, maiali, galline, cavalli e tutti gli animali della vecchia fattoria.
Subito dopo la laurea sono volato in Canada e li ho perfezionato le cure indirizzate verso i cavalli, animale che mi ha sempre affascinato.
Rientrato in Italia ho incominciato subito a lavorare nel mondo bucolico dei contadini di montagna che è dentro a tutti noi, meraviglioso, sicuramente il lavoro più bello al mondo, tutti i giorni su e giù dalle montagne con il fuoristrada attrezzato per ogni evenienza ma soprattutto per arrivare in qualsiasi luogo e con qualsiasi tempo.
Giorni indimenticabili, persone indimenticabili, che arricchiscono la vita non a tutti ma solo a coloro i quali ne sanno cogliere le sfumature.
Operavo vitelli, curavo vacche e cavalli, correvo di notte per i parti o i collassi e le urgenze, per hobby operavo rapaci gratuitamente in una clinica dedicata a questi nobili animali e sostenuta dal WWF, seguivo cani e gatti di amici e familiari o turisti, nel tempo libero mi sono specializzato in ginecologia equina e diagnostica per immagini diventando in poco tempo veterinario ufficiale ANICA (associazione nazionale italiana cavallo arabo) e veterinario FISE (federazione italiana sport equestri).
Questo idillio è durato fino al 2001 dove per successivi distacchi di retina mi sono dovuto arrendere e appendere le siringhe e bisturi compreso l’ecografo e l’iscrizione all’albo dei veterinari, dicevo appenderli al chiodo ma soprattutto farmene una ragione, cosa non facile. Dopo una vita lavorativa dinamica e contemporaneamente coinvolgente.
Mi sono ritrovato fermo immobile, con mille incertezze e mille paure, anni duri e difficili supportati splendidamente dalla mia famiglia, moglie e figlio, che in quegli anni era appena nato.
Sono diventato una persona con ridotta mobilità. La vita non poteva finire li, anche se il mio carattere scalciava dentro di me facendomi soffrire non poco.
Bene alzati e cammina, disse…
E io mi sono alzato e con l’ausilio del computer ho aperto una società di consulenza in internet per mediazioni internazionali. Fermo dal mio ufficio ricercavo tramite internet clienti o prodotti per società. Sono entrato in partnership con il presidente di industria e commercio svizzero e con la sua SPA abbiamo cooperato in diverse transazioni internazionali, con clienti e istituti italiani ed esteri.
Un giorno l’assessore Provinciale all’agricoltura mi chiama e mi dice “Lei deve essere dei nostri ed entrare a collaborare nel mio staff!”. Detto fatto ho accettato subito, il richiamo bucolico era troppo forte, l’illusione appariva come ritornare vedente e riesumare il passato.
La collaborazione è iniziata come consulente per i contadini di montagna. Dovevo illustrare, in lingua esclusivamente tedesca, la normativa sui contributi unici comunitari, le leggi e regolamentazioni CEE, oltre che tenere convegni per sensibilizzare gli agricoltori sui nuovi regolamenti attuativi.
Successivamente sono passato alle progettazioni e allo sviluppo di idee. Li mi sono divertito ad applicare tutto quello che avevo toccato con mano negli anni precedenti. Ho elaborato progetti su misura per tutti quegli agricoltori che, vivendo sulle montagne, erano fortemente svantaggiati rispetto ai loro colleghi di pianura. La mia filosofia era ed è produrre, trasformare, vendere, ovvero vendita diretta senza intermediari, trasformando i prodotti primari della terra e offrendo al compratore una chiara idea di cosa acquista e quindi cosa mangia o beve. Non trascurabile il creare reddito per il produttore che eliminando la catena alimentare ed istruendolo nella produzione, nella trasformazione, nella conservazione e nella vendita del prodotto alimentare realizzavo in lui un’autonomia lavorativa per tanti inimmaginabile, conoscendo loro solo la grande distribuzione.
Ho progettato, trasformato, ma soprattutto venduto in tutta Italia, (chi fosse interessato, mi può contattare e sarò ben lieto di inviargli alcuni dei miei progetti più significativi). Contemporaneamente, mentre lavoravo come consulente, sono entrato in società in una cooperativa di Reggio Emilia che necessitava di supporto in campo agroalimentare. Con loro sto sviluppando progettualità sull’Appennino Emiliano e non solo,
Tutto questo può essere bello e interessante, ma voglio sottolineare che io, come te che leggi e sei ipovedente o cieco, ho passato anni difficili anzi molto difficili, per cercare di accettarmi e farmene una ragione ma soprattutto per convivere con quel lungo e bianco bastone che per gli altri rappresenta la nostra debolezza e per noi tanta solitudine. Come a tanti, anche a me è accaduto di provare disprezzo verso quel bastone bianco, quella sedia a rotelle immaginaria che divide il normale dall’handicap.
Attualmente sto passando all’area amministrativa dell’azienda sanitaria provinciale, ma il mio sogno è quello di tornare medico veterinario anche con handicap visivo.
Personalmente confido nella elezione di un direttivo dinamico, capace di interagire ma soprattutto di essere presente e comunicare.
