Ho letto con molto interesse l’articolo del dott. Rapisarda sul giornale del 17 aprile, sulle intenzioni rottamatorie di un eventuale nuovo governo e non posso esimermi dal fare un commento: è ora di finirla. Per essere meno criptico, affermo recisamente che è ora di finirla con il fatto sotto gli occhi di tutti, costituito dal ripetersi della situazione per cui ogni nuovo governo che entra in carica immancabilmente mette le mani nella scuola e la stravolge secondo intendimenti che troppo spesso si mostrano figli di un unico pensiero: risparmiare sull’istruzione. Anche quando le intenzioni dichiarate siano condivisibili e non basate esclusivamente sul risparmio, il prodotto non cambia: negli ultimi 20 anni abbiamo avuto un tentativo di sconvolgimento della scuola in media ogni 4 anni, oltretutto spesso con un andamento ondivago che contrastava apertamente con quanto stabilito pochi anni prima. Verissimo, io non sono uno specialista in materia e non ho certo le competenze dell’amico Rapisarda, ma 15 anni di presidenza di sezione mi hanno costretto giocoforza a vedere, si fa per dire, tutti i guai possibili; per di più mia moglie è insegnante di ruolo nel sostegno dal 2006 e referente per il sostegno, ora inclusione, di IC dal 2011, quindi obbligatoriamente sono al corrente del minuto effetto di tutte le varie leggi scolastiche che sono sopravvenute; insomma il classico osservatore “buon padre di famiglia”. Pensiamo veramente che questo turbinare di riforme a ciclo continuo, anche con tutte le buone intenzioni del caso, porti effetti benefici o invece costituisca un ammasso di norme spesso contraddittorie tra loro e che producono una confusione che crea ulteriore confusione, e via spiraleggiando? Sto farneticando? Esaminiamo un esempio. Nell’articolo dell’amico Rapisarda si afferma che ormai abbiamo raggiunto il rapporto 1 /2 tra insegnanti di sostegno e disabili e pare però questo comporti che molti genitori debbano ricorrere al tribunale per ottenere tutte le ore di sostegno previste per i propri figli ; la colpa viene attribuita al sistema delle deroghe. Orbene L’amico Rapisarda sa benissimo che questa situazione non è generata per autopoiesi, ma è frutto guarda caso della ennesima riforma scolastica , una delle tante,, che appunto stabiliva quel rapporto standard senza minimamente tener conto che altra legge prevedeva invece che i disabili gravi e gravissimi avessero diritto al rapporto 1 a 1; in pratica se una scuola ha 50 alunni disabili la legge di cui parliamo gli da al massimo 25 insegnanti di sostegno; ma se 20 di questi alunni sono gravi o peggio, 20 insegnanti vanno riservati per legge a loro e gli altri 5 restanti vanno ripartiti tra i 30 disabili rimasti, con quali risultati per la copertura delle ore di sostegno richieste lo lascio decidere al lettore. Le deroghe, per balzane che siano, hanno lo scopo di rettificare in parte questa situazione certo non ragionevole e spesso è proprio questa mancanza di copertura oraria a determinare il ricorso legale da parte dei genitori. Si tenga conto che la maggioranza dei possibili rottamatori è costituito oggi esattamente da coloro che hanno creato la situazione che ha richiesto la creazione delle deroghe. Mi pare proprio che non sia il caso di lasciargli ripetere questo tipo di geniali riforme o rottamazioni che si chiamino. Ulteriore osservazione: non so da dove il dott. Rapisarda tragga il valore di 1600 euro come stipendio medio degli insegnanti di sostegno; personalmente il conto non mi torna, perché la moglie citata sopra, dopo 12 anni di ruolo percepisce a malapena 1300 euro, ben lontani quindi dalla cifra citata come media, ma può anche darsi che più della metà degli insegnanti di sostegno percepisca 1900 euro mensili, che sarebbe la cifra necessaria per ottenere la media citata; ho qualche dubbio in merito ma non do mai per certo un dato se non ho le prove in mano, anche se ognuno ricorda il paradigma statistico del singolo italiano che in media mangia mezzo pollo al giorno. Ma torniamo un attimo al discorso centrale, cioè a questa mania governativa che impone a qualsiasi neofita ministeriale una bella riforma della scuola. Rapisarda presenta molti punti dolenti che vanno certamente affrontati senza se e senza ma. Resta però da dimostrare che buttare all’aria la legge 66 serva a risolvere quei problemi. Non lo credo, per la semplice ragione che ogni riforma e riformina del passato ventennio in realtà non ha mai fatto altro che sovrapporre norma a norma già esistente e magari contraddittoria. Insomma, nessuna riforma fatta finora ha mai posto il problema di cancellare quanto fatto prima se non corrispondeva agli stessi principi; comincio a pensare seriamente che l’operazione necessaria da farsi non sia rottamare la 66 per magari tornare alla situazione normativa precedente con qualche modanatura barocca di abbellimento, ma sia una vera e propria tabula rasa di tutto il sistema legislativo scolastico, compresi le linee didattiche, la disposizione delle aule, l’architettura stessa della scuola, ancora impostata sul modello ottocentesco della trasmissione del sapere. Se inventassimo una macchina del tempo e portassimo qui un personaggio dell’ottocento, questi non riconoscerebbe nulla delle nostre città, delle poste, delle banche, degli ospedali, ma se entrasse in una classe scolastica tirerebbe un sospiro di sollievo perché troverebbe ancora le classi costituite da banchi e cattedre, con magari l’unica differenza di una lim al posto di una lavagna di mica. Questo taglio tra scuola e società attuale, l’inserimento limitatissimo del sapere reticolare basato su internet, l’arretratezza della strumentazione rispetto al mondo del lavoro, questi sono i problemi da affrontare una volta per tutte, anche per gli alunni disabili. E non credo proprio che i presunti “rottamatori” abbiano intenzione di farlo, come non lo ha fatto chi li ha preceduti. Certo, dove troviamo i soldi? Ma tra le sognanti riduzioni delle tasse al 15% e gli altrettanto sognanti redditi di cittadinanza, forse una riforma radicale della scuola sarebbe un investimento ben più fruttuoso per il nostro futuro anche per gli alunni disabili, che finalmente, non vivono in un altro pianeta.
Archivi categoria: Istruzione
Se il nuovo Governo rottamasse la Buona Scuola? di Gianluca Rapisarda
Il 13 aprile dello scorso anno, in pompa magna”, veniva pubblicato dal Governo uscente il Decreto legislativo 66/17, attuativo de La Buona Scuola sull’inclusione scolastica.
Ebbene, ad un anno esatto dall’emanazione di tale “pontificata” Riforma del sostegno, le testimonianze dirette dei nostri ragazzi e dei loro genitori e la nostra quotidiana esperienza sul campo ci fanno purtroppo registrare il persistere delle solite annose carenze dell’attuale modello di inclusione.
Ci riferiamo innanzitutto alla scarsa formazione specifica dei docenti specializzati.
