Avvertito dall’amico Prof. Piero Bigini, responsabile istruzione della Sede Centrale, partecipai ai funerali del Presidente dell’UIC Prof. Paolo Bentivoglio, deceduto a Roma il 22 Dicembre 1965. In quell’occasione di grande tristezza, i Dirigenti Nazionali più autorevoli, nel salutare ciascuno dei tanti partecipanti, dissero che da quel momento in poi, con il venir meno del nostro Presidente, avremmo dovuto raddoppiare il nostro impegno associativo. Dopo alcuni giorni, il Consiglio Nazionale elesse, nonostante qualche inopportuno e sgradevole tentativo di veto da parte di alcuni esponenti del Governo, sollecitati anche da alcuni personaggi ciechi, il nuovo Presidente Nazionale nella persona di Giuseppe Fucà, che lo stesso Prof. Bentivoglio si era premurato di indicare quale suo eventuale successore. Nell’Aprile del 1966, sollecitato a porre la mia candidatura per la elezione a Consigliere della Sezione Interprovinciale di Roma, risultai eletto insieme al Prof. Enrico Ceppi, nella veste di Presidente, al Prof. Remo Sallustri, Vice Presidente, all’ex Sindaco di Roma, Franco Rebecchini, Consigliere delegato, al cantante romano Giorgio Onorato, a Franco Politi e ad altri.
L’attività procedeva bene e i momenti di difficoltà e qualche diversità di opinione, che non mancava mai, veniva quasi sempre superata grazie ai consigli del Prof. Bigini, al quale spesso ricorrevo. Nel Dicembre dello stesso anno fui invitato a partecipare al mio primo Congresso Nazionale, in sostituzione di un rappresentante della mia Sezione che non poteva essere presente. Io allora ero ventitreenne e credo di essere stato uno dei più giovani partecipanti. Fu un’esperienza straordinaria. Ascoltando i tanti discorsi dei Dirigenti dell’Unione, dei Ministri e degli uomini politici molto importanti e influenti, che nel ricordo di Nicolodi e di Bentivoglio, formulavano a Fucà l’augurio per la continuazione del suo incarico di Presidente, non riuscivo a capacitarmi del perché alcuni ciechi e altri politici potessero tramare contro l’Unione e i suoi uomini migliori. Il Congresso si concluse, comunque, nel migliore dei modi, con l’elezione di un gruppo dirigente che confermò Fucà alla Presidenza Nazionale e da quel momento l’Unione ricominciò il cammino verso la conquista dei diritti che Bentivoglio soleva spesso proporre. In quel periodo il più caparbio oppositore dell’Unione e delle richieste pensionistiche in favore dei ciechi civili era il dott. Vincenzo Caracciolo, cieco egli stesso, nominato dal Governo di allora, quale Presidente dell’Opera Nazionale Ciechi Civili. I lunghissimi tempi di attesa e le regole restrittive con le quali l’Opera concedeva le pensioni, cominciarono a suscitare un forte malcontento fra le persone cieche, che in quei tempi vivevano condizioni di assoluta indigenza. Condividevo le ragioni di queste persone e indirizzavo il loro malcontento verso la gestione dell’Opera Nazionale, ma il mio atteggiamento non era apprezzato e condiviso da alcuni benpensanti che ritenevano certe forme di lotta disdicevoli e controproducenti per l’immagine della Sezione. Altra ragione di poca comprensione con i dirigenti della Sezione, era la mia difesa dei diritti delle persone affette da patologie progressive e irreversibili, che ancora conservavano un residuo visivo, perché l’opinione di alcuni era quella di assistere solo i ciechi assoluti. I miei rapporti con la Sezione si fecero gradualmente più rari, ma intensificai quelli con il Prof. Bigini e con il Presidente Fucà, con i quali il mio pensiero era certamente più affine. I Dirigenti Nazionali dell’Unione ed in particolare il Prof. Bigini, in quel periodo, erano impegnati per l’approvazione di una proposta di legge in favore del collocamento degli insegnanti ciechi, il cui firmatario era il Sen. Baldini. Avendo fatto la conoscenza di una ragazza che in seguito divenne mia moglie, che abitava a Cisterna di Latina, ebbi la possibilità di conoscere i fratelli del Senatore Baldini, che