Credo che chi si vuole candidare al consiglio nazionale della nostra Onlus deve essere fortemente motivato, deve credere di poter apportare la sua esperienza per un unico fine quello di essere utile a tutti i nostri soci.
Inizio cosi la mia seconda parte quella dedicata alle promesse, al programma, al mio sogno da condividere, ma soprattutto da realizzare.
2. Il mio sogno
Progetti, sogni, possibilità si fà presto a scriverli non sono mai le idee che mancano, attuarle è tutt’altra cosa, bisogna trovare un gruppo di persone motivate che lavorano anche quando i riflettori sono spenti, ma soprattutto che remino tutti nello stesso verso, questo è il compito del manager, del coordinatore o del dirigente.
L’UICI ha indiscutibilmente fatto tantissimo fino ad oggi, di questo bisogna rendergliene atto, ma non bisogna assolutamente essere paghi in quanto c’è ancora moltissimo da fare.
Gli ultimi 15 anni sono stati una svolta, i computer, internet, le sintesi vocali, i telefonini di ultima generazione hanno dato una forte accelerazione alla vita di tutti, compreso noi minorati della vista, apportando grandi vantaggi sia sulla quotidianità che per l’informazione e la comunicazione.
La comunicazione nel mondo è diventata normalità, se prima ci si muoveva per conoscenze o per sentito dire oggi basta un click e tutto è alla nostra portata, sfruttiamolo.
Cosa centra con noi tutto ciò? Moltissimo!
Comunicare è diventato un verbo facile, semplice, ma soprattutto non ha più scusanti. La nuova dirigenza deve comunicare in tempo reale sia tra dirigenti che con i soci.
Solo in questa maniera si ha la piena consapevolezza delle problematiche, ma non solo, anche i vantaggi o le novità, questo significa dedizione, disponibilità e presenza sul territorio.
Punto fondante per il nostro futuro è il nuovo statuto che ripete o meglio segue gli sviluppi di una Politica Italiana che attualmente fatica ad illuminarsi sufficientemente di luce propria.
La strada scelta non è sbagliata ma a parer mio toglie molta identità alle sezioni che sono il vero cuore della nostra Unione.
Sono convinto che le sezioni sono la locomotiva di tutto e come tale deve essergli data maggiore rilevanza. I soci si interfacciano con i dirigenti locali e la realtà delle Province è mutevole e assolutamente non paragonabile, eventualmente solo confrontabile una provincia con l’altra.
un solo coordinamento Regionale o Nazionale toglie l’autonomia e l’indipendenza fondamentale per i nostri soci che in ogni caso per ora è solo a parole annunciata come “autonomia sezionale” ma che dovrebbe essere e divenire assolutamente una realtà.
Il centralismo, ovvero dirigenza e presidenza, devono dare massima priorità e collaborazione alle sezioni, affinché tutte seguano un iter di crescita e sviluppo, con consulenze, meeting e aggiornamenti atti ad uniformare tutte le sezioni.
A livello regionale basta solo ed esclusivamente un unica persona che funga da portavoce o rappresentanza con i responsabili politici del potere esecutivo e di coordinazione Regionale, supportato eventualmente da uno o più rappresentanti di sezione, qualora ne insorga la necessità.
Questa figura di Presidente Regionale, deve collaborare attivamente con le sezioni rispettando l’autonomia sezionale ed eventualmente ha il compito di costituire commissioni per risolvere diatribe o problematiche, oltre che essere figura consultiva e propositiva per le sezioni stesse.
Avendo la supervisione di tutte le sezioni ha pure il compito di interagire mettendo a confronto problematiche e soluzioni interne alle sezioni stesse.
La Presidenza Nazionale con la sua direzione ha un compito istituzionale molto importante proprio a questa deve essere data massima rappresentatività e visibilità, tutte le grandi novità passano attraverso il loro operato. Per visibilità non intendo la loro immagine ma la trasparenza nel loro operato, con pagine dedicate sul nostro sito nazionale, divise singolarmente per attività.
Oltre che una direzione Nazionale forte e collaborativa deve assolutamente essere consultabile e raggiungibile da tutti dirigenti e anche da soci, via e-mail o telefonicamente senza dover assistere ad attese infinite o lunghi silenzi senza risposte.
il dirigente nazionale si deve prendere cura in primis di diritti e doveri dei soci, deve rappresentare una figura di riferimento una persona super partes che apporti risorse a tutti.
L’attuale nostro Presidente Mario Barbuto sta svolgendo correttamente il suo compito per quel che mi riguarda è sempre stato molto attivo impegnandosi a rispondere puntualmente alle richieste o problematiche sottopostegli, non voglio per questo avvantaggiarlo rispetto a candidati come Nicola Stilla e Simone Giuseppe che stimo in egual maniera, ma auguro a loro che vinca chi ha veramente voglia di lasciare scritto il suo nome come persona dinamica, moderata, con un briciolo di follia e curiosità, gli chiedo solo di prendere decisioni e non essere titubante, gli errori si possono correggere, ma se si ha paura di sbagliare si perde in partenza e ai nostri soci non rimarrà nulla.
