Catania: il bowling a Catania è per tutti

Autore: Alfio Pricoco

Il 16 giugno 2012 organizzato dall'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Catania, dalla commissione sport e tempo libero e dai Lions Acitrezza Verga, a Catania si è disputato il settimo torneo per non vedenti città di Catania.

Alla manifestazione ludico sportiva hanno preso parte ben 24 coppie di giocatori costituite da un non vedente ed una guida.

Particolarità del Torneo è che durante lo svolgimento delle partite, tutti indistintamente indossano una bendina nera, così da essere tutti al medesimo livello, garantendo la massima correttezza, e per favorire l'orientamento dei giocatori, nella zona di lancio viene messo a terra del filo di nailon con del nastro adesivo, consentendo quindi al giocatore bendato di sapere dove si trovi, e tirare con la massima sicurezza.

E' stato un sano pomeriggio molto agonistico in cui anche i vedenti hanno compreso forse un pizzico meglio cosa significa non vedere e quali siano le grosse difficoltà da affrontare, ma allo stesso tempo è stato bellissimo constatare una volta di più come anche lo sport sia un veicolo splendido d'integrazione sociale, dove tutti indipendentemente dall'handicap agiscono verso un unico fine, che in questo caso è stato il divertimento, l'agonismo e ovviamente per una sola coppia la vittoria finale.

Al termine è seguita la premiazione per tutti, vincitori e non, con i partecipanti entusiasti di aver preso parte ad una competizione agonistica coinvolgente e con l'auspicio di poter rifare il prossimo anno un nuovo torneo ancora più bello ed interessante.

Sport: partecipa al corso di subacquea dal 27 agosto al 2 settembre 2012 a San Felice al Circeo

Autore: Angela Costantino

"Albatros Progetto Paolo Pinto"  l'associazione specializzata nella didattica subacquea per non vedenti ed ipovedenti   organizza un corso  per  sommozzatori con rilascio di certificazione internazionale Albatros Progetto Paolo Pinto Scuba Blind International – Cmas  a San Felice al Circeo dal 27 agosto al 2 settembre 2012 Durante lo svolgimento del corso si apprenderà una metodologia specifica totalmente nuova  in questo campo. Un full – immersion  con la collaborazione diretta di istruttori subacquei  brevettati Albatros  con rapporto 1 allievo /1 istruttore.
Gli obbiettivi di Albatros sono l'integrazione del sub cieco con tutti i subacquei  e la possibilità di fargli eseguire le stesse identiche immersioni che fanno gli altri in qualsiasi luogo del mondo, in ogni situazione, con tutte le tecniche e le apparecchiature d'immersione conosciute, esplorando e "osservando" al meglio gli habitat sommersi più vari.
 Il  COSTO € 900,00 si intende comprensivo delle ore di docenza teoria e pratica,piscina ,  delle spese del  Kit, bombola, zavorra ed immersioni,  incluso il soggiorno in mezza pensione dal  27 agosto al 2 settembre 2012.
L'associazione Albatros inoltre darà in omaggio ai corsisti un borsone con la muta che sarà fatta su misura dalla ditta Neos Sub.
Le pinne la maschera ed i calzari dovranno essere acquistatati dai corsisti personalmente.

Gli interessati dovranno inviare al momento dell'iscrizione via mail 
 Documento personale,certificato medico per attività non agonistica  € 200,00 per iscrizione al corso.

Il presidente Angela Costantino

Lecce: Coppa Italia alla squadra salentina

Autore: Tony Donno

Il gruppo sportivo dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti di Lecce, ha da tempo, un'eccellenza nazionale nel calcio per non vedenti:
L'ultimo alloro è recentissimo, è la coppa Italia 2011-2012, conquistata nelle finel-for di Solarino (Siracusa), lo scorso weekend (9-10 giugno).
Alla coppa Italia, partecipano le quattro squadre piazzatesi nei primi quattro posti del campionato nazionale, così a questa edizione, hanno partecipato il Lecce, la Roma, il Genoa ed il Siracusa:
Il sorteggio ha definito Lecce Roma (vittoria dei salentini 1 a 0), e Genoa Siracusa (2 a 1 per i liguri dopo i calci di rigore) in semifinale, per cui, a disputarsi la coppa domenica mattina, sono state il Genoa ed il Lecce.
È stata una finale combattuta, ricca di capovolgimenti di fronte, nella quale nonostante il grande caldo, i calciatori non hanno lesinato energie, offrendo agli spettatori uno spettacolo avvincente ed emozionante.
Nel secondo tempo, sfruttando una ripartenza dalla difesa, il bomber dei giallorossi Massimo Cervelli, si incuneava in area avversaria, e batteva il portiere ligure con un perfetto rasoterra all'angolino destro.
Trionfo meritato dei pugliesi, che confermano la capacità di saper affrontare mentalmente e tatticamente impegni del genere, carichi di pressione e tensione.
A vincere fuori dal campo però, è stata l'integrazione sociale dei non vedenti, che hanno dimostrato attraverso lo sport, come si possa regalare emozione, esattamente come per tutti gli altri.
 

Sport: No, GRAZIE, VADO DA SOLA!

