Ai sensi di quanto disposto dall’art. 26 comma tre della legge di stabilità, il pagamento delle pensioni slitta al 10 del mese solo per i pensionati che percepiscono doppia pensione INPS INPDAP).
La novità inizialmente introdotta per tutti i pensionati INPS ha provocato un immediato coro di polemiche da parte di sindacati e di associazioni dei consumatori è stata poi circoscritta solo ad una platea di circa 800.000 pensionati fruitori di doppio assegno.
Per rassicurare i pensionati, inoltre, è giunto un chiarimento dell’ INPS nel quale si precisa che soltanto chi riceve doppia pensione INPS-INPDAP riceverà l’assegno a partire dal 10 del mese. Gli altri (15 milioni) riceveranno invece l’assegno INPS il primo del mese o l’assegno INPDAP il 16 del mese (come adesso).
La norma in questione, entrerà in vigore il primo gennaio dell’anno prossimo.
In concreto essa (articolo 26, comma 3) rinvia al 10 del mese (o al primo giorno successivo non bancabile, se il 10 è un festivo) il pagamento dei trattamenti previdenziali corrisposti dall’INPS, a partire dal primo gennaio 2015 (pensioni, indennità di accompagnamento per invalidi civili, rendite vitalizie dell’istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) per razionalizzare e uniformare procedure e tempi di pagamento delle prestazioni corrisposte dall’INPS, secondo la cui interpretazione, il campo di applicazione si restringe alle pensioni doppie INPS-INPDAP.
La previsione normativa, comunque, avrà non poche ripercussioni, lo slittamento dei pagamenti delle prestazioni previdenziali, sia pure circoscritto ad una platea non particolarmente ampia di pensionati rischia comunque di avere un impatto negativo sui pagamenti di utenze, mutui e affitti, che spesso avvengono i primi del mese.
In calce il testo integrale della disposizione normativa commentata.
Art. 26
Riduzioni delle spese ed interventi correttivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali
Comma III Riduzioni delle spese
A decorrere dal 1° gennaio 2015, al fine di razionalizzare ed uniformare le procedure ed i tempi di pagamento delle prestazioni previdenziali corrisposte dall’Istituto nazionale della previdenza sociale, i trattamenti pensionistici, gli assegni, le pensioni e le indennità di accompagnamento erogate agli invalidi civili, nonché le rendite vitalizie dell’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro sono poste in pagamento il giorno 10 di ciascun mese o il giorno successivo se festivo o non bancabile, con un unico pagamento, ove non esistano cause ostative, nei confronti dei beneficiari di più trattamenti.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)
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Centro di Documentazione Giuridica: L’inclusione scolastica degli alunni disabili visivi alla luce delle novità legislative e della più recente giurisprudenza, a cura di Paolo Colombo
L’anno scolastico è appena iniziato ma alcune recenti novità legislative e giurisprudenziali impongono alle associazioni a sostegno della piena inclusione scolastica degli alunni disabili visivi di tenere alto il livello di guardia.
La recente “Legge Delrio” (l. 56 del 07/04/2014), che ha previsto la riorganizzazione delle Province e la ridistribuzione delle loro competenze, rischia di fatto di penalizzare gli alunni disabili.
Nel periodo di transizione c’è il concreto pericolo che nessuno si assuma la responsabilità di organizzare l’assistenza nelle scuole per gli alunni disabili.
Altamente probabile dunque che, con l’apertura dell’anno scolastico 2014-2015, gli alunni disabili non abbiano i necessari supporti a garanzia della loro piena inclusione scolastica. Si teme infatti che gli allievi con gravi disabilità delle scuole superiori non abbiano il supporto dell’assistenza educativa, come pure gli studenti con disabilità sensoriali potrebbero non trovare in classe l’assistente alla comunicazione e insegnante di sostegno.
Fondamentale, quest’anno, dovrà essere il ruolo delle strutture territoriali dell’U.I.C.I. Onlus per garantire che le istituzioni coinvolte (Comuni, Province, Regioni, Uffici Scolastici Regionali) rispettino le tempistiche e le ordinarie modalità di erogazione dei servizi di assistenza educativa nelle classi di ogni ordine e grado.
Novità in materia di sostegno.
Con la Sentenza Breve n. 5913/14, depositata il 4 giugno scorso, il Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio ha accolto il ricorso collettivo di numerose famiglie di alunni con disabilità, che avevano lamentato la mancata assegnazione del massimo delle ore di sostegno e di assistenza per l’autonomia e la comunicazione ai propri figli.
Il provvedimento ribadisce il prevalente orientamento giurisprudenziale, nel senso di assegnare il massimo delle ore di sostegno (una cattedra completa) e di quelle di assistenza per l’autonomia e la comunicazione (nella misura richiesta) agli alunni certificati con disabilità grave, come da articolo 3, comma 3 della Legge 104/92, la cui documentazione sanitaria e scolastica dimostri la necessità del rapporto di 1 a 1, sia per il sostegno che per l’assistenza.
La formazione degli insegnati di sostegno curriculari
E’ stato emanato il decreto attuativo della legge 128/13 Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca, relativo alla formazione obbligatoria in servizio per i docenti curriculari delle didattiche inclusive. Ma le proposte che erano state condivise con le associazioni dei disabili sono state disattese.
Nel decreto n. 161 emanato lo scorso 2 ottobre, infatti non sono state recepite le indicazioni della Fish e della Fand, presentate in sede di Osservatorio ministeriale che prevedevano interventi formativi gratuiti da parte di esperti 120 esperti di entrambe le federazioni, affinché tutti i docenti delle classi con alunni disabili potessero essere dotati degli strumenti utili per far fronte alle problematiche della disabilità.
Si è preferito invece attribuire le competenze formative a società accreditate mediante gare d’appalto, scegliendo una strada più dispendiosa e meno incisiva.
La soluzione varata dal governo prevede che i 450.000 euro assegnati all’attività di formazione siano ripartiti tra gli Uffici scolastici regionali, (disponibilità di circa 22 milioni a regione). Le scarse risorse finanziarie sarebbero state quindi sufficienti alla copertura dei costi vivi di trasferta degli esperti senza richiedere la necessità di indire gare d’appalto.
Ancora una volta un mancato traguardo al conseguimento di quella sinergia tra insegnanti, genitori, operatori socio sanitari e esperti per favorire l’ottimale inclusione scolastica degli alunni disabili.
Numeri di alunni per classi in cui vi è uno studente disabile.
Se c’è un alunno disabile grave, la classe va costituita con un numero massimo di venti alunni. Anche se si tratta di classi successive alla prima. Lo ha stabilito il Tar per la Sicilia con una sentenza depositata il 10 settembre scorso N. 2250/2014.
Il caso riguardava un accorpamento di due classi quarte, una di 13 alunni, dei quali 2 disabili e un’altra di 11 alunni, dei quali 2 disabili, che era stato disposto da un dirigente scolastico.
