L”articolo apparso sul tema in Redattore Sociale del 18 maggio, ha lasciato una ferita nel cuore di tanti di noi. Quelle parole di sarcastica ironia non suonano negative verso il Governo, ma offensive, soprattutto verso migliaia di ciechi e ipovedenti che fanno del contatto fisico una necessità quotidiana per poter vivere, lavorare, studiare…
Tutti noi, persone con disabilità, in queste settimane abbiamo fatto di necessità virtù e ci siamo adattati a vivere una condizione inaspettata e complicata. Abbiamo viaggiato avvalendoci dei nostri familiari come accompagnatori; abbiamo sopperito come si poteva alle esigenze materiali della vita di tutti i giorni.
Molti di noi hanno continuato a recarsi sul posto di lavoro e tra loro mi piace ricordare i tanti centralinisti telefonici ciechi che hanno voluto proseguire il loro servizio negli ospedali e nei centri di cura; numerosi dirigenti e volontari che hanno mantenuto aperte e operative molte nostre Sedi sul territorio per offrire assistenza e primo soccorso alle persone più in difficoltà.
E chissà quante volte siamo stati costretti a violare in queste settimane le regole sul distanziamento, senza che per questo ci si debba sentire autorizzati a perseverare nella violazione e farla divenire abitudine tollerata. Per non parlare del rischio di essere comunque multati o fermati per non aver rispettato la distanza obbligatoria.
Ma perché, si sono domandati migliaia di ciechi e ipovedenti su tutto il territorio, dovremmo costringere i nostri accompagnatori a violare la legge? Perché dovremmo esporre a inutile rischio di sanzione le ragazze e i ragazzi del servizio civile universale, gli operatori dei servizi di assistenza ai viaggiatori con ridotta mobilità, i tanti volontari che ci affiancano e ci aiutano ogni giorno a svolgere innumerevoli funzioni personali e sociali come fare la spesa, recarci al lavoro, prendere autobus, treni, aerei, farci accompagnare a visite specialistiche e terapie continuative e tanto altro ancora?
La possibilità offerta ad accompagnatori e operatori di assistenza di derogare al metro di distanza, laddove sia necessario e sempre con le protezioni previste, per svolgere al meglio le proprie prestazioni a supporto delle persone con disabilità, secondo noi è un dovere normativo, un atto di rispetto, un segno di civiltà che allinea, una volta tanto, la Legge alla pratica sociale e alla dignità individuale dei cittadini.
Adeguare la norma sul distanziamento alle esigenze sociali di larga parte di cittadini con disabilità non significa certo trascurare o negare le ulteriori necessità di tutela della salute legate alla disponibilità dei dispositivi di protezione, all’uso dei tamponi e dei test sierologici e a tutte le altre misure necessarie ad assicurare il contenimento del rischio di contagio, ma anche il Diritto ad avere una vita piena e normale, sia pure in tempi di corona virus.
In quella ironia troppo a buon mercato di Vittorio Barbieri, ritrovo almeno un paio di paradossi:
- Barbieri si autodenuncia come trasgressore delle norme sul distanziamento e ne ammette pertanto implicitamente l’inapplicabilità, ma afferma nello stesso tempo che averne definito meglio l’impiego sia stata operazione inutile;
- Barbieri invoca legalità, sicurezza e protezione, ma sotto sotto pare sostenere che in mancanza si può anche vivere e sopravvivere in uno status di illegalità
Avere regolato in modo più chiaro, preciso e corretto l’applicazione delle norme sul distanziamento nel caso di persone con disabilità, secondo me risulta efficace e utile a risolvere innumerevoli situazioni pratiche della vita di tutti i giorni, senza provocare, violazioni, sanzioni, contestazioni, pur nella consapevolezza che rimangono aperti molti problemi che abbiamo sempre evidenziato in tutte le sedi istituzionali con rispetto, fermezza, onestà, coraggio.
Come scrivevo in apertura, i commenti sarcastici alla norma sul distanziamento, purtroppo, non rappresentano una critica al Governo e al Presidente del Consiglio, ma più tristemente suonano come una mancanza di rispetto, un’offesa per migliaia di ciechi, ipovedenti e tante altre persone con disabilità che desiderano vivere la propria vita senza essere costretti a violare le leggi e senza esporre a umiliazioni e sanzioni se stessi e le migliaia di cittadini che li aiutano ogni giorno.
Dichiarazioni rilasciate solo per protagonismo personale, finiscono spesso per causare malintesi e dissapori che non contribuiscono a farci compiere un solo passo in avanti su quel cammino di tutela e di emancipazione che rimane l’obiettivo di noi tutti, da perseguire con umiltà, devozione e rispetto reciproco.