Siena – Visto! N. 10 marzo 2016

Periodico di informazione della sezione di Siena – numero 10 – marzo 2016

Direttrice responsabile: Susanna Guarino
Registrazione Tribunale di Siena n. 3 del 5/8/2014.

Con il contributo di: ESTRA

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PERSONAGGI: Intervista ad Aleandro Baldi Non amarmi “perché vivo all’ombra”
Aleandro potresti raccontare la tua avventura musicale e soprattutto quanto è stato importante per te la partecipazione e la vittoria a Sanremo?
“La mia avventura musicale è cominciata da quando mi sono accorto di avere la passione per la musica. Passione che ho scoperto già da quando avevo i primi pianoforti giocattolo, le prime chitarre. Poi si è unita la mia curiosità di volere sperimentare, di voler provare cose nuove, di voler sempre in qualche modo aggiornarmi, acculturarmi sulle novità. Questo mi ha portato a studiare la chitarra, a inseguire il sogno di voler frequentare il conservatorio; un sogno che si è potuto realizzare solo dopo Sanremo.
Credo che la partecipazione al festival di Sanremo non sia un traguardo ma semplicemente una delle tante promozioni discografiche, anche se oggi credo sia rimasta l’unica opportunità per la crisi che c’è in Italia. E’ stata un’esperienza importantissima perché è stata emozionante, determinante e perché per ogni artista, come si suol dire, dà il là all’inizio di una carriera oppure la fine. O te la crea o te la stronca.
In quel momento percepisci che la tua vita artistica si gioca tutta lì. Ma la vita artistica non è solo Sanremo, un artista non deve pensare solo a stare su un palco di fronte a tanta gente o di fronte ai teleschermi, ma pensare anche a quello che vive, a quello che scrive e a quello che gli rende emozione, l’emozione che si può incontrare nella vita di tutti i giorni”.
Ci racconti un episodio di quel festival.?“Di Sanremo ne ho fatti cinque e di episodi ce ne sono stati tanti. Quindi l’esperienza non è solo quella dei due vincenti ma di tutti e cinque. Ovviamente in quelli che ho vinto ci sono stati bei tributi. L’esperienza che posso raccontare più bella è quella di avere i complimenti dalle persone che prima vedevo come divi, e che mai avrei creduto di raggiungere: Sandro Ciotti, Fabrizio De Andrè, Modugno, e tanti e tanti personaggi del mondo dello spettacolo.
Persone che mai mi sarei aspettato di incontrare mi facevano i complimenti.
L’esperienza che posso raccontare è quella del ’92 quando, alle prove, tutta la stampa diceva che saremmo stati eliminati. Il giorno dopo, invece, abbiamo avuto un grossissimo riconoscimento da parte del pubblico e da parte della critica, vincendo addirittura Sanremo”.
Nella canzone che più si ricorda di te c’era una frase che diceva “Non amarmi perché io vivo all’ombra”; cosa puoi dire ai lettori rispetto alla disabilità visiva e alla solidarietà che la gente dovrebbe dare alle persone più deboli, alla nostra organizzazione l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti?
“Questa frase riguarda una cosa alla quale io tengo molto che è il modo di amare. I modi di amare ce ne sono tanti, però ci sono dei modi sbagliati e dei modi buoni. Anche se si dice “io amo”, l’amore sbagliato a volte fa anche dei danni. Quindi “non amarmi perché vivo all’ombra” vuol dire non amarmi per qualche cosa che riguarda il mio stato ma per la persona, per quello che ti trasmetto. Molte volte quando si fa del bene, o delle opere di solidarietà, lo si fa per puro altruismo ma a volte per quello che nella psicologia è chiamata una proiezione di noi stessi: ci si immedesima in una persona non vedente o in una persona con una disabilità diversa e scatta la molla di fare del bene. L’amore vero, invece, è quello per la persona in quanto tale, nella sua totalità.