Va detto che la normativa non regola espressamente il caso del limite massimo di alunni, in presenza del disabile, nelle classi successive alla prima. Per questo i dirigenti scolastici, al fine di non incappare in azioni di rivalsa della Corte dei Conti, non applicano tale limite.
Tale prassi determina l’insorgere di controversie che potrebbero essere evitate adottando criteri interpretativi diversi come indicato dal Giudice amministrativo. Nella sopra citata sentenza si legge infatti che “Orbene, una lettura improntata a parametri di logicità” “impone di ritenere che il limite dei venti alunni previsto per le “classi iniziali” debba considerarsi valido per tutte le classi”. A nulla rilevando che gli alunni disabili siano stati promossi, perché “è indubbio che l’allocazione in una classe con un numero di alunni di gran lunga inferiore avrebbe certamente garantito per tutti un servizio quantomeno migliore oltre che in linea con le previsioni normative”.
Malgrado i favorevoli interventi del Giudice amministrativo per garantire la piena attuazione del diritto allo studio dei disabili va detto che la situazione reale delle scuole italiane rimane ben diversa e in varie parti d’Italia si segnala la presenza delle cosiddette classi pollaio pur in presenza di un alunno disabile..
Scuole private.
Una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite la n.10821 del 2014, seguendo un ragionamento alquanto lineare, libera lo stato dal pagamento degli insegnanti di sostegno.
Prima di tale pronuncia, la giurisprudenza di merito partendo dal principio costituzionale per il quale, lo stato deve assicurare alle scuole paritarie e ai loro allievi un trattamento eguale a quello delle scuole statali e dei loro studenti ha sempre riconosciuto a carico dello stato l’obbligo di pagare gli stipendi dei docenti di sostegno delle scuole paritarie.
La decisione della Suprema Corte di Cassazione, in un periodo dove fondamentale è il rispetto del principio di spending rewie, muove il suo ragionamento sul principio secondo il quale i privati sono liberi di aprire scuole, purché lo facciano “senza oneri per lo stato”. Le scuole paritarie dunque, quando chiedono ed accettano la parità scolastica assumono, come condizione pregiudiziale, l’obbligo di accogliere alunni con disabilità nella consapevolezza che tutte le spese per la loro inclusione debbano essere a loro carico, alla stregua dei costi di gestione.
Purtroppo la legge 62/2000 sulla parità scolastica prevede un apposito stanziamento di fondi per gli alunni con disabilità ma la sua modesta capienza non consente la copertura degli oneri economici relativi agli stipendi annuali dei docenti per il sostegno.
Certamente la sentenza in parola avrà non pochi effetti che inevitabilmente andranno a ripercuotersi nel difficile percorso della piena integrazione scolastica degli alunni disabili..
Fondamentale sarà per il prossimo futuro che le scuole paritarie invochino in maniera unanime la piena attuazione dell’art. 33 comma IV della costituzione “La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali.”
Trasporto scolastico
Sul fronte degli oneri relativi al pagamento del trasporto scolastico per gli alunni disabili, spesso non sopportati per intero dai comuni e dalle province si segnala una recente sentenza del Tribunale di Padova .
La sentenza ha riconosciuto alla famiglia di un disabile studente di un istituto tecnico il diritto alla restituzione di quanto speso per assicurare al figlio il necessario trasporto speciale per frequentare la scuola.
Il Giudice ha quindi riconosciuto in modo inequivocabile agli studenti disabili un vero e pieno diritto allo studio, sollevando le famiglie da quelle spese che in realtà devono rimanere a carico dello Stato, allineandosi con i principi ribaditi dalla Corte Costituzionale secondo cui “ l’esigenza di tutela dei soggetti deboli si concretizza non solo attraverso le cure e la riabilitazione, ma anche con il pieno ed effettivo inserimento nel mondo scolastico”.
Il riconoscimento del diritto al rimborso ottenuto dalla famiglia dello studente veneto costituisce una pietra miliare e consentirà anche ad altre famiglie di ottenere con maggiore facilità questo tipo di servizi dagli enti pubblici che attualmente si mostrano latitanti alle esigenze dei disabili a causa della triste situazione di contingenza economica.
Visite d’istruzione e gite scolastiche.
Anche gli alunni con disabilità hanno il diritto pieno e incondizionato alla partecipazione a gite e visite d’istruzione.
Il principio di inclusione scolastica presente in tutto il nostro ordinamento e in particolare nel Regolamento sull’autonomia scolastica di cui al DPR n° 275/99, art. 4, comma 2, lett. c) deve essere attuato pienamente su tutto il territorio nazionale anche nel corso di questi importanti momenti di istruzione ricreativa.
E’ lo stesso Ministero con una nota del 2012 a chiarire quali debbono essere le norme da applicarsi in materia di gite e visite di istruzione e nessuna istituzione scolastica autonoma può sentirsi autorizzata a rendere più onerose o difficoltose o ad impedire le gite e le visite d’istruzione agli alunni con disabilità. Per questo è importante fare chiarezza e ribadire il diritto degli alunni con disabilità di partecipare alle gite scolastiche, su base di uguaglianza con gli altri alunni.
Con nota n. 2209 del 11 aprile 2012, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha precisato che, ai sensi del D.P.R. 275/1999, gli istituti scolastici hanno completa autonomia nell’ambito della organizzazione e programmazione della vita e dell’attività della scuola, inclusa quindi la definizione delle modalità di progettazione di viaggi di istruzione e visite guidate.
La previgente normativa in materia (in particolare, fra le altre, la C.M. 291/1992, la C.M. 623/1996 e la Nota 645/2002) non ha quindi più carattere prescrittivo, ma deve in ogni caso essere tenuta in considerazione, per orientamenti e suggerimenti operativi. In particolare, sulla base del principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione Italiana e del principio di integrazione scolastica, è fondamentale ribadire il diritto degli alunni con disabilità a partecipare a viaggi di istruzione e visite guidate.
Innanzitutto, la scuola deve comunicare all’agenzia di viaggi la presenza di alunni con disabilità, i relativi servizi necessari e l’eventuale presenza di assistenti educatori culturali, affinché siano garantiti servizi idonei ed adeguati. I competenti organi collegiali devono, inoltre, provvedere alla designazione di un accompagnatore qualificato e alla predisposizione di ogni altra misura di sostegno necessaria.
A questo riguardo, è importante sottolineare che l’accompagnatore può essere un qualunque membro della comunità scolastica (docenti, personale ausiliario, o familiari). Nel caso di scuola secondaria di secondo grado, è possibile che l’accompagnatore sia un compagno maggiorenne che abbia offerto la propria disponibilità. La scuola non può in alcun caso subordinare il diritto di partecipazione di un alunno con disabilità alla presenza di un suo familiare che lo accompagni. Una tale richiesta costituirebbe, infatti, una grave violazione del principio di uguaglianza e non discriminazione, sanzionabile ai sensi della Legge 67/2006.
