Giovedì 16 ottobre la Giornata nazionale del cane guida. La sezione varesina dell’Uici regala una storia eccezionale per ricordare l’importanza di questi animali, spesso non abbastanza considerati
Sono nata a Carnago in una grande fattoria, da Tea, una splendida Collie che tanto assomigliava alla famosissima Lessie, insieme a ben 7 fratelli.
Abbiamo vissuto per due mesi tutti insieme con la nostra mamma; poi, uno dopo l’altro mi hanno lasciata sola. Arrivava infatti qualcuno che ci guardava, ci accarezzava e poi sceglieva chi portarsi via. Ero una bellissima cucciola, sapevo di essere intelligente, ma venivo regolarmente scartata. Rimasi così con mamma Tea e con gli altri cani della fattoria a vivere la mia vita, educata dai proprietari, ma soprattutto dalla mia mamma che non mi perdeva mai di vista e mi insegnava tante cose.
Ero vivace, curiosa, mi piaceva correre all’impazzata nel bosco, giocare a palla con i bambini, spingendola non con il muso, ma, come facevano loro, con i piedi, che per me erano le zampe.
Mi piaceva però più di tutto uscire dal grande cortile dalla parte della strada, una strada molto pericolosa, perché le macchine andavano a grande velocità; una volta che lo feci, rischiai di essere travolta e venni punita molto severamente, ma imparai ad obbedire. Vissi così per un anno. Venne una signora che mi coccolò per un poco, mi mise il guinzaglio e, insieme ai padroni mi fece fare un giro fino al bosco. Tornò altre volte e io mi chiedevo perché non mi portasse con sé. A farlo invece fu un signore che mi fece camminare al guinzaglio, disse che sarei diventato un “cane guida”, mi caricò su un pulmino e mi fece fare un viaggio che a me parve interminabile. Da quel momento in poi la mia vita fu davvero dura. Per tantissime ore della giornata rimanevo chiusa in un box; non più giochi spensierati ma esercizi prima a “corpo libero“ poi imprigionata dentro una “cosa“ che il mio addestratore chiamava guida. Mi facevano camminare attraverso strani labirinti, su e giù per scale e sopra un ponte ondeggiante. Finiti gli esercizi mi lasciavano passeggiare un poco nel parco e mi rimettevano dentro nella mia prigione. In seguito vennero esperienze ben più difficili: imbrigliata nella guida, fui portata sulle strade intorno alla scuola e nella città vicina.
Conobbi treni, la metropolitana e dovetti imparare a badare al movimento delle macchine prima di tentare un attraversamento, guidando il mio addestratore che simulava di essere non vedente. Di tanto in tanto ricompariva la signora che avevo conosciuto in fattoria. Mi coccolava, mi parlava, io le rispondevo leccandole le mani e facendole pipì sui piedi in segno di gioia. Divenni brava e sempre più sicura di me, anche se continuavo a non capire bene a che cosa servisse tutto quel lavoro. Lo compresi invece quando la solita signora venne, mi fece salire sulla sua macchina e mi portò a casa sua. Conobbi l’ascensore, non trovai il giardino però lei stava sempre con me, uscivamo insieme e dopo i primi giorni che servirono a farmi capire che dovevo obbedirle e non scappare (ma non ne sentivo più il desiderio), mi portò a correre nei prati e mi insegnò a girare per tutto il paese entrando nei negozi, frequentando la biblioteca e salendo sugli autobus e sui treni.
Furono anni proprio belli: la gente mi festeggiava, mi voleva bene ma soprattutto tra me e la mia padrona si era creato un rapporto di reciproca fiducia e affetto inscindibile. Non avevamo bisogno di parole, per capirci bastava un gesto ed entrambe capivamo come comportarci. Io mi sentivo responsabile, importante, ma sapevo di poterlo essere proprio perché era da lei che ricevevo indicazioni e sostegno. La sua fiducia era la mia sicurezza.
Insieme realizzammo progetti belli ed utili a tante altre persone. Passarono gli anni ed incominciai ad invecchiare: prima nei prati correvo e saltavo con la leggerezza e la grazia di un puledro, ma poi iniziarono le difficoltà. Mi accorsi di vederci poco e di perdere la memoria. Avevo 14 anni e quando ero libera facevo fatica a ritornare accanto alla mia padrona perché perdevo l’orientamento. Venni riportata alla fattoria della mia infanzia. Fu un grande dolore, ma per fortuna trovai un altro modo per essere utile, diventando la nurse dei vitellini a cui facevo compagnia e pulivo il muso dopo la poppata.
La morte mi ha colto nel sonno ed ecco il mio testamento: bisogna che ci siano tanti cani guida, perché danno autonomia alle persone che non vedono e gioia a noi. Dobbiamo però essere rispettati nel nostro lavoro e non, come troppo spesso accade, mandati fuori col nostro padrone dal ristorante, dal supermercato o dall’autobus. Non siamo degli intrusi e nemmeno dei giocattoli da incuriosire e coccolare. Siamo creature che hanno un lavoro e un dovere da compiere che non deve mai essere ostacolato.