Quando tutti ci chiedono “ma fate delle feste di beneficenza?” rispondo con la battuta “io voglio vedere le persone in faccia” perché voglio amare le persone, voglio innamorarmi delle persone per come sono, per come vivono. Non fare della beneficenza, dando dei soldi che poi, a volte, ne va a scapito del lavoro stesso, a chi non conosco o a una persona perché la mantenga.
Quanti genitori, quanti papà soprattutto, dicono ai figli “ma io ti ho accudito” “sì ma io non ti ho visto come il mio papà, non mi hai cresciuto, non mi hai allevato”. L’amore è importante. Non amarmi per le proiezioni della coscienza, non amarmi perché non so, hai paura di andare all’inferno ma amami per quello che io sono, per quello che ti trasmetto”.
Chiudiamo con un appello di Aleandro Baldi ai lettori affinché sostengano l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti.
“Penso che il migliore appello che posso fare a tutte le persone, a quelle non vedenti e a quelle che vogliono avere un approccio con i non vedenti o con tutte le persone che hanno bisogno di un particolare aiuto sia: “ama la persona per quello che è e non per quello che per te potrebbe rappresentare”.
Quando avremo il tuo prossimo album?
“Sto creando…”.
L’intervista si conclude con l’invito a pubblicare il prossimo album insieme all’associazione.
Massimo Vita
È SINDACO DI CUNEO: Federico Borgna, il coraggio di mettersi in gioco
“Sono cieco ma guardo avanti”
In pochi possono vantare di essere diventati sindaco di una città di 60mila abitanti a soli 38 anni, specialmente se il primo cittadino, ripeto a soli 38 anni, ha un’esperienza che in pochi possono vantare. Ha iniziato già dai tempi della scuola: rappresentante di classe e poi di istituto. Poi assessore al bilancio, patrimonio e politiche sociali in un comune vicino a Cuneo e consigliere della Comunità Montana. Quando si candida alle elezioni regionali è il più votato della lista. E quando spariscono le Province, viene nominato dai colleghi dei comuni presidente provinciale. Una carriera brillante per chiunque.
Federico Borgna è cieco. Cieco totale. Adesso ha 42 anni ed ha iniziato ad avere problemi con la vista a 12, quando su di lui è calato un responso che non lasciava scampo: retinite. Gli ultimi bagliori di luce li ha lasciati sui libri dell’università, laurea in giurisprudenza. Poi c’è stata l’elettronica a supportarlo, e la capacità di entrare in empatia con la gente. Per l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti onlus è stato consigliere provinciale, poi consigliere regionale, presidente regionale e consigliere nazionale, nonché vicepresidente provinciale della Federazione delle associazioni nazionali disabili.
Conosce bene Siena e si definisce contradaiolo della Selva per il rapporto che la contrada ha con la città di Cuneo.
Sindaco come si rapporta con la sua disabilità?
“Da sempre porto avanti l’idea dell’integrazione vera. La vita è una gara sui cento metri, poi c’è chi porta uno zaino più leggero e uno più pesante. Chi porta lo zaino più pesante deve avere dei vantaggi, poi però, stabilite le regole, una gara è una gara. Quindi è giusto avere aiuti per l’autonomia, sussidi per l’integrazione scolastica, poi però ce la dobbiamo giocare. Questa è la regola base. Io sono stato una testa dura e lo devo ai miei genitori e all’Unione Ciechi, dove ho incontrato persone che mi hanno spiegato che portare il bastone bianco non è una vergogna e che è importante imparare ad essere autonomi nella
vita quotidiana perché ne avrei avuto un vantaggio”.? candidatura a sindaco di un non vedente come è stata vissuta dalla città?
“La mia candidatura a sindaco è nata in un contesto politico particolare, ed è stata un po’ a sorpresa. Oltretutto a Cuneo io vivo ma non ero conosciuto. Quindi, quando hanno deciso di candidare proprio me, il primo passo da spiegare era che un perfetto sconosciuto, fuori dagli schemi di partito, era pure cieco.