Autore: Giovanna D'Angelo

Alla ricerca di emozioni forti o, probabilmente, per misurare i propri limiti, qualcuno si lancia giù con il Bungee Jumping, qualcun'altro si affida a picchetti, corde e rampini per scalare le vette più alte, qualcun altro ancora trattiene il fiato e scende a profondità estreme al limite della narcosi; io ho provato emozioni forti, imparando a camminare da sola.
Trent'anni fa ho perso la vista: tanti sogni chiusi in fondo, sbattendo il cassetto, la sensazione di non potere fermare qualcosa di inarrestabile, l'istinto di aggrapparmi, di non lasciare andare via una esistenza normale,  la necessità di appoggiarmi agli altri e cercare il braccio di qualcuno per fare 4 semplici passi tra la gente; una autonomia quasi totale dentro le mura di casa, non volendo considerare spigoli insidiosi e sportelli, lasciati sbadatamente aperti, sempre in agguato.
Istintivo viene, chiudersi in se stessi: il proprio corpo lo puoi toccare e controllare, ci si costruisce una armatura intorno, ci si sente protetti dentro le mura di casa, come una chiocciola nel guscio ma…  fuori? Ed è qui che entrano in gioco tanti altri fattori, caratteriali, ed ambientali: i miei adoratissimi genitori che riuscirono a soffocare il loro iperprotezionismo nei miei confronti,  lasciandomi libera come una normale ragazza di venti anni, libera di fare gli sbagli tipici della gioventù, dolorosamente consapevoli che mi sarei ritrovata in ogni sorta di situazione, insieme ai miei coetanei e  che ce la saremmo dovuta sbrigare da soli: fuoristrada guidati da amici, motoscafi guidati da altri ancora, piccole avventure e viaggi per mare,  per terra e per aria, sempre vissuti in prima linea ma con gli occhi degli altri. Non finirò mai di ringraziare i miei amici più vicini che mi coinvolgevano in tutto quello che normalmente affascinava i ragazzi ventenni degli anni 80 ed anche qualcosa di più particolare, pericoloso ed avventuroso. Tutto questo mi ha permesso di non chiudermi alla vita, cercare sempre di cavarmela prima da me e, soltanto dopo, chiedere aiuto ed avere sempre più stimoli ed interessi al di fuori del mio handicap. Io c'ero sempre ed ovunque; un po' superbamente, io la mente, gli altri le braccia.
E così il mio orgoglio di mantenermi al passo con i tempi, la padronanza sui computer, il mantenermi in  forma, frequentando le palestre, non tirarmi mai indietro dinanzi alle difficoltà e cercare sempre un modo per arrangiarmi nelle più svariate situazioni; negli ultimi anni il pedalare in tandem e lo spinning e progressivamente uno "sguardo" sempre più a 360° intorno a me.
L'8 Giugno appena trascorso mi sono lasciata convincere  a partecipare, più per curiosità che per una effettiva convinzione, ad un corso di Nordik Walking organizzato dall'ANI (Associazione Nordik Italiana) e condotto dal Presidente Fabrizio Lorenzoni, Fabiola Angeli e Dall'Istruttrice Patrizia Spadaccini, la più esperta delle mie guide in tandem.
" Ah, si, che bello! Un fine settimana fuori, nella Maremma Toscana, si, si certamente che ti accompagno! ma a fare che?" " Non lo so. Non ho capito bene di cosa si tratta, cara Daniela, Patrizia dice che mi coinvolgerà ed ha insistito tanto… andiamo a vedere…"
In questo spirito, curioso e vacanziero, Io e la mia amica Daniela, anche lei guida di tandem, ci siamo puntualmente presentate in una saletta dell'albergo di Castel del Piano.
Una decina di persone, provenienti da ogni parte d'Italia, alcuni neofiti, altri istruttori; io ero l'unica non- vedente, gli altri come me, che si erano prenotati, avevano dato disdetta all'ultimo momento; questo non mi preoccupò minimamente perché, sin dall'adolescenza con i miei amici, ero abituata ad essere "tredicino in mezzo all'insalata".
Fabrizio iniziò a parlare, presentando la sua associazione e continuando con teorie antropologiche, nozioni di osteopatia e ci spiegava i movimenti, le posizioni sbagliate e le contraddizioni che il corpo umano ha adottato, nel corso dei secoli, per adattarsi all'ambiente circostante. Mi veniva facile seguirlo, usava parole normali e non termini medici incomprensibili; lo ascoltavo sempre più affascinata ma con varie domande a caratteri cubitali nella mia testa: io cosa c'entro? Io aggiustare le mie posizioni sbagliate mentre cammino? io vado a braccetto , come posso modificare una postura che non mi appartiene del tutto? Chissà… forse avranno studiato un modo nuovo per  appoggiarmi, magari servendosi di uno strumento, con qualcosa?
Dalla teoria alla pratica: ci spostammo tutti in una piazzetta, prospiciente l'albergo, chiusa al traffico; purtroppo c'era un vento assai sostenuto; Fabrizio mi adattò una sorta di laccio nelle mani attaccati al quale pendevano due bastoncini, uguali a quelli che avevo usato nella mia catastrofica esperienza di sci di fondo. Iniziammo tutti a fare piccoli movimenti per sensibilizzare la pianta dei piedi, mani aperte come pronte per gattonare e bastoncini dietro; dondola, senti cosa ti dicono i tuoi piedi, avanti, indietro, di lato, raccogli informazioni dai piedi e mandale al cervelletto.
" Vediamo adesso come camminate!" Istintivamente, allungo il braccio per cercare quello di Daniela, sempre amorevolmente al mio fianco, ma… Fabrizio mi posa la mano al centro delle spalle e mi esorta a muovere qualche passo.
Non esagero se vi dico che in quel momento mi è mancato il respiro, ho sentito una scossa lungo la schiena, un vuoto allo stomaco, quasi paura. Giravo gli occhi nella ricerca di aiuto ma non trovavo vie d'uscita, non avevo scampo.
Risatina nervosa, respiro profondo "beh! Almeno non sono da sola, ho i bastoncini!"
 Iniziai a muovere i primi passi. Per darvi una minima idea di cosa prova un non-vedente quando si deve spostare, chiudete gli occhi e muovete qualche passo: credetemi, non riuscirete ad andare dritti, barcollerete come un ubriaco.
Ed è proprio questo che io dovevo sembrare, lì in quella piazzetta, dinanzi all'albergo di Castel del piano…
Non riuscivo a fare più di due passi, barcollavo, mi fermavo, per poco non cadevo.
Dentro casa mi muovo abbastanza velocemente ma lì, ero all'aperto, il vento e senza alcun punto di riferimento, soltanto due bastoncini da tirarmi dietro ed una voce accanto: emozioni forti? "Io qui ci muoio!"
 Due passi, tre passi, respira e riprova: "Mamma, papà, Danieluzza, aiutatemi voi!"
Ogni passo, una gran fatica…e poi ancora un altro…
Mi ritrovavo costretta a rimuovere posizioni scaturite da anni di cecità, dovevo dimenticarmi dell'abitudine di cercare e trovare sostegno nel braccio di qualcun altro, ora dovevo ricordarmi di una autonomia morta e sepolta, ora dovevo trovare nuovi equilibri, muovere adesso altri muscoli, riattivare adesso sensazioni tattili dimenticate.
Quattro passi , cinque, avanti ed indietro per la piazzetta, ricordarmi ogni tanto di respirare: un continuo richiamare file cestinati, un colpo di spugna su 30 anni da non-vedente, un passo in più, una conquista, uno sforzo mentale non indifferente, dimentica  di tutto: ciglia umide, respiro frammentato, labbra serrate tra i denti, orecchie purtroppo infastidite dal vento, che ci metteva pure la sua! Ogni mia terminazione nervosa al massimo della recettività, due bastoncini e Fabrizio che mi dava la direzione, ora con la voce, ora con la sua mano dietro le spalle.
Anche gli altri partecipanti al corso andavano avanti ed indietro, ascoltando i cambiamenti da adottare per migliorare la propria postura: tanti pianeti di un unico sistema, diversi nella loro tipologia, intenti nel loro moto di rotazione e di rivoluzione.
" Alza la testa, abbassa le spalle, allarga il diaframma, braccia tese, mani aperte, trascina i bastoncini, allunga il passo." 
  Mi tremavano le gambe, ero nei guai seri…
La voce rassicurante di Fabrizio e due bastoncini: ecco tutto quello che avevo per aiutarmi: il mio obiettivo, riuscire a mettere un passo dopo l'altro.
Eppure, parallelamente all'aumento dei miei passi sequenziali,  sentivo che qualcosa si stava facendo strada dentro di me, quella stessa cosa che mi fa stringere i denti nelle salite in tandem, quella stessa cosa che mi fa prendere in mano martelli e giraviti per aggiustare e riparare, quella stessa cosa che mi riporta su dopo una crisi di pianto… in una canzone la chiamano "forza della vita", io la chiamo orgoglio. Una forza che sento assai presente, il mio gancio nel cielo, la mia personale molla per andare avanti: smisurata, inarrestabile quando parte, testarda, per me vitale, per altri criticabile.
Avanti ed indietro, avanti ed indietro… un concentrato di rabbia, orgoglio, insicurezza, accenni di stupore e scintille di meraviglia: adesso riuscivo a fare una decina di passi.
Nello scrivere, il tempo sembra dilatarsi ma tutto questo si svolse nell'arco di poche ore e non esagero nel definirle una manciata di ore tra le più faticose della mia vita.
 Avevo il terrore che il mio tremore interno mi si trasferisse alle mani ed allargavo le dita delle mani per controllare che questo non accadesse: sperimentai così che, allargando le dita con i palmi sempre paralleli al terreno, acquistavo stabilità ed i bastoncini, trascinati dietro, diventavano come due binari, due appoggi stabilizzanti: forse, forse ce la potevo fare.
Tutti, istruttori e partecipanti, salimmo nelle auto, ci dovevamo spostare da qualche altra parte; quanto apprezzai quei momenti di pausa… un ronzio continuo nella testa, mani sudaticce, un tremore a fior di pelle, la gola arsa.
Lo capisco soltanto adesso che il peggio era passato.
Arrivammo al giardino Spoerri, una vasta area di campagna toscana dove questo artista ha creato sculture assai bizzarre. Le opere d'arte sono sparse, apparentemente a casaccio, ora su terreni pianeggianti ed erbosi, ora all'interno di boschetti. Tutto il gruppo si spostava ora qui, ora là, tra commenti ironici ed interrogativi ma, soprattutto, la sottoscritta camminava con i bastoncini dietro, a testa alta ed una mano dietro le spalle.