Il nostro governament non deve essere diretto da correnti o raggruppamenti che ricordano il mal costume politico nazionale ma deve assolutamente emergere la meritocrazia e l’uomo o individuo singolo, come tale deve saper fare un passo indietro, per tanti è una sconfitta personale per me un elogio alla responsabilità. Spero vivamente che queste parole non si perdano nel vento ma che crescano dentro ognuno di noi con la consapevolezza che siamo solo di passaggio e che se vogliamo che rimanga una traccia di noi dipende solo dal nostro operato.
Non sono più concepibili e assolutamente anacronistiche le convivenze politiche o i raggruppamenti pro o contro, in una onlus senza fini di lucro,
L’Unione deve essere fatta dalle persone e gli statuti devono solo essere un atto di regolamentazione interna alla quale si deve dare un’occhiata ogni tanto, non è un codice comportamentale o un regolamento da seguire in risposta a problematiche appellandosi ad uno o l’altro articolo statutario.
Il nostro unico e indiscutibile fine deve essere la risoluzione dei problemi dei nostri soci.
Parliamo di immagine, benissimo credo che ci sia molto da lavorare, l’immagine della nostra onlus non riguarda il direttivo e le sue capacità e professionalità ma solo ed esclusivamente i nostri soci,
spesso troppo soggetti a visite oculistiche da parte di comuni cittadini per non citare datori di lavoro o colleghi e non per ultimo controllori e autisti di mezzi pubblici ecc., che mettono in dubbio il nostro handicap. La nostra categoria è stata fortemente denigrata da falsi ciechi o persone che attraverso i media attaccando giustamente i truffatori hanno messo in dubbio la credibilità di tutti noi. Il direttivo deve difendere e valorizzare la nostra minorazione sempre comunque e in tutti i casi, tutti i direttivi sia il nazionale che Regionale e di Sezione devono seguire i disagi sia quelli già costituzionalmente e legalmente protetti per legge sia le problematiche nuove o minori, non lasciando mai solo il singolo o gruppo di soci.
Sul tema lavoro, diciamo che più che un problema è una assoluta disperazione, che riguarda tutti noi e i nostri figli, vedenti o non vedenti.
A riguardo propongo di continuare la politica pressante o addirittura farla diventare asfissiante, verso gli organi competenti che ogni sezione e ogni direttivo Regionale e Nazionale ha svolto diligentemente fino ad oggi.
Propongo una maggiore collaborazione interna sfruttando le risorse che sono presenti dentro la nostra Unione.
Coinvolgiamo le nostre risorse intellettuali e intellettive, aprendo cooperative sociali che creino reddito ai nostri soci, creiamo una rete di contatti una raccolta sia nazionale che regionale delle professionalità e attraverso le cooperative si può operare abbattendo spese di contabilizzazione e gestione. Potremmo cosi sviluppare attività che possono integrare redditi personali o che siano le risorse primarie individuali.
Potenzialità come insegnanti, professionisti, appassionati di software e hardware, medici, ingegneri, operatori sociali, interpreti, ragionieri… possono attraverso la collaborazione interna trovare opportunità di collocarsi dentro la nostra Unione fornendo e potendo far fruire servizi internamente a noi. Possiamo creare autonomamente quelle risorse che mancano, non dimentichiamoci tra l’altro che le nostre professionalità danno sicuramente maggior piacere lavorativo, che a tanti manca.
Cosi facendo questo start lavorativo potrebbe avere l’occasione di espandersi anche fuori dall’ambito della nostra disabilità, creando non poche soddisfazioni.
Sono consapevole che il tema lavoro ha molte sfaccettature e che i posti protetti sono indispensabili ma credo sia giunta l’ora di iniziare a progettare alternative o possibilità che ci aiutino a crescere.
Questo a mio parere dovrà essere uno dei compiti del nuovo direttivo e so per certo che tematiche di certo peso non solo mie ma dentro tanti dirigenti, creiamo un gruppo di lavoro, confrontiamoci, collaboriamo per un unico fine, questo è quello che ci chiedono i nostri soci, dobbiamo accontentarli.
Qualora non venissi eletto in ogni caso metterò a disposizione il mio bagage culturale sperando di poter essere utile e fornire anche gratuitamente possibilità di crescita e soddisfazione per i nostri ragazzi e o disoccupati che vogliano intraprendere la strada singolarmente o associativamente nell’imprenditoria agricola o nelle cooperative sociali o cooperative societarie, per queste tematiche lavorative sono disponibile ad essere contattato fin da oggi.
Ai nuovi candidati alla poltrona presidenziale e al consiglio Nazionale auguro buona fortuna,
Spero che il mio profilo possa essere utile alla nostra Unione.
Lavorare o collaborare con l’Unione deve diventare un onore un privilegio e non un titolo davanti al nostro nome e il fine ultimo deve essere e rimanere solo l’interesse dei nostri associati.
Auspico che anche senza il mio apporto il mio sogno si realizzi, diversamente metterò tutto me stesso affinché questo sogno diventi anche il tuo.

