Braille Vs. Tecnologia: una partita da giocare?, di Franco Lisi

Autore: Franco Lisi

versione integrale
“Altri hanno piantato ciò che noi mangiamo. Noi piantiamo ciò che altri mangeranno.”
Da un antico proverbio persiano
Da diversi anni ormai, come per le festività più importanti, il 21 febbraio si celebra la ricorrenza della Giornata Nazionale del Braille, istituita con Legge n. 126 del 3 agosto 2007.
Il copione è collaudato e si replica in lungo e in largo in tutto il territorio nazionale: convegni, seminari, articoli, interviste, sono tra le iniziative più comuni promosse dalla nostra Associazione e dalle Amministrazioni locali. Lo scopo è chiaro: vivificare e mantenere accesa la memoria di un glorioso passato; informare, ribadire, persuadere che il braille continua a rappresentare una parte essenziale nel processo della formazione culturale in ciascuna fase della vita di una persona non vedente.
Molti (esperti, professori, dirigenti, esponenti politici), per la verità forse non tutti intimamente convinti, si prodigano a spendere fiumi di parole, tesi ed energie a sostegno di un codice di scrittura che vola verso il compimento dei suoi 200 anni di età.
Ma quali sono le vere ragioni che stanno alla base di una difesa in contumacia sostenuta da un numero così considerevole di “avvocati”? Da chi lo vogliamo proteggere? Perché riteniamo di doverlo promuovere? Chi è, se esiste, il suo nemico, il suo più diretto competitor? Da tempo si dice che il braille è alla resa dei conti, che deve vedersela con la tecnologia, intendendo per questa la sintesi vocale. Ma è proprio così? E’ quest’ultima l’avversario da combattere e da battere?
Sappiamo, e non possiamo far finta di nulla, che viviamo nella società dell’informazione, una società in cui la quantità sacrifica la qualità, in cui il possedere va a scapito del sapere. Orientarsi fra ciò che è utile e ciò che è spreco è spesso problematico e la tecnologia, in questo senso, per come oggi in molti la utilizziamo, compresi noi ciechi, ci conduce diritti verso questa trappola. Guardiamo allo schermo di un computer o di un palmare, di uno smartphone o di un tablet, pressoché indifferenti; ascoltiamo risuonare e scorrere veloci, parole, e-mail, documenti, comandi, pressoché distaccati, senza spesso porre la giusta attenzione agli effetti dei contenuti, ai concetti espressi. Diceva quel tale che ciò che è davvero importante, arricchente non è la quantità di libri che leggiamo, ma il modo, l’intelligenza con cui li leggiamo. A scuola, guai se non hai un pc o un cellulare, al lavoro, se non sei informatizzato, non hai speranza di successo. Sembra impossibile pensare alla quotidianità senza tecnologia: prenotare un servizio pubblico, accedere ad una cartella sanitaria, gestire un conto corrente bancario, fare la spesa on-line, sono solo alcune operazioni per le quali è richiesto il possesso di un pc connesso o di uno smartphone. I nostri figli (siamo rapidamente passati dagli adolescenti ai bambini) sono intestatari di un numero telefonico.
Eppure, dietro questa montagna di tecnicaglia che, da un lato mette tutti in fila, allinea, si insinua in tutte le sfere sociali, è alla portata di tutte le tasche, azzera le distanze, favorisce la velocità d’azione e la riduzione di margini d’errore, dall’altro richiede competenze relazionali elevate, seleziona, discrimina, emargina, crea il digital divide. Qui dentro, dentro questa cornice tratteggiata di opportunità e di esclusione, di impossibilità e di accessibilità, sta, o non sta, l’integrazione sociale dei ciechi.
Se dunque è vero, come per lo più si ritiene, che il mondo del digitale rappresenta una corsia preferenziale per perseguire l’obiettivo della piena inclusione sociale dei disabili, non possiamo farci trovare impreparati di fronte alle insidie che pur si celano nei labirinti dei miliardi di bytes e di bits disseminati lungo il cammino.
In questo panorama, nel quale la comunicazione tattile sembra perdere “punti”, affannarsi a cercare un capro espiatorio, nemici ed avversari, serve solo a spostare l’attenzione; di fatto, le cause del crescente disuso del codice braille risiedono più verosimilmente altrove. A mio avviso, piuttosto, se il braille vuole recuperare le posizioni cedute, deve guardarsi dentro, deve misurarsi con la propria pigrizia e autostima, con la propria sofisticazione e con le proprie potenzialità, con la propria indipendenza e con i nuovi compagni di viaggio con cui avvedutamente integrarsi: l’inesauribile trascorrere del tempo e l’impatto dell’ineludibile cambiamento sono le sentinelle alle quali presentare le referenze. Non esiste alcuna partita da giocare; deve solo credere in se stesso accantonando presunti timori reverenziali, fermare la corsa, girare la testa ed ammirare il passato. Da più parti si sostiene, un po’ beffardamente, che la lettura in braille sia lenta e comunque non paragonabile alla velocità della sintesi vocale. Affermazioni di questo tipo sono assolutamente vere, ma parziali, peraltro in qualche modo tecnicamente non corrette, dal momento che l’utilizzo della sintesi vocale pone il fruitore nella veste di ascoltatore e non di lettore. Per di più, non vi è ”braillista” al mondo che pensi di gareggiare con la velocità massima di un sintetizzatore! In occasione del suo anniversario, gli dovremmo invece essere grati proprio per il suo punto di forza: la lentezza. Nel racconto “Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza”, Luis Sepulveda scrive: “Una volta sistemata là sopra, dietro la testa della tartaruga, la lumaca le chiese dove stava andando, ma l’altra ribatté che non era la domanda giusta e che avrebbe dovuto chiederle invece da dove veniva. Così, mentre da lassù la lumaca vedeva passare le erbe del prato a una rapidità sconosciuta, la tartaruga le raccontò che veniva dall’oblio degli esseri umani…”
A nostra volta, ritengo utile gettare uno sguardo fugace all’indietro per accorgerci come questi puntini abbiano potuto “bucare” attraverso la notte dei tempi e presentarsi sotto le nostre dita più robusti che mai. Fino a 30-40 anni fa, i saperi arrivavano ai ciechi in prevalenza tramite il codice braille scritto su carta. A scuola e al lavoro, come nella vita privata, tutto il materiale veniva prodotto manualmente con il punteruolo e la tavoletta o con la dattilo-braille: i compiti di matematica, di latino, di greco, di lingua straniera, gli appunti, gli spartiti musicali, le brutte copie nei compiti in classe di Italiano… L’odore di quei fogli fatica a sparire dalla nostra memoria olfattiva, dai nostri ricordi. Quintali di carta riempivano le stanze dei nostri Istituti dedicate esclusivamente ad ospitare tomi enormi, ingombranti, posti in fila in lunghissimi e altissimi scaffali, per poi costituire un arredo che caratterizzava le nostre case. Per dare un’idea dello spazio necessario, prendiamo a mo’ di esempio la Divina Commedia: l’opera consiste di 96550 parole distribuite in 32 volumi braille; il singolo volume ha uno spessore approssimativo di 6-7 centimetri; posizionati uno accanto all’altro, occupano complessivamente una lunghezza di circa 2 metri.
Negli anni ‘80 e primi ’90, il sistema braille deve affrontare una prima grande prova di resistenza. E’ il tempo dei terminali 3270 (comunemente denominati terminali stupidi); si affacciano sul mercato dando bella mostra di sé i primi personal computer da tavolo, i sistemi operativi sono testuali e la lettura dello schermo è lineare e sequenziale: è tempo di tecnologia assistiva! Ascoltiamo, un poco indispettiti, la voce stridente dei primi sintetizzatori vocali e, curiosi, scorriamo le dita sui primi display braille a sollevamento meccanico; è il periodo dei display da 80 caratteri a 8 punti, di lunghezza pari a 1 metro con peso superiore ai 10 kg; si progettano addirittura scrivanie specifiche dotate di speciali alloggiamenti: una vera ed indescrivibile emozione “leggere” lo schermo con le mani! Si aprono inesplorati scenari nel mercato del lavoro e si sperimentano nuove professioni come quella del programmatore. Grazie alla tecnologia, dunque, il braille si evolve salvando i ciechi dall’emarginazione sociale.
