Accessibilità digitale : una battaglia di civiltà, di Luciano Paschetta

Autore: Luciano Paschetta

Il nostro paese, come è noto , è all’avanguardia  in Europa e nel mondo relativamente al processo di inclusione  delle persone con disabilità. Il   diritto di inclusione  è ormai un principio acquisito  da tutti :  nessuna organizzazione politica o sindacale  del nostro paese, da diversi anni,   non lo  ha più   messo in discussione. Tutto bene quindi: l’integrazione dei disabili  e l’attenzione ai loro problemi è   ormai un dato di fatto! Purtroppo non è così, anche  se, sul piano del diritto, la normativa garantisce  l’inclusione e questa sembra essere entrata a far parte dei diritti condivisi dalla stragrande maggioranza dei cittadini, abbiamo piuttosto l’impressione che non si tratti di aver maturato, a livello di massa, una “cultura dell’integrazione”, ma piuttosto di essere di fronte ad un paese, non ostile, ma sempre più indifferente al problema. Di questo atteggiamento troviamo evidenza nella “disattenzione” con la quale in molte  scuole e P.A.  viene affrontato il processo di “dematerializzazione”, nonostante sin dal 2004 la legge 4 (legge Stanca, abbia fissato gli standard di accessibilità dei prodotti informatici e siano state pubblicate le relative linee guida.
In estrema sintesi, l’accessibilità” oggi dipende da due ordini di problemi: . Una prima “inaccessibilità” riguarda l’impossibilità di leggere un documento o un data base o una pagina su internet, dovuta al “formato” in cui  è stato redatto il documento o il data base, ossia al programma che si è utilizzato per scriverlo. Oggi si tende a servirsi di programmi “grafici” anche per elaborare testi, ma poiché gli screen reader ed i display braille possono leggere solo “formati testo”, questi documenti restano “invisibili” e ciò, non per motivi  o per necessità particolari, ma, mancando una “cultura dell’accessibilità” diffusa, unicamente per ignoranza del problema. Un tipico esempio è dato dai documenti redatti in pdf: spesso questi vengono salvati nel formato pdf-immagine , risultando così del tutto inaccessibili, mentre  il programma prevede anche il salvataggio in formato pdf-testo accessibile, del tutto sicuro e immodificabile dal destinatario allo stesso modo di quello immagine (è appena il caso di ricordare che in formato inaccessibile sono pubblicati la maggior parte dei testi scolastici digitali).
Vi è poi una seconda tipologia di problemi nell’utilizzo di un CD o di un DVD (impedendone l’accesso ai documenti che vi sono contenuti) o di un programma di gestione o di poter navigare in internet a chi non vede rendendogli di fatto impossibile l’uso del PC.
Come sappiamo un CD o un programma gestionale si utilizzano attraverso i comandi che l’operatore invia al PC; inizialmente questi comandi venivano dati da tastiera  senza creare problemi ai  disabili  visivi. Ora con l’evoluzione dei prodotti informatici  questi sono raffigurati sullo schermo con icone che  ne rendano intuitivo l’utilizzo  e sono attivabili “cliccando” su un link o un pulsante, con il mouse o, oggi più semplicemente, toccandoli direttamente sullo schermo. I link e i pulsanti, però, se non “etichettati” restano invisibili alle tecnologie assistive (screen reader o display braille), necessarie ai ciechi ed agli ipovedenti gravi, impedendo loro di operare: navigare in internet, accedere ad un programma, ad un sito o aprire un CD/DVD o un documento. A questo punto si potrebbe obiettare: “Non si può certo pensare di fermare l’evoluzione dei prodotti digitali per consentirne l’accesso ad alcune decine di migliaia di disabili visivi”. Al di là dello scarso senso di civiltà che avrebbe una simile affermazione e del fatto che nella società  globalizzata, i fenomeni vanno anch’essi affrontati a livello globale, (ed allora il numero dei disabili visivi gravi interessati al problema diventerà di circa 40 milioni),  una simile affermazione dimostra unicamente la mancanza di conoscenze ed una scarsa “cultura dell’inclusione”. Non si tratta infatti di “fermare” l’evoluzione dei sistemi informatici, ma unicamente nel progettare un prodotto digitale (un sito, un programma gestionale o un sistema operativo), o nel redigere un documento di tener presente che esso deve poter essere utilizzato da tutti, anche da chi ha problemi visivi. Questa attenzione non fa lievitare i costi, né rende meno belle e attraenti  le “home page”, né rende meno intuitivo l’utilizzo del prodotto, non si tratta infatti di progettare “per i ciechi”, ma per “tutti”. Un piccolo esempio: se al pulsante con il simbolo della “manina”, si affianca la scritta “apri” o a quello con l’icona del “lucchetto”,. la parola “chiudi”, il gioco è fatto. 