La prima cosa che abbiamo fatto è impostare la campagna elettorale sfidando la città, tappezzando la città di manifesti con la mia faccia e lo slogan “Cuneo guarda avanti”. Hanno pensato che fossi impazzito.
Da un sondaggio ad un mese dal voto si è visto che poca gente sapeva che ero cieco, e di coloro che lo sapevano il 10% mi avrebbe votato a prescindere, il 10% non mi avrebbe mai votato perché avere un sindaco cieco per un capoluogo di provincia è inconcepibile, e all’80% non importava niente della mia vista, voleva sapere solo il programma. Questo dimostra che la gran parte dei cittadini ti misura per quello che dici e per quello che fai, non per come sei”.
Ci sono comunque cose che lei, rispetto ad altri suoi colleghi, non può fare….
“Chiunque ha dei limiti, chi ha una disabilità ha dei limiti e infatti certe cose non posso farle, ma nessuno può fare tutto da solo. Ho una squadra, assessori e collaboratori. Nella vita bisogna anche sapersi far aiutare indipendentemente se uno abbia o no una disabilità”.
Questa sua forza, essere riuscito dove altri dicono ‘io non ce la potrò fare mai’, deve essere da spinta per chi si trova nella sua situazione?
“Se uno dice ‘tanto non ce la faccio’ è lui il primo a non volercela fare. Bisogna avere il coraggio di mettersi in gioco e quando ti metti in gioco devi sapere che puoi vincere o puoi perdere, ma vale per tutti, non solo per chi ha una disabilità. Di sicuro se uno le partite non le gioca non le può vincere, non perde ma non vincerà mai”.
Susanna Guarino
Wolfgang Fasser, l’esperto dell’invisibile che apre il mondo
Fisioterapista, scrittore, musicoterapeuta: “Ognuno di noi ha un contributo da dare”
Wolfgang Fasser, fisioterapista, musicoterapeuta, scrittore, custode di un eremo nel cuore del Casentino e, oltre a tutto questo, anche cieco.
Wolfgang, com’è arrivato a svolgere la professione di fisioterapista, che a volte molte persone non vedenti vivono come una costrizione?
“All’inizio per partire, per avere una professione di base con la quale potevo lanciarmi verso la vita, era un po’ una ricerca, provavo e sperimentavo un po’, fino a che sono arrivato a dire, ok la fisioterapia sarà la mia vita. E’ la mia vita. Non è facile, non era facile una volta e non è facile oggi, perché anche oggi non abbiamo così tante professioni a disposizione, ma io credo che alla fine il fattore più importante è se siamo capaci “di innamorarci in quello che stiamo facendo”. A me è successo così, perciò io dico: se non ho 30 professioni da scegliere, credo sia più importante saper “innamorarsi di quello che sto facendo”, quello che mi è possibile, di saper giocare bene la partita dentro ai limiti. Da qui sono partito. All’inizio ero interessato al settore della riabilitazione e alle tecniche manuali, allora ho fatto corsi di terapia manuale e lavorato in centri di riabilitazione. Poi sapevo di voler lavorare all’estero, in situazioni di disagio come l’Africa e così quando sono stato pronto, dopo aver fatto sufficienti esperienze cliniche, allora sono partito. In seguito ho integrato la musica, perché sapevo che parte della guarigione, oltre che fisica, necessita anche di qualcosa per l’anima, allora ho studiato la musicoterapia. Mi sono interessato alla psicologia dei sistemi per capire il rapporto di dipendenza ed interdipendenza tra il malato, la famiglia e il collettivo, per comprendere le dinamiche che sottendono al potenziale di ammalarsi e di guarire dell’individuo. Non mi sono limitato a pensare “Io sono un fisioterapista, massaggiatore, faccio così”, mi sono invece dedicato a questo lavoro attraverso l’incontro con i malati. Con loro ho incontrato nuove domande alle quali volevo rispondere, dunque studiando e facendo nuove esperienze mi son dato risposte”.
