Era una giornata di sole di fine estate, nel settembre 2007, quando ho partecipato ad una gita organizzata dall’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Siena presso il Museo tattile Omero di Ancona. Ricordo contorni sfumati di sagome e contrasti luminosi che ancora popolavano la mia percezione visiva, ricordo le mie mani che sfioravano in modo maldestro braccia e gambe di sculture e bassorilievi, volti e addomi. Più forte di tutti è senz’altro però il ricordo della nausea che attanagliava il mio stomaco, il comprimere delle lacrime per uscire, quando le mie mani hanno preso contatto con l’ennesima statua, il David di Michelangelo, che fino a pochi mesi prima avevo potuto vedere slanciarsi con i miei occhi, in tutta la sua maestà al Piazzale Michelangelo nella città di Firenze in cui abitavo. Il viaggio di ritorno da Ancona è stato silenzioso, nella mia testa si è fatta spazio la ferma convinzione che non avrei più avuto accesso alla bellezza, che il tatto non mi avrebbe mai procurato lo stesso piacere che avevo provato abbracciando con gli occhi le opere d’arte, sia sui libri del liceo che nei diversi musei visitati fino a quel momento.
Sono passati due anni e la paura si è fatta certezza, non avrei potuto più vedere, neppure luci forti o contrasti, nell’autunno 2009 è stata scritta la parola fine al mio guardare il mondo da ipovedente.
E’ trascorso ancora del tempo ed ho vissuto una seconda esperienza, il luogo questa volta è la Galleria degli Uffizi a Firenze. Siamo nell’agosto 2014 in compagnia di una cara amica anche lei non vedente e delle nostre femmine di labrador, che ci hanno affiancato nei corridoi del museo, mentre noi eravamo impegnate a sfiorare con le mani sudate dentro i guanti di latex i particolari di molte opere d’arte, tra cui scene di sarcofagi e amorini. In quella sera d’estate fiorentina, quando sono uscita all’aperto in mezzo ai turisti di piazza della Signoria, ho avvertito che qualcosa dentro di me si era mosso, coabitavano due sentimenti: la nostalgia di non poter vedere colori, sfumature, contorni, insieme però al piacere di aver toccato ciò che la mia immaginazione poteva costruire, di aver riso e scherzato in compagnia di amici e guide museali esperte, mentre sotto le mie dita scorrevano frammenti d’arte.
In questo viaggio da Ancona a Firenze, aggiungiamo ora una terza ed ultima tappa a Bologna, Sostiamo presso il museo Anteros, all’interno dell’Istituto Francesco Cavazza, dove mi sono recata pochi giorni fa all’inizio di questo 2017, un nuovo anno tutto da vivere. Miei compagni di viaggio sono stati gli studenti di una quarta liceo artistico di Siena che al termine di alcuni incontri svolti con la locale sezione U.I.C.I., tra cui appunto questa visita al museo tattile didattico Anteros, dovranno realizzare il bassorilievo di un dipinto di Domenico Beccafumi, l’incontro di Gioacchino e Anna alla Porta Aurea esposto nel Museo senese di Santa Maria della Scala. Insieme a loro ho scoperto come chi non ha mai potuto vedere tramite gli occhi, possa con esperienze dirette e vicarie comprendere l’esistenza della prospettiva, i concetti di dimensione e disposizione nello spazio, possa conoscere in dettaglio e dare forma ad opere d’arte. Ho sfiorato la riproduzione del quadro di Botticellli La nascita di Venere e il profilo del duca Federico da Montefeltro di Piero della Francesca, con la guida sapiente degli operatori Michele e Matteo, ritrovando dentro di me il vivo piacere di incontrare la bellezza.
Queste tre esperienze, presso il museo Omero, gli Uffizi e il Museo Anteros mi hanno avvicinata pian piano ad una consapevolezza, dal dolore della perdita della vista ho camminato con gradualità verso la scoperta dell’avvolgenza del tatto, del contatto. Niente mi potrà mai restituire la possibilità di posare i miei occhi sui girasoli di Van Gogh o sui colori vivaci del crocifisso ligneo di San Damiano, ma sono arrivata comunque alla bellezza, ugualmente intensa e travolgente, che nasce dal toccare contorni e materiali, dal soffermarmi su dettagli e linee che si intrecciano per generare emozioni. La medesima sensazione di piacere scatenata dagli occhi può quindi scoppiare su strade percorse, con più lentezza e pazienza, rispetto all’immediatezza della vista, strade che hanno la loro origine sulle punte dei polpastrelli.
Per questa ragione allora prende forma un mandato e posso senza dubbio incoraggiare con convinzione i ragazzi della IV D del liceo artistico di Siena, dicendo loro che devono senza dubbio impegnarsi a fare di quel dipinto del Becafumi un bassorilievo, a fare dell’arte in tutte le sue forme un ambiente accessibile a chi come me non può gustarla con la fotografia scattata attraverso gli occhi, ma con l’abbraccio del contatto ed il paziente ascolto delle parole che descrivono.
Dal piacere di vedere al piacere di toccare, due vie diverse potranno portare alla stessa meta?, di Elena Ferroni
Autore: Elena Ferroni