Tale punto di debolezza dell’odierno sistema inclusivo si spiega perché le modalità di arruolamento e di formazione iniziale degli insegnanti per il sostegno (disposte dal D. Lgs 59/17 e dal succitato Decreto legislativo 66 del 2017) entreranno a pieno regime solo a conclusione del nuovo percorso triennale FIT. Come dire che i benefici de La Buona Scuola, se ce ne saranno, si potranno avvertire almeno tra tre anni e che i reali ed urgenti bisogni educativi degli alunni con disabilità, nell’immediato, continueranno a non essere soddisfatti adeguatamente.
Inoltre, non si trascuri che, a causa di discutibili ciclici provvedimenti adottati dal Ministero nel corso degli ultimi anni nella sola logica dell’”emergenza” e della difesa di interessi “corporativi”, oggi, il 40% dei 120000 docenti per il sostegno risulta essere “in deroga”, con incarichi precari e spesso non specializzato, quando addirittura neanche abilitato.
Come si può ben comprendere, quest’elemento di forte criticità non depone di certo a favore della qualità del processo, costringendo circa l’8% (scuola primaria) e il 5% (scuola secondaria) delle famiglie italiane a “ricorrere” all’autorità giudiziaria per ottenere i loro diritti.
Questo ricorso ai giudici da parte dei genitori degli studenti disabili, a parere di chi scrive, è senz’altro “sacrosanto”, ma sta rischiando di diventare “indiscriminato” a causa della pericolosa china del nostro modello di inclusione verso la delega al solo docente di sostegno, considerato ormai quasi “intoccabile”, indipendentemente dalle sue competenze.
Infatti, contravvenendo ai principi pedagogici e didattici della “scuola per tutti e per ciascuno”, del “sostegno” alla classe, della flessibilizzazione dei contesti, della personalizzazione degli insegnamenti-apprendimenti, dell’autonomia didattica e delle pari opportunità (previsti dalla Legge 517 del 1977, dalla 104 del 1992 e dal Regolamento dell’autonomia del 1999), in questi ultimi decenni, il Ministero non se l’è sentita di “rivoluzionare” il sistema, investendo su servizi alternativi di supporto.
L’unica cosa che ha saputo fare è stata quella di “limitare” la sua attenzione soltanto sul docente di sostegno quale unico “garante” del processo di inclusione (la media nazionale si è ormai assestata sul rapporto di un docente ogni due alunni, come d’altra parte previsto dall’art 19 comma 11 della legge 111/11).
Lo stipendio medio di un docente di sostegno si aggira intorno a 1650 Euro. Dunque, conti alla mano, lo Stato italiano spende per il sostegno circa 2 miliardi e mezzo di Euro all’anno.
Con queste cifre, ci si aspetterebbe francamente molto di più.
Infatti, non mi sembra che tale massiccio intervento a favore del docente per il sostegno e non del “sostegno del contesto” abbia prodotto un elevamento della qualità del processo di inclusione degli studenti con disabilità.
Anzi, tali “storture” del sistema hanno finito per danneggiare ulteriormente i nostri ragazzi, privandoli di un adeguato supporto territoriale psicopedagogico, capace di “includerli” e di renderli veramente autonomi nello studio, nel lavoro, nello sport e nel tempo libero.
La cosa più deludente è che, purtroppo, neppure la di cui sopra “decantata” neonata Riforma del sostegno muterà tale “circolo vizioso”, perchè continua ad insistere colpevolmente solo sulla centralità del docente di sostegno, piuttosto che garantire agli alunni con disabilità un sostegno “diffuso” in tutto il contesto, che è invece la logica che sta alla base dell’autentica cultura dell’inclusione. Prova ne è il fatto che lo stesso D. Lgs 66/17 ha inspiegabilmente “annullato” i CTS, ridimensionandoli ad “ectoplasmatiche” Scuole Polo, la cui struttura è ancora tutta da definire.
Parimenti, sempre a conferma della mancata “responsabilizzazione” dell’intera comunità educante del processo d’inclusione, la formazione generalizzata di tutto il personale scolastico sulla didattica inclusiva prevista dall’art 13 del D. Lgs 66/17 pare non decollare in quanto, paradossalmente, esso non fa obbligo allo stesso personale di osservarla.
Senza dimenticare, infine, che il non più rinviabile riconoscimento del profilo dell’assistente alla comunicazione (che la Conferenza Stato-Regioni tarda ancora immotivatamente ad adottare) inficia ulteriormente una presa in carico “globale” da parte del contesto dei nostri ragazzi, compromettendo non poco la loro inclusione nella scuola “di tutti e di ciascuno”.
Le forze politiche che hanno vinto le elezioni del 4 marzo u.s., impegnate in questi giorni nelle consultazioni con il Presidente Mattarella, hanno dichiarato inequivocabilmente e senza se e senza ma di voler “strappare” ed azzerare la Buona Scuola, definendola nefasta per il nostro sistema nazionale di istruzione.
Non so se ciò sarà fatto realmente da chi avrà a breve l’onore e l’onere di governare il nostro Paese. Tuttavia, anche qualora la Buona Scuola dovesse essere “rottamata” nel prossimo futuro, mandando in soffitta pure la sua Delega sull’inclusione, con molta umiltà, mi sento di poter suggerire all’Esecutivo che verrà che non servono innumerevoli riforme, nuovi acronimi e semplici cambi formali di nomi per migliorare lo stato del sostegno in Italia. E’ invece necessario ed indifferibile che questi interventi si trasformino e traducano una volta per tutte in reali “buone prassi”.
L’inclusione scolastica, infatti, non è un “incidente di percorso”, né un’”emergenza da presidiare”, ma al contrario dovrà essere affrontata da qualsiasi nuovo Governo con una visione organica, con azioni di sistema ed a lungo termine e, soprattutto, applicando finalmente nei fatti e non la sciando più “sulla carta” gli innovativi e civilissimi principi della nostra avanzata ed invidiata legislazione inclusiva.
I.Ri.Fo.R. Molise e Unimol – Binomio vincente, Marilena Chiacchiari
Sì! Proprio così! I.Ri.Fo.R. Molise e Unimol, un binomio che funziona! Grazie alla pervicace predisposizione al dialogo con tutte le istituzioni della società civile, senza distinzione di colore politico, senza alcun pregiudizio ideologico, il consiglio regionale UICI Molise ha instaurato una collaborazione costante e fattiva con le massime autorità dell’università degli studi del Molise; ed i risultati non si sono fatti attendere! affinità di intenti, convergenza di obiettivi nel campo dell’istruzione, della ricerca e della formazione a tutto tondo, hanno consentito alla regione Molise di acquisire con indiscussa autorevolezza lo scettro di regione pilota nel settore della ricerca e della formazione tiflologica; nell’ambito dell’individuazione di nuovi percorsi e di nuove figure professionali da istituzionalizzare per conseguire l’irrinunciabile obiettivo dell’inclusione scolastica e sociale delle persone cieche ed ipovedenti tanto invocata ed altrettanto agognata dall’intero mondo della disabilità visiva.