Valter Calò
Presidente UICI Alto Adige
Valtercalo21@gmail.com

XXIII Congresso UICI Candidatura al Consiglio Nazionale, di Annita Ventura

Autore: Annita Ventura

Presentazione

Il mio impegno nell’Associazione inizia negli anni 90. Ho collaborato con la Sezione di Roma della quale nel 1996 sono divenuta vicepresidente per dieci anni, fino al 2005, quando ho assunto la carica di Presidente Regionale del Lazio.
Sono stata responsabile delle Unità Territoriali di Coordinamento in Abruzzo, Lazio ed Umbria. Ho fatto parte di commissioni nazionali tra cui la Commissione Istruzione e mi sono impegnata in altri ambiti dove, nella veste di Consigliere Nazionale, veniva richiesta la mia collaborazione.
Nel novembre 2014 sono stata nominata dalla FAND quale componente del Comitato istituito con la legge 278 del 2005, relativo al Coordinamento delle attività di un Centro Polifunzionale Sperimentale di Alta Specializzazione per persone cieche con minorazioni aggiuntive.
Nella mia vita professionale ho insegnato dapprima nelle scuole speciali di Roma, poi ho vinto la cattedra per l’insegnamento di lettere negli Istituti di istruzione secondaria superiore ed ho insegnato nei licei romani, ricoprendo anche diversi incarichi di progettazione e coordinamento. Per i dettagli si può consultare il curricolo.