Mi sentivo un pizzico più rassicurata perché ero sul terreno; la pianura erbosa mi dava più sicurezza, le moderate discese mi richiedevano una ulteriore attenzione perché avevo da posizionare bene i  piedi a paletta, abbassare il baricentro e mantenere i bastoncini dietro; le salite non mi preoccupavano, era difficile cadere proprio lì, non dovevo rannicchiarmi in avanti bensì restare più possibile dritta verso dietro e darmi aiuto con i bastoncini.
Si, si, camminavo, adesso stavo proprio camminando.
Come una bambina alla vista di un prato, appena sentivo sotto i piedi il terreno che spianava, acceleravo il passo, potevo andare ed andavo come un treno. Prendevo fiato quando il gruppo si fermava a guardare i manufatti ed a chiedersi cosa l'artista avesse voluto comunicarci: ferma con il naso all'insù, sotto una inquietante tettoia di mannaie, sorridevo in mezzo ad una infinità di oche all'assalto di chissà cosa, posavo per la foto all'interno di una casa dal pavimento inclinato e camminavo.
Spesso mi estraniavo: una bambina in un parco giochi, un volo di pensieri fantasiosi  e camminavo. I miei compagni di corso, le loro risa, i loro incoraggiamenti e due adorabilissimi cagnetti, Merlino e Ginevra, che scorrazzavano liberi e felici. Libera e felice, anche io iniziavo a sentirmi così. Ero distratta dalla particolarità delle sculture ma camminavo. Rimasi a bocca aperta dinanzi ad un gioco assai curioso: una galleria di tubi metallici di vari diametri penzolavano da un telaio, ordinati in due file parallele ad una ventina di centimetri una dall'altra  e bisognava farsi strada tra loro.  Procedendo tra i tubi, questi urtavano tra loro, provocando come un suono di campane a festa… un vero spasso!
" A Marco mio, questo gli sarebbe piaciuto sicuro!"
Mi tuffai dentro ai tubi suonanti: una "star gate", ecco, stavo entrando in una altra dimensione , un ritrovato controllo del mio corpo, un cammino autonomo, dritta sulle mie gambe, due bastoncini ed una mano dietro le spalle.
Una volta rientrate in albergo, non riuscii a mantenere i buoni propositi della dieta e sprofondai in un sonno pesante; anche Daniela era stanca, anche lei aveva combattuto le sue battaglie ed entrambe le avevamo vinte.
Il Sabato mattina, il vento continuava ad infuriare ma il cielo era libero da nuvole: sorprendemmo Nicola, un istruttore della Sardegna, nella caffetteria che avevamo scoperto fare cornetti buonissimi; oggi era prevista una colazione al sacco e facemmo provviste per un esercito, al diavolo la dieta! Roberto era pronto ed i suoi adorabili cagnetti gli gironzolavano intorno; mancavano ancora Elisa ed Enea e Fabrizio e sua moglie Fabiola fremevano per il ritardo; ci aspettava il Parco Faunistico Amiata.
Claudia e Michele, due gentilissime guardie naturalistiche, ci guidarono per i percorsi della riserva ed io camminavo. La ginestra dei carbonai, l'asino amiatino, una lezione nell'aula didattica, alla scoperta del mondo, affascinante e misterioso, dei pipistrelli.
"Odora questo, odora quello, guarda questa corteccia e guarda come è diversa quella!"
Castagni, faggi, cavalli, daini, caprioli, salamandra "Mannaggia, quanto era dura la vita di un carbonaio!"
Ed  Oriana, la lupa? Per avere una speranza di vedere le tre lupe senza marito, bisognava salire su di un altana… e voi pensate che una donna di mare come la sottoscritta poteva lasciarsi spaventare da una scala particolarmente impervia? Niente, niente mi poteva fermare: ormai avevo la consapevolezza che ce la potevo fare, anzi, ce l'avevo fatta, camminavo in piena autonomia, aiutata da due bastoncini e da una voce accanto o da una mano tra le scapole. Testa alta, spalle dritte, mani aperte,  bastoncini ed adesso potevo permettermi anche il lusso di pensare ad altro… più camminavo e più acquistavo sicurezza.
Fabrizio mi sottopose ad un altro esperimento: dovevo fare da spola tra lui ed un altro istruttore, camminando veramente da sola, seguendo ed individuando la voce dell'istruttore di turno. Rimbalzavo come una pallina impazzita, tra gli istruttori, tutti entusiasti dei miei miglioramenti, dei miei rapidi tempi di adattamento alla nuova postura e del controllo che avevo sui miei sensi.
Ridevo tra di me e ricordavo quella volta che avevo trovato un piccolo pipistrello nello skimmer della mia piscina e del morso che mi aveva dato, quando lo avevo involontariamente stretto in mano: " Possibile che il morso del pipistrello mi abbia trasmesso una sensibilità particolare agli ultrasuoni?"
Un riposino dopo pranzo, lunga lunga su di una panchina al sole ed ero pronta per un'altra avventura. Fabrizio e Fabiola avevano deciso di modificare un po' il programma iniziale per dare la possibilità a me e Daniela, che avevamo necessità di partire all'ora di pranzo dell'indomani, di non perderci l'escursione della mattina dopo.
Trasferimento in auto alla torre di David, una collina naturale di 1200 metri, sulla quale era stato edificato un monastero. Sino ad una certa altezza si ha la possibilità di arrivare con le auto e poi si procede a piedi. "Bastoncini, a me!"
Decisamente, tra i miei antenati doveva esserci una capra perché è con energia animalesca che affrontai quella salita…
Era una gran brutta salita:  forte pendenza e pietrine, pietre, pietroni pronti a scivolare sotto i piedi. Il vento aumentava mano a mano che procedevamo nella salita e, dato che questa era davvero impervia, Fabrizio mi sosteneva dal gomito. "Brutta, davvero brutta questa salita!" Fu necessaria la massima attenzione, sia da parte mia ma maggiormente da parte di Fabrizio che cercava di pilotare i miei passi e scegliere il percorso più agevole. Salivo e pensavo: " La salita e va bè! Ma la discesa? Come farò a scendere da questa benedettissima torre? Aiuto! S.O.S.! Sara il caso di chiamare l'esercito o la protezione civile?"
Sinceramente, non so quali santi mi aiutarono ma arrivai in cima e subito mi dovetti aggrappare alla croce che si ergeva proprio lì, per non essere sbalzata via dal vento; ci permettemmo un paio di minuti di raccoglimento, seduti per terra, il mondo tutto intorno: Fantastico… magnetico. Daniela mi descriveva un panorama a 360°, impossibile non sentirsi una piccola cosa dinanzi a quella visione spettacolare della Natura. Un luogo dove regna il silenzio, lo senti calare anche dentro di te, ogni parola è superflua e ti perdi nei meandri dei tuoi pensieri.
I santi ascoltarono le mie preghiere e riuscii a discendere dalla torre però, bisogna dire la verità, poco ci mancava che Fabrizio e Fabiola mi prendessero in braccio. La fermata successiva fu una bella improvvisata a casa di un amico di Fabrizio, responsabile della comunità buddista di  Merigar. Non c'era da camminare lì e Piero ci aprì le porte di casa sua e tutto il gruppo si accomodò in soggiorno. Chiamiamola pure, questa a casa di Piero, una pausa spirituale, perché il padrone di casa ci raccontò la storia della comunità di Meringar ed i principii fondamentali della filosofia buddista.
Una ultima tappa di questa giornata campale fu, appunto, la comunità di Meringar, situata sul versante del monte Labro ma, se devo dire la mia, per essere chiamata anche "il piccolo Tibet", sono, sia il tempio, sia la stupa, costruzioni architettonicamente troppo moderne, troppo cemento, troppo vetro e niente che mi ricordasse le comunità tibetane, da me visitate insieme ai miei genitori.
In serata, dopo cena, ci ritrovammo tutti nella saletta dell'albergo dove ci venne raccontata la storia di David Lazzaretti, per alcuni il "santo David", per altri un personaggio dai molteplici lati oscuri.
Era Domenica mattina, l'ultimo giorno del corso, le campane della chiesa di Castel del piano chiamavano i fedeli a raccolta e Giovanna e Daniela gustavano una porzione doppia di cornetti ai cereali alla loro caffetteria preferita. Valigie in auto, ci mettemmo in movimento per riunirci a tante altre persone che avevano organizzato un percorso a piedi di circa 9 km. sul monte Giovi:
  "E chi li ha mai fatti 9 km. a piedi?!"
Il vento era finalmente calato e la giornata era davvero splendida; Merlino e Ginevra zampettavano insieme a noi e Daniela mi ricordava Alice nel paese delle meraviglie: i suoi splendidi capelli biondi raccolti in una coda sbarazzina, dai suoi grandi occhi azzurri, specchi del suo buon cuore,  traspariva l'entusiasmo per la realizzazione di un sogno, una passeggiata nel bosco. Ogni tanto, le chiedevo del suo ginocchio dolorante e lei mi rispondeva che non aveva alcuna importanza, troppa la felicità di trovarsi lì, incantevoli i paesaggi da contemplare, ammalianti le fragranze e gli odori della campagna. "Il gruppo delle bacchette" incuriosì parecchia gente e, secondo me, non furono poi in tanti ad accorgersi che quella donna affiancata da un uomo che ogni tanto le parlava, era una non-vedente, che aveva imparato a camminare sulle sue gambe soltanto da due giorni. Lungo il percorso, 4 fermate eco-gastronomiche e degustazione dei prodotti locali: un frantoio, una casa vinicola, un agriturismo con una splendida piscina a fagiolo immersa nel verde, ed infine, la sagra delle ciliegie. Non incontrai difficoltà degne di nota, tranne per un tratto in salita particolarmente ardito.
Camminavo spedita e tranquilla, cercando di rallentare e di allungare il passo ma, caro Fabrizio, tutta la tua esperienza e conoscenza medica non possono  spiegare la gioia che mettevo in ogni mio passo, l'incontenibile voglia di recuperare il perduto, l'entusiasmo per una autonomia riconquistata:; si, è vero, ogni tanto saltellavo e tu mi dicevi di non farlo, di accompagnare il passo, come una pantera ma, io ero contenta e, altro che saltellare, io avrei fatto salti rocamboleschi e capriole all'indietro e ruote acrobatiche per manifestare a mondo intero l'energia vitale che sentivo dentro e… chissà… chissà… forse un giorno, riuscirò a fare anche questo!
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Ipovedenti: Parla con l’Unione: un incontro con i soci ipovedenti.