originari di Modena, a Cisterna gestivano un allevamento di polli. Tramite loro ebbi modo di istaurare buoni rapporti con lo stesso Senatore, che facilitarono gli opportuni incontri con i Dirigenti Nazionali dell’Unione. Ebbi anche l’occasione di accompagnare a Modena il Prof. Bigini, dove insieme ad Angela Lugli, Piani ed il Prof. Gianfale, incontrammo il Senatore, nella Sezione dell’UIC. La legge fu rapidamente approvata con il sostegno determinante dello stesso Sen. Baldini e del Senatore Elkan, allora Dirigente dell’Istituto Cavazza. In quell’occasione, non mancarono da parte di alcuni illuminati Prof. atteggiamenti sarcastici, per il fatto che un centralinista come me, privo di un adeguato titolo di studio, potesse occuparsi di una legge che riguardava insegnanti e laureati. Anche Giuseppe Fucà non fu esente da valutazioni negative, infatti dagli stessi professori sopra citati nonché da alcuni avvocati, veniva considerato inadeguato all’assolvere il suo ruolo di Presidente, in quanto non in possesso di una Laurea, ma solo di titoli di scuola professionale. La mia particolare attenzione per la situazione pensionistica dei ciechi, mi aveva portato da qualche tempo a fare la conoscenza del dott. Giorgio Morelli, funzionario dell’Opera Nazionale Ciechi Civili, che condivideva pienamente l’attività che svolgevo nell’ambito dell’Unione. Non potendosi esporre più di tanto, in virtù del ruolo che ricopriva, mi forniva ottimi consigli per meglio tutelare il diritto alla pensione delle persone cieche. Con Giorgio Morelli, un cieco civile già Presidente della Sezione di Ascoli Piceno, molto introdotto negli ambienti del PCI e della CGIL, strinsi tali rapporti di amicizia che fu testimone al mio matrimonio e battezzò il mio primo figlio. Più volte ci incontrammo con il Presidente Fucà e fummo anche suoi ospiti nella sua abitazione, in via delle Coppelle, per concordare le azioni volte a portare avanti una legge che migliorasse gli importi delle pensioni, che dovevano essere erogate sulla base del reddito della sola persona cieca, che migliorasse l’indennità di accompagnamento e che prevedesse anche la soppressione dell’Opera Nazionale Ciechi Civili. Fra i soci intanto cresceva il dissenso verso l’Opera e verso il Consiglio della Sezione Interprovinciale di Roma, che non assumeva alcuna posizione in difesa dei loro diritti. Nel mese di Febbraio 1968, il Consiglio della Sezione venne sciolto e fu nominato quale Commissario il Prof. Cesare Colamarino, un galantuomo che mi volle al suo fianco nella veste di Vice Commissario, con il compito di organizzare le Sezioni nelle Provincie di Frosinone, di Latina, di Rieti e di Viterbo, dove l’UIC era fino allora assente. Potei assolvere questo compito con l’encomiabile aiuto e la totale disponibilità di Vittorio Caccioppola a Latina, di Giampiero Notari a Rieti e di Leucio Fortini a Viterbo. Per la Provincia di Frosinone l’incarico fu affidato a me, che lo svolsi con la collaborazione di Raffaele Faina. Nel frattempo la battaglia per la conquista di una miglior legge sulle pensioni era iniziata. Mi fu affidato il compito di costituire un Comitato pro-pensioni, del quale fecero parte anche Leucio Fortini, Gianpiero Notari, Vittorio Caccioppola, Raffaele Faina e Paolo Recce, per coordinare le manifestazioni di piazza che iniziarono nel mese di maggio 1968. Alle prime manifestazioni parteciparono i soci di Roma che venivano coinvolti da un gruppo di centralinisti molto attivi. Le costituende Sezioni del Lazio fecero affluire i ciechi e i loro familiari, con numerosi pullman nei luoghi concordati, in particolare presso il Ministero dell’Interno e del Tesoro. A questi manifestanti si unirono, fornendo un grande contributo, anche i soci della Sezione di Pisa guidati da Paolo Recce. Nel corso del1968, furono organizzate ben tre manifestazioni. Nel 1969, a partire dal mese di Febbraio, furono organizzate altre quattro manifestazioni, di cui due anche con l’istallazione di tende davanti