La pensione di invalidità civile per non vedenti spetta solo a chi si trovi in stato di bisogno economico. Pertanto il non vedente, assunto come centralinista, non ha diritto alla pensione di invalidità, così ha deciso la Corte di Cassazione, sez. Lavoro, il 9/4/2015, con sentenza n. 7151.
La Corte interviene nuovamente sulla spinosa questione della sospensione del trattamento pensionistico di invalidità per superamento dei limiti di reddito da lavoro previsti dalla legge.
Negli ultimi tempi la Corte di cassazione ha cercato di fissare con sempre maggior incisività alcuni punti fermi nell’interpretazione di quelle regole che – nella giungla normativa della previdenza pubblica – definiscono (o cercano di definire) i requisiti necessari all’ottenimento di prestazioni assistenziali o previdenziali da parte dello Stato.
La recente sentenza dichiara legittima la sospensione disposta dall’Inps della pensione di invalidità ad un non vedente assunto come centralinista.
Secondo la Corte di cassazione ( conformemente a quanto statuito con precedente sentenza Cass. civ., 12.02.2015, n. 2812) la pensione non reversibile per i ciechi civili (assoluti o parziali) di cui agli artt. 7 e 8 della L. 66/1962, è erogata a condizione della permanenza in capo al beneficiario dello stato di bisogno economico, trattandosi di prestazione assistenziale rientrante nell’ambito di cui all’art. 38, co. 1, Cost., con conseguente cessazione dell’erogazione al superamento del limite di reddito previsto.
Per la Corte, dunque, il diritto dei ciechi civili alla pensione non reversibile è tuttora subordinato – diversamente da quanto previsto per l’indennità di accompagnamento a favore dei ciechi assoluti – alla sussistenza di uno«stato di bisogno», individuato nella titolarità di redditi assoggettabili all’imposta sul reddito per le persone fisiche di ammontare inferiore ad una determinata soglia.
La pensione non reversibile del cieco civile rientra, quindi, tra le prestazioni assistenziali di cui al comma 1 dell’art 38 Cost. e non sono applicabili le norme dettate per la pensione di invalidità erogata dall’INPS che consentono, invece, attesa la sua natura previdenziale, l’erogazione della pensione INPS in favore dei ciechi che abbiano recuperato la capacità lavorativa, trattandosi di norme di stretta interpretazione il cui fondamento deve rinvenirsi nel secondo comma dell’art. 38 Cost. e tese a favorire il reinserimento del pensionato non vedente nel mondo del lavoro.
Segue il testo della sentenza.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, 9/4/2015, n. 7151
(Omissis)
Svolgimento del processo
Con sentenza del 16 febbraio 2009, la Corte d’Appello di Salerno, confermava la decisione con cui il Tribunale di Vallo Della Lucania, in accoglimento della domanda proposta da L.M. nei confronti dell’INPS, volta ad ottenere, in quanto non vedente, il riconoscimento del diritto al ripristino del trattamento pensionistico di invalidità sospeso dall’Istituto, a seguito della sua assunzione come centralinista, a motivo del superamento dei limiti di reddito da lavoro previsti dalla legge, dichiarava sussistere il diritto a pensione senza integrazione al minimo e condannava l’Istituto al pagamento dei ratei maturati a decorrere dal 28.9.1994, oltre interessi.
La decisione della Corte territoriale discende dalla ritenuta applicabilità alla fattispecie dell’art. 8, comma 1 bis, l. n. 638/1983 e della norma di cui all’art. 68, 1. n. 153/1969, ivi richiamata, che, con riferimento ai soggetti affetti da cecità totale, stabilisce che il riacquisto di una capacità di guadagno, nonché di un reddito da lavoro anche alto, non comporta la perdita della pensione, operando il requisito reddituale di cui all’art. 6 1. n. 638/1983 con esclusivo riferimento al diritto all’integrazione al minimo della pensione medesima.
Per la cassazione di tale decisione ricorre l’INPS,
affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso il M.