Con il progressivo ridimensionamento dei personal computer (i primi pesavano 5 chili e montavano hard disk da 20-40 mega, ad esempio Compaq), si diffondono sempre più display braille da 20, 40 caratteri con tecnologia più sofisticata di tipo piezoelettrico. Parallelamente al miglioramento della qualità del braille, anche la sintesi vocale vive una costante evoluzione, elevando ampiamente le proprie performance. Quel che
più conta, in questo tempo, è l’inarrestabile sviluppo dello screen reader, sofisticatissimo programma in grado di stabilire, tra le innumerevoli funzioni, quale parte dello schermo debba essere riportata o evidenziata sulla barra braille o letta dalla sintesi vocale. La crescente complessità dei software di base e degli applicativi di uso più comune portano ai primi corsi di formazione, destinati a diffondersi velocemente su tutto il territorio. Gli elevati costi dei dispositivi braille, la breve durata dei corsi di alfabetizzazione, la fragile conoscenza del codice braille da parte degli istruttori, l’esigenza prioritaria di insegnare l’ABC dell’informatica, l’eterogeneità dei requisiti degli allievi, sono tra le principali cause che fanno generalmente preferire l’insegnamento mediante l’ascolto della sintesi in luogo della lettura tramite il display braille.
A metà degli anni ‘90, il signor Braille supera l’ennesima sfida che vede il passaggio dalle piattaforme testuali ai sistemi grafici: su tutti, dal sistema operativo DOS all’ambiente di lavoro WINDOWS. Sono momenti difficili e delicati, nei quali si assiste ad un generale disorientamento fra i produttori, i distributori e gli utenti. Vengono ripensate le modalità, le metodologie e le strategie di fare formazione. Si passa da una lettura lineare di righe e di caratteri statici (corrispondenza 1 a 1) a pulsanti, icone, finestre estremamente dinamici e di diversa ampiezza. Ci tuffiamo nell’universo della rete internet! Si incomincia a parlare del concetto di Accessibilità ai sistemi, agli applicativi, ai libri di testo digitali. Qui, non si spaventa il braille, ma chi il braille ha il dovere di insegnarlo. L’Accessibilità è un termine che sottintende un concetto ancora oggi di stretta attualità. Sfocerà con la Legge Stanca n. 4 del 9/1/2004, il cui articolo 1 recita: “Disposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici” e si basa sul principio costituzionale di uguaglianza, affermando che “la Repubblica riconosce e tutela il diritto di ogni persona ad accedere a tutte le fonti di informazione e ai relativi servizi, ivi compresi quelli che si articolano attraverso gli strumenti informatici e telematici”.
La progressiva miniaturizzazione dei prodotti tecnologici e della componentistica incoraggia le aziende del settore a disegnare display e tastiere braille dalle dimensioni sempre più ridotte. Due ulteriori campi di applicazione prevalgono e si profilano due distinte direttrici.
La prima consente, a chi sa scrivere in modalità braille, l’utilizzo di quella vasta gamma di notebook progettati appositamente per i ciechi; si tratta di veri e propri computer, muniti di display braille e tastiera braille, con memorie praticamente illimitate, su cui sono installati software proprietari e in quelli di ultima generazione sistemi operativi open-source. La consultazione di testi, la stesura di appunti o relazioni, la gestione di rubriche e agende, rendono queste “macchinette” amici fedeli e preziosi nella conduzione delle attività di tutti i giorni: a scuola, al lavoro, nella vita privata. Sono vere e proprie biblioteche portatili! La dotazione di funzioni quali la gestione della posta elettronica, la connessione ad internet e al satellitare le rende particolarmente appetibili e versatili.
La seconda prospettiva ci riconsegna una piena e “totale” accessibilità al mondo dei tablet e degli smartphone. Viviamo un ulteriore passaggio che determina una rivoluzione radicale, sia dal punto di vista sociale (cambiano i canali di comunicazione e cambia il linguaggio di comunicazione, le relazioni aumentano in numero e diminuiscono in solidità, si azzerano le distanze), sia nelle modalità di utilizzo (sono dotati di tecnologia touch, non dispongono di tastiera fisica). Sono dispositivi potentissimi, destinati nel tempo a sostituire i tradizionali computer. Montano sofisticatissimi screen reader di alta qualità che permettono una buona interazione tramite il canale vocale e il sistema braille. Tuttavia, mancando di tasti in rilievo integrati, il loro pieno utilizzo da parte di noi ciechi richiede elevate abilità e specifiche competenze. Per queste ragioni, il loro utilizzo in campo scolastico e professionale è pregiudicato e circoscritto a esigue aree di applicazione. Connettere un display braille, magari munito di tastiera braille, ad uno smartphone è oggi, comunque, un’opportunità da non lasciarsi sfuggire, dal momento che qualsiasi informazione da internet, la lettura di libri e giornali, la consultazione di dizionari, la fruizione di giochi, tutto è a portata di dita, tutto è immediatamente braille che scivola sotto le mani: abbiamo l’opportunità di leggere, di conoscere, di avere il mondo in braille, in una mano. Quell’opera che una volta “rubava” spazio nelle nostre case, oggi conserva le sue 96550 parole in 600 kb di memoria che corrispondono a 600.000 caratteri. Per rendere ancora una volta
l’idea più precisa del cambio di prospettiva, la dimensione media di una memory card è di 64 giga che equivale a 64 miliardi di caratteri. A dire che questo contenitore è capace di ospitare circa 106.000 (cento seimila) testi della Divina Commedia. Se dovessimo riprodurli in tradizionali volumi braille, ricopriremmo oltre 200 km, distanza tra Milano e Bologna.
Il tema della produzione del braille, volendo riferirsi in questo senso alla stampa su materiale cartaceo di testi, appunti, disegni, offre spunti di interessante dibattito tra i produttori di stampanti braille, esperti di tiflotecnica, di tiflopedagogia e tifloinformatica. E’ evidente che, con l’avvento del digitale, l’utilizzo diffuso di questo supporto non è più completamente giustificabile. Ragioni come quelle dell’ingombro, della conservazione del materiale, della tempistica nella realizzazione, dello scorrimento rapido del testo, fanno optare per la creazione di documenti informatici decisamente più “manipolabili”. Ciò non di meno, la varietà dei costi e la disponibilità di un’ampia gamma di modelli di stampanti aprono ad utili campi di applicazione. Poter ad esempio disporre con relativa facilità di una stampante braille, a casa o a scuola, rende possibile, in linea generale da chiunque, il trasferimento rapido su carta di parti di testo, di esercitazioni, di semplici matrici e di grafici accessibili. Si aggiunge che, oltre che per la velocità di stampa e per la possibilità di stampare ad interpunto, i modelli più evoluti sono in grado di riprodurre disegni in rilievo, in nero, a colori. E’ possibile ottenere scritte in braille, in nero o in entrambe le modalità sovrapposte. La facilità di avere in un “batter d’occhio” qualsiasi testo digitale stampato – si pensi che anche la trascrizione di un libro mediante scanner è un’operazione alla portata di tutti – pone il problema della qualità della segnografia e dell’osservanza delle regole di impaginazione braille. La duplice prospettiva di leggere in braille su carta o tramite display propone un altro motivo di riflessione: l’insegnamento del braille può avvenire indifferentemente attraverso entrambi i supporti? Unanimemente gli esperti sono del parere che, per ragioni che qui non tratteremo relative allo sviluppo della percezione tattile e dell’acquisizione del concetto di spazialità, soprattutto se il discente è un bambino, muovere i primi “passi” nella fase di prima alfabetizzazione del codice, scorrendo le dita su una pagina tradizionale, sia un processo indiscutibilmente insostituibile.