Risultati che non si sono fatti attendere, dicevamo; risultati concreti, tangibili, scientificamente misurabili in termini di metodica e di percorso didattico equilibrato e qualificato. Si sono tenuti infatti, negli ultimi due anni, due Master afferenti le scienze tiflologiche: il primo che ha formato i discenti conferendo loro la qualifica di “Typhlology Skilled Communicator”, organizzato dall’I.Ri.Fo.R. Molise; il secondo, approntato presso l’Università degli studi del Molise, che ha conferito ai partecipanti provenienti da diverse regioni Italiane la qualifica in “Typhlology Skilled Educator”.
Entrambe le iniziative, encomiabili per l’eccellente percorso formativo proposto, hanno potuto trovare concreta realizzazione grazie al decisivo sostegno profuso dall’I.Ri.Fo.R. nazionale che ha investito risorse economiche significative a supporto di questi progetti così innovativi.
Ma se la ricerca e la formazione, ancorché qualificata, rimanessero confinate nell’alveo delle aule universitarie, gli sforzi prodotti per realizzare un percorso formativo-scolastico rischierebbero di essere vanificati; e proprio in ragione di ciò i dirigenti UICI molisani stanno conducendo trattative sia a livello nazionale con il Ministero della Pubblica Istruzione, della Ricerca e dell’Università, che a livello locale con le istituzioni politiche regionali, affinché i profili professionali conseguiti attraverso la frequenza di questi percorsi formativi possano essere spendibili sul mercato del lavoro nel settore scolastico pubblico e paritario, alla luce dell’ultima riforma scolastica conosciuta come legge della “Buona scuola” e dei Decreti attuativi di questa Riforma che attengono al campo della disabilità.
E’ stato altresì istituito, all’interno della Facoltà di scienze dell’Educazione e della Formazione presso l’Unimol, primo in Italia, l’insegnamento di tiflologia applicata e teorica la cui frequenza consente di ottenere sei CFU, affidato al prof. Marco Condidorio, componente della direzione nazionale UICI, nonché responsabile nazionale dell’istruzione a nome e per conto della nostra amata associazione; prof. Condidorio al quale va la gratitudine incondizionata di tutta la dirigenza UICI molisana per essere stato egli stesso artefice fondamentale per il conseguimento di questi risultati così lusinghieri per una realtà regionale come la nostra che può fare affidamento su risorse economiche ed umane decisamente esigue.
Desideriamo dunque ringraziare, attraverso le pagine del giornale UICI online, il nostro esperto in scienze tiflologiche che con intelligenza vivace e con tenacia encomiabile, supportato da una squadra di dirigenti e collaboratori UICI instancabile e tenace, sta contribuendo in maniera decisiva a livello nazionale alla riscrittura di tutta la disciplina attinente la disabilità visiva ed il mondo della scuola; e lasciateci esprimere con tutto l’orgoglio campanilistico possibile la nostra soddisfazione più grande nell’annoverare Marco, indiscutibilmente uno dei maggiori esperti in scienze tiflologiche in Italia, quale socio e dirigente associativo di questa terra, piccola per estensione, umile per risorse umane ed economiche, ma grande per laboriosità e capacità progettuale.
Marilena Chiacchiari
Adozione dei libri di testo nelle scuole di ogni ordine e grado – a.s. 2018/2019
Il MIUR ha diramato la nota n. 5571 del 29 marzo 2018 avente per oggetto l’adozione dei libri di testo per l’a.s. 2018/2019.
L’adozione dei libri di testo va effettuata secondo le indicazioni già dettate con la nota n. 2581 del 9 aprile 2014 e le ulteriori precisazioni fornite con la stessa.
Pertanto, nel confermare quanto indicato nella predetta nota, si forniscono le ulteriori precisazioni:
RIDUZIONE DEI TETTI DI SPESA
I tetti di spesa riguardanti le classi delle scuole secondarie di primo e secondo grado, sono ridotti del 10% soltanto in quelle classi in cui i testi sono stati adottati, per la prima volta, a partir dall’anno scolastico 2014/2015 e realizzati nella versione cartacea e digitale, accompagnata da contenuti digitali integrativi (modalità mista di tipo b – punto 2 dell’allegato al decreto ministeriale n. 781/2013). I medesimi tetti di spesa sono ridotti del 30% solo nelle classi in cui tutti i testi sono stati adottati, per la prima volta, dall’anno scolastico 2014/2015 e realizzati nella versione digitale, accompagnata da contenuti digitali integrativi (modalità digitale – tipo c – punto 2 dell’allegato al decreto ministeriale n. 781/2013).
L’eventuale superamento del tetto di spesa, entro il 10%, deve essere debitamente motivato dal Collegio docenti.
TEMPISTICA
L’adozione dei libri di testo va deliberata dal Collegio docenti nella seconda decade di maggio per tutti gli ordini e gradi di scuola, fermo restando comunque che tali scelte maturano pur sempre all’interno dei singoli consigli di classe e nei dipartimenti disciplinari per quanto concerne la scuola secondaria.
DIRIGENTI SCOLASTICI E DOCENTI
Ai dirigenti scolastici spetta il compito di vigilare, affinché le adozioni siano deliberate nel rispetto della normativa vigente, e di assicurare che le scelte siano espressione della libertà di insegnamento e dell’autonomia professionale dei docenti.
Gli insegnanti possono incontrare gli operatori editoriali scolastici, compatibilmente con le esigenze di servizio e il regolare svolgimento delle lezioni.
SCUOLA PRIMARIA
Il Miur, per la scuola primaria, suggerisce di individuare un locale in cui gli insegnanti possono consultare le proposte editoriali.
COMUNICAZIONI ADOZIONI
Le scuole devono comunicare, entro l’8 giugno, i dati relativi alle adozioni:
Online, tramite il sito www.adozioniaie.it
Locale (offiline)
Nella voce Termini per le adozioni della nota n. 2581 del 09/04/2014 è di specifico interesse per i nostri alunni/studenti che le adozioni dei libri di testo vengano deliberate dai collegi dei docenti nella seconda decade di maggio. I dirigenti scolastici avranno cura di richiedere, fin da ora, ai centri di produzione specializzati che normalmente curano la trascrizione e la stampa in braille, i testi scolastici necessari confermati, al fine di consentirne la disponibilità per l’inizio dell’anno scolastico agli alunni non vedenti o ipovedenti frequentanti la propria scuola.
Si invitano tutte le strutture della nostra Associazione, gli enti ad essa collegati, ivi compresi i responsabili dei centri di consulenza tiflodidattica e dei centri di documentazione tiflologica che seguono gli alunni/studenti ciechi assoluti e ipovedenti gravi, a collaborare con i docenti per il sostegno e/o dirigenti scolastici al fine di seguire il corretto iter burocratico, e non solo, che va dalla scelta del libro di testo alla richiesta di trascrizione in Braille, in caratteri ingranditi e/o alla digitalizzazione del medesimo e di cui la Biblioteca Italiana per Ciechi Regina Margherita e le stamperie ad essa collegate svolgono il servizio di trascrizione, stampa e consegna.
Guida e istruzioni alla comprensione delle prove invalsi: chiarimenti sul lavoro valore sociale didattico ed educativo, di Marco Condidorio
Care amiche e cari amici,
L’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti sta programmando un incontro col Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca per chiarire alcuni punti della prossima attività dell’istituto Invalsi che, nel quadro delle iniziative afferenti i programmi ministeriali, svolgerà le prove invalsi appunto, che coinvolgeranno anche gli alunni/studenti ciechi e/o ipovedenti.