Le spese di viaggio dell’accompagnatore non possono essere attribuite alla famiglia dell’alunno con disabilità, ma sono a carico della comunità scolastica. Anche l’imposizione alla famiglia dell’alunno con disabilità l’addebito di tali spese costituirebbe una grave forma di discriminazione diretta. Agli alunni con disabilità deve, pertanto, essere garantita la partecipazione, su base di uguaglianza con gli altri alunni, a tutte le attività previste dal sistema scolastico, inclusi quindi i viaggi di istruzione, come stabilito dall’art. 30 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dallo Stato Italiano con Legge 18/2009.
Questo significa che la scuola nel decidere quale tipo di gita organizzare, i luoghi da visitare, la struttura dove soggiornare, i mezzi di trasporto da utilizzare ed in generale, nel definire la complessiva organizzazione dell’intera gita, deve preventivamente ed in via preliminare domandarsi se possano essere compatibili con l’eventuale condizione di disabilità di alcuni suoi alunni.
Nel caso non lo fossero e la scuola ritiene ugualmente importante organizzare la gita in quel determinato luogo e con le modalità inizialmente ipotizzate deve predisporre tutti gli accorgimenti ed adeguamenti necessari a consentire la partecipazione anche dell’alunno con disabilità.
Se non lo fa, la mancata predisposizione di questi particolari accorgimenti (c.d. accomodamenti ragionevoli) configura una discriminazione vietata, come ben chiarisce la stessa Convenzione Onu nel suo art. 2. In altre parole la scuola è giuridicamente tenuta a tener conto dei bisogni dei suoi alunni con disabilità attraverso la previsione di trattamenti più favorevoli che hanno proprio lo scopo di evitare che la disabilità dell’alunno costituisca motivo di esclusione o limitazione alla sua partecipazione alla gita scolastica.
Barriere architettoniche
L’articolo 28 della legge 118/1971 pone l’obbligo di rendere accessibile l’edificio scolastico, in modo da poter così garantire la frequenza scolastica a tutti.
Tale principio è ribadito anche dall’articolo 18 del DPR 384/1978, che in maniera esplicita impone di rendere accessibili gli edifici delle istituzioni prescolastiche, scolastiche, compresi gli Atenei universitari e le altre istituzioni di interesse sociale nella scuola, adeguando le strutture interne ed esterne a degli standards indicati dal D.P.R. stesso.
Gli edifici pubblici e privati degli istituti scolastici d’ogni grado per essere accessibili devono prevedere almeno un percorso esterno che colleghi la viabilità pubblica all’accesso dell’edificio, dei posti auto riservati, la piena utilizzazione di ogni spazio anche da parte degli studenti con ridotte o impedite capacita motorie, ed almeno un servizio igienico accessibile.
Nello specifico, per quanto riguarda gli edifici pubblici, gli arredi e le attrezzature didattiche (banchi, sedie, macchine da scrivere, spogliatoi, materiale Braille ecc.) devono avere caratteristiche particolari per ogni caso di invalidità .
Nel caso l’edificio scolastico sia disposto su più piani, e non ci sia l’ascensore, è consigliabile collocare la classe frequentata dagli alunni con impedite capacità motorie al piano terra.
Da un recente studio condotto sulle scuole italiane e sulla piena fruibilità degli spazi agli alunni disabili è emerso invece che sono ancora molti gli istituti che non hanno provveduto alla rimozione delle barriere architettoniche, ben 50 su 213 del campione esaminato. Il 13% degli edifici si trova al piano terra, il 20% è dotato di ascensore non funzionante e nel 6% dei casi non ha la porta abbastanza larga per far entrare la carrozzina. Nelle aule, inoltre, non ci sono i banchi adatti e il 21% delle stesse, a causa delle dimensioni, non riesce ad accogliere gli studenti disabili. Infine, in una struttura su tre non ci sono i bagni per i disabili.
Novità legislative
Mentre si dibatte sulla riforma della scuola, la proposta di Legge n. 2444 “Norme per migliorare la qualità dell’inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con altri bisogni educativi speciali presentata il 10 giugno 2014, in questi giorni ha compiuto un ulteriore e importante passo in avanti. Il 13 ottobre u.s. è stata assegnata alla Commissione Cultura in sede referente.
Le disposizioni della Proposta potrebbero favorire la continuità didattica, oggi frenata dal diffuso precariato, creando degli appositi ruoli per i docenti per il sostegno. In essa si ribadisce anche l’obbligo di riduzione del numero di alunni per classe e del numero di alunni con disabilità nella stessa classe. E ancora: l’obbligo di formazione iniziale e in servizio dei docenti sulle didattiche inclusive, cioè quelle che consentono davvero di migliorare l’efficacia didattica nei confronti delle persone con disabilità o con Bisogni Educativi Speciali (BES).
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)
Centro di Documentazione Giuridica: La normativa sul Cane Guida, a cura di Paolo Colombo
In Italia, contrariamente a quanto accade altri paesi dell’Unione Europea, la consapevolezza dei cittadini riguardo al diritto di accesso e di movimentazione dei cani-guida per non vedenti, è molto limitata, malgrado la legislazione nazionale, regionale e comunitaria.
Questa diffusa ignoranza spesso degenera in atteggiamenti aggressivi basati su sciocchi preconcetti (relativi per esempio alla presunta “pericolosità comportamentale e sanitaria” di un cane-guida), o in atteggiamenti che mettono in seria difficoltà la persona non vedente che si ritrova spesso emarginata, o aggredita.
Infatti, è solo di pochi giorni fa il caso, riportato da importanti testate giornalistiche, di un non vedente accompagnato dal proprio cane guida che si è visto rifiutato dai tassisti della capitale, così come frequenti sono le richieste di consulenza al C.d.G. da parte di non vedenti che si vedono rifiutare dai loro datori l’accesso dell’animale sul luogo di lavoro.
Il 16 ottobre p.v. si celebrerà la giornata nazionale del cane guida, tale evento non solo darà modo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’accettazione di questo importante amico a quattro zampe che per i non vedenti è un imprescindibile strumento di autonomia e di mobilità, ma ci consentirà anche di ricordare i validi strumenti normativi di cui disponiamo per facilitarne un pieno e consapevole utilizzo.
Chiariamo quindi i concetti normativi che dovrebbero essere ritenuti indiscutibili per evitare discriminazioni e limitazioni alla piena autonomia dei non vedenti.
Il cane-guida, il non vedente e i loro diritti
Discriminare un non vedente per il fatto che sia accompagnato da un cane-guida è punibile dalla legge. La materia è stata trattata per la prima volta in Italia con l’emanazione della legge n.34 del 1974 modificata nel 2006 dalla legge n.60.