Al termine di questa, seppur veloce e incompleta panoramica, possiamo affermare che la tecnologia, almeno quella buona ed amichevole, non sembra avere, fino ai nostri giorni, penalizzato oltremodo il braille e le nostre velleità di integrazione sociale. Indubbiamente, non è concesso abbassare la guardia allentando la pressione sui produttori di tecnologia assistiva e rinunciando alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema dell’accessibilità digitale.
Le leve e gli ambiti, tuttavia, verso i quali sarebbe più proficuo indirizzare le nostre intelligenze più vivaci e i nostri sforzi, ritengo che riguardino, almeno in questa fase, i contesti di applicazione e le modalità di utilizzo dei software applicativi. In questo senso, dobbiamo provare a valutare con obiettività i vantaggi derivanti da un’ottima padronanza della letto – scrittura del codice e da un’ottima padronanza delle funzioni e delle potenzialità dei più moderni dispositivi elettronici braille, nonché gli svantaggi derivanti dal non esserne in possesso.
Se pensiamo, ad esempio, al tema dell’inclusione scolastica, sappiamo che il modo di fare scuola e la comunicazione didattica, diversamente dal passato, sono basati sulla velocità, sulla varietà delle fonti, sulla comunicazione non verbale, sulla trasmissione di immagini/video; ne consegue che la parola, scritta o parlata, perde di valore, diminuisce di importanza e di incisività, non costituendosi quale solo veicolo privilegiato nella trasmissione degli insegnamenti. Ciò inevitabilmente riduce per tutti in maniera drastica i tempi dedicati alle esercitazioni della lettura (ad alta voce) e della scrittura. A maggior ragione, il sistema braille, implicando e richiedendo fatiche ed energie ulteriori, non incoraggia certo gli studenti non vedenti e chi ha il compito di insegnarlo ad investimenti giudicati superficialmente inopportuni. In più, nei casi in cui, per buona sorte ve ne sono molti, si conviene di riservare spazio temporale all’insegnamento del codice braille, emerge largamente una gravissima lacuna metodologica che rischia di vanificare gli sforzi e di conseguenza compromettere la qualità dei risultati. E’ fuor di discussione che è di enorme importanza insegnare il braille in qualsiasi modo, purché si trasferiscano all’allievo le abilità anche minime nella decodifica e nella
composizione dei caratteri: tramite tavoletta e punteruolo o tastiera braille, su carta o su display braille. Lodi a coloro che si adoperano su base volontaristica a tenere corsi di alfabetizzazione braille in prevalenza a favore degli adulti, promossi dalle nostre strutture associative e dai nostri circoli ricreativi. Se questo è apprezzabile nelle situazioni in cui si intende perseguire l’obiettivo del trasferimento della conoscenza del sistema in breve tempo, di contro, l’insegnamento della letto-scrittura in un contesto scolastico, quale strumento essenziale nel processo di crescita culturale del bambino/ragazzo non vedente, presuppone solide metodologie e strategie didattiche che vanno ben al di là del mero e pedissequo insegnamento mnemonico tabellare e della rappresentazione dei punti per ciascun carattere. Senza avere la pretesa di essere esaustivi in questa sede nella trattazione dell’argomento, penso che, in troppe circostanze, l’incertezza nel possesso di un metodo tiflo-didattico consolidato, sia la causa principale della sostanziale inefficacia di chi insegna e di un generale “impigrimento” di chi apprende. Nei corsi di insegnamento del braille rivolti agli insegnanti, ma ancor prima nei percorsi formativi nell’area tiflopedagogica, l’insegnamento di questo codice avviene, spesso, seguendo criteri privi di fondamento didattico e scientifico. E’ compito di chi disegna percorsi formativi di alto livello scongiurare questo rischio. Dobbiamo affidare a chi si occupa di scienze tiflologiche l’abilità di trasferire ad altri formatori la consapevolezza e la competenza didattica a sostegno dell’insegnamento del sistema braille. In caso contrario, i nostri ragazzi, ultimo anello della catena, mostreranno forti fragilità, incertezze e reticenze nell’utilizzo del sistema, trovandolo eccessivamente faticoso e praticamente inutile. Pena, nel tempo, il suo inevitabile progressivo abbandono. (Analfabetismo di ritorno)!
Il mondo delle aziende e l’inserimento nel mercato del lavoro sono un ulteriore contesto meritevole di attenta analisi. I nuovi scenari in questo campo presuppongono prerequisiti di ingresso selettivi, in assenza dei quali si è estromessi. I ciechi, se posseggono abilità accertate e consolidate nell’autonomia e nell’uso della tecnologia, se dimostrano elevate competenze linguistiche, hanno sicuramente frecce al loro arco per far bene. L’esperienza dell’Istituto dei Ciechi di Milano, che da quasi 15 anni investe risorse nell’area dei servizi al lavoro, fornisce molti elementi di valutazione. In sintesi, gli operatori che hanno il compito di condurre analisi dei contesti aziendali, verificare l’accessibilità delle procedure in dotazione, accertare i prerequisiti e attitudini di chi è in cerca di occupazione e progettare percorsi di formazione mirata, osservano generalmente notevoli possibilità di successo allorché si è in presenza di una buona conoscenza del braille da parte dei candidati. Incontrovertibilmente, il possesso di questo strumento favorisce l’autonomia nella manipolazione di documenti e nella gestione di complesse banche dati. Di inestimabile valore ed estremamente apprezzata è la partecipazione in forma del tutto autonoma del non vedente ai processi produttivi. Scrivere e leggere il braille consente l’uso versatile e discreto di qualsiasi dispositivo di facile trasporto: smartphone con display braille o notetaker. Tutto ciò a beneficio dell’inclusione e della proattività.
Personalmente, non so che cosa ne sarà dell’alfabetizzazione dei ciechi negli anni futuri. Se, parola di Albert Einstein, “tutto ciò che ha valore nella società umana, dipende dalle opportunità di progredire che vengono accordate a ciascun individuo”, si può ritenere, senza timore di essere smentiti, che il possesso del codice braille ci metta sulla retta via. Comunque sia, credo nell’immortalità del punto braille che consente ai ciechi di toccare il mistero delle bellezze sublimi e universali; di godere delle emozioni più genuine che costituiscono l’essenza del dono della vita. Leggere in braille versi poetici esalta la complicità tra il sig. Braille e il Poeta con la P maiuscola che si fa indissolubile dinnanzi a tre versi che desidero condividere con il lettore:
“Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende
prese costui de la bella persona
che mi fu tolta; e’l modo ancor m’offende.
Amor, ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui piacer sì forte,
che, come vedi, ancor non m’abbandona.
Amor condusse noi ad una morte:
Caina attende chi a vita ci spense”.
Da ultimo, non avrei mai immaginato da studente che l’apprendimento del braille sarebbe stato motivo di un’immensa gioia interiore difficilmente descrivibile e che avrebbe ripagato tutte le fatiche della gioventù. Il braille, solo il braille, può e sa far sorgere nel nostro animo una struggente emozione che, forse, costituisce la vera ragione del nostro essere al mondo. Ritrovarsi nel ruolo di padre a leggere con le mani a voce sommessa la favola della buonanotte alla propria bimba è la fortuna più grande che abbia ricevuto dalla vita. Penso che “l’atto di leggere” per tuo figlio, per tua moglie o marito, semplicemente per te stesso, sia un gesto che ti fa sognare un futuro più facile, che ti illumina il viso di un sorriso coinvolgente, che ti ripaga di una malinconia che, forse, si è stratificata ed alberga nei labirinti più intimi e profondi dei nostri sentimenti. Anche per questa ragione, sono infinitamente grato al braille e mi inchino alla base dei suoi puntini.
A lui e a chi lo insegna con professionalità, auguro tanta salute e lunga vita
Franco Lisi – Direttore Scientifico dell’Istituto dei Ciechi di Milano