a Montecitorio e di fronte a Palazzo Chigi. Quei clamorosi gesti, che colsero di sorpresa anche le forze dell’ordine e che ebbero molto risalto sulla stampa ci consentirono di interloquire con molti esponenti politici. Particolarmente attivi furono i soci di Rieti nel montare le tende, guidati da Notari e da Mario Posciente, una persona vedente ora purtroppo scomparsa. Nei primi giorni di giugno, mentre mi trovavo insieme a mia moglie e il bambino di pochi mesi, in casa dei miei suoceri a Cisterna di Latina, arrivò Giuseppe Fucà accompagnato da Benedetto, suo fedelissimo autista. Sorpresi dall’inaspettata visita, chiedemmo cosa mai fosse accaduto per averlo fatto giungere fin lì e Fucà, abbracciando mia moglie Giovanna, gli chiese di fagli un grandissimo regalo, quello di lasciarmi libero per un mese, perché quel mese di giugno sarebbe stato decisivo per la sorte della legge sulle pensioni. Aggiunse che non si doveva preoccupare perché sarei stato ospitato a casa sua in via Valmelaina oppure in casa di Giorgio Morelli. Giovanna con il pianto nel cuore non seppe dire di no ed io partii quindi subito alla volta di Roma. Le manifestazioni di protesta, che coordinavo insieme al Comitato Pro-Pensioni dei ciechi, erano dirette contro il Governo ma, nel gioco delle parti, si coglieva ogni occasione per esprimere il dissenso anche contro i dirigenti dell’Unione perché mantenevano buoni rapporti con i rappresentanti del Governo, nonostante la scarsa attenzione verso i nostri problemi. Ricordo che un giorno, durante una manifestazione presso il Ministero dell’Interno, mentre eravamo in attesa di essere ricevuti dal Ministro Restivo, per fare un po’ di scena, chiesi di poter telefonare alla Sede Centrale dell’Unione dove sapevo essere presente il Vice Presidente Ammannato. Mi rispose la segretaria, sig.ra Millefiorini, che alle mie rimostranze contro Ammannato e gli altri dirigenti che non erano a manifestare con noi, piangendo disse che i Dirigenti dell’UIC non meritavano di essere offesi e non me lo volle passare al telefono. Il giorno successivo, il Presidente Fucà, recandosi al Ministero dell’Interno, fu informato che i ciechi contestavano anche lui e l’Unione. Fucà, che naturalmente era al corrente di tutto, si limitò a dire che se non fossero state accolte le proposte dell’Unione, il Governo avrebbe dovuto fare i conti con tanta gente disperata che non credeva più ad alcuno. Altra manifestazione con centinaia di ciechi si svolse, dopo solo quindici giorni, presso Palazzo Chigi verso la fine di giugno 1969. Occupammo l’incrocio stradale di Largo Chigi bloccando il traffico, ma intervennero quasi subito le forze dell’ordine. Mentre mi stavano prelevando perché con il megafono incitavo a continuare il blocco stradale, venne in mio soccorso il dott. Aldo Aiello, Capo della Segreteria del Vice Presidente del Consiglio, On . Francesco De Martino, il quale chiese al Commissario di Polizia di lasciarmi libero , perché ero atteso, con una delegazione di ciechi, per un colloquio dallo stesso On. De Martino. A quel punto invitai i manifestanti a liberare la strada. L’incontro con il Vice Presidente del Consiglio fu positivo, perché disse che avevamo ragione e che il Ministro del Tesoro in tempi brevi avrebbe trovato la copertura finanziaria alla proposta di legge. Ci disse anche che dovevamo stare tranquilli, perché l’on. Pieraccini, un amico storico dei ciechi, seguiva la vicenda per conto del Partito Socialista. Soddisfatti per le assicurazioni ricevute, la protesta ebbe termine. Per ogni manifestazione, di cui per la Polizia risultai responsabile, accumulai almeno cinque denunce riguardanti manifestazione non autorizzata, occupazione di suolo pubblico, blocco stradale, resistenza e offesa a pubblico ufficiale e non so più che altro, che mi procurarono non pochi disagi e conseguenti processi presso il Tribunale di Roma, che si conclusero favorevolmente. Qualche dirigente dell’UIC, pensando che fossi un incorreggibile