In questi giorni si è sviluppato un minimo di dibattito sulla politica associativa, dal quale ho tratto la necessità di una riflessione su il “fatto” e il “percepito”.
Il Presidente e alcuni dirigenti, intervenuti nel dibattito, hanno sottolineato quanto sin qui fatto in termini di innovazione e, in particolare, quanto ci sia intenzione di fare per il necessario rinnovamento di questa nostra unione.
Da quanto emerso ho però rilevato come ci sia un divario tra quanto fatto e quanto percepito in termini di rinnovamento: ho già avuto modo di sottolineare la mia preoccupazione per l’assenza da tempo di un reale dibattito associativo, la stessa lista “UICICongresso”, sede di accesi dibattiti precongressuali, proseguiti all’inizio del nuovo mandato presidenziale, ha smesso di essere un luogo di confronto di idee. Eppure il Presidente sembra rimarcarne l’importanza, quando, in un recente messaggio inviato alla stessa lista, scrive: …”Certo, la grande riforma deve ancora cominciare… Quella che restituirà forza di attrazione alle sezioni; consentirà una riorganizzazione efficiente, guidata dalle Regioni; produrrà maggiori e migliori strumenti di azione per la dirigenza nazionale; rimetterà in moto la passione dei soci e dei rappresentanti; darà spazio maggiore alle aspettative degli ipovedenti e ai diritti delle persone con pluridisabilità; porterà finalmente le nostre ragazze e i nostri ragazzi a impadronirsi del proprio destino e lavorare per offrire all’Unione quella dirigenza numerosa, capace, orgogliosa, libera, consapevole, diffusa e radicata in ogni angolo d’Italia.
Da dove avrà principio questa riforma? Dai soci, dal territorio, dalle sezioni, secondo me.” Per poi concludere: “Scorciatoie non ve ne sono. La strada del rinnovamento profondo e generale è questa!”.
Un messaggio che evidenzia come le cose da fare siano ancora molte, ma soprattutto come un reale rinnovamento non possa avvenire se non partendo dai soci e per farlo occorre che quanto scritto dal Presidente diventi patrimonio comune e condiviso ed altrettanto comuni e condivisi gli obiettivi indicati e, questo non può avvenire senza un dibattito associativo.
Viceversa, quello che si verifica all’interno dell’associazione da parte dei soci è un “silenzio assordante” il che, unito alla loro costante diminuzione, deve stimolare tutti noi a fare molta attenzione al “percepito” di quanto fatto e proposto dall’U.I.C.I..
Chiunque si sia interessato di comunicazione, sa che quando si comunica è fondamentale, verificare non già il “detto”, ma il “percepito”. Tuttavia io non scomoderò gli esperti di comunicazione, ma mi servirò di esempi tratti dalla mia esperienza diretta.
L’unico mestiere che credo di aver imparato a fare nella mia vita è quello del docente e proprio da questa esperienza ho tratto un importante insegnamento: non sono io che, dopo una lezione, devo compiacermi dicendomi “Ho fatto una bella lezione”, ma sarà la percezione che i discenti ne avranno avuto ed il loro coinvolgimento sugli argomenti trattati a dirmi se è stata una bella lezione. L’importante per un insegnante è imparare ad “ascoltare” gli allievi, a non bloccare mai le loro domande, a cogliere il “clima” della classe. Non servirà a nulla dire alla fine di una lezione fatta “senza ascolto” se qualcuno ha qualche domanda da fare: nessuno chiederà nulla. Questo esempio vale per la valutazione della comunicazione all’interno della nostra associazione, dove, se la comunicazione non arriva non serve “bacchettare”, serve capire come fare a farla arrivare meglio. Un esempio, è vero che sul giornale UICI vi sono i rendiconti delle Direzioni e dei Consigli Nazionali (io sono uno che se li va a leggere), ma constatato che molti non fannoo lo stesso, perché non pubblicare i rendiconti in modo più formale con un Comunicato? Ovviamente è solo un banale esempio. Un dato è certo qualcosa non ha funzionato nella comunicazione tra Dirigenti Nazionali e Dirigenti locali e tra questi e i soci, se nessuno sente più la necessità o, peggio, l’utilità di un confronto.
La comunicazione verso l’esterno poi non ha funzionato meglio: la continua diminuzione di soci, non va interpretata come un fatto ineluttabile, ma piuttosto come la nostra incapacità di “attrarre”. Il crudo linguaggio dei numeri ci dice: nel nostro paese ci sono oltre 350.000 ciechi assoluti (dati INPS) e circa un milione e mezzo di ipovedenti, possibile che non si riesca ad incrementare un numero di soci che rappresenta ormai solo un misero 3% (sì avete letto bene tre per cento) di quelli potenziali. Questo è il problema dei problemi al quale dobbiamo tutti porre la massima attenzione e dedicare le nostre energie, secondo una strategia condivisa, diversamente, con questi numeri, sarà sempre più difficile rivendicare il nostro diritto di rappresentanza dei disabili visivi.
Certamente molto è stato fatto sulla via del rinnovamento, ma non dobbiamo nasconderci neanche quelle carenze che non sono solo di comunicazione. Traggo un esempio concreto da un settore chiave, che mi sta particolarmente a cuore: quello della formazione. Quest’anno, per tutta una serie di circostanze, sono stati nominati oltre 30.000 docenti di sostegno senza alcuna preparazione, (una vera emergenza di formazione tiflopedagogica), orbene, né l’U.I.C.I., né gli enti collegati, hanno avuto la capacità di proporre a livello nazionale iniziative utili alla loro formazione. Non sono valse neanche sollecitazioni in tal senso: all’ODG, nel quale si segnalava questa emergenza e si chiedeva di finanziare (in mancanza di meglio) almeno quale intervento “tampone” brevi corsi a livello regionale di informazione/formazione tiflopedagogica, approvato dall’Assemblea dei Quadri Dirigenti del Piemonte tenutasi ad inizio ottobre sulle tematiche dell’istruzione, e inviato alla Direzione Nazionale, non è stato dato alcun riscontro, come se nessuno l’avesse ricevuto.
Spero che questo mio contributo serva a “provocare” un dibattito costruttivo: ormai ci stiamo velocemente avvicinando al Congresso del centenario, un’occasione da non perdere per una nuova rinascita associativa.