 

Annuncio, di Emilio Noris

Autore: Emilio Noris

Sono Noris Emilio una volta esisteva in braille un giornale dal titolo “Città nuova” dei Focolarini. Siccome io sono molto di fede chiedo vivamente se c’è qualcuno come me che può dare la sua adesione perché possa essere ristampato.

Sentitamente ringrazio.

Noris Emilio

Via Borgo Palaazzo, 167/c

24125 Bergamo

 

La condizione degli anziani nella società odierna, di Girolamo Rotolo

Autore: Girolamo Rotolo

La società moderna di oggi è cambiata notevolmente, la vita media si è allungata, l’invecchiamento demografico ha inevitabili contraccolpi sul mercato del lavoro, le condizioni economiche delle famiglie italiane sono mutate; difatti l’assetto sociale del paese si è ulteriormente diviso in un sud che arranca nella crescita e un nord-ovest che rappresentava il motore della ricchezza sino a qualche anno fa. Il nord del paese che da sempre è stato considerato il locomotore da traino di tutto il sistema paese Italia; il centro e le isole con le loro potenzialità sono stati da sempre messi in un angolo perché considerati poco producenti. In una situazione così rappresentata chiedersi come vivono, gli anziani oggi è una grande sfida. L’invecchiamento della popolazione italiana non implica di per sé il decadimento psico-fisico di una fascia di persone che di certo non vogliono invecchiare psicologicamente. Oggi lo stereotipo anziano chiuso in casa come avveniva in passato è superato, gli anziani nell’era digitale sono attivi sui social network e media in generale, perché permette loro di sentirsi liberi; molte scuole superiore secondarie di secondo grado hanno nei loro POFT (Piano Offerta Formativo Territoriale) iniziative multimediali da svolgere con gli anziani. L’emozione che si prova a interagire, con un anziano laddove vi è la saggezza del sapere coltivata e cresciuta con gli anni e la forza della gioventù travolgente che innesca un pensiero positivo che permette all’anziano di sentirsi attivo e utile per la società. Oggi basta vedere quante persone anziane si scrivono nelle palestre per eseguire attività sportive con la doppia finalità, quella non solo di salvare il loro corpo da malattie subdole come il diabete che attacca gli organi del corpo procurando loro notevoli danni; soprattutto l’anziano che svolgere un’attività fisica è un costo in meno per la sanità pubblica. Il dialogo, l’impegno nell’eseguire gli esercizi in palestra rappresenta uno input di crescita e di miglioramento psico-fisico-sociale. Il rendiconto annuale dell’Istituto ISTAT con il loro encomiabile lavoro di ricerca nel territorio nazionale, descrive la situazione dell’Italia trai Paesi con la più alta percentuale di anziani. In questo momento, l’aspettativa di vita alla nascita dei maschi è pari a 80,1 anni, mentre quella delle donne è pari a 84,7 anni e di conseguenza gli anziani sono diventati sempre più numerosi. Tuttavia la salute delle persone anziane è il frutto di una complessa interazione di fattori e concause che fanno parte del bagaglio psico-socio-culturale-economico: fattori che influenzano la vita dell’anziano. Lo stile di vita che conduce l’anziano oggi è alla base del percorso d’interazione con la società, che finalmente si è resa conto che egli non è un oggetto da spostare da un luogo ad un altro, bensì una persona che è stata attiva nel percorso della propria vita e vuole esserlo ancora oggi con modalità diverse. La sfida che il nostro paese dovrà affrontare in futuro è molteplice in diversi campi: quali la sanità e il sociale sono due aspetti contrastanti della stessa medaglia. Al fine di assicurare gli obiettivi preposti di rendere attivo l’anziano è necessario seguire con un attento monitoraggio le condizioni di salute dell’anziano e intervenire con politiche sociali e sanitarie adeguate al proprio ruolo.
Il progressivo allungamento della vita impone, infatti, alla società di farsi carico di assicurare agli anziani di vivere il più a lungo possibile in buona salute. Per raggiungere queste condizioni e poter assicurare il conseguimento di tali obiettivi è indispensabile un’osservazione e aggiornamento costante delle condizioni di salute degli anziani per centrare gli obiettivi di una buona salute attraverso degli stili di vita corretta. L’Organizzazione mondiale della sanità, per valutare le condizioni di salute della popolazione italiana e lo stato di salute generale degli anziani ha fornito nel 2015 un questionario dal titolo “come va in generale la sua salute?” il 70,0% della popolazione residente in Italia ha dato un giudizio positivo sul proprio stato di salute, rispondendo “molto bene” o “bene” al quesito. Purtroppo nella fascia di età 60-64 la risposta si riduce circa al 40,2% per le persone con età compresa tra 65 e 74 anni e raggiunge il 24,8% tra gli ultra settantacinquenni. Questi dati ci fanno comprendere che il mondo degli anziani ha bisogno di essere sostenuto con delle politiche attive che forniscano dei micro obiettivi innescando il bisogno nell’anziano di sentirsi ancora utile. La società di oggi ha l’obbligo di far sentire ancora attivi gli anziani, dando loro il giusto posto all’interno delle famiglie; quel ruolo che una volta era concesso non tanto per diritto divino, ma per forza di volontà e di lavorio interno alla famiglia che da sempre ha rappresentato il pilastro portante della società. L’anziano oggi non è ascoltato come una volta, il suo parere non è tenuto in conto sbagliando perché la saggezza non si acquisisce con l’irruenza del carattere giovanile, bensì con la maturità dei capelli bianchi. La ricchezza culturale del sapere di un anziano è un immenso valore del quale ci si deve riappropriare per migliorare una società che si sfalda senza chiedersi il perché. La storia ci ha tramandato valori di libertà e diritti etici e culturali che dovranno servire per rinsaldare quell’antico legame umano pieno di affetto-solidale con gli anziani, che sono la certezza del nostro domani, e le radici della nostra stessa essenza.

