Con piacere pubblichiamo, di seguito, la riflessione di Sergio Prelato, consigliere nazionale e provinciale UICI, che da molti anni si occupa di mobilità, accessibilità e barriere architettoniche nella nostra città.
Torino è una città che in questi ultimi vent’anni ha eliminato con grande caparbietà molte barriere architettoniche e senso-percettive. Molto è stato fatto e molto resta da fare. Le stazioni, che sono la porta d’ingresso di una città, come Porta Nuova, Porta Susa e altre minori, ma non meno importanti, sono dotate di tutti i presidi per essere pienamente accessibili. La metropolitana, pur avendo delle imperfezioni da correggere in superficie per quanto riguarda la disabilità visiva, è una infrastruttura all’avanguardia, sia dentro che fuori. Le ultime due stazioni, Italia 61 e Bengasi, sono state progettate e messe in esercizio con la totale sinergia di associazioni come la nostra, e i risultati si vedono: semafori sonori e percorsi tattili puntuali, sia dentro che fuori le stazioni, ascensori accessibili, fermate bus accessibili, almeno quelle coinvolte nei lotti dei lavori. Intanto la Città, con le varie amministrazioni, pur fra mille difficoltà economiche e legate alla pandemia, ha continuato a tessere la sua ragnatela di accessibilità per tutti. Questo non vuol dire che si sia fatta una città a misura di disabile: si è continuato a pianificare e costruire una città per tutti, quindi anche per i cittadini con disabilità.
La metro di Porta Nuova è perfettamente collegata con scale mobili interne all’atrio stazione, circondata sui due terzi da semafori sonori e percorsi tattili, nonché ascensori e ingressi senza dislivelli. Porta Susa è un arcipelago di semafori sonori, come da normativa e relativi percorsi: forse qualche miglioria si potrà ancora realizzare, ma nel complesso è una infrastruttura collegata alla città con estrema attenzione. La rete di piste ciclabili, come quelle di corso Matteotti e via Nizza, che dopo piazza Carducci prosegue fino al Lingotto, è un esempio di riqualificazione urbana integrata, come previsto dai Peba (Piani di Eliminazione delle Barriere Architettoniche). Le zone come questa hanno visto una primavera urbana: tutto più bello e pulito, ordinato, più amichevole per le bici, più a misura d’uomo.
Situazioni come quella della COOP di piazza Botticelli, e relativa risistemazione del corso stesso, sono esempi mirabili, anche in periferia, senza contare corso Grosseto, collegato anche alle stazioni ferroviarie. Le nuove quattro fermate Metro di Collegno saranno accessibili sia dentro che fuori. La linea 2 della metro ha già in sé, come deve essere, il DNA per essere accessibile. I nuovi mezzi, nonostante le difficoltà tecniche su alcuni presidi vocali Gps, sono sempre più accessibili e tecnologicamente all’avanguardia. La GTT, l’azienda che gestisce il trasporto pubblico a Torino, fa formazione ai suoi autisti, per agevolare le persone con disabilità. Musei sempre più accoglienti e accessibili a livello comunale ma non solo, accolgono visitatori e turisti. Tutte le recenti risistemazioni di pensiline bus tengono conto dell’accessibilità, che si tratti di ordinaria risistemazione o di straordinaria riqualificazione. Quanto poi, ai monopattini, speriamo che i nuovi bandi abbiano un impatto positivo e possano incidere sul peccato veniale di questi mezzi.
Per realizzare un Peba ci vogliono molte risorse: quando si troveranno in modo costante il lavoro legato all’accessibilità avrà gambe più veloci e robuste, ma nel frattempo la città ha continuato a “farsi bella” e accessibile e universale. Noi siamo stati al fianco di chi ha amministrato ieri e oggi e lo stesso faremo con chi amministrerà in futuro. Nella precedente amministrazione è stato rilevante il lavoro di Franco Lepore, disability manager della città di Torino. Oltre ad aver fatto da apripista su molti temi legati alla disabilità in generale, ha prodotto documenti rilevanti sull’accessibilità al servizio di tutti, ottima eredità per i suoi successori che non partiranno da zero. Un ottimo lavoro anche sulla gestione delle emergenze riguardo alla disabilità è stato fatto dallo stesso disability manager, che non ha mai mancato di coinvolgere tutte le realtà associative cittadine.
Ci sono imperfezioni e cose ancora da fare? Certo, chi è privo di difetti, scagli la prima pietra. Però il valore enorme di Torino sta nella co-progettazione con i cittadini attivi sui temi dell’accessibilità e nell’unire la competenza dei tecnici e la responsabilità della politica con l’esperienza delle associazioni di disabili. Questo approccio ha portato ai risultati che sono sotto gli occhi di tutti. Niente è stato fatto per i cittadini disabili senza di loro. Torino come sempre sarà all’avanguardia e insegnerà e imparerà da altre città. Mentre ci prendiamo un caffè in piazza San Carlo, il “salotto buono”, teniamo gli occhi aperti sul lavoro da svolgere, ma nello stesso tempo godiamo di una città che sta vestendo da anni i panni dell’universal design, detto anche il “caso Torino”, in molti ambiti. Discreti come sempre, ma già presenti nel futuro.