Proposte
Nel proporre la mia candidatura al Consiglio Nazionale per il XXIII Congresso dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, comunico che sono una dei firmatari del documento di sostegno alla candidatura a Presidente Nazionale di Mario Barbuto, di cui apprezzo il lavoro svolto in questo breve periodo di presidenza.
Mi sento di affermare che i canditati al Consiglio Nazionale non debbano avere programmi individuali. Infatti ritengo che il programma dell’Associazione debba essere unico e condiviso. Esso non può che basarsi sui tre elementi fondamentali individuati nel 1920 dai “padri fondatori” e che vengono ben enunciati nello Statuto Sociale: “Istruzione, Lavoro, Assistenza”.
Tre capisaldi all’interno dei quali è possibile declinare la tutela e l’esigibilità dei diritti inalienabili conquistati dai ciechi delle generazioni precedenti e quelli che vanno difesi, migliorati e adeguati alla società attuale in continua e veloce trasformazione.
Ogni dirigente associativo, qualunque sia il ruolo che ricopre, non può esplicare la sua azione politica che operando all’interno di quei capisaldi.
Dunque non mi dilungherò né sul diritto alla cultura nei suoi vari aspetti, né sul diritto al lavoro, o sull’accessibilità o sulla questione dell’ISEE, etc.; mi limiterò ad alcune riflessioni, senza la pretesa di essere originale.
L’Associazione, nella ricchezza delle sue articolazioni, dovrà adeguare la sua organizzazione rendendola più democratica e realmente partecipativa. In questa direzione vanno molte delle proposte di modifica allo Statuto sociale che, se approvate dal Congresso per la loro efficace portata, costituiranno da un lato un maggiore ed effettivo riconoscimento della volontà dei soci (e non soltanto dei dirigenti), e dall’altro una limitazione dei poteri degli organi statutari, garanzia questa di qualsivoglia impianto democratico.
L’Associazione, dunque, dovrà correggere una certa commistione, cui si è assistito, nelle funzioni e nei ruoli specifici degli organi statutari. Perché l’azione politica sia efficiente ed efficace, si dovrà evitare la sovrapposizione o, peggio, il disconoscimento dei singoli organismi istituzionali; per chiarezza: la funzione politica e la funzione esecutiva. Al Consiglio Nazionale deve essere restituito e riconosciuto il suo ruolo di organismo politico, dove il programma viene elaborato e modificato in conseguenza dei mutamenti che si presentano nel corso della consiliatura; alla Direzione deve essere riconosciuto il ruolo propositivo unitamente al ruolo esecutivo; ciò non rappresenta affatto una “diminutio”, ma, al contrario, si configura come una importante funzione di attuazione, nell’individuazione di strategie, metodi e strumenti, calibrati per i diversi ambiti, finalizzati al perseguimento ed al raggiungimento degli obiettivi politici individuati dal Consiglio Nazionale, di cui la Direzione è parte integrante, così come parte integrante ne sono i Presidenti Regionali, garanti delle esigenze diversificate dei territori.
3) La funzione decisionale, insomma, non dovrà più essere affidata a conventicole o ad oligarchie che si compongono e si ricompongono in base a variabili e criteri soggettivi o personalistici, ma dovrà essere effettiva assunzione di responsabilità da parte degli organi statutari, ognuno per la parte di propria competenza. Ritengo che in questo risieda il vero metodo democratico e consultivo.
4) La formazione dei dirigenti, a qualsivoglia livello, deve diventare effettiva e permanente. Il continuo susseguirsi di norme in tutti i settori, le “riforme” in atto e la loro attuazione, i mutamenti istituzionali del Paese uniti a quelli amministrativi, richiedono una informazione corretta ed una conoscenza chiara da parte di chi ha l’onore e l’onere di dirigere, a qualunque livello, l’Associazione. La formazione, ripeto, deve essere permanente, organizzata con scansioni precise e sostenibili, evitando certi impianti narrativi od omiletici cui talvolta si è stati sottoposti. Sarà pur vero, come si legge, che i Presidenti non devono né fare né sapere tutto, però, essendo essi gli interlocutori politici privilegiati (senza nulla togliere agli altri dirigenti), non possono essere privi della contezza su ciò e su quanto si va modificando o aggiornando.
5) Il Centro Polifunzionale per le persone cieche con minorazioni aggiuntive ha in questi mesi mosso i primi, faticosi, ma significativi passi: è stato salvaguardato il finanziamento pubblico a suo tempo ottenuto (cosa, come si sa, non scontata); con procedure pienamente trasparenti è stata acquistata una sede idonea, che, e sempre in piena trasparenza, verrà adeguata alle esigenze del Centro. Il Centro Polifunzionale di Alta Specializzazione rappresenterà la sfida dei prossimi anni, per la nostra Associazione così come per la Federazione delle Istituzioni pro Ciechi: occorreranno capitale umano, risorse economico-finanziarie, nonché una forte condivisione associativa nella consapevolezza che esso potrà rappresentare un punto di riferimento per gli utenti e per le loro famiglie.
6) Una associazione forte e riconosciuta come la nostra dovrebbe aprirsi alla solidarietà globale. In continenti diversi dal nostro, in condizioni di sottosviluppo, il numero dei ciechi è sicuramente altissimo e le condizioni di vita, di istruzione, sanitarie e lavorative, sono molto difficili. La conquista dei diritti fondamentali è lì ancora assai lontana e, allo stato delle cose, non facilmente attuabile per le motivazioni che ognuno può comprendere. Tuttavia bisognerebbe intraprendere delle azioni solidali e di sostegno alla emancipazione dei ciechi, unitamente ad organizzazioni presenti su quei territori, azioni che possano alimentare il sogno di una vita migliore. Non so bene cosa suggerire, ma auspico che questa mia proposta possa trovare accoglienza ed essere materia di approfondimento comune.