Girolamo Rotolo

Dopo tante battaglie una meritata pensione per il non vedente Nando Sangiorgi, di Giovanni Baldini

Autore: Giovanni Baldini

LUGO. Dal 1° novembre Fernando Sangiorgi detto Nando, non vedente lughese, è in pensione. Santagatese di origine, abita con la madre Clotilde a Lugo, dove è molto conosciuto sia per avere lavorato per oltre trent’anni come centralinista in una banca di città sia per le sue numerose battaglie in favore dell’affermazione dei diritti dei non vedenti. La sua è una cecità congenita, risolta, almeno temporaneamente, con un intervento in Svizzera all’età di due anni (dunque nel 1965), intervento che gli permise di vedere fino al 1988 quando, purtroppo, un altro intervento chirurgico, non riuscito, gli tolse definitivamente la vista. Sempre molto informato su tutto, senza peli sulla lingua e con un gusto particolare per creare ironici soprannomi alle persone a lui note, Sangiorgi è amante della musica, delle lunghe passeggiate in compagnia dell’amico Paolo Tampieri (ribattezzato «compagno di merende»), attivo nel volontariato e con ancora qualche sogno nel cassetto.
Musicalmente parlando è un grande estimatore di Francesco Guccini, in particolare dell’album «Ritratti» (2004) e del brano «Piazza Alimonda», quello sulla morte del giovane manifestante Carlo Giuliani, tuttavia in una sua classifica virtuale delle migliori canzoni dell’artista emiliano metterebbe al numero uno ex aequo «La locomotiva», «L’avvelenata» e «Dio è morto». Fu il collega di banca, Maurizio Zaccarini (scomparso nel 2010 all’età di 56 anni) a fargli amare il cantautore modenese che, poi, ha incontrato almeno un paio di volte di persona da «Vito» a Bologna.
Negli ultimi anni, ha portato la sua testimonianza di non vedente nelle scuole. Un paio delle sue «lezioni» sono state «memorabili» allo Stoppa: nel marzo del 2015, accompagnato dal suo cane Labrador Petra, fu scambiato dagli studenti, scesi in cortile per l’intervallo, per un finanziere. Ad un certo punto, si diffuse la notizia, ovviamente infondata, che ci sarebbero stati controlli. Tramite sms i ragazzi passarono parola e si narra che in un altro istituto, nel tentativo di «nascondere» la roba, tolsero da dimora uno sciacquone finendo così per allagare un bagno della scuola.
Miglior sorte ebbe lo scorso anno quando tornò in aula magna per un paio di lezioni a due classi unite. Rispose puntualmente, senza tabù e senza ipocrisie, ad una batteria di domande sul tema della disabilità sensoriale visiva e si prestò ad accompagnare gli alunni presenti in un giro dell’isolato per aiutare gli allievi a rilevare le barriere architettoniche esterne, non sempre evidenti per chi non è abituato ad osservare. Ad esempio, le rampe dei marciapiedi risultavano troppo ripide, le buche per le strade e sui marciapiedi rendevano insidioso il cammino, le biciclette appoggiate al muro finivano per essere un intralcio pericoloso. Anche le deiezioni dei cani, deprecabile forma di inciviltà, si rivelarono ancor più fastidiose per un non vedente.
Nella lezione successiva, a titolo simbolico, venne realizzata una segnaletica interna in braille, il sistema di letto-scrittura per i ciechi dal 1829: una cinquantina di «targhette» in cartoncino, apposte all’ingresso di ogni aula e dei vari servizi. Un gesto semplice che servì ad attirare l’attenzione dei giovani studenti, non sempre informati su questa realtà.
Nando tuttavia passerà alla storia di Lugo per le sue battaglie condotte in favore dei ciechi, in prima persona, ma tenendo sempre informata la U.I.C.I. (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti) di Ravenna, il suo presidente provinciale, il voltanese Angelo Lolli detto «Walter», e la scuola nazionale cani-guida di Scandicci (FI).
Negli ultimi dieci-dodici anni, sono almeno quattro le grandi «campagne» condotte, grazie al supporto – ci tiene a sottolinearlo – di fidati amici, a cominciare da quella per la modifica del Regolamento di Igiene Pubblica a Lugo, approvata dal Consiglio Comunale di Lugo nel luglio 2005. In ciò trovò un’inattesa alleata, nell’allora prefetto Floriana De Santis, che l’aiutò a vincere le resistenze della burocrazia locale. A questa, sono seguite quella per l’accesso con i cani-guida in chiesa (2009/2010), quella per farli salire nei mezzi pubblici (2012) e l’ultima, appena terminata, per portare a bordo dei traghetti o fare entrare negli autogrill, i preziosi animali.
Per tutti coloro che l’hanno conosciuto, Nando rimarrà quello ritratto nella vignetta del 2006, a firma di Graziano Frassineti, collega bancario di Russi in servizio alla Cassa di Risparmio di Ravenna, in cui una commessa del Conad di Lugo gli intimò un «Fuori!», a lui e a Petra, e Nando che le rispose candidamente: «Ma io sono autorizzato».

Un’altra ferita insanabile, di Mattia Gattuso

Autore: Mattia Gattuso

Lo scorso 21 dicembre il tribunale penale di Catania, in composizione monocratica, ha steso l’ennesimo velo pietoso su un altro processo contro presunti falsi ciechi, ben 12.
Il fatto non sussiste. Questa è la formula pienamente assolutoria pronunciata dal giudice catanese che ha liberato 12 nostri colleghi dalla coltre di infamia e di fango che li ha ricoperti per tutto il tempo del procedimento. Ora, una volta ristabilita la verità dei fatti, resterà senza ristoro il danno patito che, oltre allo choc di subire il pubblico lubridio, di essere additati come truffatori dello Stato, come profittatori di provvidenze pubbliche, come corruttori di medici, come infami, è consistito anche nella sospensione delle pensioni a far data dal 2011. Pensiamo per un attimo come sarebbe la nostra vita quotidiana senza pensione ed indennità.
Ovviamente grande clamore al momento delle indagini grande silenzio al momento dell’assoluzione.
Anche questa volta, assistendo uno degli imputati, ho preso personalmente conoscenza degli atti e delle indagini. Sinceramente, grazie alla mia ormai grande esperienza nel campo, non mi è stato difficile difenderlo. Siamo a non so quanti processi derivanti dalla moderna caccia alle streghe dei falsi ciechi. Personalmente ho seguito processi per complessivi 32 imputati e mai nessuno di essi è stato condannato. Cosa significa ciò? Lascio ai lettori ogni considerazione ma ritengo che la Nostra Grande Associazione, che all’alba delle prime indagini sui falsi ciechi ha dovuto sostenere di volersi costituire parte civile contro di loro, forse oggi dovrebbe levare in alto la propria protesta per quanto hanno dovuto subire, ancora subiscono e sicuramente subiranno numerosissimi soci in tutta Italia, specie coloro che per scaltrezza personale, per abilità naturale, per corsi di autonomia e mobilità seguiti sono maggiormente in grado di muoversi con buona autonomia e quindi più soggetti a scatenare sospetti. Tanto per cominciare, e lancio questa proposta alla direzione nazionale, sarebbe opportuna la stesura di un libro bianco nazionale sui falsi falsi ciechi. Proprio così: falsi falsi ciechi. Certamente tanti e tutti affetti da una ferita insanabile che ha lasciato loro una cicatrice nell’anima, per sempre, ma per sempre onestamente ciechi.

