La cooperazione internazionale intrapresa da persone con disabilità: una sfida futura? No, un traguardo già raggiunto!, di Ada Nardin

Autore: Ada Nardin

Mi chiamo Ada Nardin e sono attiva all’interno dell’Unione  Italiana Ciechi ed Ipovedenti da quando avevo 18 anni, ossia dal momento in cui sono entrata a far parte del comitato giovani di Rieti.
La mia formazione è prettamente linguistica e, grazie ad un corso organizzato dall’I.Ri.Fo.R, ho ottenuto la qualifica di consulente di autonomia personale.
Le conoscenze acquisite durante gli anni di studio e di lavoro mi sono tornate utili dal momento che mi reco spesso all'estero e che mi sono sempre resa disponibile a consigliare le persone con disabilità visiva che, a vario titolo, si sono rivolte a me.
Poi, per un caso fortuito e meraviglioso che la vita mi ha messo davanti durante uno dei miei viaggi, ho intuito che potevo mettermi a servizio dei ciechi di altri Paesi, soprattutto di quelli in cerca di sviluppo.
Si è quindi concretizzata la splendida opportunità di fare cooperazione internazionale, non con le grandi o.n.g., ma da sola o con le piccole associazioni con cui sono entrata in contatto.
La cooperazione internazionale viene percepita come un settore irraggiungibile appannaggio esclusivo di menti esperte all’interno delle “lobby” delle missioni umanitarie; è forse vero che è difficile gravitare nell’universo degli aiuti internazionali, ed è pure giusto che un’attività così impegnativa e delicata non sia affidata all’improvvisazione ma, d’altro canto, sarebbe auspicabile che siano messe in campo le energie e le competenze di coloro che, come nel mio caso, hanno la voglia e l’opportunità di presentare progetti di cooperazione dal basso.
Mi sono già recata in Mali al seguito dell’Afmal con l’aeronautica Militare, ed in Congo con l’associazione Magic Amor ed è prossima la mia partenza per la Tanzania per conto dell’associazione Mama Africa.
Gli obiettivi sono sempre i medesimi: consegnare il materiale didattico raccolto in Italia agli istituti per ciechi presenti nei paesi in cui mi reco, formare adeguatamente il personale al suo corretto utilizzo, apportare correttivi, laddove ve ne sia bisogno, alle tecniche di orientamento e mobilità che gli istruttori locali insegnano, e, se possibile, promuovere l’uso della strumentazione informatica corredata delle apposite tecnologie assistive,, installare centri di produzione testi, e formare i futuri trascrittori delle stamperie Braille ed a caratteri ingranditi.
Simili progetti molto leggeri, nel senso che non necessitano  di grossi investimenti o di interventi infrastrutturali, possono essere effettuati da chiunque abbia la possibilità di donare molto tempo ed energie, non solo per il periodo che dura la missione ma anche  nella sua organizzazione (raccolta fondi, materiale, informazioni, contatti); sia disposto a sottoporsi a vaccinazioni e profilassi pesanti per l’organismo; non manchi del coraggio necessario qualora si presentino situazioni al limite della sicurezza; possieda la preparazione richiesta per formare altri formatori e le capacità di problem solving verso condizioni impreviste o improvvise; sia provvisto di inventiva e di competenze che gli consentano di fornire suggerimenti validi e differenziati a seconda delle realtà del luogo; non perda la freddezza per non scoraggiarsi quando sopraggiungono eventuali battute d’arresto o sconfitte dovute alle condizioni sfavorevoli, alla burocrazia, alle differenti tempistiche o diverse mentalità che vanno in ogni caso rispettate.
Fare cooperazione apre orizzonti per chi riceve aiuti e per chi li porta nell’ottica di uno scambio continuo, sia conoscitivo che esperienziale.
Io ho osservato ed assorbito dalle persone che ho formato antiche, o forse nuove strategie per ovviare a difficoltà in ambito scolastico, lavorativo, sociale e riabilitativo; tali soluzioni sono riadattabili ed esportabili proprio come quelle che noi cooperanti consegniamo e proponiamo.
Da sottolineare che è possibile cooperare anche dall'Italia, organizzando raccolte fondi o adottando un progetto e divulgandolo e trovando finanziatori; in questo modo si aprono le porte anche a chi, essendo affetto da disabilità aggiuntive o avendo un qualunque impedimento a recarsi in loco, voglia ugualmente dare il proprio contributo.

Ada Nardin