Intervista a Mario Barbuto, Presidente Nazionale dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, di Luca Ajroldi

Autore: Luca Ajroldi

D.: Presidente, qual è stato il suo primo pensiero dopo l’elezione?

R.: L’enorme responsabilità di gestire un’associazione così grande e così importante.

D.: Questo le ha fatto paura?

R.: No, non mi ha fatto paura. Però è stato un pensiero che mi ha dato il senso della responsabilità. Diventare il Presidente di questa grande associazione che vive da 95 anni e che ha accumulato valori, acquisito obiettivi, conquistato traguardi che abbiamo il dovere prima di tutto di tutelare per poi, possibilmente, spostare l’asticella ancora un po’ più in là.

D.: Presidente quale sarà la Sua parola d’ordine?

R.: Le parole d’ordine saranno tre: efficacia, efficienza, risultati.

D.: Qual è il cammino che si è proposto di portare avanti per l’Unione Italiana Ciechi e ipovedenti in una situazione oggettivamente di grande crisi come quella che stiamo vivendo oggi in Italia, con politiche che spesso infieriscono sempre di più sulla pelle dei più deboli?

R.: L’obiettivo generale è garantire, sempre di più, il diritto di cittadinanza alle persone non vedenti ed alle persone ipovedenti per renderli pari tra pari, cittadini con la loro dignità come tutti i cittadini. Sembra l’affermazione di una banalità, che la nostra Costituzione già riconosce, ma ancora, oggi troppo spesso, ciò non avviene nella vita quotidiana. La nostra Unione vive e funziona perché può contare su 50.000 iscritti e ha sezioni in tutto il territorio nazionale; molte di queste sezioni però oggi sono in difficoltà per ragioni anche finanziarie e noi le vogliamo aiutare.
Inoltre, capisco bene che occorre allargare anche l’orizzonte delle possibili risorse economiche, che non possono più dipendere solamente dall’intervento pubblico ma che devono incrementarsi anche con azioni diverse, come il 5×1000, la raccolta fondi, la partecipazione a progetti europei. Il tutto ovviamente deve essere finalizzato alla creazione di una sempre maggiore opportunità di servizi, da quelli più classici ma fondamentali, quali l’istruzione, la possibilità di lavorare e di avere diritto a una vita dignitosa dopo il lavoro per le persone anziane, ma anche la possibilità di avere accesso a sempre nuovi strumenti tecnologici per comunicare.

D.: Non ha il timore che l’avanzare della tecnologia, in realtà emargini il non vedente invece di aiutarlo a crescere?

R.: No, non credo ci possa essere questo rischio, anche se è vero che molte soluzioni tecnologiche non sono progettate secondo i canoni dell’accessibilità. Faccio solo un esempio, la radio: il semplice apparecchio radiofonico, che per tanti decenni è stato uno degli amici più fedeli delle persone non vedenti e ipovedenti, oggi, per funzionare, ha spesso modalità di gestione totalmente digitali, con display a sfioramento; ed è vero, questo ne rende molto più complicato il suo utilizzo. Basterebbe però aggiungere una piccola sintesi vocale per guidare il non vedente o l’ipovedente e il problema sarebbe facilmente risolto. Questo è già stato fatto per esempio negli ascensori, è già stato fatto sulle scatole delle medicine con le diciture in braille, perché non si deve fare anche per la radio e altri elettrodomestici di uso quotidiano?
In ogni caso alla tecnologia dobbiamo molto. Pensiamo soltanto al fatto che oggi le persone non vedenti e ipovedenti possono leggere, regolarmente ed autonomamente, tutta la stampa quotidiana; mentre 20 anni fa, o forse anche solo 10, ne erano invece totalmente esclusi.

D.: Il Presidente dell’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti davanti al problema dei falsi ciechi. Cosa intende fare?

R.: Le cose da fare sono poche ma importanti. La prima: perseguire realmente coloro che abusano della condizione di cecità, ricordando però che se esiste un “falso cieco” esiste anche una commissione pubblica che lo ha classificato come cieco; quindi per estirpare il fenomeno dei falsi invalidi, il concetto di falsità andrebbe esteso e non limitato solo alla sola persona che percepisce indebitamente l’emolumento.
Secondo, occorre formare le forze dell’ordine affinché quando debbano compiere delle indagini relativamente ai falsi ciechi lo possano fare con cognizione di causa. Capita talvolta di leggere nei verbali che “la tal persona è sicuramente un falso cieco perché sta utilizzando un iPhone”: certamente chi ha scritto il verbale non sa che cosa un non vedente può fare con un iPhone.
Il terzo aspetto che io ritengo fondamentale riguarda la necessità di sviluppare una campagna di informazione che permetta davvero di far conoscere ai cittadini che cosa una persona cieca o ipovedente sia in grado di fare e come lo possa fare. Un cieco è quella persona che vive in mezzo a tutti noi, che si muove da solo, che sa camminare per strada, sa riconoscere il portone di casa sua e ci sa entrare, sa aprire la porta di casa, sa piantare un ombrellone sulla sabbia. Questi che faccio, sono tutti esempi riportati nei verbali delle forze dell’ordine e nei media a dimostrazione del fatto che una persona fosse un “falso cieco”. Ecco, se gli esempi del falso cieco sono questi, siamo fuori strada, perché queste cose i ciechi le fanno, qualcuno fa anche qualche cosa di più “pazzo”. Per esempio io stesso, quando ero un pochino più giovane, andavo in bicicletta, in strade non troppo trafficate, con un amico che mi teneva la mano sulla spalla. Cerchiamo quindi di capire bene che cosa vogliamo comunicare: chi sono i ciechi e che cosa possono fare; non siamo neppure dei fenomeni, anche se a volte ci presentano come tali solo perché, appunto, siamo in grado di utilizzare un iPhone!