Lettera alla mia maestra, di Antonio Carnovale

Autore: Antonio Carnovale

Catanzaro, 2 ottobre 2017

Tu, hai rappresentato per me la parte della mia vita più importante, certamente la più fondamentale;
gentile maestra,
questa lettera avrei voluto e dovuto scrivertela tanto tempo fa ma ho sempre rinviato.
Oggi eccomi a scriverti per parlarti un pò di me, ma soprattutto per raccontarti di persone come te che mi sono profondamente care.
È innegabile che la scuola elementare rappresenti per un bambino il primo vero banco di prova con l’educazione e l’ istruzione intese nel significato più profondo del termine; per me, grazie alla tua presenza è stata determinante, tu sei riuscita a dare la giusta direzione alla mia vita.
Ricordo nitidamente il mio primo giorno in Istituto, sono bastati pochi attimi a farmi percepire di essere in un posto molto accogliente; c’erano tanti ragazzi che stavano pranzando che al mio saluto in dialetto hanno risposto all’unisono con una gran risata. La mia gioia però è durata pochissimo perché dopo un poco tempo ho sentito fortissimo la mancanza dei miei familiari.
Io, nono di dieci figli di una famiglia contadina, di emigrati, mio padre all’età di 45 anni è stato costretto a cercare lavoro in Canada, lì è rimasto per più di 8 anni; stessa sorte è toccata a sette dei miei fratelli, in meno di 20 venti anni sono tutti emigrati.
Quando mio padre partì avevo appena tre anni, da quel momento mia madre si è dovuta sobbarcare il peso di una famiglia così numerosa, ed in più la mia cecità, sì io ero nato cieco e questo la assillava giorno e notte.
Non potendo pensare di fare di me un apprendista contadino ha incominciato a scervellarsi per trovare il modo affinchè il futuro fosse per me meno tortuoso. Lei, analfabeta, probabilmente aveva sentito dire che sarei potuto andare in qualche collegio ma non aveva alcuna idea di come affrontare la questione che giorno dopo giorno la impensieriva sempre più.
In diverse occasioni mi ha spiegato che dopo un pò di tempo che mio padre stava già in Canada lei aveva iniziato a parlare della mia situazione in paese, lo ha fatto con gli amministratori, con alcuni medici, con il farmacista, con il parroco, con un parlamentare, tutti ad incoraggiarla dicendole che si sarei potuto entrare in collegio, ma a sue spese.
Lei, non essendo economicamente in grado di sostenere qualsiasi spesa, per un certo periodo ha dovuto desistere nel suo intento. Comunque sempre impegnata nel tentativo assai difficile di trovare una vera soluzione al mio problema, sempre da sola, alternava periodi di pausa a momenti di ripresa della sua ricerca, intanto il tempo passava ed io avevo compiuto 7 anni ma di andare a scuola neanche a parlarne.
Dai miei sette anni in poi il grande desiderio di mia madre nel vedermi sistemato realmente sembrava potersi realizzare, la sua estenuante ricerca aveva subito una forte accelerazione.
Un insegnante l’aveva persuasa che a farmi studiare ci sarebbe riuscita, le aveva spiegato che le spese necessarie le avrebbe sostenuto l’amministrazione provinciale di Catanzaro e così con due anni di ritardo all’età di nove sono stato sdradicato da casa mia e trapiantato all’istituto Gioeni di Catania e lì ho iniziato a frequentare la scuola elementare, con te mia maestra.
Maestra, inutile dirti che per moltissimo tempo l’allontanamento dalla mia famiglia l’ ho vissuto malissimo per anni ogni volta che dovevo rientrare dopo le vacanze due giorni prima iniziava il mio pianto ininterrotto.
Eppure in istituto avevo incominciato a fare amicizia non solo con i compagni di classe ma con tantissimi altri ragazzi, a scuola me la cavavo bene, insomma malgrado l’assenza totale di qualsiasi libertà ed il vitto scarso e non sempre di buona qualità, tutto procedeva, ma a me come del resto, a tutti mancava l’affetto familiare che niente e nessuno era in grado di sostituire.
Sai maestra, se l’insegnante Domenico Renda non avesse con fermezza preso la decisione di procedere senza ulteriori indugi, per far si che le legittime aspettative di mia madre si realizzassero, io non avrei intrapreso nessuno studio.
Il maestro Renda uomo sensibile, altruista, riservato, generoso, concreto, molto disponibile non si è solo limitato ad occuparsi in maniera diciamo burocratica di me, ma ha seguito più o meno da lontano l’evolvere della situazione, e con il tempo sono entrato a far parte in qualche modo della sua famiglia, ho avuto l’opportunità d’incontrarlo verso la fine degli ultimi anni della scuola elementare e fin dalla prima volta ciò che mi ha colpito in lui è stata la voce, chiara molto gradevole da ascoltare.
Ricordo la sua risata forte, larga, fragorosa che io ho definito a cascata, un galantuomo con la grande capacità di ascoltare. Lui ha continuato a seguire la mia crescita fino a quando sono entrato nel modo del lavoro, quando mi sono sposato e sono nati i miei due figli, ed io che per moltissime estati ho avuto la gioia di conversare con lui a casa mia a volte per ore, oggi non posso che essergli grato.
Nel maggio del 1987 esattamente 30 anni fa ho appreso con immenso dolore della sua morte e come tutto il paese sono andato al suo funerale. Fin dalle primissime volte che l’ho incontrato mi sono sentito a mio agio, lui seduto a fianco a me voleva sapere come andava la mia vita in istituto, si interessava di tutto ciò che mi riguardava, dire che gli devo eterna gratitudine, che gli sarò sempre devoto per tutto ciò che ha fatto per me, per il grande impegno e la tanta energia profusa, per vedermi crescere istruito nel migliore dei modi possibili, è il minimo che possa fare.
Solo qualche anno fa ho scoperto la verità, che era stato lui a rendere possibile il mio inserimento nel mondo dell’istruzione. Il maestro Renda non veniva ogni estate per farmi una semplice visita, bensì essendo io diventato una sua creatura era legittimo da parte sua informarsi di come andassero le cose, credo che in qualche modo si sentisse orgoglioso di me.
Cara maestra, da poco più di 5 anni sono andato in pensione, volendo fare un bilancio della mia vita fino ad oggi devo ritenermi abbastanza fortunato per aver conosciuto delle persone davvero speciali, mia madre non solo perché mi ha messo al mondo ma per aver avuto forza di volontà e costanza, che ha fatto in modo di darmi un futuro vero, poi ci sei tu che tanto mi hai dato trasmettendomi i primi elementi del sapere insegnandomi a scrivere e a leggere.
Assieme a te e a mia madre, persone fuori dal comune, c’è l’amico maestro Renda del quale ti ho già parlato.
Ma oltre a voi tre vi è un’ Associazione che definire speciale, essenziale nella vita dei ciechi italiani è assai riduttivo. Sai meglio di me quanto essa ha fatto e continua tutt’ora a fare per i ciechi, se oggi non ci fosse l’Unione Italiana Ciechi nessun cieco sarebbe un vero cittadino. Non va mai dimenticato che il codice civile vigente in quel periodo considerava i ciechi in quanto tali, inabilitati, per troppo tempo in Italia e non solo sono rimasti isolati dal contesto civile.
Rintanati a casa, o segregati in pseudo istituti dove il concetto di istruzione era del tutto sconosciuto, per sopravvivere si affidavano alla carità delle persone di buon cuore.
L’Unione non solo ha tolto dall’emarginazione e dall’analfabetismo i ciechi ma li ha inseriti a pieno titolo nella società. In 97 anni di storia l’associazione ha promosso e fatto approvare diverse centinaia di leggi in favore dei ciechi nell’ambito dell’istruzione, del lavoro, pensionistico, per l’abbattimento delle barriere architettoniche, per l’accessibilità ai siti internet e per tanti altri settori. Ha ottenuto per legge la tutela e la promozione dei ciechi.
L’Unione questa antica, grande, gloriosa, solidale associazione sempre pronta a lottare per una vera e completa integrazione sociale dei ciechi, quanta importanza ha avuto per me, se non ci fosse stata, cara maestra, non ci saremmo mai conosciuti, e tutti gli sforzi profusi da mia madre e dall’amico Renda si sarebbero frantumati ed io sarei vissuto analfabeta ed emarginato per sempre.
In assenza dell’Unione oggi i ciechi sarebbero soltanto poveri ciechi, in tutti i sensi.
Nel giugno del 1966 quando ho lasciato l’istituto Gioeni mi sono ripromesso di ritornarci presto per rivederti ed incontrare in città i compagni di classe e di collegio, ma purtroppo a Catania non ci ho più rimesso piede.
Con te, ci siamo sentiti numerose volte, telefonicamente tu mi hai reso partecipe della festa dei tuoi 50 anni di suora ed io ho condiviso con te la notizia del mio matrimonio.
Cara maestra, sai quante volte ti avrei voluto al mio fianco, per parlare di vari argomenti, e perché no, affinchè tu mi insegnassi ancora qualcosa, tutto ciò non è più possibile, noi non ci possiamo più incontrare, almeno su questa terra.
Poco più di 3 anni fa ci hai lasciati, sei scesa per sempre dalla tua cattedra; maestra fingiamo per un attimo di ritornare in classe, tu in cattedra ed io dal banco a porti un a domanda assai difficile, ma tu non darmi una finta risposta: dimmi maestra, esiste davvero un’altra vita in un altro mondo e come si sta?
Questa mia lettera è priva di un indirizzo perché l’affido all’immenso affetto, alla grande ammirazione che nutro per te, loro sapranno fartela recapitare;
ciao Giuseppina Manzoni suor Anna Celsa mia maestra per sempre,
tuo ex allievo grande amico ed estimatore Antonio Carnovale.