Ora, poiché sono state scritte e dette molte cose su queste prove invalsi, tra cui alcune sono lontane da una idea di inclusione, sia dell’unione che dello stesso MIUR; altre assolutamente non vere, abbiamo pensato di scrivere il presente comunicato al fine di fare quel po’ di chiarezza utile a tranquillizzare genitori, insegnanti e gli stessi alunni/studenti.
Ogni alunno e studente cieco assoluto e/o ipovedente ha pieno diritto di partecipazione alle prove INVALSI e di svolgere le stesse con gli strumenti e gli ausili tecnologici necessari a soddisfare la sua partecipazione alle prove che, sono somministrate per tutti gli alunni/studenti attraverso la piattaforma CBT (computer based testing).
Per capire meglio:
Ma cosa sono le prove invalsi e il loro giudizio valutativo che ne deriva:
le prove INVALSI sono test di valutazione rivolti agli alunni di scuola primaria (secondo e quinto anno); agli studenti di secondaria di primo grado (terzo anno) e delle scuole secondarie di secondo grado (per le classi seconde e quinte).
Attenzione: sono esami proposti a livello nazionale e servono a valutare il grado di preparazione degli studenti nonché il livello dei vari istituti, per fornire informazioni di tipo statistico al MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca).
Ed ecco il primo chiarimento essenziale per comprendere che, poiché trattasi di prove nazionali, le procedure di svolgimento e valutazione debbono tenere conto di taluni parametri uguali per tutti, perché ogni singola prova sia valida e per la stessa venga quindi rilasciato un giudizio che si traduce nella certificazione delle competenze.
Vediamo a tal fine a cosa corrisponde l’acronimo INVALSI: Istituto Nazionale per la valutazione del Sistema educativo di Istruzione e di formazione.
Si sottolinea che le prove INVALSI risultano si obbligatorie ai fini dell’ammissione all’esame di stato conclusivo del primo ciclo e per l’anno scolastico 2018/2019 anche per l’esame di maturità; tuttavia le stesse non influiscono sulle valutazioni scolastiche dell’alunno e dello studente.
Vediamo ora le novità introdotte da INVALSI per l’anno scolastico 2017/2018:
La valutazione:
E’ questo il tema su cui, in questi giorni, è esplosa la diatriba mediatica che ha visto al centro del dibattito l’esclusione/discriminazione degli alunni e degli studenti ciechi e ipovedenti.
Si chiarisce sin da subito che tale discriminazione persiste non a causa di argomenti addotti e tuttavia non veri, ma per ragioni ancora purtroppo strettamente legate al tema dell’accessibilità e della fruibilità delle piattaforme ove si svolgono le prove somministrate agli alunni.
Fino al 2017 le prove INVALSI non concorrevano in alcun modo sulla valutazione del percorso scolastico degli studenti (in altri termini non attribuivano alcun voto) ad eccezione delle prove INVALSI di terza media, le quali facevano parte dell’Esame di Stato della scuola secondaria di primo grado.
Dall’anno scolastico 2017-2018 anche le prove INVALSI di terza media avranno finalità puramente statistiche: non faranno più parte dell’Esame di Stato, per tale ragione verranno anticipate nel corso dell’anno.
Le aree disciplinari interessate:
dall’anno scolastico 2017/2018 le prove INVALSI 2018 per la classe quinta della primaria e per la classe terza della secondaria di primo grado riguarderanno Italiano, Matematica e Inglese.
Si precisa che le prove INVALSI saranno obbligatorie per l’anno scolastico 2018/2019 per le classi quinte della secondaria di secondo grado; tuttavia, ribadiamo come detto sopra che le stesse non concorrono alla valutazione finale dell’esame di maturità.
Gli elementi discriminanti si confermano, non tanto riguardo alla partecipazione degli alunni /studenti disabili alla prova di valutazione nazionale ma per il fatto che tale partecipazione non incida sulla valutazione complessiva della classe e di quella della scuola, dunque di quella nazionale.
Su questo potremmo aprire un dibattito di carattere metodologico e conseguentemente politico, tuttavia questa non è né la sede e né l’occasione.
Sarà cura del Coordinatore della Commissione Nazionale per l’istruzione e la formazione, quale rappresentante dell’UICI farlo nelle sedi più opportune, come per esempio l’Osservatorio e i tavoli tecnici istituiti dal MIUR; e che, sempre in riferimento alla partecipazione, i nostri alunni/studenti debbono affrontare le prove invalsi sulla piattaforma CBT che, per i ciechi e gli ipovedenti non risulta pienamente accessibile e dunque nemmeno fruibile.
Dal REGOLAMENTO INVALSI emanato il 19 febbraio u.s. che nulla ha che fare se non in riferimento al tema generale della certificazione delle competenze in merito alle conoscenze e competenze, afferma quanto segue:
Ai sensi dell’art. 11 del D. Lgs. 62/2017 l’attribuzione di misure dispensative/compensative è riservata solo a:
1. allievi con disabilità certificata ai sensi della legge n. 104/1992 (art. 11, comma 4 del D. Lgs. 62/2017), di seguito DVA (Diversamente Abili);
2. allievi con disturbi specifici di apprendimento certificati ai sensi della legge n.170/2010 (art. 11, comma 9 del D. Lgs. 62/2017), di seguito DSA;
Tutte le altre tipologie di allievi con Bisogni educativi speciali (BES) svolgono le prove INVALSI computer based (CBT) standard, SENZA alcuna misura dispensativa/compensativa.
L’attribuzione di misure dispensative/compensative è competenza e responsabilità del Dirigente scolastico che prevede alla loro indicazione nell’Elenco studenti elettronico in stretta e formale coerenza con quanto previsto dal PEI per i DVA e dal PDP per i DSA.
Allievi DVA (certificati ai sensi della legge n. 104/1992)
La certificazione di competenza INVALSI (art. 9, comma 3, lettera f del D. Lgs. 62/2017) è rilasciata solo nel caso in cui l’allievo svolga la prova INVALSI CBT con l’eventuale indicazione di una o più delle seguenti misure compensative:
– donatore di voce
– tempo aggiuntivo
La certificazione di competenza INVALSI (art. 9, comma 3, lettera f del D. Lgs. 62/2017) non è rilasciata nei casi di esonero o lo svolgimento in formato per sordi o Braille di una o più prove INVALSI.
Riporto la nota 2936 del 20.02.2017 emanata da MIUR:
2. Prove INVALSI per alunni con disabilità o con disturbi specifici di apprendimento (DSA)
e rilascio della certificazione delle competenze
Nei prossimi giorni le scuole dovranno indicare nell’area riservata al Dirigente scolastico
per quali alunne e alunni sono previsti eventuali strumenti compensativi o misure dispensative, in base a quanto disposto dall’articolo 11 del decreto legislativo n. 62/2017.
