C'era una volta un'Italia ricca di ideali comuni. Era l'Italia del dopoguerra, che aveva ricostruito il Paese sulle macerie del precedente, arricchita ed animata dai nuovi ideali della democrazia, che davano al popolo la forza di superare i lutti e di affrontare i comuni sacrifici. E gli stessi ideali animavano i governi, che capivano e facevano proprie le esigenze di un popolo impoverito, che, se privo di beni materiali, era però ricco di beni ideali.
E poi ci fu l'Italia del boom economico, del benessere, del modello americano, e, ancora una volta, in questo periodo della storia ci fu consonanza di interessi tra tutti i governati ed i loro governi. Era il tempo in cui i figli del Sud venivano in frotta al Nord, per trovare lavoro nella grande industria: uomini e donne disposti a lottare, per ottenere nella conquista dei diritti collettivi il riconoscimento della loro dignità di lavoratori e di uomini. E quelle lotte furono patrimonio comune del Paese e si tradussero in una crescita sociale che interessò tutto il popolo italiano.
Poi vennero gli anni di piombo, anni in cui gruppi deviati rivendicarono per sé il diritto di trasformare lo stato democratico, attentando alla vita di magistrati, politici, giornalisti, genericamente definiti "servi del potere". Ancora una volta il Paese, tutto il Paese, di fronte a questi atti criminali, si senti unito e confermò la sua fiducia in governanti che difendevano gli ideali democratici della Costituzione, tra i quali si annoverava soprattutto – giova ripeterlo- la convinzione della finalità sociale dello Stato.
Frutto di questa consonanza costruttiva tra Paese reale e governanti fu, nel lontano 1954, in seguito alla "Marcia del dolore" dei non vedenti italiani, il riconoscimento del diritto alla pensione, esteso successivamente a tutti i disabili; poi l'integrazione scolastica dei non vedenti, le leggi a tutela dei lavoratori disabili, il riconoscimento dell'indennità di accompagnamento "a puro titolo della minorazione" (1978); infine nel 2009 la sottoscrizione da parte del governo italiano della Convenzione O.N.U. sui diritti dei disabili.
In realtà, il clima di consonanza tra cittadini e governi aveva cominciato da anni a sgretolarsi, ma, bene o male, i diritti dei disabili non erano mai stati toccati.
Oggi, in nome di un deficit di bilancio troppo spesso agitato come spauracchio da un governo di tecnici, destinato a durare il breve spazio di un anno, si minano tutte le certezze acquisite dalla nostra storia sociale collettiva, dall'articolo 18 dei lavoratori alle conquiste dei disabili in genere.
Non posso fare a meno di osservare con fastidio e preoccupazione l'ipocrita indifferenza governativa: ignorando il fatto di giorno in giorno più evidente che politici corrotti ed un corrotto sistema bancario e finanziario, per non dire un'intera classe dirigente, hanno fatto sparire miliardi di pubblico denaro, oggi una signora supponente sostiene che sono stati proprio i disabili a creare il buco nero nel bilancio dello stato, rendendo inevitabili -ai suoi occhi- i tagli indiscriminati delle spese sociali e quindi dell'assegno di accompagnamento per i disabili. Quest'ultimo sarebbe ancora gentilmente concesso, ma non più in base alla minorazione: in base al reddito familiare, invece, e così praticamente abolito.
Mi chiedo se i nostri governanti si rendano conto di ciò che pensano (presumibilmente) e quindi dicono e fanno, dall'alto dei loro troni dorati e di una vita sproporzionatamente privilegiata.
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I nostri politici, così preoccupati dell'andamento della cosa pubblica da pensare di togliere ad un disabile un'indennità che gli garantisce un minimo di sopravvivenza dignitosa, sono gli stessi che non pensano ad una patrimoniale dei ricchi, ma colpiscono tutte le categorie più deboli ed esposte con una patrimoniale dei poveri.
Si sono chiesti veramente quali siano i problemi dei disabili? quanto costi la faticosa vita di un non vedente? che cosa significherebbe per lui perdere un assegno di accompagnamento che varia dai 400 agli 800 euro mensili, secondo il grado di disabilità?
Facciamo due conti. Per un disabile, a Milano, tra affitto, vitto, vestiario, bollette, spese di trasporto, spese di carattere culturale, spese per un minimo di indispensabile aiuto domestico, occorrono per vivere, e lo dico con molto ottimismo, circa 1800 euro mensili.
I disabili più "fortunati"sono quelli che percepiscono uno stipendio (intorno ai 1000 euro mensili); altri, per pluridisabilità, sono invece a carico della famiglia, che, per accudirli, impegna totalmente almeno una forza lavorativa al suo interno; i disabili anziani e pensionati, in numero sempre crescente, vedono paurosamente ridotto il potere d'acquisto di una pensione troppo spesso inadeguata. E' evidente che l'indennità di accompagnamento è l'unica garanzia di una vita accettabile ed integrata.
E' altrettanto evidente che il governo ignoravolutamente l'enorme contributo offerto ai disabili dalle associazioni di categoria, che si fanno carico di servizi, assistenza e formazione, facendo risparmiare milioni di euro ad un governo che, se fosse più sensibile e meno primitivo da un punto di vista sociale, dovrebbe farsene carico in prima persona.
Il 2012 è stato un anno caratterizzato dall'aumento di suicidi legati a paure derivate dalla crisi economica. L'abolizione di un sussidio indispensabile qual è l'indennità di accompagnamento potrebbe determinare situazioni di depressione e di disperazione tali da aumentare tragicamente questo numero.
Il governo consideri che si tratta di morti annunciate.