Uno dei Mille, di Mattia Gattuso

Autore: Mattia Gattuso

Della Nostra Associazione fa parte anche la pronipote di Domenico Bazzano, Uno dei Mille di Marsala.
La dott.ssa Corsale Bazzano Antonia ha fortemente voluto commemorare il proprio bisnonno organizzando una cerimonia che si è svolta lo scorso 3 dicembre presso il cimitero di Catania, dove riposano le spoglie mortali del garibaldino.
All’evento, tenuto a conclusione dei lavori di ripristino della tomba, il cui incarico mi é stato affidato per l’ottenimento delle autorizzazioni amministrative del caso, hanno preso parte, oltre ai parenti, amici e conoscenti, anche la Fanfara dell’Associazione Nazionale Bersaglieri di Zafferana Etnea (CT), che ha eseguito l’inno d’Italia ed alcuni brani militari, primo fra tutti l’onore ai caduti di tutte le guerre, con l’intermezzo dello struggente Silenzio eseguito dal trombettista.
Il Presidente della Repubblica, espressamente invitato, ha comunicato di non potere essere presente a causa di precedenti impegni. Annita Garibaldi, attuale Presidente dell’Associazione Nazionale Veterani e Reduci Garibaldini (ANVRG), ha inviato le proprie congratulazioni per l’evento.
L’occasione è stata utile per divulgare alla Città di Catania ed ai catanesi, fatto assolutamente sconosciuto ai più che nel suo cimitero è sepolto un componente della spedizione dei Mille di Marsala che, dato storiografico innegabile, ha avuto un sicuro impatto nel corso della storia d’Italia.
A contorno della manifestazione è stato richiesto alla Soprintendenza ai beni culturali di Catania il riconoscimento del valore storico della tomba ed al Comune di Catania l’intitolazione di un via cittadina a Domenico Bazzano Uno dei Mille.
Domenico Bazzano nacque a Palermo il 13 febbraio 1827 e morì a Catania il 24 febbraio 1913.
Partecipò,  come luogotenente di Nino Bixio, alla campagna dei Mille e, al pari del Generale Garibaldi, fu ferito in Aspromonte. Presenziò,  nel marzo del 1861, alla firma del Regio Decreto che sancì l’unità d’Italia. Ritiratosi a Catania ivi visse fino alla morte. Il nome di Domenico Bazzano, ufficialmente riconosciuto come Uno dei Mille, scorre nel relativo elenco presente al Museo del Vittoriano di Roma nella sezione riservata al Risorgimento.
La pronipote, Dott.ssa Corsale Bazzano Antonia, che dal bisnonno ha ereditato l’orgoglio nazionale e la rettitudine, é stata per oltre un trentennio dirigente de “La Rinascente” distinguendosi per attaccamento al lavoro e dedizione verso la propria azienda, subendo in prima persona minacce ed aggressioni fisiche per non essersi mai piegata a compromessi. Alcuni video dell’evento ed il servizio giornalistico andato in onda in una televisione locale sono stati caricati su YouTube.  Chi volesse consultarli può cercare semplicemente “Commemorazione Bazzano uno dei mille” ed ascoltare la Fanfara ed il discorso della dott.ssa Corsale Bazzano..
Avv. Mattia Gattuso
componente consiglio provinciale
Sezione UICI Catania

 

Modifica articolo n.31 del Regolamento Manifestazioni Federali di Showdown, di Marco Ferrigno

Autore: Marco Ferrigno

Lettera Fispic

Oggetto: Modifica articolo n. 31 del Regolamento Manifestazioni Federali di Showdown

Buonasera,

al fine di una corretta  attribuzione dei punti classifica per le Serie A, B e C a conclusione dei Tornei Ufficiali Federali,  con la presente si comunica alle SS.VV. che con atto deliberativo n.78/2017 del Presidente Federale è stato modificato l’articolo n° 31 del Regolamento Manifestazioni Federali di Showdown, come si evince nel documento allegato alla presente mail.

Si precisa che la modifica introdotta avrà efficacia retroattiva a far data dal I°  Torneo Ufficiale della stagione.

Il documento è altresì consultabile e scaricabile dal sito federale www.fispic.it nella sezione Showdown – Regolamenti.

 

F.I.S.P.I.C. – Federazione Italiana Sport Paralimpici per Ipovedenti e Ciechi
Via Flaminia Nuova n. 830 – 00191 Roma – ITALIA
Phone: +39 06 87973106
Fax  : +39 06 87973177

sito web: http://www.fispic.it

Lettera di Marco Ferrigno
Ho aspettato qualche giorno prima di rispondere, sperando di leggere altre mail provenienti dalla FISPIC contenenti delucidazioni riguardanti la modifica dell’articolo in oggetto.

La comunicazione federale inerente la modifica mi ha colpito fortemente, di seguito vado ad illustrare in maniera schematica per comodità e chiarezza il perché del mio profondo sgomento.

Per evitare di inficiare la validità del campionato italiano in atto, è stato deciso di modificare il regolamento in corso di validità per poi renderlo retroattivo:
A. solitamente, le variazioni in corso d’opera non dovrebbero apportare modifiche che abbiano l’effetto di alterare la natura generale dell’articolo rettificato, e se questo accade, vengono definiti i profili di responsabilità che si configurano nei confronti di coloro che hanno scritto il regolamento in causa, dando poi ai richiedenti, la possibilità di ritirarsi dalla stagione sportiva senza penali, dato le modifiche postume e retroattive, delle quali mi rendo conto non si poteva fare a meno pena la totale invalidazione del campionato, ma si sarebbe sicuramente potuto trovare una migliore applicazione nell’assegnazione dei punteggi, evitando di inventarsi l’ennesima toppa;
B. nonostante la variazione dell’articolo 31 sia stata applicata dopo lo svolgimento di alcune manifestazioni facenti parte del campionato in corso, è stata resa retroattiva, quindi ha compreso e modificato i risultati di una competizione già disputata, anche se di solito le modifiche ai regolamenti dovrebbero avere efficacia retroattiva quando ciò corrisponde a criteri logici di ragionevolezza e di maggiore giustizia.