Ai sensi del richiamato articolo 11 gli strumenti compensativi e/o le misure dispensative
sono riservati soltanto alle alunne e agli alunni con disabilità certificata ai sensi della legge n. 104/1992
o con disturbi specifici di apprendimento certificati ai sensi della legge
n. 170/2010, in coerenza con quanto previsto, rispettivamente, dal PEI o dal PDP.
Per le alunne e gli alunni con disabilità il consiglio di classe può prevedere adeguati
strumenti compensativi e/o misure dispensative per lo svolgimento delle prove INVALSI e, ove non fossero sufficienti, predisporre specifici adattamenti della prova –che sarà esclusivamente cartacea – ovvero l’esonero da una o più prove.
Per le alunne e gli alunni con DSA sono previsti strumenti compensativi, se indicati nel
PDP e abitualmente utilizzati nel percorso scolastico.
Se la certificazione di disturbo specifico di apprendimento prevede la dispensa dalla prova scritta
relativa alle lingue straniere, ovvero l’esonero dall’insegnamento delle lingue straniere,
la prova INVALSI di lingua inglese non sarà sostenuta.
Si richiama l’attenzione dei Dirigenti scolastici affinché esercitino la massima attenzione
nell’attribuzione delle predette misure dispensative o degli strumenti compensativi, anche in
considerazione del loro riflesso sulla certificazione delle competenze rilasciata all’INVALSI
ai sensi dell’art. 9, comma 3, lettera f) del decreto legislativo n. 62/2017.
Si fa infatti presente che gli alunni dispensati da una o più prove INVALSI, o che sostengono una o
più prove differenziate in forma cartacea, secondo quanto previsto dal consiglio di classe,
non riceveranno la relativa certificazione delle competenze da parte di INVALSI.
In tali casi, sarà cura del consiglio di classe integrare, in sede di scrutinio finale, l
a certificazione delle competenze rilasciata dalla scuola con puntuali elementi di informazione.
Si ricorda inoltre che le alunne e gli alunni con bisogni educativi speciali non certificati né ai sensi
della legge n. 104/1992 (alunni con disabilità) né ai sensi della Legge n. 170/2010 (alunni con disturbi specifici di apprendimento), svolgono le prove INVALSI standard al computer senza
strumenti compensativi.
La scuola può predisporre proprie prove per gli allievi DVA in formato cartaceo o elettronico (su piattaforma della scuola) i cui dati NON devono essere trasmessi a INVALSI.
Ciò perché, come detto sopra le prove invalsi sono nazionali e dunque, come in un concorso i ciechi e gli ipovedenti debbono utilizzare gli strumenti digitali per lo svolgimento delle prove o, qualora sia previsto al più un assistente che scriva per loro il testo in nero con la penna, affinchè la prova resti anonima e non sia riconoscibile, lo stesso accade per le suddette prove invalsi.
Ecco che allora gli argomenti a cui facciamo riferimento e riteniamo essere inesistenti sono: la convinzione secondo cui il divieto all’uso del codice Braille, in versione cartacea rappresenti la discriminazione nei confronti dell’alunno o dello studente cieco e/o ipovedente riguardo all’ottenimento della certificazione delle competenze; cioè falso, perché l’alunno cieco o ipovedente ottiene la certificazione pari ai compagni se lo svolgimento della prova non inficia la procedura della prova medesima, che deve svolgersi rigorosamente sulla piattaforma CBT come detto sopra. D’altro canto, quando entriamo in cabina elettorale o quando poniamo la nostra firma su un qualsiasi documento dobbiamo utilizzare rigorosamente la penna.
Non è un “NO” al Codice Braille, ma il richiamo all’applicazione di una procedura condivisa a cui tutti debbono attenersi se vogliamo che le prove siano valutabili secondo una procedura, quale schema di valutazione nazionale.
La scuola, come già scritto sopra, può decidere per una prova differenziata che, dal punto di vista della valutazione dell’alunno/studente è pienamente valida e assume tutto il valore didattico ed educativo ai fini della crescita del discente.
L’UICI ha ottenuto grandi risultati per la tutela e l’esercizio del diritto da parte dell’alunno/studente d’essere valutato, certificato secondo le sue attitudini, l’acquisizione di conoscenze e competenze, vedasi articolo 11 del decreto legislativo 62/17 più volte richiamato nel presente comunicato.
Il Ministero della Pubblica Istruzione di cui l’INVALSI è parte mai potrebbe impedire ad uno alunno/studente di partecipare ai progetti di valutazione, in relazione a quelle che sono le sue possibilità, attitudini, conoscenze e competenze e di poter esercitare il diritto ad essere valutato con gli strumenti e le tecnologie più consone (Art. 11 D.Lgs 62/2017).
Uno studente/alunno ha il pieno diritto di vedersi certificate conoscenze e competenze.
Dall’altro canto però, l’INVALSI non può certificare ciò che in qualche modo, pur avendo un valore in termini di giudizio scolastico, esuli dalle prove di valutazione nazionale per il fatto stesso che la prova differisce da quella nazionale per non essere stata svolta direttamente sulla piattaforma.
L’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti ha lavoarto alacremente in questi ultimi due anni e mezzo al fine di tutelare
il diritto allo studio che resta per noi prioritario nell’agenda dei lavori associativi;e sino all’approvazione dei fatidici decreti dal n. 59 al 66 del 13 aprile 2017 abbiamo cooperato con le altre associazioni , i dirigenti del MIUR e la classe politica del Senato e della Camera perchè tale diritto potesse essere rappresentato e sancito in ogni passaggio dei decreti afferenti la vita scolastica, ivi compresi gli istanti di valutazione del singolo alunno nello specifico, ai fini della s carriera scolastica e dunque del suo stesso successo formativo.
Ogni interpretazione e stortura successiva ai decreti in applicazione degli stessi, ma appartenente ad altre aree della scuola, come quella dell’INVALSI, ad oggi prescindono dall’azione politica nonchè tecnica dell’associazione che ancora deve acere la sua parte chiave nei prossimi lavori dei tavoli tecnici istituiti dal MIUR tramite i lavori dell’Osservatorio permante per l’inclusione scolastica.
La nostra Associazione ci stiamo impegnando a lavorare su tre direttrici che riteniamo strategiche per l’esercizio al diritto allo studio, anche in ambiente valutativo nazionale (nello specifico, PROVE INVALSI) e per la costruzione di percorsi di educazione e di istruzione afferenti le attitudini e gli apprendimenti degli alunni ciechi e ipovedenti e di quelli in situazioni di pluridisabilità:
1. l’autonomia del discente nella lettura e nello svolgimento delle prove INVALSI: accessibilità e fruibilità;
2. Tempestiva segnalazione da parte dei dirigenti scolastici agli uffici competente della presenza di alunni con disabilità, che non li penalizzi.
3. Chiarimenti in merito alla certificazione degli alunni Ciechi e/o Ipovedenti in relazione al PEI e all’eventuale assenza della certificazione 104.