Non solo la normativa italiana prevede che i gestori dei mezzi di trasporti e i titolari di esercizi che “impediscano od ostacolino, direttamente o indirettamente, l’accesso ai privi di vista accompagnati dal proprio cane guida” siano sono soggetti a multe dai 500 ai 2.500 euro, ma sancisce anche che un cane-guida:
– può entrare in qualunque esercizio aperto al pubblico (L. n. 34/1974)
– è escluso dai divieti relativi al non permettere l’accesso degli animali in spiaggia, parimenti ai cani destinati “al salvamento”: in poche parole, lui può accedere anche in spiaggia (L. n. 34/1974)
– è in genere esonerato dall’obbligo di portare la museruola a meno che non sia richiesto in una data situazione (L. n. 34/1974)
– è esonerato dall’obbligo di avere al seguito paletta e sacchetto per la raccolta delle deiezioni (come rintracciabile anche in molti regolamenti comunali)
– è esonerato dal pagamento del biglietto per i mezzi pubblici (L. n. 34/1974)
– può accompagnare il non vedente anche su traghetti e aerei, in Italia e all’estero (Reg. CE n. 1107/2006 e L. n. 34/1974)
– può viaggiare alloggiato sul sedile posteriore insieme al non vedente assoluto da esso accompagnato, in quanto “l’animale domestico di indole particolarmente tranquilla e come tale adeguata alle incombenze cui esso e’ appositamente addestrato”, senza che ciò costituisca in alcun modo violazione dell’art. 169 c. 6 del Codice (Lettera del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 653/2004).
Il cane guida rappresenta gli “occhi” del non vedente e quindi non deve essere allontanato dal diversamente abile visivo che accompagna. Esso non solo è addestrato a “fare il cane-guida” (cioè caratterizzato da un’indole tranquilla, appositamente selezionata per essere ulteriormente di supporto al successivo addestramento), ma anche a non sporcare, è inoltre senza ombra di dubbio vaccinato (o non sarebbe abilitato a fare il cane-guida) e, infine, in qualità di cane da lavoro non deve essere disturbato/aggredito.
Si segnala inoltre che l’Ordinanza del Ministero della Salute del 6 agosto 2013 all’art. 5 espressamente ha escluso l’uso della museruola e del guinzaglio ai cani addestrati a sostegno delle persone diversamente abili.
AGEVOLAZIONI FISCALI RELATIVE AI CANI GUIDA PER I NON VEDENTI
La normativa fiscale fortunatamente nel nostro paese, ha previsto importanti agevolazioni fiscali sia per l’acquisto e sia per il mantenimento dei cani guida destinati all’assistenza dei non vedenti. Tali spese sono infatti considerate oneri agevolati.
La prima agevolazione consiste in una detrazione dall’Irpef pari al 19% del costo sostenuto per l’acquisto del cane. Ai fini del calcolo della detrazione, si considera l’intero ammontare del costo sostenuto fino ad un massimo di 1.875,99 Euro.
La detrazione è prevista una sola volta in un periodo di quattro anni, salvo i casi di perdita del cane e spetta per un solo animale.
La seconda agevolazione consiste nella detrazione forfettaria di 516,46 Euro delle spese sostenute per il mantenimento del cane guida. La detrazione viene riconosciuta senza che sia necessario documentare l’effettiva spesa.
Va precisato però che ai familiari del non vedente è preclusa l’opportunità di fruire della detrazione forfettaria anche nel caso in cui il non vedente sia da considerare a carico del familiare stesso.
Cane guida e posto di lavoro
Il datore di lavoro deve rispettare tutte quei provvedimenti normativi nazionali e comunitari che garantiscono al disabile un inserimento lavorativo rispettoso dei principi di uguaglianza e di pari opportunità.
Questi infatti, deve adempiere agli obblighi di sicurezza e salute, la cui violazione è sanzionata dal legislatore in via amministrativa, civile e penale e ove assuma un disabile deve innanzitutto adibirlo a mansioni compatibili con le proprie minorazioni nel pieno rispetto dell’art. 10 della legge 68/99 che dispone in suo favore tutele particolari, deve mettere a sua disposizione tutti gli ausili necessari e garantirgli la piena fruibilità dei permessi di cui all’articolo 3, comma 3 della Legge 104/1992 .
Si segnala inoltre che la Direttiva 27/11/2000 n.200/78/CE stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro. In particolare all’art. 5 “Soluzioni ragionevoli per i disabili” così dispone: “Per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l’onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili.
Per quanto concerne poi il cane guida le leggi 14/02/74 n.37 e 25/08/88 n.376, disciplinano – rispettivamente – la facoltà di accesso dei ciechi muniti del proprio cane guida nei mezzi di trasporto pubblico e negli esercizi aperti al pubblico. Alla luce dei principi costituzionali della libertà di circolazione e delle pari opportunità, si può affermare che l’accesso del cane guida è da ritenersi consentito in tutti i luoghi pubblici (uffici, scuole ed ospedali) ed anche in luoghi privati – aziende, negozi ecc., in cui sia previsto l’ingresso di soggetti terzi, generalmente considerati “pubblico”.
In via interpretativa, dunque, si può concludere che, ove non sia espressamente vietato da apposite e motivate normative, il cieco potrà liberamente farsi accompagnare dal proprio cane in ogni ambiente ed ufficio pubblico od aperto al pubblico. Le motivate eccezioni potranno quindi riguardare valori generali prevalenti quali la salute, l’incolumità e l’igiene di una pluralità di persone (ad esempio la frequentazione degli ospedali).
Naturalmente l’accesso dei cani guida in questi ambienti aperti al pubblico richiede il pieno controllo del cieco sull’animale, sia in ordine alla sua disciplina sia alla sua igiene.
Normativa europea
Ecco cosa stabilisce il Reg. CE n. 1107/2006 riguardo al viaggiare in aereo con un cane-guida:
Art. 7, comma 2: “Qualora sia richiesto l’utilizzo di un cane da assistenza riconosciuto, tale utilizzo sarà reso possibile purché ne sia fatta notifica al vettore aereo, al suo agente o all’operatore turistico, in conformità delle norme nazionali applicabili al trasporto di cani da assistenza a bordo degli aerei, ove tali norme sussistano.
Allegato I: “Assistenza a terra per cani da assistenza riconosciuti, ove opportuno. Comunicazione delle informazioni sui voli in formato accessibile.”
Allegato II – “Trasporto in cabina dei cani da assistenza riconosciuti, nel rispetto della regolamentazione nazionale”.
Importante è ancora dal punto di vista normativo ricordare :
L. n. 67 del 1 marzo 2006 “Misure per la Tutela Giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni”;
La Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dallo Stato Italiano con Legge 18/2009.
L. n. 488 del 23 dicembre 1999 (Capo II )
Lettera del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 653/2004 del 1 marzo 2004 sulla “Presenza del cane-guida in auto”
Ordinanza del Ministero della Salute “concernente la tutela dell’incolumità pubblica da aggressioni di cani”
Regolamento CE n. 1107 del 5 luglio 2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativo ai “diritti delle persone con disabilità e delle persone a mobilità ridotta nel trasporto aereo”
Caserta lì 13 ottobre 2014.