Entrambe le parti hanno presentato memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione
I due motivi cui l’INPS affida l’impugnazione proposta sono entrambi intesi a censurare l’unica statuizione resa dalla Corte territoriale sulla base di un percorso argomentativo articolato su due proposizioni, la prima, secondo cui la deroga, introdotta per i non vedenti dal combinato disposto degli artt. 6 e 8 1. n. 638/1983 e dell’art. 68 1. n. 153/1969, alla regola generale della non cumulabilità della pensione di invalidità con il reddito da lavoro riguarda esclusivamente la pensione di invalidità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria (ovvero quella spettante ai non vedenti che, nonostante la grave menomazione invalidante hanno svolto attività lavorativa e versato i relativi contributi previdenziali) e non una prestazione di natura assistenziale quale la pensione in favore dei ciechi civili prevista dalla legge 10 febbraio 1962, n. 66; la seconda, per la quale se, ai sensi dell’art. 6 d.l. n. 30/1974 convertito dalla legge 114/1974 e successivamente dell’art. 14 septies d.l. n. 663/1979 convertito dalla legge n. 33/1980, il diritto dei ciechi civili alla pensione reversibile è rimasto subordinato alla sussistenza di uno stato di bisogno quale individuato dall’art. 5 1. n. 382/1970 non è possibile estendere la deroga di cui sopra essendo questa finalizzata a consentire al pensionato di invalidità a carico dell’a.g.o. di conservare, la pensione già ottenuta in virtù del versamento dei contributi assicurativi nell’ipotesi di svolgimento di un’attività lavorativa, proposizioni cui corrispondono i formulati motivi appunto intesi a denunciare, il primo, la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 8 1. n. 638/1983 e dell’art. 68 1. n. 153/1969 in relazione all’art 12 delle preleggi, il secondo, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della legge 10 febbraio 1962, n. 66 in relazione all’art. 5 1. n. 382/1970 e all’art. 14 septies d.l. n. 663/1979 convertito dalla legge n. 33/1980, come interpretato dalla legge n. 600/1984. Entrambi i motivi, che, per quanto detto, è qui opportuno trattare congiuntamente, devono ritenersi fondati.
Questa Corte ha in materia più volte osservato che il diritto dei ciechi civili alla cosiddetta pensione non reversibile (avente una funzione assistenziale), introdotto dalla legge 10 febbraio 1962 n. 66, è rimasto subordinato, diversamente da quello all’indennità di accompagnamento a favore dei ciechi assoluti, alla sussistenza di uno stato di bisogno, individuato dall’art. 5 della legge n. 382 del 1970 nella non iscrizione nei ruoli per l’imposta complementare sui redditi e successivamente nel possesso di redditi assoggettabili all’imposta sul reddito delle persone fisiche di un ammontare inferiore a un certo limite (art. 6 D.L. n. 30 del 1974, convertito dalla legge n. 114 del 1974, e poi art. 14 septies del D.L. n. 663 del 1979, convertito con modificazioni dalla legge n. 33 del 1980), Cass. n.10335\00, Cass. n. 14811\O1, Cass. n. 24192\13.
In tale ultima pronuncia è stato evidenziato che la pensione non reversibile (avente natura assistenziale) per i ciechi civili assoluti di cui all’art. 7 legge 10 febbraio 1962, n. 66, è erogata a condizione della permanenza in capo al beneficiario dello stato di bisogno economico, trattandosi di prestazione assistenziale rientrante nell’ambito di cui all’art. 38, primo comma, Cost., con conseguente cessazione dell’erogazione al superamento del limite di reddito previsto per la pensione di inabilità di cui all’art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118 di conversione del d.l. del 30 gennaio 1971, n. 5, dovendosi ritenere inapplicabili a detta prestazione sia l’art. 68 della legge 30 aprile 1969, n 153, dettato per la pensione di invalidità erogata dall’INPS, sia l’art. 8, comma 1 bis, del d.l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni in legge 11 novembre 1983, n. 638, che consentono l’erogazione della pensione INPS in favore dei ciechi (avente natura previdenziale) che abbiano recuperato la capacità lavorativa, trattandosi di norme di stretta interpretazione,
[…]il cui fondamento si rinviene nella diversa disposizione di cui all’art. 38, secondo comma, Cost., intese a favorire il reinserimento del pensionato cieco nel mondo del lavoro senza che subisca la perdita della pensione e, dunque, insuscettibili di applicazione analogica. Nello stesso Cass. n. 8752\14, Cass. ord. nn. 24003-2401 1\14, nn. 24022-24026\14, sicché il principio può dirsi consolidato.
In tali ultime pronunce la Corte ha ribadito, valorizzando la natura di prestazione assistenziale della pensione non reversibile per i ciechi assoluti, che ad essa non possono applicarsi le disposizioni, quali la L. n. 153 del 1969, art. 68 (come, del resto, quella di cui al R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, art. 10, comma 2) e il D.L. n. 463 del 1983, art. 8, comma 1 bis, dettate nella materia delle prestazioni previdenziali erogate dall’I.N.P.S. ed a carico dell’assicurazione generale obbligatoria, in quanto presuppongono un rapporto contributivo (in particolare il R.D.L. n. 636 del 1939, art. 9, fa riferimento alla pensione riconosciuta all’invalido a qualsiasi età quando siano maturati determinati requisiti contributivi) ed hanno quale presupposto non uno stato di invalidità generica bensì di invalidità lavorativa. 4.-Il ricorso deve pertanto accogliersi, la sentenza impugnata cassarsi e, non essendo necessari ulteriori accertamenti, la causa viene decisa nel merito direttamente da questa Corte, con il rigetto della domanda proposta dal M..
Le alterne fasi del giudizio ed il solo recente stabilizzarsi dell’orientamento di legittimità, consigliano la compensazione delle spese dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta dal M. in primo grado. Compensa le spese dell’intero processo.
(Omissis)
Paolo Colombo