“Vorrei essere nato al contrario per poter capire questo mondo storto”.
Jim Morrison
Certo che Morrison non aveva tutti i torti: il mondo spesso va al contrario di come dovrebbe essere e per cercare di capire dovremmo andare anche noi storti.
Fra le cose che tendono sempre a ragionare al contrario, ci sono la giustizia e le istituzioni che spesso non guardano aldilà del loro mondo e difficilmente si pongono realmente un problema che riguarda i cittadini, soprattutto del cittadino più debole che non ha armi per difendersi, o comunque le armi che possiede, chi sa perché non feriscono nessuno.
Della legge Delrio entrata in vigore nell’otto aprile duemila quattordici, tutti ne abbiamo sentito parlare, ma chi sa se sono anche così noti i problemi che sta causando ai ragazzi disabili che hanno come tutti, il diritto di andare a scuola e di costruirsi un futuro.
Esattamente la legge delrio legge n. 56 del 7 aprile 2014 “Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni” ridisegna confini e competenze dell’amministrazione locale.
Il decreto legislativo 112/1998 (art. 139, comma 1 c) invece, conferiva alle Province l’incarico di garantire assistenti educativi e della comunicazione (AEC).
Il supporto di queste figure risulta essenziale in caso di alunni sordi, non vedenti, ipovedenti o con pluriminorazioni, e il loro ruolo è espressamente previsto dalla legge quadro 104/1992.
Inoltre, le province stesse dovevano assicurare in maniera del tutto gratuito il trasporto scolastico ai ragazzi con disabilità nelle scuole superiori.
Ora con l’abolizione delle provincie, sta accadendo che le amministrazioni fanno tutto un tiro e molla del decreto e del trasporto scolastico, senza decidere a chi spetti la responsabilità di garantire queste competenze e servizi.
Così, è bastata una firma per rischiare di cancellare anni di sacrifici di volontari che seguono i disabili, i sacrifici di chi ha lottato per far valere i loro diritti e per l’integrazione, degli insegnanti di sostegno che già dovrebbero essere maggiori, ma soprattutto si rischia di cancellare i sacrifici delle famiglie e dei ragazzi stessi che vogliono gridare al mondo: “Ci sono anch’io”!
“Ci sono anch’io” nel lavoro, “ci sono anch’io” nel mondo della cultura, “ci sono anch’io con i miei sogni e “ci sono anch’io nella Società”.
Un Coro di “ci sono anch’io” troppe volte ignorato, poiché è più facile tapparsi le orecchie che ascoltare: soprattutto quando ascoltare, richiede impegno e non solo tempo.
Eppure basterebbero poche ore per mettersi a tavolino e trovare una soluzione, basterebbe qualcuno con un po’ di buon senso che si prenda l’incarico di gestire questi servizi che non sono capricci, e soprattutto non sono facoltativi, ma sono obbligatori: ma forse non tutti sanno cosa significhi la parola “obbligatori”.
Mi domando: quand’è che i cosiddetti normali, scenderanno dal loro piedistallo e cominceranno a guardare il più debole, non con gli occhi della pietà, perché nessuno chiede la pietà, ma solo con gli occhi di chi si cala nelle difficoltà degli altri e tenda la mano senza nessun tornaconto?
Se sapessi che potrebbe servire parlerei di una bambina che conosco e che con i suoi occhi spenti e il suo sorriso, illumina chi le sta accanto.
Parlerei della sua voglia di scoprire cose nuove, della sua voglia di giocare, della voglia d’imparare e di quanta gioia di vivere a dentro di se;
lei che differenze non le fa, che considera tutti quanti uguali, lei che sta imparando a guardare il mondo con le sue piccole mani, non conosce le brutture di cui si rende artefice l’uomo, non sa che ragazzi ora più grandi, hanno dovuto chiudere i libri e sogni nel cassetto, sperando che alla fine qualcuno si accorga di loro.
Lei non sa che esiste la sala dei poteri dove vivono alcuni uomini, non sa che lì, non si respira aria, ma solo fama di gloria e di menefreghismo.
Ma chi sa, forse quando inizierà a diventare donna e abbandonerà i suoi giocattoli in qualche grosso baule, anche la società dei ricchi avrà abbandonato il suo egoismo e avrà smesso di dire e pensare: “tanto che importa a me”!