Avv. Paolo Colombo
Centro di Documentazione Giuridica: Risarcimento al disabile in attesa di assunzione, a cura di Paolo Colombo
Per l’inadempimento dell’obbligo di assunzione obbligatoria sono dovuti al disabile i danni patrimoniali subiti senza necessità di una specifica prova: il pregiudizio si desume dai mancati salari e dalla prevedibile negligenza nel cercarsi un’altra occupazione.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, che a seguito della mancata ed ingiustificata assunzione di un soggetto invalido, avviato a norma della legge sul collocamento obbligatorio, ha confermato a carico del datore di lavoro il risarcimento del danno al lavoratore.
Con la sentenza n. 19609, depositata il 17 settembre 2014, ha sancito che se un lavoratore con disabilità dopo l’avviamento al lavoro, non venisse assunto, lo stesso ha diritto ad un indennizzo risarcitorio comprendente il periodo che va dalla data di avvio al lavoro alla data effettiva dell’inserimento lavorativo.
Il datore di lavoro che non adempie all’obbligo di assunzione del lavoratore avviato è tenuto a risarcire l’integrale danno patrimoniale subito da quest’ultimo durante l’intero periodo in cui si è protratta l’inadempienza.
Inoltre, il risarcimento deve essere determinato senza bisogno di una specifica prova del lavoratore, essendo sufficiente tenere conto del complesso delle retribuzioni che quest’ultimo avrebbe potuto conseguire, qualora fosse stato assunto nei tempi debiti.
La sentenza fa riferimento al principio, già espresso da altre pronunce di legittimità, per cui solo il datore di lavoro e il lavoratore hanno titolo di specificare il contenuto del regolamento contrattuale e in caso di inerzia datoriale al provvedimento di avviamento obbligatorio al lavoro, l’autorità giudiziaria, ricorrendone i presupposti, può tutt’al più emanare, come in questo caso, una sentenza di condanna al risarcimento del danno, quantificandolo sulla scorta delle retribuzioni perdute.
In caso di inerzia datoriale al provvedimento di avviamento obbligatorio, il lavoratore disabile non può adire al giudice e invocare una pronuncia di tipo costitutivo volta all’instaurazione “in via coatta” del rapporto di lavoro, in quanto solo le parti (datore di lavoro e lavoratore) hanno titolo per specificare il contenuto del regolamento contrattuale, ma può ottenere il risarcimento del danno per la mancata assunzione quantificabile nella mancata percezione delle retribuzioni.
In essa la Suprema Corte ha pure precisato che l’importo della somma da risarcire al lavoratore può essere ridotta tenendo conto di quanto questi ha percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative (aliunde perceptum) o che egli avrebbe potuto guadagnare dedicandosi diligentemente alla ricerca di un lavoro (aliunde percipiendum). Il vantaggio della riduzione opera però solo nel caso in cui il datore di lavoro ne fornisca la prova.
In sostanza per la generalità degli invalidi avviati obbligatoriamente al lavoro non è possibile, in caso di ingiustificato rifiuto dell’assunzione da parte dell’impresa, ottenere la costituzione, con sentenza, del rapporto di lavoro, in base all’art. 2932 cod. civ., che prevede l’esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto; infatti, ai fini dell’applicazione di questa norma è necessario che vi sia una predeterminazione degli elementi essenziali del rapporto, quali la retribuzione, le mansioni, la qualifica; mancando questa specificazione, l’invalido, in caso di omessa assunzione, può ottenere soltanto il risarcimento del danno.
Questa sentenza ne riprende altre precedenti, ma sicuramente è importante per ribadire i diritti delle lavoratrici e dei lavori con disabilità, e per tenere viva l’attenzione su questi temi, oggi di grande attualità.
Va comunque ricordato che in caso di mancata assunzione di un centralinista non vedente avviato obbligatoriamente al lavoro, egli ha invece diritto alla costituzione del rapporto per sentenza – Oltre che al risarcimento del danno – (Cassazione Sezione Lavoro n. 15913 del 14 agosto 2004, Pres. Mattone, Rel. Celerino).
L’attuale sistema legale nel caso del non vedente avviato al lavoro come centralinista, in base alla legge n. 113 del 1985, assicura un inquadramento contrattuale in cui sono prestabilite le mansioni, la qualifica e il trattamento economico, attraverso l’inserimento delle clausole della contrattazione collettiva applicabile.
Pertanto in materia va applicato il seguente principio di diritto: “In caso di legittimo avviamento di centralinista non vedente, la cui assunzione sia indebitamente rifiutata dal destinatario dell’obbligo di assumerlo, il Giudice, se richiestone, deve applicare l’art. 2932, cod. civ., rendendo fra le parti sentenza che produca in forma specifica gli effetti del contratto non concluso, trattandosi di fattispecie possibile non esclusa dal titolo, essendo, infatti, prestabiliti dalla legge n. 113 del 29 marzo 1985, in tema di disciplina del collocamento al lavoro e del rapporto di lavoro dei centralinisti non vedenti, la qualifica, le mansioni e il trattamento economico e normativo del lavoratore avviato, ivi compresa l’indennità legale di mansioni, assumendo carattere residuale il risarcimento economico (art. 1223 e ss, cod. civ.) destinato ad assicurare l’integrale soddisfazione del diritto del centralinista, indebitamente pretermesso dalla prestazione lavorativa per l’inadempimento del datore di lavoro”.
La sentenza del 2004 sopra citata, dopo dieci anni ha ancora un valore ed una portata storica, in quanto con essa la Suprema Corte di Cassazione ha condiviso un orientamento minoritario di alcune pronunce di merito e ha affermato il principio che, a differenza di tutte le altre categorie di disabili avviati obbligatoriamente al lavoro, per i centralinisti non vedenti illegittimamente rifiutati è possibile non solo ottenere il risarcimento del danno, come di recente ribadito dalla cassazione con la sentenza n. 19609 depositata il 17 settembre 2014, ma anche una sentenza costitutiva del rapporto.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)
Centro di Documentazione Giuridica: Le principali novità della legge 114/2014 sulla semplificazione e la trasparenza amministrativa, a cura di Paolo Colombo
Finalmente il recente decreto legge 24 giugno 2014, n. 90 è stato convertito definitivamente dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 e pertanto l’articolo 25 denominato “Semplificazione per i soggetti con invalidità”, che porta le disposizioni più interessanti, merita di essere approfondito.
Alcune leggi essenziali per il riconoscimento dei diritti dei disabili hanno subito modifiche rilevanti e gli argomenti interessati spaziano dalla rivedibilità allo status di invalido, ai certificati provvisori e alle agevolazioni lavorative, ai diritti dei neomaggiorenni, alle procedure per la patente di guida, alle quote comunali riservate nei parcheggi, alle prove di concorso ed alle assunzioni nelle pubbliche amministrazioni.
Alcune di queste modifiche erano attese da tempo e sicuramente garantiranno uno snellimento burocratico non indifferente, considerando che verranno ridotti i tempi di attesa per le pratiche di invalidità e di handicap, limitate le chiamate a visita per alcune categorie di invalidi, riconosciuti diritti economici e lavorativi nell’attesa di essere sottoposti a visita e così via.