Autore: Angelo Mombelli

I problemi riguardanti le persone ipovedenti sono innumerevoli: trovare soluzioni appropriate è sempre più difficile, considerate l'attuale situazione dell'economia italiana e le scarse risorse della nostra Sede Centrale. Per fare il punto della situazione la Commissione Nazionale Ipovedenti dell'U.I.C.I. ha organizzato il 7 giugno u.s. una trasmissione di Parla con l'Unione quale occasione di confronto per soci appartenenti alla categoria.
E' stata segnalata innanzitutto da parte di alcuni Presidenti sezionali la necessità di avere del materiale audiovisivo specifico che illustri la figura dell'ipovedente, le sue necessità e quant'altro possa servire a mettere in evidenza gli innumerevoli problemi che vivono gli ipovedenti in una società che stenta a riconoscerli. Chi è intervenuto ha poi decisamente escluso la necessità di predisporre, pubblicizzandolo in campo nazionale ed internazionale, un segno di riconoscimento della categoria, analogamente al bastone bianco per i non vedenti. E' un problema da tempo dibattuto, ma le indicazioni sono chiaramente contrarie a promuovere tale iniziativa.
Molti soci lamentano poi la difficoltà di reperire la strumentazione specifica che non sia il solito video-ingranditore che viene uggiosamente proposto; con la chiusura del Centro Nazionale tiflotecnico questo problema viene ulteriormente rimarcato e la soluzione si potrà avere solo con l'avvento dei Centri tiflo-tecnici regionali, da tempo ventilata, che potranno offrire vario materiale di molteplici aziende. A ciò si aggiunge il fatto che l'aggiornamento del nomenclatore tariffario delle protesi, che si attende da oltre dieci anni, sempre per ragioni economiche, ancora non è stato emanato.  
E' emerso oi un forte interesse per i Centri di riabilitazione visiva che a parere di molti dovrebbero essere supportati da uno psicologo, dato che uno dei primi problemi per l'ipovedente è l'accettazione del proprio status; purtroppo le nuove tariffe ambulatoriali (LEA) sono ancora bloccate e molti Centri di riabilitazione stentano a far quadrare i conti.
Una nuova iniziativa verrà intrapresa nel prossimo autunno: si tratterà di una rubrica mensile sul Corriere dei ciechi dove gli ipovedenti potranno indirizzare i loro quesiti ed illustrare le difficoltà che incontrano nella quotidianità. Lo spazio è stato offerto dalla responsabile dell'Ufficio Stampa e componente la Direzione Nazionale, Luisa Bartolucci.
Sono stati poi trattati altri problemi inerenti il lavoro, le barriere visive, le provvidenze a favore degli ipovedenti, che nel contesto sarebbe troppo lungo elencare. Ragion per cui si è concordato di organizzare un incontro di persona per sviluppare tutte le tematiche citate. Stanti le condizioni della nostra Sede Centrale, l'evento sarà auto-finanziato e si svolgerà in autunno a Tirrenia. La Commissione Ipovedenti si è assunta l'incarico di predisporre un progetto specifico da inviare alla Presidenza Nazionale per chiedere un contributo per la realizzazione. Sono dell'opinione che incontrarsi sia sempre un fatto positivo: i problemi sono innumerevoli e sovente, soltanto di persona, si possono trovare risposte soddisfacenti ed intraprendere percorsi costruttivi e proficui.

 

Servizio Civile: Il Ministro Andrea Riccardi: reperiti nuovi fondi per il Servizio Civile Nazionale

Autore: (tratto dal sito www.serviziocivile.gov.it)

L'intervento del Ministro Andrea Riccardi nell'incontro tenuto con i giornalisti il 12 giugno 2012 presso la sala monumentale di Largo Chigi.
In questi mesi di Governo ho avuto modo di conoscere da vicino la realtà del Servizio Civile Nazionale e debbo dire che mi ha positivamente sorpreso: in un'epoca segnata spesso dall'interesse e dal profitto, il Servizio Civile rappresenta un'isola di gratuità e di altruismo.
Il Servizio Civile Nazionale si realizza attraverso l'impegno dei giovani tra i 18 ed i 28 anni in progetti mirati a salvaguardare il rapporto tra le istituzioni ed i cittadini e a favorire la realizzazione dei principi costituzionali della solidarietà (art. 2 Cost.), dell'uguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.), del progresso materiale o spirituale della società (art. 4 Cost.), a promuovere lo sviluppo della cultura e la tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico della Nazione (art. 9 Cost.) e la pace tra i popoli (art. 11 Cost.).
In questi dieci anni di vita il servizio civile ha coinvolto 284.596 giovani impegnati nella realizzazione di progetti in diversi settori (assistenza, protezione civile, ambiente, patrimonio artistico e culturale, educazione e promozione culturale, e servizio civile all'estero) favorendo la solidarietà e la coesione sociale. Il Servizio civile ha coinvolto oltre 14.000 enti pubblici e privati, iscritti a vario titolo all'Albo nazionale e agli Albi delle Regioni e delle Province autonome, che da un lato si pongono come punto di riferimento delle singole realtà e dall'altro tessono la tela dei
legami delle comunità con particolare riferimento a quelli tra i cittadini e le Istituzioni.
Il valore educativo del Servizio Civile Nazionale porta i giovani a sperimentare e praticare con maggior consapevolezza la cittadinanza attiva, sviluppando il senso civico ed una maggiore percezione dei valori democratici.
L'azione dei giovani volontari apporta importanti benefici alle categorie più svantaggiate dei cittadini (portatori di handicap, immigrati, bambini difficili, malati terminali,ecc.) e al patrimonio pubblico (beni culturali e ambientali, protezione civile, promozione dei diritti e della pace).
Questo che considero un bene prezioso per la Repubblica e per la collettività è stato sul punto di scomparire a causa dei tagli apportati al Fondo del Servizio Civile Nazionale dalla legge di stabilità del 2011.
Gli effetti dei predetti tagli già si sono fatti sentire in modo rilevante, costringendo allo scaglionamento delle partenze del bando 2011e rendendo impossibile la presentazione dei progetti per l'anno 2012.
Il rischio che abbiamo corso è stato quello di chiudere il Servizio Civile Nazionale.
Di fronte a questo quadro, nei mesi addietro ho cercato di sensibilizzare i colleghi del Governo sul problema, ma tutti conosciamo la situazione economica e finanziaria in cui versa il Paese, estremamente critica e grave.
Tuttavia non mi sono arreso, non mi sembrava e non mi sembra giusto chiudere una esperienza pionieristica in Europa e un'istituzione che lo Stato, purtroppo parco di interventi in questo senso, dedica in via esclusiva ai nostri giovani.
Dopo un'attenta e faticosa ricognizione nell'ambito del bilancio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nei capitoli di mia competenza, siamo riusciti a reperire le risorse finanziarie aggiuntive per il Servizio Civile Nazionale per un importo pari a 50 milioni di euro a valere sull'esercizio finanziario 2012.
Queste nuove risorse serviranno a stabilizzare il servizio civile nel biennio 2013 – 2014, come d'altra parte auspicato dalla Consulta Nazionale per il Servizio Civile nella seduta del 6 giugno 2012.
Le proiezioni effettuate dall'Ufficio Nazionale per il Servizio Civile hanno quantificato in 18.810 unità i volontari che è possibile avviare al servizio, di cui 450 all'estero , per ciascun anno del biennio considerato.
Inoltre, ho chiesto ufficialmente al MEF, tramite l'Ufficio nazionale, di integrare la dotazione finanziaria del Fondo nazionale per il servizio civile fino a 120 milioni di euro per ciascun anno del triennio 2013 – 2015.
Il reperimento di questi fondi ha rappresentato stato uno sforzo finanziario notevole, che costringerà altri settori affidati alle mie competenze a duri sacrifici. Ma credo ne valesse la pena.
Ho sempre considerato il servizio civile una priorità della mia azione di governo.

