Caro Presidente, come lei avrà sicuramente letto, la proposta di dare vita ad una scuola specialistica per bambini ciechi ed ipovedenti, sta facendo discutere creando in tanti di noi preoccupazione, in altri, invece, qualche speranza e condivisione; ciò che mi sgomenta non è la condivisione di un progetto, che a mio avviso, tra l’altro nasce da una debolezza pedagogica, ma le ragioni che danno spazio ad una siffatta iniziativa e cioè la condizione di insicurezza permanente in cui vivono tanti genitori di bambini e ragazzi ciechi ed ipovedenti frequentanti le scuole pubbliche: quali le carenze più diffuse e note?
La precarietà dei supporti nello studio domestico, la discontinuità e, troppo spesso, la insufficiente preparazione specifica, ma anche psico-pedagogica dei docenti di sostegno, lo scarso coinvolgimento dei consigli di classe nel predisporre e costruire collettivamente gli obiettivi didattici e formativi degli alunni ciechi ed ipovedenti, il prevalere del burocraticismo formale nel costruire i piani educativi individualizzati e quelli didattici personalizzati, una tendenza ad accogliere con diffidenza i nostri bambini e ragazzi e la complessiva fragilità di sistema che pervade la nostra scuola.
A tutto ciò si può reagire con promesse che appaiono rassicuranti nell’immediato, ma, dal mio punto di vista, ancora più destabilizzanti in prospettiva perché sappiamo quanto può scompensare il passaggio da una condizione di protezione di un bambino dai 5 ai 6,7,8 anni di età ad una situazione impatto generalista in scuole con classi numerose spesso culturalmente molto plurali e con percorsi educativi diversi da quelli seguiti da questi piccoli utenti di strutture specialistiche;
tutto questo mi induce a domandarle urgenza di organizzare presto un lavoro di squadra su tutto quanto attiene l’educazione, l’istruzione, la formazione e la cultura, perché in tanti anni si è prodotta una politica di servizi da parte dell’Uici, ma è mancata, a parte qualche pagina di rivista, o la voce un po’ isolata di qualche addetto ai lavori, una linea di politica scolastica, suffragata da orientamenti pedagogici; è, altresì, stata trascurata la necessaria relazione con i nostri studenti dei quali conosciamo quel pochissimo che ci raccontano genitori o docenti di sostegno e noi, come facciamo A parlarne quando non riusciamo a stabilire con loro relazioni dirette?
Per esperienza personale devo dire che riuscivo a costruire progetti di qualche senso e di qualche valore pedagogico e culturale, solo quando, come dirigente scolastica, mi facevo aiutare dai ragazzi che ne erano i destinatari.
Studiare nuove modalità di approccio a queste problematiche è non solo urgente e necessario, ma un dovere primario cui ciascuno deve corrispondere in proporzione alle proprie competenze e alle responsabilità che si assume nell’associazione.
Silvana Piscopo