Tutti gli interventi del legislatore sembrano voler veramente andare incontro agli interessi dei disabili e comunque, puntare ad un abbattimento delle spese e dei tempi.
Anche l’Inps, viste le novità, si è già espresso con un messaggio dell’8 agosto 2014, (di cui si riporta il testo integrale) per quanto concerne le novità relative ai soggetti minorenni già disabili.
Approfondiamo quindi le diverse novità:
1) Rivedibilità e status di invalido (art. 25 commi 6-bis, 7 e 8):
La nuova norma risolve i problemi legati alle richiamate a visita ed ai ritardi che spesso caratterizzavano le pratiche di invalidità civile ed handicap.
a- alla scadenza, eventualmente indicata nel verbale, e nell’attesa del nuovo accertamento, NON vengono più sospese le provvidenze economiche (pensioni, assegni e indennità) e NON si perde più il diritto alle agevolazioni lavorative (permessi e congedi) come avveniva in precedenza, pertanto nel caso in cui sia prevista rivedibilità si conservano tutti i diritti acquisiti in materia di benefici, prestazioni e agevolazioni di qualsiasi natura fino alla definizione della pratica;
b- la competenza della convocazione a visita nei casi di verbali per i quali sia prevista la rivedibilità è dell’INPS che quindi deve procedere alla convocazione (non più alla ASL né al Cittadino);
c- al fine di evitare inutili duplicazioni di visite, l’ abrogazione di un intero periodo del comma 2 dell’art.97 della legge 388/00, ovvero “I soggetti portatori di menomazioni o patologie stabilizzate o ingravescenti, inclusi i soggetti affetti da sindrome da talidomide, che abbiano dato luogo al riconoscimento dell’indennità di accompagnamento o di comunicazione sono esonerati da ogni visita medica finalizzata all’accertamento della permanenza della minorazione civile o dell’handicap” fa sì che ad oggi, l’esonero della revisione riguardi tutte le patologie stabilizzate, gravi o meno che siano, e non solo se titolari di indennità di accompagnamento (invalidi, ciechi totali) o di comunicazione.
2) Certificati provvisori e agevolazioni lavorative (art. 25 comma 4):
a- da oggi viene esteso il diritto previsto dal decreto legge n.324/93 (convertito in legge n.423/93) oltre che per i permessi ex art.33 della L.104/92 anche per i congedi retribuiti (quelli previsti dal decreto legislativo n.151/01). [prima della modifica, qualora la commissione medica non si fosse pronunciata entro 90 giorni dalla presentazione della domanda, l’accertamento di handicap poteva essere effettuato dal medico che assiste il disabile, in servizio presso la Asl, specialista nella patologia dalla quale è affetta la persona con disabilità. Questo era valido solo per la L.104/92 e non permetteva alla Asl di rilasciare un certificato provvisorio al termine della visita provocando tempi d’attesa e diritti negati]. Ora sarà possibile richiedere l’accertamento ad un medico specialista non prima che siano trascorsi 45 giorni (e non più 90) dalla domanda, richiedere il certificato provvisorio di handicap grave (“rilascio immediato” già a fine visita e valido fino all’emissione di quello definitivo) finalizzato alle agevolazioni lavorative, estensione della validità del certificato anche ai congedi retribuiti L.151/01;
b- viene abbassato a novanta (90) giorni dalla data di presentazione della domanda, il tempo massimo entro cui la Commissione ASL deve pronunciarsi rispetto allo status di handicap art.3 comma 3 Legge 104/92 mentre prima i giorni erano centottanta (si ricorda che comunque il verbale, perfezionato dalla ASL, deve essere poi trasmesso all’INPS per la convalida definitiva).
3) Neomaggiorenni (art. 25 commi 5 e 6):
a- al minore titolare di indennità di accompagnamento per invalidità civile, o cecità o di comunicazione per sordità “sono attribuite al compimento della maggiore età le prestazioni economiche erogabili agli invalidi maggiorenni, senza ulteriori accertamenti sanitari” e senza obbligo di presentare domanda amministrativa in quanto la concessione avverrà in automatico;
b- Per i minori titolari di indennità di frequenza, presentando una domanda in via amministrativa entro i sei mesi antecedenti il compimento della maggiore età, questi ottengono in via provvisoria, già al compimento del diciottesimo anno di età, le prestazioni erogabili agli invalidi maggiorenni (verosimilmente solo la pensione o l’assegno) mentre rimane fermo, al raggiungimento della maggiore età, l’accertamento delle condizioni sanitarie e degli altri requisiti previsti. L’Inps (cfr messaggio n. 6512 dell’8 agosto 2014) , per aiutare, ha già pubblicato sul proprio sito i moduli per la domanda amministrativa.
4) Patente e guida (art. 25 comma 2):
a- qualora nella prima visita di idoneità alla guida la commissione certifica che il conducente presenta una disabilità stabilizzata e non necessita di modifica delle prescrizioni o delle limitazioni in atto, i successivi rinnovi di validità della patente di guida potranno essere effettuati senza passare per la commissione, cioè come tutti gli altri “patentati” con un risparmio di tempo e di denaro;
b- la durata della patente è quella comunemente prevista per tutti (tre, cinque, dieci anni a seconda del tipo di patente e dell’età del conducente).
c- è ammessa la possibilità per l’interessato di chiedere la presenza, nel corso della valutazione dell’idoneità, di un esperto di un’associazione di persone con disabilità da lui individuata, in aggiunta a quella già prevista di farsi accompagnare da un medico di fiducia;
5) Parcheggi (art. 25 comma 3):
a- gratuità dei parcheggi: impone al comune di stabilire, anche nell’ambito delle aree destinate a parcheggio a pagamento gestite in concessione, un numero di posti destinati alla sosta gratuita degli invalidi muniti di contrassegno, superiore al limite minimo previsto dalla normativa vigente (1 su 50) mentre concede per i comuni la facoltà, e non l’obbligo, di prevedere la gratuità della sosta per gli invalidi nei parcheggi a pagamento qualora risultino già occupati o indisponibili quelli a loro riservati.
6) Concorsi e assunzioni nella pubblica amministrazione (art. commi 9 e 9-bis):
a- modifiche anche alla L 104/92, ovvero viene inserito un nuovo comma all’art.20 che afferma che la persona con invalidità uguale o superiore all’80%, che sostiene le prove d’esame nei concorsi pubblici e per l’abilitazione alle professioni, non è tenuta a sostenere la prova preselettiva eventualmente prevista;
b- infine, il comma 2 dell’art.16 della L.68/99 prevede che il disabile, qualora idoneo a concorso pubblico presso le PP.AA, può essere assunto anche oltre il limite dei posti riservati nel concorso, magari per coprire altre aliquote di riserva delle stesse PP.A.A. privilegiando all’assunzione il disabile che si trovi in stato di disoccupazione.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)
Centro di Documentazione Giuridica: Invalidi licenziabili solo col via libera della Commissione medica, a cura di Paolo Colombo
Si riporta il commento della Sentenza n. 8450 del 10 aprile 2014 della Corte di cassazione – Sezione lavoro –
Il licenziamento del soggetto invalido, avviato al lavoro tramite le liste di collocamento per disabili, è legittimo solo se l’impossibilità di reinserimento all’interno dell’azienda venga accertata dalla apposita Commissione medica. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 8450/2014, respingendo il ricorso di una azienda contro la sentenza della Corte di appello di Palermo che aveva disposto la reintegra del lavoratore.