Servizio Civile: Riunione della Consulta Nazionale per il Servizio Civile del 6 giugno 2012 – sintesi degli argomenti trattati

Autore: (tratto dal sito www.serviziocivile.gov.it)

Il giorno 6 giugno 2012 si è tenuta, presso la sede dell'Ufficio Nazionale, Via Sicilia, 194, la riunione della Consulta Nazionale per il Servizio Civile con il seguente ordine del giorno:
1) Lettura e approvazione verbale seduta precedente;
2) Comunicazioni del Presidente della Consulta;
3) Comunicazioni del Capo dell'Ufficio Nazionale;
4) Linee guida per la formazione generale: conclusione esame e espressione di parere;
5) Deposito progetti per bando giovani 2013;
6) Varie ed eventuali.
Verificata la regolarità della seduta, i lavori sono iniziati con l'approvazione, senza osservazioni,
del verbale della seduta del 29 marzo 2012.
Con riferimento al secondo punto all'ordine del giorno, il Presidente della Consulta ha effettuato comunicazioni in ordine ai seguenti argomenti:
Le numerose iniziative di sensibilizzazione e mobilitazione, fra cui Padova, Roma, Firenze, alle
quali ha partecipato in qualità di Presidente;
Tre atti normativi in itinere che possono avere ripercussioni sul servizio • civile nazionale:
– Riforma in materia di lavoro;
– Decreto legge di riorganizzazione del Dipartimento della Protezione Civile con particolare riferimento al meccanismo di reperimento delle risorse;
– Provvedimento di riorganizzazione degli Uffici della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
– La nomina della nuova rappresentante dei volontari di scn all'estero;
Relazione sull'attività della Consulta in vista della sua prossima scadenza;
• Problematiche emerse per progetti all'estero;
Equiparazione tra servizio civile nazionale e servizio militare volontario in ordine
all'accesso ai concorsi pubblici.

Per quanto attiene le comunicazioni da parte del Capo dell'Ufficio Nazionale, di cui al punto 3),
esse hanno riguardato:
– Circolare sulla partecipazione dei volontari nelle zone colpite dal terremoto;
– La partecipazione all'evento del 2 giugno e la visita, in accettazione dell'invito della
CNESC, ad una sede di attuazione di un progetto dei Salesiani;
– Problematiche relative ai visti per l'accesso ai paesi esteri;
– Emendamento per cancellare l'UNSC dall'elenco degli enti da cui attingere risorse da parte della Protezione civile in caso di calamità;
– La proposta di regolamento che prevede il rimborso delle spese sostenute dai rappresentanti dei volontari per la partecipazione ad eventi che riguardano il servizio civile;
– Disponibilità di fondi 2012 per il servizio civile nazionale (30-50 ML di euro) da attingere dalle risorse del bilancio del Ministero della Cooperazione Internazionale e l'Integrazione da impegnare per le partenze del 2013-14. Tale disponibilità non cancella la richiesta di ripristino di fondi fino a 120 milioni di euro per il prossimo triennio.
Alle comunicazioni è seguito un dibattito sui vari argomenti. In particolare i presenti esprimono soddisfazione per il reperimento dei fondi da parte del Ministro e al contempo preoccupazione per la proposta di riorganizzazione della PCM che prevede l'accorpamento dell'UNSC al Dipartimento della gioventù. I membri della Consulta ritengono che la proposta, così come concepita, snaturi l'identità del Servizio Civile Nazionale. A questo proposito l'assemblea dà incarico al Presidente di predisporre una lettera indirizzata al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro Riccardi con cui rappresentare il disaccordo su tale ipotesi.
Riguardo il punto 4) all'ordine del giorno si propone ai presenti il testo modificato sulla base degli emendamenti accettati tra quelli pervenuti.
In relazione al punto 5) all'ordine del giorno l'Ufficio, tenendo conto della problematica segnalata da alcuni enti che hanno avvii a Settembre e Ottobre, propone che il periodo per il prossimo deposito progetti sia dal 1 Settembre al 31 Ottobre 2012, modificando un precedente orientamento;
Infine, nell'ambito dell'ultimo punto all'ordine del giorno, l'Ufficio propone il rinvio dei termini delle norme di differimento contenute nella circolare 17 giugno 2009 in materia di accreditamento, con esclusione dei termini previsti per l'adozione della firma digitale e della PEC.
La Consulta Nazionale per il Servizio Civile durante la seduta ha espresso il parere sui seguenti argomenti:
1) Determinazione Direttoriale che prevede il rimborso ai Rappresentanti Nazionali dei volontari di SCN delle spese sostenute in occasione della loro partecipazione ad eventi che riguardano il Servizio Civile: favorevole unanimità;
2) Testo relativo alle Linee guida per la formazione generale (5 favorevoli, 3 astenuti);
3) Termini per l'entrata in vigore delle linee guida per la formazione generale dai progetti presentati nel 2013: favorevole unanimità;
4) Termini per la presentazione dei progetti 2012 (1 settembre- 31 ottobre 2012): favorevole unanimità;
5) Dilazione entrata in vigore alcune disposizioni della circolare 17 giugno 2009 in materia di accreditamento: 5 favorevoli, 3 astenuti.

La Segreteria della Consulta Nazionale per il Servizio Civile

Istruzione: Decreto direttoriale 16 aprile 2012, n. 7, “Corsi di formazione per il conseguimento della specializzazione per le attività di sostegno destinati al personale docente in esubero. Anno scolastico 2012/2013”

Autore: a cura del MIUR

Chiarimenti e rassicurazioni sui corsi di sostegno
Nelle ultime settimane alcuni siti hanno diffuso notizie allarmanti sulle conseguenze del Decreto direttoriale n. 7 del 16 aprile 2012, a firma del Direttore generale del personale scolastico, che istituisce i corsi, facoltativi e gratuiti, destinati al personale scolastico in esubero, per acquisire il titolo di docente specializzato per le attività di sostegno.
Si accredita l'ipotesi che i suddetti corsi possano togliere posti ai docenti già specializzati di ruolo o precari in   servizio sul sostegno e che questa certezza avrebbe poi indotto il MIUR a ritardarne e sospenderne l'attuazione.

Sembra opportuno smentire entrambe le previsioni. Il corso inizierà nei prossimi giorni in ossequio ad un preciso impegno contrattuale di riconversione del personale docente stabilizzato in esubero rispetto ai posti di organico.
Il continuo incremento dei posti di sostegno, registrato negli ultimi anni, farebbe escludere ripercussioni negative sulle assunzioni del personale precario nel prossimo anno scolastico.

Ausili e Autonomia: Un dito che può abbattere una barriera

Autore: Pino Bilotti

Vogliamo sottoporre all'attenzione l'ennesimo caso in cui la difesa di un interesse particolare viene a scontrarsi con un diritto dei cittadini, quello alla fruizione della cultura, sancito da ogni carta dei diritti fondamentali che sia essa nazionale o internazionale. 
Questo nuovo limite si sta affacciando in modo dirompente e devastante nel mondo delle   innovazioni tecnologiche perché nascono e si prolificano i terminali informatici con il sistema Touch screen.
Cosi scrivevo circa un anno fa, quando arrivavano le prime informazioni sui nuovi  sistemi di cellulari senza tastiera.
Oggi, devo  fare un passo indietro e disconoscere ciò che avevo annunciato, come persona che utilizza  i nuovi sistemi dell'Apple e posso affermare che sono  davvero accessibili.
Allora la paura, tanto decantata, della preclusione all'informazione, ci faceva partire dal percorso di definizione dei diritti di accesso delle persone disabili nei diversi
contesti della vita sociale,  realizzato nel corso degli ultimi decenni,  sottolineando l'accesso alla comunicazione.
Un superamento delle barriere comunicative che è venuto progressivamente a definirsi, ponendosi al centro dell'attenzione comune. Allora facciamo un po' di ragguaglio sulla normativa:
In primo luogo, già la Legge n. 104/1992, nelle proprie finalità di garantire il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona con disabilità e di promuovere la sua piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e
nella società, contiene disposizioni relative ai diritti di accesso alla comunicazione e all'informazione, quali ad esempio:

la previsione, l'inserimento e l'integrazione sociale della persona con disabilità si realizzano, tra l'altro, mediante provvedimenti che rendono effettivi il diritto all'informazione, il diritto allo studio della persona con disabilità, con particolare riferimento alle dotazioni didattiche e tecniche, ai programmi, a linguaggi specializzati, alle prove di valutazione e alla disponibilità di personale appositamente qualificato, docente e non docente;

si adeguino le attrezzature e il personale dei servizi educativi, sportivi, di tempo libero e sociali; assicurino la fruibilità dei mezzi di trasporto pubblico e privato e l'organizzazione di trasporti specifici; (art. 8);

le misure orientate a facilitare, in occasione di consultazioni elettorali, l'effettivo esercizio del diritto di voto (art. 29);
La Legge n. 4/2004, relativa a "Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici", tra le proprie finalità:

