Donne…violenza…giustizia è il titolo della conferenza organizzata dal Gruppo Rotariano Comunitario Sicilia Lux Mundi di Catania, presieduto dal vice questore aggiunto della Polizia di Stato dott.ssa Adriana Muliere, tenuta il 12 marzo 2017 presso il Castello Leucatia di Catania.
L’evento ha visto il coinvolgimento del Rotary Catania Duomo 150 presieduto dal dott. Angelo Alaimo e la condivisione delle Associazioni Città Solidale, Anteas e Dyogene & Athena.
La moderatrice èstata la stessa dott.ssa Muliere mentre i relatori sono stati il dott. Maurizio Catania, grande amico dell’UICI, e fra i relatori, oltre alla dott.ssa Grazia Lizzio, funzionaria della Prefettura di Catania, all’attrice e pittrice Maria Athena Perconti, ho svolto la mia relazione anche io, nella duplice veste di avvocato e di consigliere della sezione provinciale etnea dell’Uici.
Riassumo di seguito il mio intervento.
“…nemmeno con un fiore”
L’argomento che ho trattato, per evidente affinità professionale, è stato quello della giustizia o, purtroppo, dell’ingiustizia che colpisce le donne in generale e quelle disabili in particolare.
Ho dovuto sgombrare subito il campo da equivoci, infatti, facile parlare di parità dei sessi ma la parità si ha quando si parte dallo stesso punto di partenza e, lungo il percorso, si hanno le medesime possibilità.
Invece, checché ne pensino i branditori di parità a parole, la natura ha frapposto un ostacolo naturale alla parità stessa: per natura l’uomo è fisicamente più forte della donna e l’atto di violenza fisica che promana da un uomo è certamente più devastante di quello che può giungere da una donna. Se poi la donna è disabile, ed in particolare priva della vista, le possibilità di difendersi si riducono veramente al lumicino.
Per questo l’uso del termine femminicidio, come specificazione di quello più generico di omicidio, ha una sua ragion d’essere.
Nella mia regione adottiva, la Sicilia, era diffusissima la pratica della cd. Fuitina (il rapimento della donna che andava a convivere con l’uomo), che rappresentava un vero e proprio manifesto pubblicitario di avvenuta consumazione carnale del rapporto, cui doveva obbligatoriamente seguire il matrimonio riparatore.
La Fuitina era, però, un reato plurimo aggravato e continuato consistendo quantomeno di un rapimento, di una violenza sessuale e di una coartazione morale che si protraeva spesso per tutta la vita.
Il più delle volte infatti la Fuitina coinvolgeva donne non consenzienti e spesso minori di età che, dopo essere state “disonorate”, avevano solo la strada del matrimonio per salvaguardarsi dagli strali dell’occhio sociale.
Non bisogna essere dimentichi, e mi rivolgo in particolare ai giovani, che prima del 1976, data di entrata in vigore della riforma del diritto di famiglia, la potestà sui figli era solo patria, essendo riservata solo al padre, e non vi era parità fra marito e moglie.
L’adulterio, previsto nell’art. 559 codice penale, solo nel 1968 fu dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale. Perciò se tradiva l’uomo nulla quaestio ma se tradiva la moglie era reato e se l’uomo commetteva il delitto passionale, cioè l’uccisione della donna, e spesso dell’amante, colta in flagrante, scontava una pena attenuata.
Sto parlando di appena 50 anni fa.
L’attuale eco mediatica che hanno i fatti di violenza contro le donne ha di differente, rispetto al passato, la diversa coscienza sociale e la possibilità di diffusione universale delle notizie che è ben differente dal lenzuolo macchiato di sangue appeso davanti alla casa a dimostrazione dell’illibatezza della donna.
Abbiamo dovuto attendere il 2009 affinché il legislatore raccogliesse le istanze della società per l’individuazione di una nuova figura di reato che si occupasse della persecuzione nei confronti delle donne, cosa avvenuta con il D.L. 11/2009, convertito con la legge 38/2009, che ha inserito nel codice penale l’art. 612 bis meglio conosciuto come stalking, dall’inglese to stalk, che significa “fare la posta”.
Al momento della promulgazione, siamo nel 2013, del decreto legge di modifica di una disciplina rivelatasi insufficiente, lo stesso Capo dello Stato ha ritenuto che “il susseguirsi di eventi di gravissima efferatezza in danno di donne e il conseguente allarme sociale che ne è derivato rendono necessari interventi urgenti volti ad inasprire, per finalità dissuasive, il trattamento punitivo degli autori di tali fatti, introducendo, in determinati casi, misure di prevenzione finalizzate alla difesa delle donne e di ogni vittima di violenza domestica”.
Né il codice né la legge forniscono una definizione di femminicidio, sicché è utile adottare le nozioni già esistenti nel linguaggio comune e nella letteratura criminologica.
Dal primo punto di vista pare senz’altro azzeccata la definizione fornita dal più recente Devoto – Oli per cui la parola femminicidio comprende “qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuare la subordinazione e di annientare l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte”.
In ambito criminologico, inoltre, la donna è stata individuata come un tipo vittimologico, posto che il femminicidio racchiude “l’insieme di pratiche violente esercitate da un soggetto di sesso maschile in danno di una donna “”.
La reiterazione delle condotte persecutorie, idonee, alternativamente, a cagionare nella vittima un “perdurante e grave stato di ansia o di paura”, a ingenerare un “fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva” ovvero a costringerla ad alterare le “proprie abitudini di vita” rappresentano ciò che caratterizza il reato ed il cui avverarsi integra la fattispecie in parola.
Per quel che concerne poi la particolare aggravante contenuta nell’art. 612 bis c.p. essa si riferisce espressamente anche alle persone portatrici di handicap ex art. 3 legge 104/92 . La norma, però, non fa differenza fra portatori di handicap in situazione di non gravità ex comma 1 e in condizioni di gravità ex comma 3.
Dal punto di vista procedurale la querela, remissibile solo in ambito processuale, può essere proposta entro 6 mesi.
La disciplina prevede anche una tutela anticipata di natura amministrativa che si può attivare tramite ricorso al questore che, fatti i debiti accertamenti, può ammonire il persecutore affinché interrompa i propri comportamenti.
La legislazione svolge il suo compito, cioè fornire ai magistrati gli strumenti per perseguire e condannare coloro che violano la norma ma, il vero cambiamento, deve essere culturale.
“…nemmeno con un fiore”, di Mattia Gattuso
Autore: Mattia Gattuso