A chi condivide queste poche riflessioni, a chi ha apprezzato il mio operato nell’Associazione, chiedo un riconoscimento in Congresso con l’espressione di voto favorevole alla mia candidatura.

Annita Ventura

Per contatti:
cell. 348 65 86 086
e-mail ventura.annita@gmail.com

Presidenzialismo o democrazia rappresentativa? Riflessioni per una scelta responsabile, di Nicola Stilla

Autore: Nicola Stilla

Avvicinandoci alla celebrazione del 23° Congresso nazionale dell’Unione, crediamo non sia più rinviabile da parte nostra, cercare di ragionare e riflettere pacatamente ed una volta per tutte, su come si debba inquadrare correttamente il delicato tema afferente la promozione delle candidature alle diverse cariche associative. Il fulcro del problema ruota attorno alle modalità di ricercare in modo trasparente il consenso da parte dei candidati alla presidenza e al consiglio nazionale.
Una riflessione sollecitata anche dai numerosi ed accorati appelli del Presidente nazionale orientati nel merito da un’aperta e aspra polemica afferente alla prassi di formare alleanze tra diverse aree regionali.

Nell’intento di porre la questione in termini chiari e rispettosi della buona fede di tutti, si possono evidenziare alcuni punti fondamentali:
ogni candidato si presenta per essere eletto con il maggior consenso possibile;
il candidato per essere eletto deve ottenere il maggior numero possibile di voti;
in sede congressuale è normale che i candidati si contendano il voto dei delegati ricercando consenso e alleanze.

Ricercare i voti è prassi assolutamente fondamentale e legittima per chi si candida a una carica, mediante campagne elettorali (non campagne acquisti) secondo un percorso democratico che si può così sintetizzare:
a) è perfettamente legittimo che un organo associativo del territorio proponga e sostenga la candidatura di una personalità di fiducia;
b) lungi da qualsiasi intento spartitorio, è perfettamente legittimo da parte di un gruppo di delegati  presentare apertamente e formalmente la richiesta ad altre delegazioni di far convergere il proprio sostegno su un candidato, sul suo programma  e sulla sua strategia associativa;
c) è del tutto ovvio e indiscutibile che, di là da ogni linea concordata, il voto di ogni delegato deve essere assolutamente e insindacabilmente libero;
d) ricercare alla luce del sole il consenso condiviso dei congressisti è un diritto inalienabile dei candidati che vogliono costituirsi una solida base democratica.

Ciò premesso, sembra ragionevole sostenere che per realizzare un’attiva partecipazione all’agone democratico, un simile percorso possa essere legittimamente scelto da chi ne abbia titolo, essendo stato chiamato democraticamente a rappresentare gli iscritti (democrazia rappresentativa).
Allo stesso modo, è ragionevole che siano valutati con uguale attenzione progetti e proposte di autocandidatura, le quali, peraltro, per ottenere consenso non potranno sottrarsi alle logiche di ogni congresso, la ricerca dei voti, magari non attraverso le interlocuzioni con le delegazioni, ma grazie al sostegno di personalità variamente influenti nelle diverse aree regionali.
Allargando l’orizzonte sul tema della democrazia rappresentativa, assistiamo da tempo a un quadro sociale e politico caratterizzato da una crisi diffusa dei corpi intermedi della rappresentanza sociale e dalla crescente sfiducia nella classe politica, che ha ridato vigore al pervicace ricerca del leader carismatico capace di realizzare ciò che alla prassi democratica è precluso. A nostro parere un uomo solo o una ristretta squadra al comando non sono garanzia di buona politica, come dovrebbe essere chiaro a tutti dopo anni di cattiva politica e mala amministrazione.

Presidenzialismo e leaderismo si fanno sentire ormai anche nella nostra associazione, in particolare nella proposta di statuto predisposta dall’apposita commissione e sottoposta al giudizio del corpo associativo.
Al contrario, il buon senso e la ragione dovrebbero indurci a salvaguardare nella nostra Unione il tradizionale e prezioso confronto democratico e il valore della rappresentanza associativa costruita con l’esperienza di una lunga prassi democratica e statutariamente incardinata soprattutto nei consigli sezionali e regionali.