ribelle , arrivò a proporre a Fucà la mia espulsione dall’Associazione. (Evidentemente ero un predestinato). In quel periodo ero libero dal lavoro, perché un abbassamento di vista non mi consentiva più di lavorare al vecchio centralino a spine del Credito Italiano, in quanto per passare le comunicazioni avrei dovuto infilare le spine negli appositi fori, che però non riuscivo più a vedere. Fui messo per qualche tempo a riposo in attesa che fosse sostituito quel Centralino con uno più moderno. Ebbi pertanto modo e tempo di assecondare il Presidente in tutte le azioni più utili per la causa. Con il Presidente Fucà ci si incontrava spesso anche a casa di Morelli, ubicata vicino a piazza Montecitorio, per fare il punto della situazione e ogni qualvolta che si doveva incontrare, in via riservata, un esponente politico o quei dirigenti dell’Opera, che come Morelli, condividevano l’azione dell’Unione. L’ostacolo più difficile da superare era sempre il Ministro del Tesoro Colombo, che il Presidente Fucà e gli altri Dirigenti Nazionali cercavano di incontrare inseguendolo in ogni parte d’Italia. Un giorno che si svolgeva un convegno della DC presso il Palazzo dei Congressi, inviato da Fucà, mi introdussi nella sala con l’aiuto di mio cognato, Sindaco democristiano di un paesino della provincia di Frosinone. Il Ministro Colombo fu inavvicinabile ma quando si liberò un posto accanto a quello dell’On. Andreotti, mi sedetti accanto a lui, dicendogli che il Ministro Colombo aveva negato al Presidente Fucà, per l’ennesima volta, la copertura economica della legge che portava anche la sua firma. L’On. Andreotti mi disse di riferire che il Ministro del Tesoro, al più presto, avrebbe trovato i soldi per la legge che interessa i ciechi. Ritornai da Fucà con tale notizia e lui si sentì un po’ più sollevato. In quei giorni era particolarmente rattristato dal fatto che la moglie Milena era stata ricoverata in ospedale e che lui non poteva essere al suo fianco e non poteva assistere nemmeno alla discussione della tesi di laurea del figlio Gianni. Dopo una giornata particolarmente negativa, fatta di incontri andati a vuoto e con l’aggiunta della notizia del ricovero ospedaliero di Giorgio Morelli, che siamo andati a trovare prima di andare a casa di Fucà in Via Valmelainia, senza nemmeno cenare, ci siamo distesi sui lettini. Subito dopo Giuseppe si rialzò e si mise alla scrivania per scrivere le toccanti lettere inviate alla moglie Milena e al figlio Gianni, che successivamente ho trovato pubblicate nel libro “Un racconto per Chiara”. Considerate le condizioni di salute di Giorgio Morelli, Fucà volle che in quei giorni gli stessi particolarmente vicino anche per tenerlo informato dell’evolversi dell’iter della legge. Dopo l’ennesima delusione, procuratagli dal Ministro Colombo, Fucà accompagnato da Bigini e Benedetto, si avviò verso il Ministero del Tesoro dove era deciso a compiere il gesto clamoroso dello sciopero della fame a oltranza all’interno dello stesso Ministero. Soltanto alla sera di quel 2 luglio, verso le 22, riuscii a telefonare all’amico Merendino, Segretario della Sede Centrale, prezioso punto di riferimento e di collegamento tra noi contestatori e la Dirigenza Nazionale dell’Associazione, per conoscere cosa era accaduto e dove fossero Fucà e Bigini, dei quali non avevo notizie dal mattino. Il segretario, Merendino, mi informò che il Ministro del Tesoro aveva finalmente comunicato la copertura finanziaria della Legge e che, avendo lui parlato con il Presidente, mi disse che sarei dovuto andare ad attenderlo a casa sua dopo aver informato della buona notizia Giorgio Morelli. Fucà rientrò alle tre del mattino, era stanchissimo ma felice. Nel commentare quanto accaduto, non prendemmo nemmeno sonno. Poi, verso le sei del mattino, cominciarono le telefonate di dirigenti e soci da ogni parte d’Italia che, avendo ascoltato i comunicati della radio, volevano sincerarsi del risultato e per complimentarsi del lavoro svolto.