Il presente comunicato non vuole essere esaustivo dell’intera complessità della materia ma ha lo scopo di fare chiarezza sulla partecipazione degli studenti ciechi ed ipovedenti riguardo al loro diritto di poter svolgere le prove INVALSI alla pari dei compagni vedenti secondo le modalità e le procedure stabilite dai Regolamenti di INVALSI e di poter così ottenere la certificazione delle conoscenze e delle competenze; ciò perché non è venuto meno il diritto dello studente di partecipare alle prove INVALSI e di conseguire la certificazione prevista delle competenze; ma, semmai è a rischio la partecipazione qualora gli strumenti messi a disposizione dell’alunno cieco e/o ipovedente non dialoghino sufficientemente con la piattaforma CBT tramite cui le prove INVALSI vengono somministrate a tutti gli alunni.
Prove INVALSI e Concorsi inaccessibili? Il Miur ci convochi subito, di Gianluca Rapisarda
Con il presente contributo, chi scrive prende spunto da un recente articolo di Flavio Fogarolo pubblicato qualche giorno fa sulle pagine del Giornale Superando, con il titolo “INVALSI: Strane sigle e assai poca accessibilità”, nel quale l’amico autore pone l’accento ed evidenzia i gravi problemi di accessibilità per gli alunni ciechi e ipovedenti delle prossime prove INVALSI per la terza classe della scuola superiore di primo grado.
Infatti, come esplicitato nella nota del Miur del 20 febbraio u.s. n. 2936 sull’Invalsi e nel predetto articolo di Flavio Fogarolo, lo scrivente conferma che quest’anno, per le alunne e gli alunni frequentanti la terza classe della secondaria di primo grado e di seconda classe del secondo grado le prove INVALSI sono proposte su computer (CBT – Computer Based Test).
Sempre nella succitata nota del Miur, si fa presente che, per gli allievi ciechi delle terze classi della scuola secondaria di primo grado, lo svolgimento delle prove INVALSI avverrà somministrando loro obbligatoriamente la versione cartacea in braille delle stesse.
Fin qui tutto normale, per un tiflologo come il sottoscritto che, tra l’altro, in ogni istante della sua attività professionale, non si stanca e stancherà mai di sottolineare l’insostituibilità del metodo di letto-scrittura Braille come inprescindibile strumento d’integrazione e, soprattutto, la sua straordinaria “attualità” per i disabili visivi, anche nella nostra società digitale.
Purtuttavia, le intenzioni del Ministero non paiono andare verso tale “virtuosa” direzione di promozione di un’effettiva (e non solo “sbandierata”) inclusione scolastica degli alunni non vedenti. Ne è prova il fatto che, nel regolamento INVALSI del 20 febbraio u.s. di cui sopra, si legge infatti: «La certificazione di competenza INVALSI (articolo 9, comma 3, lettera f del Decreto Legislativo 62/17) non è rilasciata nei casi di esonero o lo svolgimento in formato per sordi o Braille di una o più prove INVALSI».
Come dire che siamo di fronte ad un inaccettabile paradosso: da un lato, con il recente Decreto legislativo n. 66 del 2017 il Miur “declama” ( evidentemente soltanto sulla carta) il ruolo strategico dell’inclusione scolastica “per tutti e per ciascuno”, definendola come il “valore fondante” e l’”assunto culturale” della scuola italiana ma dall’altro, per un assurdo controsenso, per gli studenti ciechi che dovranno effettuare le prove INVALSI solo in forma cartacea in braille (e che, tra l’altro, con semplici e non dispendiosi accorgimenti tifloinformatici, potrebbero svolgerle pure al PC), l’Invalsi non rilascerà la certificazione di competenza prevista per legge.
A tale gravissimo “danno” si aggiunga poi anche la beffa che, invece, gli alunni ipovedenti dovranno svolgere le prove INVALSI al computer ma, da nostri test semplicemente informali ed “a posteriori” condotti sulla piattaforma on line dell’INVALSI (poiché L’Istituto non ci ha mai convocato ufficialmente per un confronto diretto e per testarne ex ante l’accessibilità) pare che esse non siano adeguatamente accessibili a chi ha una disabilità visiva in termini di possibilità di ingrandimento. Senza trascurare che, considerato lelevato impegno e le complesse strategie operative che lo svolgimento delle prove INVALSI in braille per i non vedenti ed al PC per gli ipovedenti richiederà, mi sembrerebbe quantomeno opportuno concedere loro del tempo aggiuntivo rispetto all’ora e 30 minuti prevista dalla sopramenzionata nota del Miur.
Al riguardo, chi scrive ritiene pleonastico rammentare all’Istituto Nazionale di Valutazione del Sistema di Istruzione (INVALSI) che l’Unione Italiana dei Ciechi e degliIpovedenti ed i suoi Enti collegati dispongono del preziosissimo e validissimo strumento operativo del Gruppo Osservatori Siti Internet (Gruppo OSI) che, anche in casi come quello in questione relativo all’accessibilità delle prove INVALSI, varrebbe la pena coinvolgere per assicurare un’autentica ed efficace loro “resa accessibile” agli allievi disabili visivi, evitando sprechi inutili e soluzioni ministeriali inidonee e contraddittorie per l’utenza e e garantendo che il diritto all’accessibilità pure digitale sancita dall’art 9 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità non resti “lettera morta” od una mera enunciazione di principio.
Siamo infatti preocuppati che, anche alla luce del fatto che le prove INVALSI sono ormai diventate requisito d’ammissione all’Esame di Stato conclusivo del I° e del ° ciclo ai sensi del D. Lgs n. 62/17, il mancato rilascio della certificazione delle competenze per gli allievi non vedenti che effettueranno le prove INVALSI nella versione cartacea in braille ed i problemi di accessibilità per quelle che saranno somministrate al computer agli studenti ipovedenti possano costituire un pericoloso ritorno al passato ed un clamoroso dietro-front del Miur, rispetto a quel “cambio di paradigma” sull’inclusione scolastica, previsto dall’art 24 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità.
Pertanto, l’auspicio è che, di fronte ad un uso sempre più “generalizzato” di prove computerizzate da parte del Miur non solo per gli studenti (anche le imminenti prossime procedure concorsuali per docenti e per dirigenti scolastici saranno totalmente ed esclusivamente computer based) il nuovo Ministro che verrà dalle elezioni del 4 marzo u.s. profonda ogni sforzo al fine di aprire immediatamente un tavolo “tecnico” con l’UICI ed i suoi Enti collegati, al fine di conseguire insieme concreti e tangibili obiettivi di “accessibilità di tutte le piattaforme digitali del Ministero dell’Istruzione, nell’unico e superiore interesse delle persone con disabilità visiva.
Bene la Legge Iori, ma manca ancora il riconoscimento dei tiflologi, di Gianluca Rapisarda
Con un emendamento alla legge di bilancio approvata qualche settimana fa, 200mila educatori e pedagogisti avranno finalmente il riconoscimento della loro professione, con una distinzione fra educatore professionale socio-sanitario e educatore professionale socio-pedagogico.
Con il presente contributo, chi scrive vuole esprimere grande soddisfazione per il riconoscimento ufficiale degli Educatori e dei Pedagogisti italiani e ringraziare profondamente l’On. Vanna Iori per aver voluto con forza questo “storico” traguardo. Infatti, con tale provvedimento, queste due importantissime figure professionali potranno uscire dall’”ombra” ed espletare finalmente con “diritto di cittadinanza” il loro lavoro educativo e pedagogico, reso sempre più imprescindibile e cogente dai grandi cambiamenti culturali in atto e dalle sfide della modernità e della società della conoscenza.