Nicola Stilla

Candidatura al Consiglio nazionale: 1- Quale Consiglio?, di Giovanni Taverna

Autore: Giovanni Taverna

La mia decisione di presentare la candidatura al Consiglio nazionale ha origine da due decenni di attività a contatto con i soci, prima come volontario, poi come consigliere e presidente sezionale. Da questa esperienza quotidiana, fatta di successi, frustrazioni, situazioni individuali talora allucinanti, ho tratto la precisa conclusione che l’esistenza dell’intera nostra organizzazione a partire dai livelli nazionali deve avere al centro della propria attività il sostegno e l’operatività massima delle sezioni territoriali. Prioritariamente bisogna garantire che la sezione territoriale, sotto qualsiasi forma denominata ora o in futuro, sia messa nelle migliori condizioni di funzionalità, per essere a disposizione totale dei soci, senza dover perdere ore e ore di lavoro per bilanci bizantini, burocrazie barocche et similia. E’ altrettanto fondamentale si garantisca che i dirigenti sezionali siano sempre disponibili al rapporto diretto con i soci e non rinchiusi in fumose torri d’avorio che spesso servono solo a massaggiare l’ego di se stessi e a coprire una sostanziale incompetenza di fronte alle domande dei soci. Per fortuna le difficoltà economiche delle sezioni stanno spazzando via questi ultimi atteggiamenti, ma nel recente passato non era difficile dover affrontare un colloquio col presidente di sezione organizzato come se si dovesse incontrare il Vescovo o il Prefetto. La presentazione della candidatura ha avuto però anche l’effetto di farmi riflettere in via prioritaria sulla funzione e il funzionamento del Consiglio nazionale, ancor prima di parlare di programmi concreti da proporre a voi e ai delegati. “qui incomincian le dolenti note a farmisi sentire…”. Passatemi la quasi parafrasi e scusate se faccio un passo indietro. Lo statuto, sia il vecchio sia la bozza nuova, delinea precisamente ruoli e compiti della dirigenza nazionale: presidenza nazionale e direzione nazionale hanno in sostanza il potere esecutivo, il consiglio nazionale ha il potere programmatorio e propositivo. Ovviamente è banale affermare che questa divisione dei compiti non è così secca e cruda, in quanto è auspicabile che il presidente nazionale abbia una sua visione della funzione dell’associazione e delle sue esigenze, come pure i membri della direzione nazionale; quindi è del tutto accettabile e fruttuoso che anche da queste fonti vengano proposte e suggerimenti concreti. Resta il fatto che la funzione propositiva deve costituire la maggior parte del lavoro del consiglio. Ora, se questo prescrive la norma occorre dire che da quando sono presente in associazione la sensazione è stata ben altra. Infatti ho percepito nella realtà che la presidenza nazionale e la direzione assorbivano totalmente sia il potere esecutivo che quello propositivo, riducendo il consiglio a mero strumento di approvazione formale di decisioni che avevano luogo in ambienti del tutto diversi. Ripeto , che alcune proposte vengano dalla presidenza o dalla direzione nazionale è del tutto legittimo è opportuno , ma non è per nulla opportuno anche se vagamente legittimo far assurgere tale comportamento a sistema. Questo andazzo è a mio parere anche dimostrato da alcuni fatti, in particolare dal funzionamento delle varie commissioni tematiche nazionali, burocraticamente formalizzate ad ogni tornata congressuale ma ridotte , pur con rare e lodevoli eccezioni a simulacri inconcludenti. Ma come aspettarsi qualcosa di diverso se si sa da decenni che, di fatto, chi fa proposte è sempre e comunque la Presidenza nazionale o la Direzione? Quante sono state le proposte di commissioni portate in Consiglio nazionale fino al marzo 2014?Temo che la risposta possa essere deludente, ma sarei lietissimo di essere contraddetto da numeri e fatti, soli argomenti accettabili. Da vecchio medico non posso però fermarmi alla descrizione dei sintomi, ma devo anche avanzare una diagnosi sulla patologia che ne è responsabile. La diagnosi a mio parere è evidente: questo strisciante sovvertimento della norma di diritto e la prevalenza di una norma di fatto del tutto diversa è dovuta alla composizione attuale del consiglio. Anche qui ha preso piede una sorta di legislazione di fatto per la quale i consiglieri nazionali sono determinati non dalla libera candidatura di persone con i loro valori e le loro competenze, bensì da accordi extra statutari congressuali tra presidenti regionali i quali , usando una specie di manuale Cencelli de noartri, badavano solo che i venti componenti fossero puntigliosamente ripartiti geograficamente in base al peso congressuale delle regioni che garantivano contemporaneamente la maggioranza per l’elezione del Presidente nazionale. Chi era dentro era dentro e chi era fuori restava fuori. Stesso meccanismo veniva usato anche per la nomina della Direzione nazionale , ovviamente. Lo Statuto non prevede nulla di tutto questo, ma per decenni esso è stato più o meno tacitamente, sostituito, con uno Statuto di fatto che ha ottenuto questi risultati. Il meccanismo è emerso chiarissimamente nel Congresso 2010 nel quale i risultati delle elezioni del Consiglio nazionale sono stati con evidenza figli di questo sistema per lo meno estroso di interpretare lo Statuto. Dal sistema elettorale di fatto emergeva però un Consiglio che non poteva essere composto da altri che da singoli individui, che rappresentavano se stessi o al massimo la regione di origine, senza alcuna modalità di valutazione da parte degli elettori sulle competenze di ciascuno di loro e senza alcun potere reale di proporre autonomamente atti od iniziative ritenute opportune per l’Associazione. D’altronde in queste condizioni di frantumazione dei componenti elettivi non si capisce come si sarebbe potuto ottenere una approvazione di una deliberazione proposta da un singolo consigliere senza che fosse stata prima vagliata da chi aveva fatto in modo che tale consigliere sedesse a quel posto. Attenzione! Conosco degnissime persone con eccellenti competenze che, malgrado questo pasticciaccio elettivo hanno fatto parte e fanno parte del Consiglio e della Direzione, ma alla luce di quanto descritto il fatto appare più frutto di fortuna per l’associazione e mi permetto di pensare cosa sarebbe potuto essere se anche poche persone di questo valore avessero potuto lavorare senza lacci e lacciuoli del genere descritto. Per verità devo riconoscere che l’elezione di Mario Barbuto nel marzo 2014 potrebbe rappresentare l’inizio di una maggior considerazione dei consiglieri circa le loro funzioni generali, ma occorre che questo episodio non resti una rara avis nella storia associativa. Per deformazione professionale, alla diagnosi segue la terapia. La mia proposta susciterà certamente le ire di qualcuno e probabilmente mi verrà rappresentata la necessità di salvaguardare l’unità associativa e dei suoi vertici, con aggiunta quasi certa della ulteriore considerazione che tutti i consiglieri nazionali sono lì “per il bene dell’Unione” e altre preziose massime filosofiche similari. Affermo che tutta questa serie di principi per me è scontata in chiunque assuma cariche associative, ma che oltre agli onorevoli principi di unitarietà e considerazione del bene associativo occorre anche permettere agli organi nazionali di lavorare al meglio delle condizioni previste dallo statuto. In primis il Consiglio deve recuperare le proprie funzioni propositive. Se fosse già attivo il nuovo Statuto la soluzione sarebbe semplice: si presenta una lista di candidati al Consiglio collegata alla candidatura di un Presidente nazionale, unitamente ad un programma condiviso che , in caso di vittoria, diverrà il programma di lavoro della maggioranza del Consiglio, senza escludere che anche la lista o le liste risultate minoritarie possano dare il loro contributo in Consiglio proponendo modifiche od aggiunte. Ma tutto questo può essere realizzato tra 5 anni se verrà approvato il nuovo Statuto. Dubito che la nostra Associazione possa permettersi questo lusso. Tra l’altro, la splendida iniziativa attuale della libertà di candidatura se da un lato permetterà di mettere in non cale il manuale Cencelli della divisione per territori, non dà però molte garanzie sulla possibile omogeneità di proposte da parte dei consiglieri. Non sto parlando di arrivare a tutti i costi in Congresso con una maggioranza consiliare già precostruita ma ritengo del tutto auspicabile, trasparente e legittimo che alcuni gruppi di candidati si possano riconoscere in alcuni temi programmatici da portare in Consiglio se eletti e portino a conoscenza di tutti sia il possibile programma sia i nomi di chi si impegna a sostenerlo Non . sarebbe certo una formula perfetta, ma almeno metterebbe in condizione i consiglieri eletti di non doversi presentare al Consiglio ciascuno con un programma diverso da tutti gli altri 40 e passa componenti.
Giovanni Taverna