Il ricorso
Nel ricorso l’azienda aveva sostenuto che, su iniziativa del dipendente, la Commissione non l’aveva dichiarato completamente inabile al lavoro, bensì abile con la limitazione di evitare la “prolungata stazione eretta”. «Poiché però nell’organizzazione aziendale non vi erano posizioni lavorative compatibili con tale limitazione era stato necessario licenziare il lavoratore».
La norma
La Suprema corte richiama la legge 68/1999 che all’articolo 10, comma 3, regolamenta nel dettaglio le ipotesi di risoluzione del rapporto in caso di «aggravamento delle condizioni del lavoratore» o di «significative variazioni dell’organizzazione». E con riguardo a quest’ultimo punto la norma specifica che «il rapporto di lavoro può essere risolto nel caso in cui, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, la predetta commissione accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’azienda”.
«La verifica di tali condizioni – prosegue la sentenza -, poi, è categoricamente riservata alla competenza della apposita commissione, che valuta le condizioni stesse in funzione della maggior tutela riservata ai disabili».
Il rigetto del ricorso
«Poiché – concludono i giudici – nella specie è pacifico che il licenziamento non è stato preceduto da un accertamento effettuato dalla Commissione …. che abbia valutato … la definitiva impossibilità di reinserire il dipendente all’interno dell’azienda, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro», il ricorso va respinto.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)
Centro di Documentazione Giuridica: Non è cumulabile nello stesso mese, il prolungamento del congedo parentale ordinario con i permessi di cui alla legge n. 104/1992, a cura di Paolo Colombo
Una lavoratrice, madre di un minore portatore di handicap grave, ha promosso un’azione cautelare nei confronti del proprio datore di lavoro, al fine di vedersi riconosciuto il diritto di beneficiare – in via cumulativa, nel medesimo mese – del prolungamento del congedo parentale e dei permessi di cui all’art. 33, legge n. 104 del 1992; ciò unitamente alla richiesta di ordinare al datore di lavoro la concessione dei giorni di permesso non fruiti nei mesi precedenti l’avvio dell’azione giudiziaria, che l’azienda aveva negato alla lavoratrice in ragione di una previsione di legge (l’art. 42, D.lgs. n. 151 del 2001) che prevede la possibilità di fruire – nel medesimo mese – dei due benefici sopra menzionati, in via alternativa.
Il Tribunale di Genova (del 14 ottobre 2013) ha rigettato il ricorso d’urgenza, confermando che“la legge … ha previsto un’alternatività per la fruizione da parte del lavoratore/genitore”del prolungamento del congedo parentale, delle dure ore di riposo retribuite al giorno nonché dei tre giorni di permesso retribuiti al mese di cui alla legge n. 104 del 1992, tutti benefici“introdotti per assistere il figlio disabile”; poiché – osserva il Tribunale – “tali istituti sono tutti finalizzati all’assistenza del disabile”, “se il lavoratore decide di fruire di un prolungamento del congedo ordinario, per quel mese non avrà diritto ai tre giorni di permesso retribuiti, perché l’assistenza può essere garantita attraverso il primo istituto e così, se il lavoratore decide di usufruire dei tre giorni al mese di permessi, per quello stesso mese non potrà godere delle due ore di riposo giornaliero previste sino al compimento del terzo anno di vita del bambino”.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)
Centro di Documentazione Giuridica: Corte di Cassazione, civile, Sentenza 5 novembre 2013, n. 24775 LAVORO – PORTATORI DI HANDICAP – TRASFERIMENTO PER INCOMPATIBILITÀ AMBIENTALE – LEGITTIMITÀ, a cura di Paolo Colombo
Il diritto della persona handicappata di non essere trasferita senza il suo consenso ad altra sede, mentre non può subire limitazioni in caso di mobilità connessa ad ordinarie esigenze tecnico-produttive dell’azienda, non è invece attuabile ove sia accertata l’incompatibilità della permanenza del lavoratore nella sede di lavoro.
Con la recente sentenza n. 24775 del 5 novembre 2013 la Corte di Cassazione si è pronunciata sul trasferimento del lavoratore disabile, esaminando, in generale, i limiti legali sussistenti in capo al datore di lavoro in tale materia e, in particolare, la legittimità del trasferimento per incompatibilità ambientale.
La norma (speciale) di riferimento è l’art. 33, comma 6, della legge n. 104/1992, secondo cui il lavoratore handicappato – senza il suo consenso – non può essere trasferito in un’altra sede di lavoro.
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono già pronunciate in una fattispecie analoga, pure disciplinata dalla legge n. 104/1992, inerente il trasferimento del lavoratore che assiste una persona affetta da handicap in situazione di gravità (la legge fa riferimento al coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero, entro il terzo grado nei casi ivi espressamente indicati) e che, ai sensi di quanto previsto dall’art. 33, comma 5, della citata legge n. 104/1992, non può essere trasferito senza il suo consenso.
Infatti, con sentenza n. 16102 del 9 luglio 2009, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno precisato che, in base ad un’interpretazione costituzionalmente orientata, il diritto del genitore o del familiare lavoratore – con rapporto di impiego pubblico o privato, che assista con continuità un parente o un affine nei limiti di grado previsti dalla legge – di non essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede, se, da un lato, non può subire limitazioni in caso di mobilità connessa ad ordinarie esigenze tecnico-produttive dell’azienda o della P.A., non è, invece, attuabile ove sia accertata – in base ad una verifica rigorosa anche in sede giurisdizionale – l’incompatibilità della permanenza del lavoratore nella sede di lavoro.
La sentenza in esame ha ritenuto applicabili i principi affermati dalle Sezioni Unite anche nell’ipotesi del trasferimento del lavoratore disabile.
In particolare, la Suprema Corte ha precisato che l’interesse della persona handicappata, ponendosi come limite esterno al potere datoriale di trasferimento (disciplinato dall’art. 2103 cod. civ.) prevale sulle ordinarie esigenze produttive ed organizzative del datore di lavoro, ma non esclude che il medesimo interesse, pure prevalente rispetto alle predette esigenze, debba conciliarsi con altri rilevanti interessi, differenti da quelli sottesi alla ordinaria mobilità, che possono entrare in gioco nello svolgimento del rapporto di lavoro (pubblico o privato), così come avviene in altre ipotesi di divieto di trasferimento previste dall’ordinamento, per le quali la considerazione dei principi costituzionali coinvolti può determinare, concretamente, un limite alla prescrizione di inamovibilità (come, ad esempio, per il trasferimento dei dirigenti sindacali, ai sensi dell’art. 22, comma 2, della legge n. 300/1970).
