È il titolo del romanzo scritto da Carlo De Angelis, fisioterapista non vedente, già da tempo in pensione. Trattasi di un ulteriore contributo dell’autore al lustro della categoria dei ciechi e ipovedenti.
Lunedì 27 marzo, presso la sezione romana dell’U.I.C.I. avveniva la presentazione del libro. Dopo i saluti di rito, da parte del Presidente Giuliano Frittelli, una Socia, ha introdotto la presentazione del volume ponendo in risalto il carattere suggestivo del romanzo. Il tema dominante è l’amore, espresso nei diversi contesti. Il libro, disponibile anche in formato audio, aveva già carpito l’entusiasmo di alcuni fra i presenti nella sala, i quali, durante il dibattito, hanno affermato il riscontro di familiarità con i luoghi del paesaggio descritto e con i caratteri dei personaggi. L’autore, nel descrivere le vicende che hanno scandito la “gestazione” dell’opera, affermava che i personaggi perdevano, mano a mano, la timidezza iniziale suggerendogli, sempre con maggior chiarezza, le vicende da riportare su carta. Il paesaggio presenta una puntualità descrittiva che, dovendola attribuire a un non vedente, dimostra che l’autore possiede una conoscenza concettuale delle caratteristiche architettoniche con cui definisce quei luoghi.
La familiarità con i fatti narrati nel libro, il sentirsi parte integrante delle vicende che si succedono nel romanzo, riferiti da alcuni non vedenti presenti fra il pubblico, indurrebbe alcune riflessioni. Pertanto sarebbe interessante chiedersi se, in effetti, si tratta di familiarità con i contenuti dell’opera o con il modello linguistico descrittivo, proprio della cultura del non vedere. In una società dove sia gli addetti ai lavori, sia la gente comune ricorre al concetto di inclusione, i contenuti del romanzo possono definirsi inclusivi.
La descrizione corretta dell’architettura degli edifici descritti, come ha riferito lo stesso autore, costituirebbe il tentativo del non vedente di descrivere una realtà percettiva visiva. A questo proposito Carlo non si è lasciato condizionare dall’impossibilità di percepire le colonne, i capitelli, gli archi di cui riferisce nel suo libro ma ha osato oltrepassare il confine culturalmente consentito a chi non vede. Tutto ciò, ad una prima riflessione, potrebbe apparire paradossale ma, di fatto, non lo è! Carlo ha scelto il romanzo per esprimere i contenuti propri della cultura visiva, essendo esso il contesto in cui l’immaginazione e la fantasia sono legittimate. Pertanto il romanzo costituisce, molto probabilmente, un luogo inclusivo, una grande risorsa per comunicare.
Presentazione del libro “Il cervo rosso”, di Alfio Pulvirenti
Autore: Alfio Pulvirenti