Trattasi certamente di un atto legislativo dal notevole significato politico perchè, proprio sul “filo di lana” della legislatura, le Camere, dimostrando grande senso di responsabilità, sono riuscite a venir fuori dal grave stato di empasse in cui versava ormai da un anno e mezzo a Palazzo Madama il DDl 2443 “Disciplina delle professioni dell’Educatore e del Pedagogista” che, non dimentichiamolo, era stato licenziato dal Parlamento già nel giugno del 2016 con la c2656.
In sostanza il comma 115 bis definisce le figure professionali di educatore professionale socio-sanitario, educatore professionale socio-pedagogico e pedagogista e traccia la loro formazione.
“All’educatore professionale socio-sanitario continuano ad applicarsi le disposizioni del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 8 ottobre 1998, n. 520. L’esercizio della professione di educatore professionale socio-pedagogico è subordinato al conseguimento della qualifica attribuita a seguito del rilascio del diploma di un corso di laurea della classe di laurea L-19 Scienze dell’educazione e della formazione e la qualifica di educatore professionale socio-sanitario è attribuita a seguito del rilascio del diploma di laurea abilitante di un corso di laurea della classe L/SNT2 delle professioni sanitarie della riabilitazione. La qualifica di pedagogista è attribuita a seguito del rilascio di un diploma di laurea abilitante nelle classi di laurea magistrale LM-50 Programmazione e gestione dei servizi educativi, LM-57 Scienze dell’educazione degli adulti e della formazione continua, LM-85 Scienze pedagogiche o LM-93 Teorie e metodologie dell’e-learning e della media education.”
Il comma 115 ter stabilisce i servizi in cui educatore professionale socio-pedagogico e pedagogista operano. Infine, i commi 115 quater, quinquies e sexties disciplinano la fase transitoria: “possono acquisire la qualifica di educatore professionale socio-pedagogico, previo superamento di un corso intensivo di formazione per complessivi 60 crediti, da svolgersi presso le università, anche tramite la formazione a distanza, coloro che, alla data di entrata in vigore della presente legge, sono in possesso di determinati requisiti e intraprendono i corsi intensivi entro tre anni. Acquisiscono direttamente la qualifica di educatore professionale socio-pedagogico coloro che, alla data di entrata in vigore della presente legge, sono titolari di un contratto di lavoro a tempo indeterminato negli ambiti professionali definiti dalla legge e abbiano almeno cinquanta anni di età e dieci anni di servizio oppure almeno venti anni di servizio. Chi ha svolto l’attività documentata di educatore per un periodo minimo di dodici mesi, anche non continuativi, può continuare ad esercitare l’attività di educatore ma non può avvalersi della qualifica di «educatore professionale socio-pedagogico»: tuttavia il mancato possesso della qualifica di «educatore professionale socio-pedagogico» o di «educatore professionale socio-sanitario» non può costituire, direttamente o indirettamente, motivo per la risoluzione unilaterale dei rapporti di lavoro in corso alla data di entrata in vigore della presente legge.”
Adesso, il nostro auspicio è che, in sede di decreti attuativi, si possano effettuare interventi correttivi al provvedimento appena approvato, affinché venga riconosciuto pure il profilo del Pedagogista Esperto in Scienze Tiflologiche, operatore ritenuto da noi “strategico” ed essenziale per una proficua inclusione degli alunni/studenti con disabilità visiva.
Infatti, gli attuali operatori tiflologici dei Centri di Consulenza Tiflodidattica (CCT) della Federazione Pro Ciechi e della Biblioteca per i ciechi, nonostante abbiano maturato ormai da anni comprovata esperienza ed elevata professionalità, a causa del loro mancato riconoscimento giuridico, sono costretti a lavorare nel “limbo” e in una situazione di “cronica” precarietà di ruolo, funzionale ed economica.
Istituzionalizzare una volta per tutte il profilo del Pedagogista Esperto in Scienze Tiflologiche, infatti, non significherebbe voler eliminare i docenti per il sostegno o ridimensionarne l’insostituibile ruolo “inclusivo”, quanto piuttosto ri-proporre e ri-affermare definitivamente la necessità della specificità tiflologica nel processo di educazione e di istruzione dei ciechi ed ipovedenti, anche e soprattutto nel Terzo Millennio.
Assegnate le borse di studio “Beretta-Pistoresi”
Espletate tutte le procedure, siamo finalmente in grado di comunicare gli esiti della XXI edizione del concorso alle borse di studio “Lidia Teresa Beretta ed Elena Pistoresi”.
Con viva soddisfazione, annunciamo, dunque, che il premio da 2.500,00 euro e i tre premi da 1.500,00 euro, riservati ai Soci della nostra Unione che, nel 2016, hanno conseguito, con più alto merito, la laurea magistrale, la laurea, il diploma di conservatorio musicale e il diploma di istruzione secondaria superiore, sono stati assegnati agli eccellenti:
Vanessa Cascio, della UICI di Firenze, che ha conseguito, presso l’Università degli studi “Alma mater studiorum” di Bologna, la laurea magistrale in scienze dell’educazione permanente e della formazione continua, con 110 e lode e votazione media agli esami di 28,8.
Giuseppe Catarinella, della UICI di Bari, che ha conseguito, presso il Politecnico di Bari, la laurea in ingegneria informatica e dell’automazione, con 110 e lode e votazione media agli esami di 28,4.
Lorenzo Montanaro, della UICI di Torino, che ha conseguito, presso il Conservatorio di musica “Giuseppe Verdi” di Torino, il diploma accademico di II livello in discipline musicali – area violoncello, con 110 e votazione media agli esami di 29,3.
e Arianna Frappini, della UICI di Perugia, che ha conseguito, presso il Liceo delle scienze umane “Gino Sigismondi” di Nocera Umbra, con 100 e lode e votazione media al primo quadrimestre di 9,0.
Indipendentemente dall’esito della selezione, tutti i concorrenti hanno concluso gli studi con risultati buoni o, addirittura, ottimi.
Salutiamo, perciò, con un caloroso applauso:
Greta Brizio e Malia Turqui della UICI di Milano, Gessica Bertoletti dell’UICI di Bergamo, Davide Bonfante dell’UICI di Verona, Alia Quarcia dell’UICI di Bolzano, Lucia Radicchi dell’UICI di Perugia, Giulio Berretta dell’UICI di Terni, Nicola D’Ercole dell’UICI di Campobasso e Tatiana Mazzilli dell’UICI di Bari.
A tutte e tutti, le più vive congratulazioni e i più fervidi auguri.
Braillando insieme tra le migliori buone prassi nazionali di “alternanza”, di Gianluca Rapisarda
L’alternanza scuola-lavoro (asl), resa generalizzata dall’art 1 comma 33 della Buona Scuola, rischia di diventare una “patata bollente” per le nostre istituzioni scolastiche di II°, se non adeguatamente affrontata.
C’è infatti una montagna di cose da fare, soprattutto se le si vuol fare bene.
