Amarcord come mi accolse l’UIC oltre 50 anni fa, di Carlo Carletti

Autore: Carlo Carletti

All’età di 18 anni, nel 1961, un pallone di cuoio, inzuppato di acqua che cadeva in abbondanza sul campo di calcio, mi ha colpito violentemente sul viso, creandomi un forte intontimento, tanto da dover interrompere la partita. Successivamente, una nebbia offuscava la mia vista. Gli oculisti dell’Ospedale S. Orsola di Bologna, hanno accertato una forte emorragia retinica in entrambi gli occhi e un disastroso distacco di retina nell’occhio sinistro. Fin da bambino già mi era stata riscontrata una miopia piuttosto elevata, ma la correzione con le prime lenti a contatto sembravano avermi risolto il problema visivo, tanto da farmi dimenticare alcuni anni, trascorsi come ipovedente, presso l’Istituto G. Garibaldi di Reggio Emilia e di farmi illudere di poter consolidare il mio avvenire di calciatore, insieme al lavoro quale modellista per calzature, nel quale mi ero specializzato.. La dura realtà che mi hanno prospettato gli oculisti mi ha tolto ogni speranza per il futuro. Per un lungo periodo di tempo, ho voluto comunque tentare interventi e cure seguendo il detto che la speranza è l’ultima a morire, ma il susseguirsi degli insuccessi, mi ha portato lentamente e dolorosamente alla rassegnazione. La cecità nella mia famiglia, non rappresentava una novità, in quanto mio fratello di 6 anni più grande di me, era cieco a causa di un glaucoma . Dopo un ulteriore periodo di tempo, durante il quale ritenevo impossibile e inutile anche la mia esistenza, mio fratello e altri suoi amici non vedenti dell’UIC di Pesaro, mi hanno gradualmente aperto l’orizzonte per ricominciare una nuova vita. Per mia fortuna, ho recuperato un piccolo residuo visivo da un occhio, che ha ulteriormente favorito la mia rinascita. Seguendo la via intrapresa alcuni anni prima da mio fratello, ho più volte presentato domande per essere ammesso a frequentare un corso per Centralinisti telefonici, ma non venivo accolto a causa della mia giovane età e per l’alto numero degli aspiranti. Ho rappresentato all’On. Flavio Orlandi, parlamentare di riferimento della Federazione del PSDI di Pesaro, che frequentavo, la mia esclusione dai corsi per centralinisti, e che per tale ragione non potevo aspirare ad un posto di lavoro compatibile con la mia invalidità. Dopo pochi giorni, lo stesso On. Orlandi, mi ha invitato ad andare a Roma a presso il Ministero del Lavoro , dove ho potuto esporre i miei problemi all’On Anselmo Martoni Sottosegretario di quel Ministero, che autorizzava e finanziava lo svolgimento dei Corsi per Centralinisti in tutta Italia. Fui informato che un Corso si sarebbe svolto a Roma presso la sede dell’UIC, presso la quale avrei dovuto subito presentare domanda. Mi sono recato lo stesso giorno in via Quattro Fontane, dove aveva sede la Presidenza Nazionale dell’UIC. Ho avuto la grande fortuna di essere accolto dal prof. Piero Bigini, un uomo straordinario per la sua umanità e disponibilità. Il colloquio è durato oltre un ora e al termine siamo andati al Bar a prendere un caffè. Questo grande uomo era totalmente cieco ed io con il mio traballante residuo visivo l’ho accompagnato e Quando ci siamo lasciati mi ha chiesto di andarlo a trovare quando potevo. Mi ha anche  informato che la sede dove avrei dovuto presentare la domanda era la Sezione interprovinciale di Roma. Sicuramente la segnalazione del Sottosegretario fu determinante perché fossi ammesso al corso, che si svolgeva di pomeriggio. Tale orario mi permetteva di recarmi di mattino a trovare il prof. Bigini, con il quale ho potuto gradualmente instaurare un rapporto di reciproca stima e fiducia, tanto che più volte ha utilizzato il mio residuo visivo anche per essere accompagnato presso la Camera dei Deputati dove trattava e sollecitava i provvedimenti in favore dei ciechi. Un giorno mentre mi trovavo nell’ufficio del prof. Bigini, si affacciò sulla porta un signore alto e robusto che salutò in modo molto amichevole il prof. Bigini, il quale a sua volta ricambiò il saluto, dicendogli : ben arrivato Presidente, sono a colloquio con un giovane non vedente, ma sarò subito da te. Il Presidente, prof. Paolo Bentivoglio, mi volle conoscere facendomi molte domande e chiedendomi come ero capitato in Via Quattro Fontane. Si è seduto accanto a me, che emozionatissimo gli raccontavo la mia storia. Il prof. Bigini disse che mi aveva più volte sperimentato e che ero uno sul quale si poteva fare affidamento e che mi faceva onore il fatto che mettessi a disposizione di chi era cieco totale il mio residuo visivo. Il Presidente allungò una mano e mi strinse un braccio e costatata la mia magrezza, mi disse che avrei dovuto mangiare di più, perché in