Sono trascorsi ormai troppi anni da quando ho varcato per la prima volta la soglia dell’Istituto dei Ciechi Ardizzone Gioeni di Catania e la mia Maestra di allora, indimenticata, mi avviò all’apprendimento del Braille.
Ero indietro rispetto ai miei compagni perché per me l’anno scolastico era iniziato alla fine di gennaio. Eppure quanta voglia di conoscere, scrivere, leggere… mentre il ticchettìo dei punteruoli a forare la carta e il rumore metallico delle tavolette mi divenivano ogni giorno più familiari.
Ricordo con nostalgia i bei giorni della mia infanzia nutrita di giochi condivisi, di corse spericolate a piedi e in bicicletta; le birichinate con i “ragazzacci” del quartiere… ma loro tutti i giorni sparivano dalla circolazione per tre, quattro ore e andavano a scuola e imparavano a leggere e scrivere con penne e quaderni.
Quante mattinate da solo, a casa o in cortile ad aspettare il loro ritorno da scuola.
I primi mesi al Gioeni trascorrevano lenti nel confronto quotidiano con il cibo, con i nuovi compagni di scuola e di giochi, difficili da conoscere per via del mio carattere schivo e introverso. E intanto la curiosità di imparare a leggere e a scrivere mi riempiva l’anima di forza, coraggio, speranza.
A sette anni, così, incontrai per la prima volta quei sei puntini in rilievo sulla carta, grazie alle mani morbide e pazienti della Maestra Raffaella, alla sua voce limpida e ferma.
Già a marzo, tornato a casa per il fine settimana, fiero, orgoglioso e un po’ trepidante, dinanzi ai miei genitori incuriositi ed emozionati, lessi la mia prima poesia, in Braille, con le mani sul libro di scuola che finalmente avevo conquistato anch’io, come le mie sorelle, i miei fratelli, i miei compagni di giochi. Certo un libro un po’ speciale. Senza inchiostro e pagine illustrate, ma pur sempre il mio libro, con tanti puntini da toccare.
Da allora il Braille mi è compagno di vita: nelle lunghe e intense giornate di lavoro, nelle notti spesso insonni, nel poco tempo libero dedicato agli adorati libri; in viaggio, in vacanza, nella scrittura di programmi per il computer, nella preparazione di emendamenti, comunicati, documenti, lettere, articoli; all’alba quando leggo qua e là i giornali, su Facebook per ritrovare qualche amico e un po’ di leggerezza.
Sì, sempre con me.
Anche l’armadietto delle medicine e il mio guardaroba conoscono il Braille: camicie, maglioni, giacche, pantaloni, portano sempre un’etichetta segreta, a puntini, che mi ricorda il loro colore.
Dalla mia città natale, Catania, fin dalla primissima infanzia, all’amata Bologna, mia città di adozione, all’Istituto dei Ciechi Cavazza dove inizio a occuparmi della Biblioteca dopo aver appena completato gli studi, dall’inseparabile tavoletta e punteruolo ai più moderni sistemi tecnologici, allo schermo touch a Braille virtuale dello smartphone, il Braille sempre, sempre con me.
Al Braille, pertanto, credo di dovere larga quota della mia formazione umana, preparazione professionale e in definitiva, la persona che sono diventata e che sono oggi.
Non potrei mai immaginare le mie mani private della possibilità di percepire, scoprire e catturare quei puntini sempre tanto attuali e insuperati.
Risuonano spesso in me le parole della Maestra Raffaella: “le mani, devono sapersi muovere, toccare, esplorare, riconoscere, discriminare”.
Un tuffo nel passato che sa di presente e che vive di attualità.
Imparare a leggere e scrivere è un Diritto sacrosanto, un atto essenziale della vita che consolida l’autostima, rafforza quel piacere della scoperta e del fare sul quale incentrare l’intero percorso di crescita di tutti gli esseri umani. Negarlo ai bambini ciechi per scarsa competenza degli insegnanti, per improvvisazione di operatori non specializzati, per superficialità e indifferenziata incapacità di identificare le specifiche esigenze di ognuno, appare come un delitto che riguarda non soltanto la Scuola e le Istituzioni, ma l’intera collettività.
Louis Braille non è soltanto l’inventore di un sistema rivoluzionario, ma il portavoce di un messaggio attuale e universale di umanità e di crescita: credere in se stessi, ricercare e costruire la propria personale identità, desiderare, rischiare per essere felici, scommettere sulle proprie abilità per contribuire al benessere della comunità della quale si è parte.
Oggi ai nostri bambini, alle nostre bambine, ai nostri amici che perdono la vista in età avanzata va insegnato non solo il Braille come mezzo per leggere, scrivere, comunicare, non rimanere indietro, ma soprattutto quel bagaglio umano e quel messaggio intimo e insieme universale che i sei puntini a rilievo portano in giro per il mondo da quasi duecento anni.