Sulle scuole italiane, tra l’altro, stanno piovendo innumerevoli proposte di servizi, non sempre all’altezza e spesso di modesta entità.
Pertanto, occorre adottare soluzioni efficaci, di comprovata competenza ed all’insegna dell’innovatività, al fine di promuovere risultati di qualità in tutti gli alunni.
A tal proposito, come ampiamente già documentato dal nostro Giornale, ricordiamo ai nostri lettori la significativa esperienza denominata “Braillando insieme”, che è stata realizzata nel corso del passato anno scolastico, presso il Liceo scientifico “Galileo Galilei” di Catania e che, il prossimo 15 novembre in occasione della giornata nazionale “Alternanza scuola-lavoro nei licei: Impresa possibile”, sarà premiata dal Sottosegretario al Miur Gabriele Toccafondi presso la sede del Ministero in Viale Trastevere, come una delle migliori “buone prassi” di asl delle scuole secondarie italiane.
Tale iniziativa, proprio grazie al metodo di lettura e scrittura Braille, ha impegnato gli studenti dell’attuale V H della scuola etnea in un progetto realmente inclusivo di alternanza scuola-lavoro, presso il locale Polo Tattile Multimediale “Stamperia Regionale Braille”.
Sfruttando al meglio il “nuovo” Piano di formazione obbligatorio, Gabriella Chisari, dirigente scolastica del Galileo Galilei di Catania, ha deciso di scommettere proprio sulla promozione dell’inclusione degli studenti con BES (Bisogni Educativi Speciali) e DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento), individuandola tra le priorità strategiche da fare acquisire ai docenti del proprio liceo, mediante apposite iniziative formative.
Al riguardo, il Collegio Docenti dell’istituto etneo ha ritenuto opportunamente che anche la nuova pratica dell’alternanza scuola-lavoro, introdotta nel sistema formativo ed educativo dalla Legge 107/15, potesse davvero aiutare il Galilei a raggiungere il nobile scopo di promuovere un modello di scuola più inclusiva e di qualità.
Braillando insieme ha preso avvio alla fine del mese di novembre del 2016 e si è concluso il 26 maggio 2017, con il Liceo Galilei che insieme agli “amici” del Polo Tattile di Catania, del quale si ringrazia in particolare il Direttore generale Pino Nobile ed il Presidente Nino Novello, ha sortito la realizzazione da parte dei 25 alunni della VH una mappa tattile della scuola e la produzione in Braille, in Large-Print (a caratteri ingranditi) e in formato digitale alcuni capitoli tratti da diverse opere di Galileo Galilei.
Di qui, per dare un carattere “strutturale” al progetto, l’idea di chi scrive, in qualità di Tutor del progetto, di coinvolgere, anche per il corrente anno scolastico, una nuova classe del Liceo catanese che, in alternanza presso la Stamperia Regionale Braille e il suo Polo Tattile Multimediale, trascodificherà in nero-braille (alfabeto convenzionale più Braille), per la prima volta nel mondo, la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, per farla girare in tutte le scuole italiane, e in seguito anche di farne arrivare una copia in inglese al Palazzo dell’ONU.
L’auspicio è che il Miur sposi tale edizione altamente “inclusiva” della Convenzione ONU, facendola diventare il “manifesto” della scuola italiana contro tutte le barriere e discriminazioni e per i diritti umani.
Istruzione – L’assistente alla comunicazione venga riconosciuto dalla Conferenza Stato-Regioni, di Gianluca Rapisarda
Uno dei problemi annosi che riguarda i servizi di supporto educativo alla disabilità, consiste nella poca specificità del personale da impiegare in essi, nella poca chiarezza sulle competenze richieste e sulla miglior formazione utile per la costruzione delle stesse.
Un’altra criticità “storica” riguarda la confusione di ruoli ed obiettivi che spesso si fa tra gli operatori del sostegno degli alunni con disabilità (docenti specializzati, assistenti all’autonomia e alla comunicazione, assistenti igienico-personale).
A parere di chi scrive, la causa principale di tale clima di incertezza e di indeterminatezza dipende essenzialmente dal mancato riconoscimento da parte della Conferenza Stato-Regioni della figura professionale dell’assistente alla comunicazione, prevista ai sensi dell’art. 13 comma 3 della Legge 104/92.
Ebbene, questi ben 25 anni di inutile attesa hanno fatto sì che gli “assistenti alla comunicazione” abbiano operato, per tutto questo lasso di tempo ed in ogni parte del nostro Paese, in condizioni di assoluta precarietà di ruolo, funzionale ed economica, con buona pace di un proficuo processo di inclusione degli allievi disabili, favorendone indirettamente la sua deriva verso la delega al solo docente per il sostegno ed azzerando le potenzialità inclusive del contesto.
Chi scrive, ritiene che un’imperdibile occasione per superare quest’“empasse” possa essere finalmente rappresentata dall’art. 3 comma 4 del recente Decreto 66/17 attuativo della Buona Scuola che stabilisce: ” Entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sono individuati i criteri per una progressiva uniformità su tutto il territorio nazionale della definizione dei profili professionali del personale destinato all’assistenza per l’autonomia e per la comunicazione, anche attraverso la previsione di specifici percorsi formativi.”
A tal proposito, come documentato dal nostro Giornale qualche giorno fa, l’Assessorato Regionale alla Pubblica Istruzione della Regione Sicilia, di concerto con il Dipartimento Regionale della Famiglia e delle Politiche Sociali, con proprio D.A. n. 5630, ha recentemente definito il profilo professionale ed il percorso formativo dell’assistente all’autonomia e alla comunicazione, da inserire nel relativo Repertorio regionale delle qualifiche.
Ciò significa che la Sicilia è tra le prime Regioni italiane ad aver definito chiaramente le competenze ed il profilo di una professionalità prossima ad altre già ben consolidate e complementari (docente per il sostegno e assistente igienico personale) con cuirischiavano una confusione di ruolo e obiettivi. Inoltre si definisce che questi “nuovi” operatori devono essere formati contemporaneamente sulle disabilità cognitive e su entrambe le principali disabilità sensoriali visive e uditive, quando tradizionalmente in Sicilia la formazione di tali assistenti procedeva per vie distinte.
Sottolineare oggi l’importanza dell’assistente alla comunicazione, infatti, significa non voler medicalizzare od eliminare gli insegnanti specializzati, quanto piuttosto voler riaffermare e riproporre una volta per tutte la necessità della specificità educativa e pedagogica per un processo di inclusione davvero di qualità dei nostri studenti.
Adesso, l’auspicio è quello che la Conferenza Stato-Regioni recepisca tempestivamente il predetto Decreto Assessoriale della Regione Sicilia, e che soprattutto dia concretamente seguito a quanto previsto dal succitato art. 3 comma 4 del D. Lgs n. 66/17, riconoscendo finalmente questa figura come necessaria per garantire agli alunni con disabilità un sostegno “diffuso”, promosso da tutto il contesto e non solo dal docente specializzato.
In un momento di grandi trasformazioni sociali, economiche e politiche come quello che stiamo vivendo il Miur e la nostra classe dirigente non possono farsi sfuggire questa grande “conquista di civiltà.”