quelle condizioni nessuno mi avrebbe preso nella giusta considerazione. Ridendo e alzandosi in piedi, mi disse: guarda me, il solo mio volume incute rispetto nell’interlocutore. Nel salutare disse: gli amici di Piero sono anche miei, ma bada bene, è risaputo che io non ho il buon carattere di Piero. Successivamente ho avuto molti altri incontri con il prof. Bigini ed anche con il Presidente, spesso mi hanno reso partecipe delle problematiche che stavano affrontando, perché mi mostravo molto interessato ed ero abbastanza introdotto in alcuni ambienti politici. Ho avuto anche l’occasione di accompagnarli al Ministero del Lavoro, proprio dal Sottosegretario Martoni, per sollecitare l’approvazione della nuova legge sul collocamento dei centralinisti. Fummo subito ben accolti e rassicurati sull’evolversi positivo dell’iter della legge che fu approvata il 5 marzo 1965. Frequentando la Sede Centrale dell’UIC, ho potuto conoscere anche il Vice, Generale Aramis Ammannato, ma più spesso i fiorentini Fucà, Baragli e Borrani e il milanese Dario Formigoni con il suo inseparabile sigaro. Un pomeriggio mi sono recato con i dirigenti nazionali dell’Associazione presso il Parlamento per sollecitare un provvedimento in favore della categoria. Al termine della giornata , sono stato invitato a restare a cena con tutti loro, Presidente compreso. Per la prima volta entrai nella trattoria da Guerra in via dei Serpenti e sono risultato essere l’unico sconosciuto per il sig. Guerra, il quale mi mise subito a mio agio e tra un piatto e un bicchiere, mi ha raccontato i molti avvenimenti di cui sono stati protagonisti i dirigenti dell’UIC, ed in particolare ricordava le furenti telefonate che il Presidente aveva fatto ai membri del Governo e al Ministro dell’Interno, On. Scelba, in occasione della marcia del dolore avvenuta nel 1954, da quel telefono a muro, postato sulla colonna al centro della sala. Mi diceva, che dovevo sentirmi orgoglioso di poter stare in compagnia di persone così importanti e così per bene. Lui non finiva mai di ripetere che si sentiva onorato di avere quali clienti tali magnifiche persone. In silenzio, ascoltavo i discorsi che i presenti facevano in merito ai problemi associativi che stavano affrontando .Ogni tanto , i più scherzosi Baragli e Formigoni chiedevano anche la mia opinione in merito a quanto veniva discusso, mettendomi in un evidente e terribile imbarazzo, che secondo loro potevo superare solo con un altro bicchiere di vino. Oggi, ricordo con una certa emozione il fatto che appena ventenne, possa aver avuto la fortuna di essere avviato alla vita dell’organizzazione guidato e sostenuto da uomini come quelli che ho incontrato in quel periodo e con i quali ho continuato a collaborare sempre più attivamente. I rapporti si sono purtroppo interrotti con Il Presidente Bentivoglio. L’ultima volta che l’ho incontrato è stato nel mese di ottobre del 1965 in Via Quattro Fontane, era in procinto di rientrare a Bologna, e nel salutarmi mi disse che aveva appreso con soddisfazione della mia recente assunzione presso il Credito Italiano e che per tale ragione mi sarei stabilito a Roma. Poi, stringendomi la mano, aggiunse, che anche se lontano da casa hai trovato, comunque nell’UIC una famiglia che non devi trascurare, nonostante il lavoro . Il Presidente Bentivoglio che aveva un carattere un po’ difficile e che spesso appariva scontroso e assai burbero, in quell’occasione mi sorprese per il modo semplice e umano con il quale mi aveva parlato. Ho molto sofferto in occasione della sua scomparsa avvenuta due mesi dopo. Ho vissuto portando dentro di me non solo il ricordo, ma credo qualcosa di molto più importante. Ho vissuto una esperienza che a condizionato positivamente la mia esistenza. Conservo intatto il senso della dignità che mi hanno fatto provare, per primi, il Presidente Bentivoglio e il prof. Bigini, nell’affrontare i momenti più difficili. La credibilità, la convinzione e la tenacia con la quale, questi UOMINI hanno combattuto il pregiudizio e la pietà per dare dignità e diritti alla vita di tutti i ciechi sono un valore del quale ognuno di noi ha tratto tutti i vantaggi anche attuali. La necessità di conservare, di alimentare e di far conoscere la storia dell’UICI, le motivazioni l’abnegazione e le qualità di coloro che l’hanno resa grande, è un doveroso impegno per la nuova dirigenza. Senza la conoscenza dell’ appassionante storia , della nostra Associazione ,i giovani non potranno affezionarsi e dare un futuro all’UICI. Si potrebbe iniziare con l’apertura dell’archivio, mettendo a disposizione apposite borse di studio per giovani che effettuino ricerche e ne illustrino i risultati anche in appositi seminari., aperti ai giovani , dirigenti e soci.