D.: Beh alcuni campioni sportivi, secondo me, sono veramente dei fenomeni.

R.: Ma perché appunto sono dei campioni sportivi, non perché sono ciechi! Come è un fenomeno il mio amico Andrea Bocelli, che è un fenomeno della canzone e della lirica, però la cosa non dipende dalla sua disabilità.

D.: Lo è a prescindere!

R.: Certo, è un fenomeno a prescindere, come lo era Pavarotti, come lo è Carreras, come lo sono altri, con le loro normalità, le loro mediocrità, le loro eccellenze e le loro capacità.
Siamo un pochino stanchi – e in questo sto pensando anche alla politica – di quello che si sente dire, per esempio, quando si parla di taglio della spesa pubblica. Va bene, facciamo le valutazioni che si devono fare e tagliamo la spesa pubblica. Però per favore basta con questa storia delle spese improduttive per le persone con disabilità; le persone con disabilità sono persone con la loro dignità. Molte di queste spese, cosiddette improduttive, in realtà servono per garantire loro un’adeguata formazione; questo consentirà poi di trovare un lavoro, e lavorando diventeranno produttivi e pagheranno le tasse come tutti gli altri; dall’altro lato queste spese garantiscono l’accesso alle forniture tecnologiche consentendo loro di muoversi in modo autonomo, studiare, svolgere lavori un po’ più complessi di quelli che oggi fanno. Significa anche, per coloro che si trovano già nella terza età e in una condizione di difficoltà effettiva, avere quell’atteggiamento di riconoscenza e attenzione verso le persone più in difficoltà della nostra società. E questo non riguarda solo i ciechi, ma tutte quelle persone che, per ragioni fisiche o legate a malattie, all’età o anche per ragioni infortunistiche o semplicemente perché non hanno dei redditi elevati, si trovano in condizioni di disagio economico.
Li vogliamo buttare nella spazzatura tutti quanti? Continuiamo a chiamarle spese improduttive? Io non credo sia questo l’approccio corretto.
Se vogliamo parlare degli sprechi, è facile fare demagogia, dalle macchine di rappresentanza, i mille onorevoli, e così via… ma io credo davvero sia demagogia, e alla fine si tratterebbe comunque di piccoli risparmi, diciamoci la verità, anche se a volte stride un po’ vedere quello che si fa utilizzando i fondi del gruppo politico regionale, dall’acquisto della casa in campagna, fino ad arrivare alla biancheria e ai prodotti di bellezza…

D.: O alle feste romane….

R.: Certo, le feste e le cene. Anche se purtroppo questo non basta a salvare la spesa pubblica.

D.: Però ne salva la moralità…

R.: Certo, sicuramente darebbe più dignità e credibilità a chi deve proporre di tagliare le spese per gli altri, perché è sicuramente più accettabile tagliare la spesa pubblica se chi lo propone ha già cominciato a tagliare le sue, di spese pubbliche.
Facciamo attenzione però. Per quanto riguarda l’accertamento dell’invalidità, l’Inps dal 2009 al 2012 ha compiuto 800.000 accertamenti sulle persone che già riscuotevano la pensione, spendendo oltre 30 milioni di euro. Da queste indagini, in prima istanza, è emerso che circa il 25% di queste persone non ne avevano diritto ed è stata revocata loro la pensione, con enormi e ovvie sofferenze. Poi queste persone hanno fatto ricorso e l’Inps ha dovuto sostenere altri costi, anche per pagare gli avvocati, e le altre spese legali.
Di questi ricorsi ne ha persi il 97%. Alla fine, delle 800.000 persone sulle quali sono state svolte le indagini, solo il 3% è risultato essere un falso invalido, stiamo parlando di quattro o cinquemila persone su 800.000, ripetiamolo…
Se vogliamo risparmiare e si vogliono veramente razionalizzare le spese, lo dobbiamo fare tagliando davvero gli sprechi, la demagogia non serve a nulla.

D: Presidente, grazie e buon lavoro.

Luca Ajroldi