Ha scritto due libri, il primo intitolato “Invisibile agli occhi”, in collaborazione con il giornalista Massimo Orlandi. Quale significato hanno avuto per lei le pietre di fuoco e che cosa intende con l’espressione “esperti dell’invisibile”?
“Inizio con l’ultima, legata a questo bellissimo libro di Jacques Lusseyran “Et la lumière fut” che credo in italiano significhi “Luce Ritrovata”. Era uno scrittore francese non vedente, ha vissuto anche l’esperienza del lager. In questo suo bellissimo libro riflette su qual è il contributo del non vedente nella nostra società, partendo dall’idea che ognuno di noi ha un contributo da dare. Nessuna vita è senza senso, ogni esistenza è un contributo alla grande esistenza di tutti noi, alla società. Allora lui si chiede: qual è il contributo del non vedente alla società di oggi? E lo descrive dicendo che il non vedente è “l’esperto dell’invisibile”, lui può parlare di quello che non si vede, perché lui per natura è destinato ad aprirsi a ciò che non si vede e da questa prospettiva ha da contribuire alla società. Infatti tutti insieme abbiamo uno sguardo più ampio verso la vita, chi non vede è complementare con la sua vista di chi vede. Quando avevo 18 anni ed ero insicuro, perché in quanto ipovedente c’è sempre il dilemma che non si vede quello che non si vede, un caro amico non vedente, che mi insegnava anche il braille e ad andare con il bastone – spiega Wolfgang – mi ha proposto di leggere questo libro perché secondo lui poteva essere una sorgente per me.
Leggerlo mi ha convinto che, se sei l’esperto dell’invisibile, c’è tutto il mondo aperto a te.
Sull’altro aspetto, le pietre di fuoco: ero piccolo, avevo 5-6 anni, cresciuto in montagna, a Glaros in Svizzera. Nel paese c’è questa tradizione, quando gli sposi escono dalla chiesa e salgono sul pullman per andare a mangiare, dai finestrini lanciano delle caramelle con colori accesi, blu, rosso, verde e giallo. Tutti i bambini del paese corrono dietro al pullman e raccolgono le caramelle. Io non vedevo le cose che volavano, perché la retinite pigmentosa stringe la visione a tunnel e logicamente non ho preso mai nulla. Quel giorno tornando alla chiesa e muovendo un po’ le foglie in terra ho trovato 3 di queste caramelle e sono stato felicissimo. Questo era un simbolo, in quel momento anche io sentivo che allora c’è una via per me. Mi sono sentito avvolto da una grande fiducia. Tornando a casa e raccontandolo alla mamma, lei mi ha detto una frase molto importante: “per te ci sarà sempre una via possibile, una via aperta”. Le pietre di fuoco sono state una prima consapevolezza che la mia vita sarà anche diversa da quella degli altri, ma andrà bene così”.
