Sostegno: continuità didattica tra ambiguità e irrealtà, di Luciano Paschetta

Autore: Luciano Paschetta

In questi giorni di intenso dibattito sui decreti delega della legge 107, tra gli altri argomenti , si è scritto molto anche sulla necessità di garantire la continuità del sostegno agli alunni con disabilità, cosa questa del tutto condivisibile purché si faccia chiarezza sul come si intende garantirla. Ho già avuto modo di scrivere in più occasioni che garante dell’inclusione non è il docente per il sostegno, ma il contesto, ovverossia: una classe i cui docenti titolari si facciano carico dell’insegnamento anche all’alunno con disabilità ed una scuola che sappia accoglierlo garantendogli pari opportunità di apprendimento, di accessibilità agli ambienti ed al materiale didattico ed alle opportunità di socializzazione. Opinioni queste ampiamente condivise da articoli di altri amici.
Viceversa in questi giorni abbiamo visto chiedere a garanzia della continuità didattica la permanenza del docente per il sostegno per l’intera durata del corso di studi dell’alunno. Una posizione questa ambigua sul piano pedagogico perché se è vero, come è vero, che garanzia dell’inclusione è un contesto che sappia interagire sul piano didattico e relazionale con l’alunno con disabilità, la permanenza dello stesso insegnante per il sostegno è indubbiamente cosa importante, ma non lo è meno la continuità dei maestri e dei professori titolari ai quali è dato il compito di insegnare anche a lui. L’inclusività è data da: un piano triennale dell’offerta formativa che dia linee guida, per una scuola per tutti e per ciascuno che, come tale, favorisca la partecipazione degli alunni con disabilità al dialogo didattico, , dal quale discenda un piano annuale per l’inclusione che individui strategie , metodologie ed una organizzazione delle attività didattiche capaci di rispondere ai loro “bisogni di apprendimento “ ed al quale possano far riferimento i consigli di classe interessati per sviluppare P.I. inclusivi alla cui progettazione collaboreranno tutti i docenti e la famiglia ed al quale si atterranno tutti i docenti , sia pur con la collaborazione del docente per il sostegno nell’attività didattica quotidiana.
Viceversa richiedere la permanenza del solo docente per il sostegno sull’alunno significa perpetuare un concetto errato: quello che questi sia il “docente dell’alunno disabile”, cosa questa che fanno le famiglie quando si limitano a rivendicare l’aumento delle sue ore.
Sarebbe già più coerente con la normativa chiedere la permanenza per un certo periodo dello stesso docente per il sostegno “sulla classe/scuola. Queste richieste, al di là delle valutazioni didattico-pedagogiche, sono comunque irrealizzabili sul piano pratico e nel contesto normativo che regola lo stato giuridico del personale docente. Legare il periodo di permanenza in una determinata sede al numero degli anni del ciclo scolastico frequentato dall’alunno disabile concretamente sarebbe realizzabile solo nel caso di rapporto 1/1 , diversamente, se, ad esempio, al momento dell’assegnazione della sede al docente gli verrà affidato un alunno di prima e uno di quarta, quando quello di quarta terminerà, lui riprenderà uno di prima e per altri cinque anni non potrebbe di nuovo cambiare sede, e così via.
Tuttavia al di là di questi “tecnicismi” il richiedere una permanenza sulla sede del docente per il sostegno per un tempo diverso da quello dei colleghi è improponibile poiché la mobilità del personale è normata da regole precise che riguardano tutti i docenti (e non potrebbe essere diversamente).
Per avere continuità occorre avere stabilità dell’organico di tutti i docenti di una determinata scuola , per questo noi avevamo accolto con favore l’obbligo di permanenza triennale nello stesso ambito territoriale , come un primo passo verso una maggior stabilità dei docenti sulle classi.
Luciano Paschetta