Centro di Documentazione Giuridica: Risarcimento al disabile in attesa di assunzione, a cura di Paolo Colombo

Autore: a cura di Paolo Colombo

Per l’inadempimento dell’obbligo di assunzione obbligatoria sono dovuti al disabile i danni patrimoniali subiti senza necessità di una specifica prova: il pregiudizio si desume dai mancati salari e dalla prevedibile negligenza nel cercarsi un’altra occupazione.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, che a seguito della mancata ed  ingiustificata assunzione di un soggetto invalido, avviato a norma della legge sul collocamento obbligatorio, ha confermato a carico del datore di lavoro il  risarcimento del danno al lavoratore.
Con la sentenza n. 19609, depositata il 17 settembre 2014, ha sancito che se un lavoratore con disabilità dopo l’avviamento al lavoro, non venisse assunto, lo stesso ha diritto ad un indennizzo risarcitorio comprendente il periodo che va dalla data di avvio al lavoro alla data effettiva dell’inserimento lavorativo.
Il datore di lavoro che non adempie all’obbligo di assunzione del lavoratore avviato è tenuto a risarcire l’integrale danno patrimoniale subito da quest’ultimo durante l’intero periodo in cui si è protratta l’inadempienza.
Inoltre, il risarcimento deve essere determinato senza bisogno di una specifica prova del lavoratore, essendo sufficiente tenere conto del complesso delle retribuzioni che quest’ultimo avrebbe potuto conseguire, qualora fosse stato assunto nei tempi debiti.
La sentenza fa riferimento al principio, già espresso da altre pronunce di legittimità, per cui solo il datore di lavoro e il lavoratore hanno titolo di specificare il contenuto del regolamento contrattuale e in caso di inerzia datoriale al provvedimento di avviamento obbligatorio al lavoro, l’autorità giudiziaria, ricorrendone i presupposti, può tutt’al più emanare, come in questo caso, una sentenza di condanna al  risarcimento del danno, quantificandolo sulla scorta delle retribuzioni perdute.
In caso di inerzia datoriale al provvedimento di avviamento obbligatorio, il lavoratore disabile non può adire al giudice e invocare una pronuncia di tipo costitutivo volta all’instaurazione “in via coatta” del rapporto di lavoro, in quanto solo le parti (datore di lavoro e lavoratore) hanno titolo per specificare il contenuto del regolamento contrattuale, ma può ottenere il risarcimento del danno per la mancata assunzione quantificabile nella mancata percezione delle retribuzioni.
In essa la Suprema Corte ha pure precisato che l’importo della somma da risarcire al lavoratore può essere ridotta tenendo conto di quanto questi ha percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative (aliunde perceptum) o che egli avrebbe potuto guadagnare dedicandosi diligentemente alla ricerca di un lavoro (aliunde percipiendum). Il vantaggio della riduzione opera però solo nel caso in cui il datore di lavoro ne fornisca la prova.
In sostanza per la generalità degli invalidi avviati obbligatoriamente al lavoro non è possibile, in caso di ingiustificato rifiuto dell’assunzione da parte dell’impresa, ottenere la costituzione, con sentenza, del rapporto di lavoro, in base all’art. 2932 cod. civ., che prevede l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto; infatti, ai fini dell’applicazione di questa norma è necessario che vi sia una predeterminazione degli elementi essenziali del rapporto, quali la retribuzione, le mansioni, la qualifica; mancando questa specificazione, l’invalido, in caso di omessa assunzione, può ottenere soltanto il risarcimento del danno.
Questa sentenza ne riprende altre precedenti, ma sicuramente è importante per ribadire i diritti delle lavoratrici e dei lavori con disabilità, e per tenere viva l’attenzione su questi temi, oggi di grande attualità.
Va comunque ricordato che in caso di mancata assunzione di un centralinista non vedente avviato obbligatoriamente al lavoro, egli ha invece diritto alla costituzione del rapporto per sentenza – Oltre che al risarcimento del danno – (Cassazione Sezione Lavoro n. 15913 del 14 agosto 2004, Pres. Mattone, Rel. Celerino).
L’attuale sistema legale nel caso del non vedente avviato al lavoro come centralinista, in base alla legge n. 113 del 1985, assicura un inquadramento contrattuale in cui sono prestabilite le mansioni, la qualifica e il trattamento economico, attraverso l’inserimento delle clausole della contrattazione collettiva applicabile.
Pertanto in materia va applicato il seguente principio di diritto: “In caso di legittimo avviamento di centralinista non vedente, la cui assunzione sia indebitamente rifiutata dal destinatario dell’obbligo di assumerlo, il Giudice, se richiestone, deve applicare l’art. 2932, cod. civ., rendendo fra le parti sentenza che produca in forma specifica gli effetti del contratto non concluso, trattandosi di fattispecie possibile non esclusa dal titolo, essendo, infatti, prestabiliti dalla legge n. 113 del 29 marzo 1985, in tema di disciplina del collocamento al lavoro e del rapporto di lavoro dei centralinisti non vedenti, la qualifica, le mansioni e il trattamento economico e normativo del lavoratore avviato, ivi compresa l’indennità legale di mansioni, assumendo carattere residuale il risarcimento economico (art. 1223 e ss, cod. civ.) destinato ad assicurare l’integrale soddisfazione del diritto del centralinista, indebitamente pretermesso dalla prestazione lavorativa per l’inadempimento del datore di lavoro”.
La sentenza del 2004 sopra citata, dopo dieci anni ha ancora un valore ed una portata storica, in quanto con essa la Suprema Corte di Cassazione ha condiviso un orientamento minoritario di alcune pronunce di merito e ha affermato il principio che, a differenza di tutte le altre categorie di disabili avviati obbligatoriamente al lavoro, per i centralinisti non vedenti illegittimamente rifiutati è possibile non solo ottenere il risarcimento del danno, come di recente ribadito dalla cassazione con la sentenza n. 19609 depositata il 17 settembre 2014, ma anche una sentenza costitutiva del rapporto.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)