Mia candidatura al Consiglio nazionale dell’Associazione, di Eugenio Saltarel

Autore: Eugenio Saltarel

Nel 2010, col sostegno del Consiglio Regionale Ligure, avevo provato a candidarmi sempre a questo incarico e, non essendoci riuscito allora, ho pensato di riprovare oggi. Gli eventi di quell’anno hanno portato alla nascita di un Movimento che si è definito di Rinnovamento all’interno della nostra Associazione; Movimento del quale sono stato nominato Coordinatore, carica che ricopro tutt’ora. Ho redatto il mio curriculum in stile freddamente burocratico perché è lo stesso che ho utilizzato fino a ieri durante tutto il mio percorso di vita e non ritengo giusto modificarlo, ma piuttosto aggiornarlo, se vorrete leggerlo penso capirete meglio chi sono e cosa ho fatto fino ad oggi. A completamento però aggiungo alcune considerazioni che spero permetteranno di conoscermi meglio e, di conseguenza, giudicarmi idoneo o meno a ricoprire l’incarico cui mi candido; infatti la formazione della mia vita è passata attraverso alcuni momenti:
l’Istituto Chiossone di Genova mi ha formato al suo interno, permettendomi di acquisire la cultura che mi ha sostenuto durante tutta la vita; la frequenza delle scuole superiori presso un Istituto Privato gestito dai Gesuiti ha caratterizzato la mia formazione religiosa: inizialmente profondamente cattolico e impegnato, successivamente agnostico, oggi profondamente credente in rapporto principalmente con Chiese Evangeliche. Gli amici e la frequenza dell’università mi hanno permesso di svolgere un ruolo attivo nella trasformazione dell’Istituto Chiossone a partire dai fatti del 1971 culminati nell’intervento della polizia il 5 marzo e nella riassunzione grazie all’intervento dei Consigli di Fabbrica in ottobre di tutti gli allievi espulsi, tra cui anche il sottoscritto. L’impegno di allora continua tutt’oggi. La frequenza dell’Unione e i vari incarichi che vi ho ricoperto e ricopro, mi hanno permesso di lavorare attivamente anzitutto per me, e successivamente per tutti gli altri amici e soci. Aver lavorato parecchi anni in Comune a Genova come funzionario direttivo mi ha permesso di conoscere a fondo la macchina burocratica e di capire come in parecchi casi si poteva eluderne la paralisi per realizzare servizi utili alla collettività.
Sulla base di queste esperienze mi sembra importante, per farmi conoscere meglio, cercare di esporre come mi piacerebbe poter lavorare all’interno del consiglio nazionale. Per prima cosa credo sia necessario che si arrivi a fare squadra per poter raggiungere gli obiettivi che vorremo raggiungere: fare squadra è un risultato difficile da raggiungere perché significa riuscire a collaborare pur avendo idee diverse, prospettive diverse e, spesso, culture diverse da cui proveniamo. La buona riuscita di ciò soprattutto dipende ovviamente dalle figure del presidente e del vice, ma tutti dobbiamo collaborarvi. Anche l’Unione, come tutte le organizzazioni, ha bisogno di un vertice compatto che possa essere convincete sia all’esterno che all’interno.
L’altro elemento da privilegiare, a mio avviso, è il rapporto col resto della società: le altre associazioni ed organismi di e per disabili, ciechi e ipovedenti compresi, devono poter trovare in noi uno strumento di collaborazione per raggiungere insieme obiettivi comuni, soprattutto in questo periodo in cui molte delle nostre conquiste vengono messe in discussione e spesso, per poterlo fare, veniamo messi l’uno contro l’altro. Allo stesso modo il discorso vale su scala più ampia con il resto della società civile: chi opera nella sanità, nella scuola, nel mondo del lavoro, nei settori sociale e assistenziale ha spesso problemi uguali ai nostri (necessità di prevenzione, cure adeguate, assistenza scolastica, integrazione scolastica e lavorativa, possibilità di condurre una vita degna di questo nome; se questi obiettivi possono essere comuni, allora anche la strada per raggiungerli può essere fatta insieme. Ovviamente non potremo essere tutti e sempre d’accordo, ma credo sarà molto utile anche a noi in questo caso scoprire le ragioni e le dimensioni delle differenze, confrontarvisi e, se proprio non sarà possibile, perché dovrebbero essere sacrificati nostri progressi raggiunti con tanto sforzo, avere chiaro il perché i modo da poterci comportare per conseguenza. Non scendo volutamente nei singoli settori che ho appena nominato, ma i documenti che in questi ultimi anni abbiamo elaborato come Movimento di Rinnovamento penso possano essere sufficienti a chiarire le mie prospettive in questa direzione.
Poi sono convinto che per poter raggiungere gli obiettivi che ci porremo, per poter far fronte alle situazioni difficili che già oggi non ci mancano e per poter progredire sulla strada di una nostra sempre maggiore integrazione sociale è necessario poter disporre di un’organizzazione che eufemisticamente definirei al passo coi tempi: questo significa maggiore trasparenza possibile, riduzione al minimo del cumulo delle cariche, incentivo a un continuo rinnovamento non solo di persone, ma anche di idee e di strumenti per dar loro gambe, la realizzazione di uno statuto che aumenti le potenzialità di tutti i livelli associativi, garantisca il massimo di democrazia e di coinvolgimento di soci, loro rappresentanti, nostro personale e nostri amici e collaboratori.
In fine, al momento di porre questa candidatura, mi viene spontanea una domanda cui cercherò di abbozzare una risposta: qual è oggi il senso di una associazione come la nostra? Perché soprattutto molti giovani (e io ho anche fatto parte di queste persone nel tempo) possono pensare che proprio per il fatto di ritrovarci in una associazione di ciechi ciò significhi un ostacolo alla nostra integrazione sociale? Io sono convinto che questo rischio esista davvero e che, se crediamo nei fini per cui l’Unione è nata, dobbiamo evitarlo a tutti i costi. Da un lato penso che si debba tentare ogni strada per aprire vie al nostro poter stare con chi vede, essendo però considerati alla pari: Ognuno, vedente o no, fa quello che può e che sa per aiutare gli altri. In secondo luogo le iniziative specifiche che realizziamo (corsi, gite, manifestazioni varie) devono poter essere aperte a tutti, soci e non, vedenti e non, ovviamente là dove ciò è possibile. In terzo luogo non vanno trascurate quelle iniziative che sicuramente non interessano chi vede (il corso di alfabetizzazione al computer, per esempio, interessa i vedenti magari solo per curiosità, ma diversamente non è necessario sia loro aperto). In fine credo sia importante incoraggiare la possibilità di esprimere, soprattutto a livello di volontariato, la nostra capacità di intervento nei diversi settori del sociale, dello sport e della cultura, non trascurando di offrire anche all’interno dell’associazione la possibilità di incarichi in questi ed altri settori più o meno retribuiti.
Ovviamente resto a disposizione per approfondire questi ed altri argomenti attraverso tutte le modalità che mi verranno offerte: potete contattarmi, leggere anche altri interventi che potrò scrivere, ascoltare le trasmissioni della nostra radio.

Eugenio Saltarel
E-mail: saltarel@alice.it;
cellulare: 329-88 21 737.