Succede nel secondo dei due racconti de I racconti di una Harley-Davidson. Il prete e l’ispettore non vedente di Rosario Colianni, libro presentato il 30 aprile scorso durante l’Assemblea Territoriale Ordinaria dei Soci UICI di Enna. Il volume è già stato trascritto in Braille e l’Autore, medico molto noto in città, ne ha ceduto i diritti alla Sezione UICI di Enna.
Il dottor Simonetto ha perso la vista in servizio, per lo scoppio di una molotov, è così andato in pensione, ma, come criminologo, continua a collaborare alle indagini di Polizia della città in cui abita, affiancato dal suo assistente personale, Raimondino. La città in cui vive è una metropoli non meglio identificata, ma che si caratterizza per l’accessibilità (semafori sonori e strisce pedonali chiaramente segnalate) e per gli spazi verdi aperti a tutti.
Simonetto ha una vita molto piena, al di là del lavoro: esce a fare passeggiate da solo con il bastone bianco o con il suo cane guida, frequenta la Chiesa dove la domenica legge in Braille le Letture durante la Messa, gioca a scacchi e a carte, legge di tutto, pratica sport (in alcuni eccellendo, come nello Showdown e nel Torball), ha un’ottima autonomia personale, ha diversi legami amicali, segue i programmi televisivi con il commento per i non vedenti che lo interessano, fa giri in moto con Raimondino e sul rettilineo riassapora il senso di libertà che dà la corsa a braccia aperte ad afferrare il mondo, fa consulenza nelle scuole sul bullismo e ne approfitta per parlare anche della disabilità visiva e dell’importanza della prevenzione.
È però soprattutto un poliziotto, dotato di intuito e di capacità logico-deduttive che utilizza anche nelle faccende di tutti i giorni, come quando capisce che le visite dell’amico ispettore non sono solo dettate dal piacere di fare una partita a Showdown, ma anche dal sentimento che il collega prova per la sua collaboratrice domestica, Geppina, ragazza molto bella e riservata che a sua volta ricambia. I due si sposano alla fine e Simonetto sarà testimone dello sposo.
Ma veniamo alle indagini. In un appartamento al quarto piano di un condominio viene trovato un cadavere: la porta d’ingresso è chiusa dall’interno, il morto ha la cornetta del telefono in mano, sul tavolo due bicchieri, una bottiglia di spumante aperta (non si trova il tappo), una partita di scacchi finita (manca il Re nero, che verrà poi ritrovato nella tasca di una vestaglia appesa nell’armadio). Per entrare in casa è necessario l’intervento dei Vigili del fuoco che forzano una finestra.
Simonetto arriva con Raimondino e in ascensore con un agente si accorge con l’esplorazione plantare che il tappeto è più liscio da una parte e più ruvido dall’altra; verifica che anche il pavimento del corridoio che conduce all’appartamento è più liscio, come se ci fosse colata della cera (elemento confermato poi dalla Scientifica e che verrà svelato essere il residuo di una candela utilizzata dal portiere dello stabile a causa di un blackout elettrico).
Ad un primo esame del cadavere, Simonetto rileva l’odore inconfondibile del cianuro: mandorle amare. Tra interrogatori, testimonianze, rilevamenti e raccolta di prove, la Polizia individua l’ultima persona che ha visto il defunto: un amico con cui ha condiviso l’emigrazione per motivi lavorativi in Bolivia, giocatore di scacchi anche lui, collezionista di tappi di bottiglie su cui segna la data delle ricorrenze (è lui che ha portato via il tappo dello spumante che non si trovava). L’uomo è l’indiziato principale e finisce agli arresti, ma fornisce un’importante informazione: l’amico aveva qualche giorno prima ricevuto un pacco dalla Bolivia che conteneva una farina a suo dire “speciale” con cui aveva fatto dei biscotti. Di questi biscotti il morto ne aveva fatto una scorpacciata, mentre l’indiziato ne aveva mangiato solo uno.
Simonetto scopre che la farina boliviana in realtà è tossica, se ingerita in grandi quantità, e quindi la morte è stata accidentale. La stessa sfortunata vittima aveva chiesto aiuto quando si era sentita male e per questo aveva il telefono in mano, ma purtroppo era già troppo tardi.
Il plot è condotto in modo classico, lineare e con mano sicura; l’intreccio tra dati personali e indagini è funzionale a capire meglio i personaggi; le notazioni e le caratteristiche relative alla disabilità visiva peccano a volte di ingenuità, ma è un peccato veniale, mitigato da tanta e sincera volontà di apertura e di inclusione.
Pubblicato il 31/05/2023.