Mi autocandido alle elezioni per il Consiglio Nazionale dell’UICI perché vorrei dare il mio contributo alla causa che ci vede impegnati con il nostro sodalizio.
L’esperienza maturata sul campo delle politiche sociali, sia come rappresentante politico a livello locale, sia come rappresentante sindacale a livello regionale, nonché l’esperienza professionale come consulente commerciale e come docente di tiflopedagogia presso l’UNICAL mi ha consentito di avere diverse fotografie delle relazioni umane e del come queste si intersecano con le logiche di governo e di cura al fine di condividere con passione e rispetto la politica associativa, assumendomi delle responsabilità, che, devo dire, non sono state leggere, sia come consigliere provinciale prima che come presidente regionale poi.
La conoscenza dei governi locali, coniugata con l’analisi dei bisogni espressi dalla base associativa, mi ha portato negli anni a considerare l’associazione uno strumento indispensabile nella rivendicazione dei diritti e nella conferma delle azioni necessarie per la progettazione di una giusta politica del welfare in materia di handicap.
Il coinvolgimento di ogni singolo associato nelle diverse fasi della sua esistenza e la risposta in termini di servizi e azioni, a supporto dei suoi bisogni espressi e intercettati, credo che siano state e saranno il must della dirigenza e il perno su cui costruire il cambiamento dell’organizzazione, pena il depauperamento degli iscritti e la perdita di valore della nostra storia.
Volere un’altra associazione con una nuova dirigenza, a valle della celebrazione del prossimo Congresso, non significa superare l’ordine esistente, piuttosto spostare l’obiettivo verso nuovi traguardi, perché l’oggi è deficitario di alcuni punti, che a mio avviso debbono essere contemplati, se si vuole sfidare il sistema politico sociale attuale, visti i continui attacchi e le continue invasioni di campo sul tema dei diritti e delle tutele, nonché sul sistema di cura e solidarietà .
Il contesto di riferimento è ricco di aspetti dicotomici, nei quali la nostra politica ha trovato il limite della forza d’impatto comunicativo e dell’agire rispetto agli intenti nazionali piuttosto che locali; un tema ridondante, ad esempio, è stato quello dei falsi ciechi, che a mio avviso ci ha proiettato negativamente nell’immaginario collettivo
Se da un lato assumiamo le direttive europee in tema di diritti esigibili, contemplando inclusione, pari opportunità e garanzie sociali, dall’altro, invece, cozziamo con sistemi di governo locali, che agiscono per moto proprio, non tenendo nella giusta considerazione le impostazioni nazionali o sovranazionali; questo succede a scuola, nelle ASL, nelle province o ex province, con ripercussioni non più sanabili, in termini di forza nell’agire e nel pretendere progetti di vita rispondenti alle aspettative.
Succede anche nei nostri piccoli contesti sezionali, ove le risorse scarse e la mancanza di supporto delle istituzioni locali inducono i dirigenti a portare avanti uno status quo privo di prospettiva, con una sofferenza della capacità rappresentativa che rasenta il niente.
Questo non è humus per garantire la cultura dell’autonomia: così si toglie spazio alla cultura del BRAILLE delle tecnologie assistive, del libro parlato ovvero ad ogni azione che ha come fine quella di facilitare il disagio provocato dalla privazione della vista.
Mettere a nudo le diverse sfaccettature della crisi del sistema sociale nazionale e della crisi economica, che ormai da legittimazione al processo di deresponsabilizzazione attivato da qualsiasi attore politico, può diventare un esercizio utile per ricostruire gli elementi fondanti della nostra mission, ossia ci aiuta a capire cosa possiamo esigere con la nostra nuova eventuale organizzazione, come interagire con il sistema politico nazionale, quanto scambio attivare con le altre organizzazioni, perché stimolare un dibattito interno sui nostri diversi livelli di rappresentanza e in ultimo, non certo per ordine d’importanza, quale modello associativo può sfidare l’anomia che vige all’interno del nostro perimetro.
Concepire delle strategie alternative al nostro ormai superato modo di confrontarci circa il volere, anzi il pretendere, un miglioramento delle nostre esistenze, sia in termini di qualità della vita, sia in termini di prospettiva, ci deve far riflettere in ordine alla necessità di creare nuovi percorsi per non rimanere fuori da tutto.
Penso al lavoro come diritto costituzionale, che ormai è diventato un lusso per pochi ciechi ed ipovedenti; penso all’istruzione, che dipende dai singoli dirigenti e dall’ostinazione delle famiglie e delle sezioni locali che presidiano i processi di inserimento, al fine di garantire didattica, testi e sostegno; penso alla sanità, che non offre le stesse cure e gli stessi protocolli; penso alle nuove tecnologie, che possono essere fruite solo nell’ordine delle soluzioni trovate negli altri contesti; penso alle prassi di rimanere iscritti all’associazione solo fino al completamento della pratica burocratica dell’iter di riconoscimento della disabilità.
Insomma, al pari delle fasi storiche già archiviate positivamente, rispetto a quanto l’associazione abbia dato e fatto, ci sono da esplorare e attivare nuove strategie, per non annullare quanto registrato e soprattutto per implementare la nuova piattaforma rivendicativa, che vede nella generazione dei giovani ciechi ed ipovedenti disoccupati e poco istruiti il culmine dell’interesse politico e nella resistenza sociale, rispetto all’abbattimento delle barriere architettoniche ed informatiche, l’annichilimento del nostro impegno.
Certamente non sono depositaria del potere di cambiare il mondo, ma sono un operatore dotato di buona volontà, che si auspica di poter lavorare con una squadra pronta alla sfida ma anche al confronto, alla strategia di gruppo, alla lotta, alla solidarietà. Una squadra che dovrà essere valorizzata e rispettata dalla base associativa e che dovrà trovare conciliazione con la leadership, considerato che la nostra organizzazione è sempre stata un modello democratico rappresentativo, identificata dalla linea del suo presidente.
Per quanto attiene alle competenze ed esperienze maturate, che metto a disposizione, rimando al mio Curriculum Vitae, agli articoli di stampa e agli atti pubblicati sul sito dell’UICI Calabria per il periodo in cui ho avuto l’onore di rappresentare la nostra associazione a livello regionale.
Un impegno a cui voglio dare ulteriore continuità, per l’inclusione, per le pari opportunità, per il diritto di tante donne, uomini, bambini a vivere un’esistenza in cui il buio degli occhi sia illuminato dalla luce della solidarietà.
Annamaria Palummo