riconoscere la tutela e il diritto di ogni persona ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, ivi compresi quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici e telematici; in particolare, la tutela e garantisce il diritto di accesso ai servizi informatici e telematici della pubblica amministrazione e ai servizi di pubblica utilità da parte delle persone disabili, in ottemperanza al principio di uguaglianza ai sensi dell'art. 3 della Costituzione.
Nell'ambito della pluriennale attività delle Nazioni Unite per l'affermazione e il riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità, le Regole Standard, emanate nel 1993, contengono principi di riferimento orientati in particolare alla questione dell'accessibilità sia all'ambiente fisico e architettonico sia all'informazione e alla comunicazione; a quest'ultimo riguardo, si afferma tra l'altro l'impegno degli Stati a:

studiare strategie per costruire servizi d'informazione e di documentazione accessibili a tutte le persone con diverse tipologie di disabilità;

incoraggiare i media a rendere accessibili i propri servizi;

assicurare che i sistemi computerizzati di informazione di servizio offerti alla generalità dei cittadini siano resi accessibili o adattati anche alle persone con disabilità.
Anche in ambito comunitario, infine, la questione dell'accesso alla comunicazione delle persone con disabilità è stata affrontata in numerosi documenti comunitari, dalla Risoluzione del Consiglio dei Ministri del 20.12.1996 sull'uguaglianza di opportunità per le persone disabili all'approvazione dell'art.13 del Trattato di Amsterdam del 1997 che ha fissato il principio di non-discriminazione, fino alla Carta dei Diritti Fondamentali della Ue del 2000 che riafferma con forza i principi di "non discriminazione" ( Cap.III, art. 21) e di "inserimento dei disabili" attraverso "misure intese a garantirne l'autonomia, l'inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità" (Cap.III, art. 26) e alla Dichiarazione di Madrid del marzo 2002, che rappresenta il manifesto culturale e politico di riferimento.
Nel quadro delle sfide comuni poste alla Comunità europea, si rileva anche l'impegno:
garantire che i cambiamenti tecnologici si traducano in un miglioramento del tenore e delle condizioni di vita a vantaggio dell'intero tessuto sociale;

provvedere che le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione costituiscano un'opportunità da cui trarre pienamente profitto non allargando il divario fra le persone che hanno accesso alle nuove conoscenze e quelle che ne sono escluse;
utilizzare le possibilità offerte dalle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione per ridurre l'esclusione sociale favorendo l'accesso di tutti alla società dei saperi;

provvedere all'attuazione effettiva della normativa comunitaria in materia di lotta contro tutte le discriminazioni fondate su sesso, razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali, sviluppando gli scambi di esperienze e di buone prassi per rafforzare tali politiche;
infine, anche l'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, nella Direttiva generale in materia di qualità e carte dei servizi di telecomunicazioni adottata con la delibera n. 179/03, ha evidenziato l'esigenza che gli organismi di telecomunicazione indichino agli utenti eventuali misure atte a favorire ogni forma di fruizione differenziata, per realizzare condizioni di parità di accesso ed eguaglianza d'uso dei servizi di telecomunicazioni ai disabili ed agli anziani, nonché per favorire l'eliminazione delle barriere alla comunicazione.
B) Comunicazione e servizi
Le misure proposte per il superamento delle barriere comunicative si applicheranno in relazione sia al modello della comunicazione adottata sia alla tipologia dei servizi erogati.  In particolare andranno differenziate le modalità di comunicazione diretta che consentono alla persona con  difficoltà di comunicare direttamente con l'erogatore dei servizi, in autonomia o con supporto di strumenti tecnologici, da quelle di comunicazione assistita dove la persona con  impedimento comunica con l'ausilio di un operatore che funge da "mediatore comunicativo".
Dopo questa carrellata di normative che tutelano l'accesso alla cultura dell'informazione  per le persone con difficoltà e che a volte si scontra con la difesa di un interesse particolare delle aziende che vogliono diventare sempre più tecnologicamente avanzate a discapito di chi porta una difficoltà,    possiamo rilevare  che tale  innovazione è un'enorme ostacolo  per l'informazione e che può superarsi solo e soltanto applicando la legittima condivisione di percorsi nella ricerca come ha prodotto un'azienda leader come l'Apple.
In questo modo  il diritto dei cittadini alla conoscenza,  grazie all'informazione e alla cultura, sancito da ogni carta dei diritti fondamentali che sia essa nazionale o internazionale viene superato.
Pertanto, il nuovo ostacolo che annunciavamo  come barriera si pone sulla strada  dell'emancipazione, facendo diventare  la nuova tecnologia  lo strumento e il produttore di  cultura  al servizio dei non vedenti, il Touch screen.
Certamente  ancora oggi presenta alcune difficoltà,  ma con la voce di "Silvia" e la rapidità di gestione di tutte le operazioni,  le cose si semplificano e si aprono ulteriori porte di apprendimenti.
Indiscutibilmente i limiti di operatività esistono ma con un po' di formazione e la voglia di mettersi in raffronto con le moderne tecnologie si superano le difficoltà, aprendo così nuove porte per i non vedenti e le nuove generazioni.
Strumentazioni sempre più veloci e interconnesse ci permetteranno di essere informati e dinamici, guidando sulle strade della tecnologia le informazioni. Abbattendo così quei limiti che avevo annunciato di preclusione alla cultura e oggi , come utente di queste macchine infernali, posso affermare che non  era come avevo annunciato, dando ragione alla tecnologia interattiva del Touch screen.

Pino Bilotti

Istruzione: scolarizzazione e integrazione scolastica dei ragazzi con disabilità visiva

Autore: Luciano Paschetta

 

 

Riflessioni e proposte per superare un "modello mai nato"

Permettetemi di riprendere, a beneficio di quanti non avessero letto il mio precedente articolo "Storia di un modello mai nato", (Corriere dei ciechi n.2/2012) alcune considerazioni quale premessa per le successive riflessioni.

La riconquista di un "diritto negato"
Il processo di scolarizzazione dei disabili visivi, diventato "istituzionale"  a partire dalla riforma Gentile del 1923,  evidenzia come  esso si sia realizzato  attraverso l'integrazione  "ante litteram" dei giovani  non vedenti.
La frequenza delle scuole speciali,  presenti negli istituti per ciechi, era infatti limitata al primo ciclo della scuola elementare (allora fino alla terza), mentre dalla quarta elementare i ragazzi proseguivano gli studi prima nelle scuole elementari prossime all'istituto, poi nelle scuole medie della città   e così   fino al termine delle superiori. Il loro inserimento   nelle scuole "comuni",  frequentate con successo da centinaia di giovani disabili visivi, non prevedeva alcun insegnante di sostegno. Solo nel 1963, con l'avvento della scuola media unica, i ragazzi con disabilità visiva, a causa di una interpretazione surrettizia della legge, si trovarono "obbligati" a frequentare la nuova scuola media   unica speciale, nata dalla trasformazione delle preesistenti scuole speciali di avviamento professionale  annesse agli istituti per ciechi.
Fu questo un "momento buio" del  processo di scolarizzazione dei ragazzi con disabilità    visiva, un momento che , senza alcuna motivazione pedagogica, sancì  la "ghettizzazione" dell'insegnamento ai minorati della vista.
Una delle cause  di questa involuzione è da ricercarsi anche nella progressiva perdita di prestigio , quale centro di ricerca tiflopedagogica,  del'istituto Romagnoli  di Roma. Senza più il suo fondatore , il grande AUgusto Romagnoli prematuramente scomparso nel 1948, esso diventava sempre meno capace di continuare ad essere il punto di riferimento per sensibilizzare i "circoli culturali"  e gli intellettuali sulle tematiche  dell'educazione e dell'integrazione sociale dei disabili visivi e, chiudendosi sempre più in sé stesso e diventando sempre più autoreferenziale, via, via, si  emarginava  dal movimento di rinnovamento culturale e scientifico della psicopedagogia  che  , in quegli  anni,  caratterizzava le università italiane.
Quando all'inizio degli anni '70 si avviò nella scuola e nella società italiana, quel grande movimento innovatore che ha nel principio dell'integrazione  sociale dei diversamente abili uno dei suoi aspetti più significativi, alcuni genitori di disabili visivi, affiancati da un gruppo minoritario di psicopedagogisti non vedenti si rifiutarono di iscrivere i loro figli alle scuole speciali , avviando così la battaglia per la "riconquista" del diritto all'integrazione. Diritto   che verrà riconosciuto con la legge 360 del 1976, un anno prima della legge che sancirà il diritto all'integrazione nella scuola dell'obbligo per  tutti i disabili: la legge 517 del 1977.
Battaglia vinta quindi: il "diritto negato" era stato nuovamente riconosciuto, purtroppo ciò è vero solo in parte: il diritto all'integrazione riconquistato sul piano giuridico avrebbe avuto bisogno per la sua corretta realizzazione di essere accompagnato dalla necessaria riflessione pedagogica sugli aspetti peculiari che avrebbero dovuto caratterizzare il modello organizzativo di inclusione dei disabili visivi.