I giorni successivi furono più sereni per tutti perché l’ostacolo più importante era stato superato. Il Presidente Fucà mi chiese di accompagnarlo dall’On. Flavio Orlandi , allora presidente della Commissione Bilancio, che ben conoscevo, il quale fu felice di concordare la rapida approvazione della legge. Le cose ormai volgevano al meglio, tanto che il giorno dopo andammo a salutare Giorgio Morelli ritornato a casa. Successivamente, insieme a Benedetto, accompagnai Fucà alla stazione Termini a prendere il treno per Firenze. Rammento che volle passare, prima di partire, alla casa discografica Ricordi per acquistare la cassetta sonora di Modugno, contenente la canzone “La lontananza” da donare alla moglie Milena. Ci salutammo con un forte abbraccio e mi disse di raggiungerlo insieme a mia moglie Giovanna nella sua casa, vicino al mare, in mezzo alla pineta di Donoratico, non appena sua moglie Milena si fosse rimessa. Io, ormai disoccupato, non avendo altre ragioni per protestare, cominciai a preoccuparmi davvero per il mio posto di lavoro, perché la Banca non intendeva sostituire il centralino in tempi brevi e per me si prospettava un possibile trasferimento in altra città, cosa che non potevo accettare, avendo un bambino di pochi mesi e una moglie giovanissima che avrebbero sofferto la lontananza dai suoi familiari. Piero Bigini, sempre lui, conoscendo la mia difficile situazione, intervenne prontamente presso i dirigenti del Credito Italiano e con l’allora Direttore Rivosecchi mi fu trovata la soluzione di un posto di lavoro a Roma, presso la Banca d’Italia. Dopo poco tempo, mi fu comunicata l’assunzione a far data 1 Aprile 1970, ma l’amico Piero Bigini, non poté festeggiare con la mia famiglia , come programmato, il suo ennesimo risultato conseguito, perché scomparve in un tragico incidente nel mare dell’isola di Ponza, nel mese di marzo, proprio il giorno di Pasqua. Partecipammo numerosi al suo funerale, durante il quale Fucà, uomo dalle ineguagliabili doti umane, fece, credo, il suo più sentito, appassionato e commovente intervento per ricordare al figlio Fulvio e a tutti noi il valore immenso di Piero, le sue qualità morali, il suo alto senso del dovere, la sua ricchezza di ideali e il suo impareggiabile impegno solidaristico, che ha lasciato in eredità a tutti noi. Piero non potè gioire nemmeno per l’approvazione della Legge n. 382, avvenuta nel mese di maggio dello stesso anno, riguardante la riforma delle pensioni dei ciechi per la quale aveva dato il meglio di se stesso. Non rammento la data precisa di quel marzo 1970 quando scomparve Piero Bigini, ma ricordo perfettamente che era avvenuta proprio il giorno di Pasqua. Da allora, ogni Pasqua, si ripresenta con forza, puntualmente e malinconicamente nei miei pensieri la bella figura di quell’uomo speciale e amico carissimo.
Esperienze di vita associativa, di Carlo Carletti
Autore: Carlo Carletti