Negli anni ’80 eravamo stati i pionieri dell’inserimento lavorativo dei disabili nei contesti “normali”, nel 1992 la legge 104 sanciva in modo inequivocabile (almeno così avevamo pensato) il diritto al lavoro dei disabili e nel 1999 la legge 68 ne fissava modalità e procedure.
Sarà la crisi, ma pare trascorso un secolo da allora: nel nostro paese a dare lavoro ai disabili da alcuni anni non sembra più pensarci nessuno, le leggi restano lì semplici testimoni di un periodo felice, mentre attraverso provvedimenti “trasversali” l’obbligo di assunzione viene “bypassato” e nessuno sembra più preoccuparsi del problema.
Chi si batte quotidianamente per trovare nuove possibilità occupazionali per i disabili visivi e per questo è attento a ciò che succede in parlamento, si sarà stupito, come me, di trovare in questi tempi di totale disinteresse a questo problema da parte della politica, nell’art. 9 del decreto lavoro (n. 76/2013) in corso di conversione due misure a favore dell’occupazione dei disabili.
Con la prima, al comma 4-bis, si incrementa per due anni, rispettivamente di 10 mln e di 20 mln di euro, la dotazione del fondo per il diritto al lavoro dei disabili, che sarà così elevato a 52 mln per il 2013 e a 62 mln di euro nel 2014. Particolarmente importante mi è sembrata però la disposizione, contenuta nel comma 4-ter, che obbliga I datori di lavoro, pubblici e privati, a procedere ad “accomodamenti ragionevoli” nei luoghi di lavoro per garantire alle persone con disabilità la piena eguaglianza con gli altri lavoratori. La non osservanza del nuovo obbligo comporterà l’imposizione ad agire da parte del giudice a cui potranno rivolgersi, non solo il lavoratore con disabilità, ma anche i sindacati.
Questa rinnovata attenzione al lavoro delle persone con disabilità non è però dovuta ad una ritrovata sensibilità dei nostri politici al problema, ma molto più prosaicamente questi provvedimenti si sono resi obbligatori per risolvere la procedura di contenzioso attivata lo scorso 4 luglio dalla Corte Ue, con la quale la Corte condannava l’Italia per non aver recepito correttamente e completamente la direttiva n. 2000/78/Ce.
Di fronte ad un paese che sembra aver dimenticato che non i giudici, ma la politica deve occuparsi dei bisogni e della salvaguardia dei diritti dei cittadini, mi consola pensare: “Meno male che l’Europa c’è”.
Luciano Paschetta
Direttore centrale I.RI.FO.R.