La novità del modello di integrazione: il docente di sostegno
Purtroppo però,  L'inserimento nella scuola  di tutti,  avvenuto contro il parere e al di fuori  della volontà dell'intellighenzia ufficiale" dei disabili visivi, rappresentata  in quegli  anni dalla potente "Federazione delle istituzioni pro ciechi "e dalla maggioranza dell'Unione italiana ciechi, non potrà essere supportato dalle necessarie indicazioni psicopedagogiche, in quanto la stragrande maggioranza degli insegnanti specializzati e degli "esperti" di tiflopedagogia, rifugiata nel l"Aventino" dei loro istituti,  rifiuta ogni collaborazione al processo di integrazione che vede come "il diavolo  vede l'acqua santa".
Parimenti, mentre l'istituto Romagnoli, arroccato nella sua "torre d'avorio" delle competenze tiflopedagogiche  continua  denigrare l'inserimento scolastico e a formare nella omonima "scuola di metodo" educatori nell'ottica della istituzionalizzazione, nelle università italiane si vengono definendo metodologie innovative e didattiche inclusive, ma questo quasi sempre nell'ignoranza delle tematiche tiflologiche e delle specifiche esigenze dei disabili visivi, per le quali non vi è esperienza, né riflessione da parte della comunità scientifica.
E' in questo contesto che si viene definendo il "modello" di integrazione che avrà nel docente di sostegno l'elemento di novità sul quale "imperniare" il processo diinclusione.
Sull'onda di questa innovazione anche ai disabili visivi inseriti nelle scuole elementari e medie viene assegnato  il sostegno e quando nel 1988 , la sentenza 215 , aprirà le porte delle scuole superiori a tutti i disabili, i ciechi e gli ipovedenti, che  da sempre  e fino ad allora avevano frequentato autonomamente,  si vedono affiancare il docente di sostegno,  che, spesso,   è privo delle necessarie competenze specifiche.

Un modello organizzativo "estraneo" ai bisogni derivanti dalla disabilità visiva
Il modello  organizzativo di inclusione che si è  venuto consolidando è "indifferenziato"  in rapporto alle tipologie di disabilità, e  si è "modellato" ed evoluto principalmente in riferimento ai bisogni   della tipologia di disabilità   che risulta essere di gran lunga maggioritaria, strutturandosi  in relazione alle indicazioni della conseguente riflessione psicopedagogica che su questa si è sviluppata: la disabilità intellettiva con ritardo  di apprendimento.
Oltre a ciò, nel tempo, assistiamo sempre più spesso a comportamenti difformi da quanto stabilito dalla legge 517. Essa, definendo nel rapporto 1 a 4   il tempo di impiego e 'assegnazione alla classe" del docente di sostegno, ne prospettava il ruolo quale "mediatore" tra i bisogni  del disabile,  il consiglio di classe ed i compagni, con  una funzione di  stimolo del contesto a cogliere  e saper leggere i bisogni del disabile  e ad attivarsi per fornire le risposte idonee al suo apprendimento.
Essendo  la tipologia di handicap di gran lunga maggioritaria  quella  riconducibile alla disabilità intellettiva    con conseguente ritardo  e/o disturbi , più o meno gravi, di apprendimento,   il modello organizzativo  che si è venuto affermando è quello funzionale ai bisogni  relativi,   che trovano  risposta negli insegnamenti  e nella didattica differenziati con valutazione riferita agli obiettivi  personalizzati del PEI, più o meno indipendenti  (spesso addirittura estranei) dagli obiettivi comuni della classe. Il modello   organizzativo nel tempo si è allontanato sempre più  dalla  impostazione  prevista dalla legge  che, rispondendo al corretto concetto di inclusione,  voleva il docente di sostegno assegnato alla classe  a supporto (non in sostituzione) dei docenti curriculari . Questi, invece,  viene sempre più spesso considerato come docente "esclusivo"  del   e per il bambino disabile  ed a lui viene delegata la responsabilità    del suo apprendimento e del processo di integrazione. Il consiglio di classe , viene assumendo  un ruolo  sempre più estraneo al percorso educativo   del bambino disabile:  la stesura del PEI   , la definizione degli obiettivi didattici  e disciplinari  , (sovente slegati dal contesto degli obiettivi della classe e quasi mai veramente definiti e misurabili), la responsabilità  e la valutazione del loro raggiungimento sono affidati , quasi esclusivamente, all'opera del docente di sostegno.
E' in questo contesto educativo    che il suo numero di ore   viene interpretato  dai genitori ( e dai giudici quando chiamati a decidere) come "l'indicatore di riferimento"   a garanzia del successo   formativo  e del processo di integrazione. 
I giudici , chiamati in causa dalle famiglie che ricorrono contro lo scarso numero di ore di sostegno assegnate al loro "bambino" , riconoscono  in caso di grave disabilità la necessità del rapporto 1 a 1 , ed in alcuni casi anche di più.
Per comprendere quanto sia distorta questa interpretazione  pedagogica prima e "giuridica"  poi della  funzione del docente di sostegno,   basta pensare che essa si fonda sulla  determinazione del numero di ore da assegnare, non su una valutazione della complessità   del lavoro didattico , né del tempo occorrente per svolgere il lavoro didattico   necessario al raggiungimento degli obiettivi educativi  definiti nel P.E.I., ma quasi unicamente su una valutazione "socio-sanitaria", quando non assistenziale,  della disabilità che si fonda sulla gravità della minorazione indicata nella diagnosi.

Considerazioni sul  "modello mai nato"
Purtroppo questa distorsione  in negativo del modello organizzativo   di integrazione , non essendo mai nato un modello elaborato nello specifico per favorire l'inclusione dei nostri ragazzi,coinvolge anche i disabili visivi, prevedendo sempre l'assegnazione del docente di sostegno, ed inoltre, essendo la cecità assoluta considerata minorazione grave, ai genitori, che scontenti dei risultati dell'integrazione  del figlio fanno ricorso, il giudice assegna il  massimo delle ore di sostegno.
E' però necessario chiedersi se sia   lo scarso numero di ore di sostegno la vera causa dell'insuccesso scolastico : noi siamo certi di  no, se, come abbiamo ricordato, in tempi non lontani, i ragazzi ,dalla scuola media in avanti, frequentavano con successo le comuni scuole senza bisogno del docente di sostegno.
Per questo  è importante cercare di comprendere se, anche nella scuola di oggi dove i disabili visivi spesso fanno fatica ad apprendere ed a stare al passo con i compagni, non possa essere preso in considerazione un modello di integrazione non fondato sul docente di sostegno.
La prima considerazione emerge da quanto detto fin qui:  il  modello organizzativo di inclusione che si è consolidato in questi anni facendo  riferimento principalmente ai bisogni  derivanti dalla disabilità intellettiva e dal ritardo di apprendimento, tende a generalizzare il presupposto che l'alunno con disabilità (a prescindere dalla tipologia)  non riesca a raggiungere gli obiettivi comuni, ma necessiti di un piano educativo individualizzato e, conseguentemente, di un docente di sostegno. 
Anche per questo, il modello di inclusione si è "incardinato" sempre   più sul rapporto tra  alunno e docente di sostegno  ,  e  , delegando a quest'ultimo  le responsabilità dell'apprendimento, tende a  escludere gli insegnanti   curriculari dal loro ruolo di docenti nei confronti del ragazzo disabile e, interponendosi tra loro, ne  ostacola anche la comprensione delle modalità di "comunicazione e relazione".
La tendenza a riferire la disabilità al ritardo di apprendimento fa spesso dimenticare che il  ragazzo con disabilità visiva,  è dotato di normali capacità di apprendimento e è assolutamente in grado, se dotato dei giusti strumenti, di seguire con profitto le lezioni e di partecipare al lavoro didattico comune.
La presenza di un docente di sostegno, quasi sempre  con poche  (se non nulle)competenze in  tiflopedagogia e con vaga conoscenza degli strumenti  tiflotecnici e dei sussidi tiflodidattici,  non sapendo educare l'alunno  all'autonomia personale , né  essere capace  a predisporgli i materiali didattici necessari a permettergli di seguire con profitto le lezioni del docente curriculare, fornendo a quest'ultimo le informazioni necessarie per una corretta relazione con lui, anziché "facilitare" il processo di integrazione , ne diventa un ostacolo: egli si è "sovrapposto" al disabile visivo  nel rapporto con compagni e docenti ,  gli ha impedito di "crescere"  e di diventare autonomo nel suo operare quotidiano : non è difficile incontrare ragazzi di scuola media  e/o superiore che non possiedono un metodo di letto/scrittura diretta) , che non sono capaci di muoversi autonomamente all'interno dell'aula e della  scuola  e che, negli intervalli se ne stanno in un angolo con il docente di sostegno.
Per  questi soggetti poco servirà ricorrere al giudice per aumentare il numero delle ore di sostegno per garantirne il successo formativo.
Abbiamo accennato alla generale scarsa competenza specifica dei docenti di sostegno: è questa  una delle cause principali dell'insuccesso scolastico  e della mancata inclusione dei disabili visivi. Egli , se  non competente, non può svolgere un ruolo attivo di mediatore  tra i bisogni del ragazzo ed i docenti di classe, né può stimolare l'ambiente  a comprendere le modalità di relazione positiva con il disabile visivo e ne diventa  di fatto la "balia" . Con il suo atteggiamento protettivo ostacola, anziché favorire, lo  sviluppo delle sue autonomie personali, di movimento e di lavoro.
Sul piano della formazione  dei docenti , forse anche per esorcizzare lo spettro delle scuole speciali,  si  è  voluto per comodità   imboccare la  strada della "polivalenza",   quale unica  modalità formativa idonea a garantire il successo dell'inclusione, ma , anche in questo caso, via , via abbiamo assistito alla progressiva eliminazione degli insegnamenti specifici: a partire     dal 1995 con il D. M.  226  prima e presso le S.I.S.  dopo, fino ad arrivare al decreto 249 del 2011 di prossima attuazione, gli insegnamenti specifici sono quasi  (se non del tutto) scomparsi, con conseguente aumento degli insuccessi scolastici e dei percorsi di integrazione.