Inoltre, è stato evidenziato che la giurisprudenza di legittimità aveva già, ripetutamente, affermato che il trasferimento del dipendente per incompatibilità ambientale, trovando la sua ragione nello stato di disorganizzazione e di disfunzione dell’unità produttiva, va ricondotto alle esigenze tecniche, organizzative e produttive di cui all’art. 2103 cod. civ. (ex plurimis, Cass. 23 febbraio 2007, n. 4265, e, più recentemente, Cass. 22 agosto 2013, n. 19425).
Nel nostro caso, la Corte di Cassazione ha, quindi, rilevato che la situazione di incompatibilità ambientale (nella fattispecie, si trattava del trasferimento di una lavoratrice disabile determinato da una situazione di forte contrasto tra quest’ultima ed i colleghi di lavoro, con rilevanti ripercussioni sul regolare svolgimento dell’attività lavorativa) si distingue dalle “ordinarie” esigenze di modifica dell’assetto organizzativo, in quanto costituisce essa stessa una causa di disorganizzazione e di disfunzione e, quindi, realizza – di per sé – un’esigenza di mutamento del luogo di lavoro.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)
Centro di Documentazione Giuridica: IMMIGRATI: Sì ad indennità di accompagnamento anche senza carta di soggiorno, a cura di Paolo Colombo
La Corte Costituzionale, con la sentenza 15 marzo 2013, n. 40 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 80, comma 19, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2001) “nella parte in cui subordina al requisito della titolarità della carta di soggiorno la concessione agli stranieri legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato della indennità di accompagnamento di cui all’articolo 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18 (Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili) e della pensione di inabilità di cui all’art. 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118 (Conversione in legge del decreto-legge 30 gennaio 1971, n. 5 e nuove norme in favore di mutilati ed invalidi civili)”.
La disposizione come formulata escludeva dal beneficio tutti quegli stranieri che, seppur erano in possesso dei requisiti sanitari necessari, erano, però, presenti in Italia da meno di cinque anni e quindi impossibilitati ad avere il documento di soggiorno richiesto.
Secondo quanto precisato dalla Corte Costituzionale nella sentenza in commento, tale situazione portava ad una discriminazione e disparità di trattamento in ordine ai diritti fondamentali della persona tra cittadini italiani e cittadini stranieri, rappresentando una violazione del diritto alla salute tutelato costituzionalmente.
L’assistenza alle famiglie che abbiano all’interno portatori di handicap grave non può essere rifiutata in ragione della “mera durata del soggiorno”.
Si legge, infatti, testualmente, nella decisione in oggetto che … “In ragione delle gravi condizioni di salute dei soggetti di riferimento, portatori di handicap fortemente invalidanti (in uno dei due giudizi a quibus si tratta addirittura di un minore), vengono infatti ad essere coinvolti una serie di valori di essenziale risalto – quali, in particolare, la salvaguardia della salute, le esigenze di solidarietà rispetto a condizioni di elevato disagio sociale, i doveri di assistenza per le famiglie –, tutti di rilievo costituzionale in riferimento ai parametri evocati, tra cui spicca l’art. 2 della Costituzione – in base, anche, delle diverse convenzioni internazionali che parimenti li presidiano – e che rendono priva di giustificazione la previsione di un regime restrittivo (ratione temporis, così come ratione census) nei confronti di cittadini extracomunitari, legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato da tempo apprezzabile ed in modo non episodico, come nei casi di specie”.
La concessione, quindi, agli stranieri extracomunitari, che siano legalmente soggiornanti in Italia, della indennità di accompagnamento nonché della pensione di inabilità, non può essere subordinata al “semplice” requisito della titolarità della carta di soggiorno.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)
Centro di Documentazione Giuridica: Conversione in legge del decreto legge 66 del 24 aprile 2014, a cura di Paolo Colombo
Il decreto legge 66 del 24 aprile 2014 è stato convertito in Legge n. 89 del 23 giugno 2014 “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale. Deleghe al Governo per il completamento della revisione della struttura del bilancio dello Stato, per il riordino della disciplina per la gestione del bilancio e il potenziamento della funzione del bilancio di cassa, nonché per l’adozione di un testo unico in materia di contabilità di Stato e di tesoreria (G.U. 23 giugno 2014, n. 143)”.
Con tale strumento normativo le amministrazioni sono state autorizzate anche a ridurre del 5% gli importi dei contratti in essere per beni e servizi, al fine di raggiungere gli obiettivi di riduzione della spesa pubblica loro assegnati.
Purtroppo, il Governo per individuare i beni e i servizi oggetto dell’intervento si è basato sui codici del Siope (Sistema informativo sulle operazioni degli enti pubblici) sistema di rilevazione telematica degli incassi e dei pagamenti effettuati dai tesorieri delle p.a., gestito dalla Ragioneria generale dello stato, che rileva come i soldi pubblici sono materialmente spesi.
Utilizzando tale sistema sono finite tra le voci da tagliare anche i codici Siope riferiti a contratti di servizio per trasporto, contratti di servizio per smaltimento rifiuti, nonché cosa che riguarda da vicino le nostre istituzioni anche le rette di ricovero in strutture per anziani/minori/handicap ed altri servizi connessi, mense scolastiche, e servizi scolastici.
Includere le rette per disabili ricoverati tra le spese per «servizi intermedi», cioè relative a fabbisogni dell’ente e non della comunità amministrata è certamente una grave ingiustizia. Si tratta infatti di servizi e di beni che sono, con ogni evidenza, rivolti esclusivamente e direttamente a beneficio dei cittadini per giunta svantaggiati.
La manovra, di spending review, pur qualificata come revisione della «spesa improduttiva» ha finito quindi, ancora una volta, per ridurre le prestazioni che la pubblica amministrazione deve assicurare alla comunità amministrata.
I tagli indistinti, che si prevedono con l’applicazione del decreto 66, purtroppo mettono sullo stesso piano la carta per le fotocopie e i servizi ai disabili o minori.
Va segnalato, comunque, tenuto conto del tenore letterale dell’art. 8 (“sono autorizzate” ) che il decreto attribuisce, ex lege, alla P.A. il potere – facoltà di ridurre del 5%, unilateralmente, l’importo originariamente pattuito come corrispettivo per l’acquisto di forniture e servizi, prevedendo di contro che il committente possa recedere senza penali entro trenta giorni dalla comunicazione.
Si auspica, quindi che la sensibilità delle P.A. prevalga nei casi in cui i destinatari finali del servizio siano i disabili.
Fondamentale sarà, ancora una volta, il ruolo delle nostre istituzioni locali nel relazionarsi con la P.A. per valorizzare la specificità qualitativa dei servizi offerti alla categoria dei disabili visivi.
a cura di Paolo Colombo (coordinatore del Centro di Documentazione Giuridica)