Elena Ferroni
(l’intervista continua sul prossimo numero)
L’ASSOCIAZIONE: Storia dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti
Una storia di passione civile
Novantacinque anni fa nasceva a Genova la nostra associazione per la lungimirante opera di un militare: Aurelio Nicolodi diventato cieco per lo scoppio di una granata nella trincea. La ragione fondante fu quella di riunire i ciechi sotto la stessa bandiera per conquistare il diritto alla cittadinanza. Per raggiungere questo obiettivo, Aurelio Nicolodi indicò due strade principali: l’istruzione e il lavoro. Per raggiungere queste mete, era necessario che ai ciechi fosse riconosciuta la piena capacità giuridica di agire dato che gli era negata. Nel tempo sono state tante le battaglie che l’associazione ha dovuto combattere tra mille difficoltà di ordine sociale e politico. Grazie alla nostra azione nel tempo, i ciechi e gli ipovedenti hanno potuto studiare, lavorare e aver riconosciuto un assegno di accompagnamento a parziale risarcimento della disabilità. La possibilità di istruirsi ha tolto i ciechi dagli angoli delle strade e li ha condotti fino alle cattedre universitarie. I ciechi hanno accesso alle professioni più diverse e sempre maggiori grazie all’avvento delle nuove tecnologie. Da prima il lavoro ai centralini, alla massofisioterapia, alla musica e poi la docenza e le libere professioni. Oggi abbiamo ciechi e ipovedenti liberi imprenditori, psicologi e informatici ma anche ciechi che hanno conseguito grandi risultati nello sport a vari livelli. Nonostante tante conquiste e tanto lavoro, non si può dire che le difficoltà siano finite e che si siano raggiunte le pari opportunità. Le difficoltà oggi esistenti sono dovute, più che al deficit, comunque grave, alle grandi fasce di incultura della nostra società civile e della sua classe dirigente. Molti progressi sono avvenuti nell’ambito della prevenzione perché la nostra associazione ha voluto, sin dalla sua nascita, porsi l’obiettivo della prevenzione per far diminuire le persone con deficit visivo. I risultati sono sensibilmente visibili perché nel nostro Paese come in tutto l’occidente diminuiscono i ciechi assoluti e aumentano i ciechi parziali o gli ipovedenti. Abbiamo però un problema sempre crescente: i soggetti con minorazioni plurime spesso molto gravi che la struttura socio-sanitaria del nostro Paese fa fatica a prendere in carico in modo incisivo e qualitativamente sufficiente.
La sezione di Siena, come tutte le altre in Italia, si preoccupa di seguire la categoria con attenzione a tutte le fasce di età e in particolare segue i ragazzi in età scolare e gli anziani. I settori sopra indicati hanno una loro specificità che comporta un impegno sia professionale che economico al quale facciamo fronte con un massiccio lavoro di relazione con le istituzioni pubbliche. Senza il sostegno economico, professionale e personale di chi ci sta intorno non sarebbe possibile realizzare i nostri progetti. Per tutto questo chiediamo che ci venga donato il cinque per mille nella dichiarazione dei redditi; che ci vengano destinate offerte volontarie; che si pensi a noi per lasciti e donazioni; che si pensi a noi per mettere a disposizione un’ora del proprio tempo o la propria capacità professionale.
Come ci insegna la nostra storia e i nostri documenti congressuali, ci impegniamo per migliorare la vivibilità delle nostre zone di competenza a partire da Siena e fino al paese più sperduto del territorio in sinergia con le pubbliche amministrazioni e soprattutto con le associazioni della disabilità.
Spesso la vivibilità del territorio, oltre a essere legata a scelte urbanistiche discutibili, è legata alla insensibilità di chi parcheggia sui marciapiedi, di chi lascia gli escrementi dei cani per strada, di chi lascia materiali esposti davanti ai negozi che intralciano il cammino di chi viaggia con il bastone. Spesso capita di dover segnalare disservizi legati a un cattivo funzionamento della macchina burocratica e per questo facciamo appello a tutti affinché quando si notano disservizi o insensibilità non si giri la testa dall’altra parte pensando che il problema non ci riguardi.
A Siena esistono due associazioni che dovrebbero occuparsi di disabili visivi ma per molti i ciechi sono quelli di Ravacciano dove tanti anni fa vi era un glorioso istituto. In realtà a Ravacciano esiste una associazione che si chiama “tutela ciechi” e poi esistiamo noi che abbiamo la sede in viale Cavour, 134. Noi ci siamo fatti conoscere per le nostre azioni concrete e possiamo essere conosciuti tramite il nostro sito internet o visitando la nostra sede.
Mi piace concludere questo articolo riportando quando mi ha detto una nostra associata molto anziana: “da quando frequento l’associazione provo tanta gioia e tanta voglia di vivere”. A te che leggi voglio dire: dacci una mano a migliorare sempre di più la vita dei disabili visivi della provincia di Siena.
Massimo Vita
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# Siena – Marzo 2016 – Anno 2 numero 10
#Siena Dir. Responsabile Duccio Rugani
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