Un bisogno di specificità
A questo punto mi si dirà  che sono il solido  pedagogista cieco che rivendica gli insegnamenti tiflopedagogici specifici, dimenticando che il cieco  disabile visivo è prima un bambino poi un non vedente, che l'educazione  si rivolge allo sviluppo della persona e non può focalizzarsi sulla minorazione ,  per arrivare a dire che solo i ciechi ed i sordi, storicamente hanno avuto un percorso specifico, mentre tutti gli altri  disabili   sono stati sempre accomunati, e così via.
La formazione polivalente , ossia una informazione generale che, stante le sempre meno ore degli attuali percorsi formativi di specializzazione, rischia di diventare generica, sarebbe  utile ai docenti curriculari perché potessero farsi carico, così come dovrebbe essere, dell'insegnamento ai disabili inseriti nelle loro classi,  ma è assolutamente inutile per quel ruolo  di "mediatore"  di cui abbiamo accennato sopra, che dovrebbe svolgere il docente di sostegno.
I sostenitori ad oltranza della polivalenza   ci "accusano"  di "retroguardia" dicendoci che solo i disabili sensoriali hanno avuto  nel tempo percorsi formativi specifici,  quasi questo  , sia stato un errore del passato, da non ripetere e, soprattutto, da non rivendicare perché , diversamente, bisognerebbe dare risposta anche alle richieste di specificità provenienti dalle organizzazioni  di genitori dei ragazzi down, autistici dislessici, ecc.
 Senza voler entrare , in questa sede,  più nel merito del problema, mi limito a ricordare che  costoro sembrano   ignorare i progressi fatti dalle scienze psicologiche e dalle neuroscienze in questi ultimi anni  in merito alle  conoscenze specifiche  alle diverse disabilità intellettive e alle relative modalità di  approccio e di relazione positiva con i  singoli soggetti.
Ignorare  le richieste,   che arrivano dai genitori  di ragazzi con disabilità  visiva, e non solo,  che vedono la mancata "crescita culturale"  dei loro ragazzi, vuol dire non dar retta al "campanello di allarme"   che ci avvisa che questo nostro modello di integrazione , fondato sulla miglior legislazione d'Europa,   ma che spesso non produce gli effetti proclamati, è in pericolo.
Per rimanere  sui problemi dei nostri ragazzi  e delle loro famiglie: attualmente noi abbiamo un insegnante di sostegno che possiede le  conoscenze   generali per sapersi relazionare positivamente con il ragazzo disabile, conoscenze utili a svolgere magari un buon lavoro di "maternage" , ma del tutto inadeguate per svolgere un intervento didattico efficace mirato ad ottenere dal disabile visivo  quanto più possibile sul piano dell'apprendimento e su quello della relazione con l'ambiente. Per chiarire perché l'attuale modello organizzativo sia certamente inadeguato per l'inclusione dei ragazzi con disabilità visiva, mi rifaccio alle mie conoscenze relative alle molte situazioni di scolarizzazione di cui sono a conoscenza.
Al bambino, inserito a scuola, quasi sempre viene assegnato un docente di sostegno che non ha competenze di tiflopedagogia e non conosce i sussidi tiflotecnici e tiflodidattici. Se siamo all'inizio di un ciclo elementare come farà ad apprendere un sistema di letto/scrittura autonomo? Quand'anche il docente si  affrettasse per imparare il braille, saprà capire che il metodo che ah usato lui per impararlo, non è quello che gli servirà per insegnarlo al bambino? Ecc. Quali suggerimenti potrà dare ai docenti curriculari circa l'uso delle immagini e dei colori nel  lavoro didattico?  Come fare ad educarlo all'autonomia di movimento , ad insegnargli ad esplorare l'aula, ad andare ai servizi da solo. Eppure quel ragazzo ha capacità di apprendimento normali, il problema sta solo nel fatto che qualcuno  conosca gli strumenti idonei  per consentirgli di "comunicare" con il contesto. Lasciato senza indicazioni , inevitabilmente , dopo qualche mese egli comincerà ad avere un ritardo di conoscenze, che se non colmato si trasformerà in ritardo di apprendimento,, non perché  egli fosse "incapace", ma perché nessuno ha saputo  fornirgli  gli strumenti   per dargli "pari opportunità"  per  imparare a leggere e scrivere e per " comunicare" con gli altri,  e gli altri con lui, in modo idoneo. Un esempio  per  tutti se il docente di sostegno non conosce il  braille  , il bambino non potrà imparare un modo autonomo di scrittura e di lettura e, necessariamente, non riuscirà a seguire il lavoro didattico della classe e, pian,piano il divario con i compagni aumenterà. I genitori e i docenti della classe , preoccupati, l'anno successivo richiederanno un incremento delle ore di sostegno, il che  farà lievitare la spesa, senza però  migliorare il servizio.
Questa la situazione di molti ragazzi con disabilità visive inseriti nelle nostre scuole e le principali cause del loro disagio   e delle loro difficoltà di apprendimento.

Una risposta concreta
Come si vede per garantire il successo al processo di inclusione dei ragazzi con disabilità visiva, manca un intervento capace di fornire gli elementi conoscitivi specifici al contesto perché possa diventare "accogliente" nei suoi confronti, così da consentirgli "pari opportunità" di accesso e che, nel contempo, sia in grado di fornirgli  tutti gli strumenti  ed i suggerimenti utili  al raggiungimento della sua autonomia personale, di movimento  e nel lavoro didattico.
Si tratta di una figura capace, non tanto di intervento educativo   o didattico ,ma in grado di fornire un supporto "tecnico specifico" rivolto al  disabile ed al "contesto" (docenti curriculari, personale A.T.A. , compagni, ecc), per mettere il non vedente in grado di muoversi ed  orientarsi nell'ambiente, di  comunicare con gli altri e di possedere gli strumenti per un autonomo lavoro didattico e,  contemporaneamente di sensibilizzare gli altri (docenti e compagni) a "sapersi relazionare con lui in modo positivo e a saper leggere" i suoi bisogni di aiuto.
Come spesso avviene nella legislazione italiana non c'è una nuova legge da scrivere, né una nuova figura da inventare, basta  far emergere dal "limbo" e chiedere  la presenza  nella scuola del "assistente/facilitatore" della comunicazione "figura prevista dall'art. 13 comma C della legge 104/92, la sua presenza consentirebbe di ridurre al minimo  le ore del docente di sostegno (se non soprattutto nelle superiori, di eliminarle). Prima, però, occorre, riprendere la norma, per definire  il "profilo" professionale e  il percorso formativo  di questa figura.
L'I.RI.FO.R. con l'Università La Sapienza di Roma  ha cominciato a farlo progettando il primo Master per " Assistente/facilitatore alla comunicazione e all'autonomia personale per disabili sensoriali" che verrà realizzato nell'anno accademico 2012/13.

Luciano Paschetta
Responsabile operativo commissione nazionale istruzione