Viceversa se il prodotto è progettato senza tener conto delle regole di accessibilità, occorrerà poi spendere soldi  e a volte non pochi) per permetterne la fruizione ai disabili visivi. Questo è quello che succede tutti i giorni nelle nostre scuole, nei servizi e nella pubblica amministrazione: i libri di testo, oggi (anche quelli stampati su carta) sono redatti su file, questo però quasi mai è accessibile, e quindi perché il disabile visivo possa servirsene, occorrerà  prima di tutto,  o scansionarlo dal cartaceo con un OCR, o trasformare il file immagine in formato testo, con due conseguenze negative: nuovi costi e un ritardo nella disponibilità del libro. Tutte le Banche hanno ormai l’home banking, ma poche sono quelle che lo hanno progettato secondo i canoni dell’accessibilità e ancor meno sono gli sportelli bancomat accessibili. Regioni, province e comuni hanno siti sovente non o scarsamente accessibili e i documenti (delibere, regolamenti, direttive, bandi e ordinanze) spesso sono in formato immagine, stessa cosa si verifica sui siti di molti ministeri dove leggi e documenti sono in pdf inaccessibile.
Questa generale “sine cura” verso il problema si verificava mentre nel marzo 2009 il Parlamento italiano ratificava la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità approvata a New York il 13 dicembre 2006 (successivamente fatta propria anche dall’UE nel dicembre 2010), che individuava, nell’articolo 9 nel principio dell’accessibilità digitale uno degli elementi principali per garantire pari opportunità, e mentre il nostro Governo, dimostrando particolare attenzione al problema, nel DECRETO 169 (“Decreto crescita 2.0 “convertito in legge il 12.12. 2013) ribadiva all’articolo 9 l’obbligo di applicazione della normativa sull’accessibilità ne puntualizzava alcuni ulteriori aspetti. Inoltre, con la recente Circolare 61/2013, l’Agenzia per l’Italia Digitale, sulla base delle modifiche previste nel succitato D.L. 179,  dettava ulteriori indicazioni operative in tema di accessibilità, ribadendo in maniera puntuale l’importanza dei principi enunciati dalla legge Stanca e definendo le sanzioni per chi non vi ottempera.
La conoscenza delle tematiche sull’accessibilità informatica, per il ruolo che rivestono le nuove tecnologie nel nostro vivere e lavorare quotidiano,  è un aspetto importante di quella che chiamiamo “cultura dell’inclusione”, che dovrebbe avere nella scuola lo strumento naturale di diffusione e nella pubblica amministrazione un esempio di attenzione. Viceversa nelle  PA permane questa colpevole “non conoscenza” che si evidenzia nella verificata inaccessibilità dei siti di molte scuole  Enti locali. Ciò trova conferma anche nella non curanza dimostrata da troppi pubblici dirigenti che, nell’acquistare  i programmi  per   la gestione  dei registri scolastici  e controllo delle assenze  o quelli per i servizi di certificazione o di quelli gestionali, non si sono preoccupati di verificare se  questi fossero conformi alle prescrizioni che derivano dalla normativa  e dalle linee guida sull’accessibilità informatica e  fossero  accessibili a tutti, non solo trasgredendo alla norma, ma innalzando, in tal modo,  nuove barriere  e ostacoli all’inclusione dei disabili visivi nella società.
Questo è un ulteriore esempio  di come per concretizzare l’inclusione sociale e scolastica non siano sufficienti le norme: anche l’accessibilità digitale  passa attraverso l’impegno attivo di ciascuno a prenderne  consapevolezza ed a collaborare nello sviluppare una cultura basata sul rispetto  e l’attenzione all’altro,  alle diversità e sulla conoscenza dei suoi bisogni. Su questi principi,  che oltre ad essere indicatori di “civiltà”,  e che, lungi dall’essere “moralistici” sono quelli su cui si basano le moderne ricerche di mercato, devono  fondarsi lo sviluppo  e la diffusione della “cultura dell’inclusione”, di cui quella sull’accessibilità è oggi un aspetto essenziale, capace di offrire a ciascuno pari opportunità. Un bell’esempio positivo in  questa “battaglia di civiltà” ci viene dall’attenzione  al tema dimostrata dalla Apple, che prima nel creare il suo i-phone e il suo i-pad  e subito dopo adeguando i suoi PC, produce oggi strumenti completamente accessibili a tutti  rendendoli immediatamente  utilizzabili  anche  da coloro  che abbiano una grave disabilità visiva. Il successo di mercato avuto da questi  prodotti   sta costringendo gli altri costruttori ad adeguarsi il più velocemente possibile al nuovo standard,  dotando anche i loro apparecchi di  sistemi operativi  direttamente accessibili,  superando, per poterli usare, la necessità, finora imposta a coloro che avevano difficoltà visive, di dover acquistare degli specifici software aggiuntivi per poter accedere alle nuove teconologie, dando il via ad “una nuova stagione” dell’accessibilità digitale.
Questa  battaglia di civiltà vede l’U.I.C.I. impegnata quotidianamente nella diffusione dei principi dell’accessibilità e nel fornire consulenza a chiunque ne necessiti per rendere fruibili ai disabili visivi tutti i prodotti informatici.

       Luciano Paschetta