Detto questo, mi chiedo:
Com’è possibile che siano stati proposti e approvati dalla federazione regolamenti contenenti errori così gravi da poter invalidare una intera stagione sportiva?
Quali sono stati i provvedimenti assunti nei confronti di coloro che, pagati dalla federazione, hanno compromesso la stagione sportiva con le loro regole palesemente sbagliate, nonostante i mesi di tempo avuti per redigerle?
Quali sono i criteri meritocratici, logici e di ragionevolezza che hanno fatto scaturire la nuova formula di assegnazione punti?
Come mai si parla di molteplici provvedimenti e sanzioni nei confronti degli atleti: se arrivano in ritardo, se non indossano la maglietta giusta, se non partecipano ecc… E non si parla in nessun modo di provvedimenti nei confronti di coloro che nonostante i mesi di tempo avuti, inventano regole che minano l’intero movimento dello showdown costringendo la federazione a correre ai ripari con provvedimenti postumi e retroattivi?
Come mai il futuro dello showdown di un’intera nazione e di decine di polisportive e atleti, viene deciso soltanto da una persona, forse due, come si può evincere dalla lettera federale di variazione del regolamento?
Dopo tutto questo, mi chiedo ancora un’ultima cosa: dove sono le scuse da parte della federazione rivolte alle polisportive e agli atleti, principali attori di questa commedia tragicomica? Non ci sono. Per gli atleti ci sono soltanto regolamenti, sanzioni, provvedimenti, variazioni, privazioni ecc…
Per concludere, voglio chiedere scusa a tutti gli atleti amici e conoscenti che attualmente partecipano al campionato italiano.
Scusatemi se ho scelto di non giocare più a showdown assieme a voi, nonostante per me fosse un gran piacere e un grande onore incontrarvi al tavolo da gioco e fuori, magari davanti ad una birra.
Ricordo con grande affetto e nostalgia i momenti passati assieme negli anni: i partitoni all’ultimo sangue, i confronti e la condivisione tecnica di tiri e difese, il supportarsi a vicenda per una sconfitta o il fare festa assieme per una vittoria importante o inaspettata, i dopo cena a giocare tutti assieme con tecnici e arbitri, la grande serietà con la quale si affrontavano le competizioni e gli incontri.

Ricordo con grande rispetto nostalgico e affettuoso quella che una volta
era la grande famiglia dello showdown, senza distinzioni e classi.

Cordiali saluti,
Marco Ferrigno

Si riporta il testo dell’articolo 31 in questione:

Art.31 – Modalità attribuzione punteggio per le classifiche delle 3 Serie e la Promozione.
Modalità attribuzione punti classifica per le Serie A,B e C.
INIZIO PARTE DA AGGIUNGERE Serie “A”: saranno assegnati i punti, a seconda del numero degli atleti di Serie “A” iscritti al torneo. Per concedere i punti, sarà estrapolato dalla classifica finale del torneo, l’ordine di piazzamento ottenuto dagli atleti di Serie “A”. I punti saranno attribuiti in maniera decrescente di una unità, a partire dal numero degli atleti di Serie “A” iscritti al torneo, fino ad arrivare a uno.
Serie “B”: Saranno assegnati i punti, a seconda del numero degli atleti di Serie “B” iscritti al torneo. Per concedere i punti, sarà estrapolato dalla classifica finale del torneo, l’ordine di piazzamento ottenuto dagli atleti di Serie “B”. I punti saranno attribuiti in maniera decrescente di una unità, a partire dal numero degli atleti di Serie “B” iscritti al torneo, fino ad arrivare a uno.
Serie “C”: Saranno assegnati i punti, a seconda del numero degli atleti di Serie “C” iscritti al torneo. Per concedere i punti, sarà estrapolato dalla classifica finale del torneo, l’ordine di piazzamento ottenuto dagli atleti di Serie “C”. I punti saranno attribuiti in maniera decrescente di una unità, a partire dal numero degli atleti di Serie “C” iscritti al torneo, fino ad arrivare a uno.
Esempi:
a) 12 atleti della Serie “A” iscritti al Torneo. Al termine del torneo si estrapola dalla classifica finale, l’ordine di piazzamento dei 12 atleti di Serie “A”. Il primo classificato sui 12 partecipanti della Serie “A”, ottiene 12 punti; il secondo 11; il terzo 10; il quarto 9; il quinto 8; il sesto 7; il settimo 6; l’ottavo 5; il nono 4; il decimo 3; l’undicesimo 2 e il dodicesimo 1.
b) 8 atleti della Serie “B” iscritti al Torneo. Al termine del torneo si estrapola dalla classifica finale, l’ordine di piazzamento degli 8 atleti di Serie “B”. Il primo classificato sugli 8 partecipanti della Serie “B”, ottiene 8 punti; il secondo 7; il terzo 6; il quarto 5; il quinto 4; il sesto 3; il settimo 2 e l’ottavo 1.
c) 4 atleti della Serie “C” iscritti al Torneo. Al termine del torneo si estrapola dalla classifica finale, l’ordine di piazzamento dei 4 atleti di Serie “C”. Il primo classificato sui 4 partecipanti della Serie “C”, ottiene 4 punti; il secondo 3; il terzo 2 e il quarto 1.
In caso di partecipazione di 1 solo atleta della singola Serie, sarà attribuito 1 punto.
I punti classifica acquisiti nei tornei vengono sommati a quelli ottenuti nelle Serie di riferimento.
FINE PARTE DA AGGIUNGERE

INIZIO PARTE DA ELIMINARE Nei tornei ufficiali si attribuisce a ogni singola partita 1 punto classifica per la vittoria e 0 punti classifica per la sconfitta. FINE PARTE DA ELIMINARE

Modalità attribuzione punti classifica per la Promozione.
Nei tornei ufficiali si attribuiscono i punti classifica, in base alla posizione finale raggiunta. I punti classifica attribuiti per posizione sono quelli presenti all’art.23 ma sono dimezzati. I punti classifica acquisiti nei tornei ufficiali, vengono sommati a quelli ottenuti nelle giornate della Promozione.
Aggiornamento classifiche.
Alla fine di ogni giornata agonistica, il Direttore Sportivo provvede ad aggiornare le classifiche.
Per la Promozione se risultano atleti a pari punti, gli stessi vengono inseriti nelle classifica della categoria tenendo conto di quanto disposto dall’art.21, ciò per consentire l’inserimento nei gironi.
I neo partecipanti al termine della manifestazione vengono inseriti nella classifica della Promozione, tenuto conto dei punti classifica ottenuti in base al piazzamento.

 

Un bilancio sulla Giornata della disabilità, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

E’ appena trascorsa la Giornata della disabilità ed in Italia è stato indubbiamente un pullulare incessante e senza sosta di iniziative e manifestazioni dalle Alpi alle pendici dell’Etna.
Ma, spenti i riflettori della festa, chi scrive ha la forte preoccupazione che la disabilità, da priorità dell’agenda politica e sociale del nostro Paese, torni invece ad occupare il solito e desolante ruolo marginale e settoriale. E tutto ciò con buona pace del mainstreaming tanto decantato dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, di cui tra qualche giorno celebreremo l’11° anniversario.
In proposito, lo scrivente, rammenta ai nostri lettori che la Commissione ONU incaricata di esaminare il report italiano sull’applicazione della predetta Convenzione delle Nazioni Unite sui disabili da parte del nostro Governo, il 25 agosto del 2016 ci ha raccomandato che: “«Tuttavia è necessario ancora fare un cambio di paradigma, in modo che le persone con disabilità siano considerate come persone uguali nella società e non un peso o qualcuno che drena risorse del welfare state».
Il problema è che, nonostante la nostra nazione si vanti di avere una legislazione “inclusiva” avanzatissima, accade che quella stessa normativa (tanto all’avanguardia da esserci invidiata e copiata in Europa e nel mondo), troppe volte, purtroppo, rimane inapplicata od “ingessata” ed imbrigliata dai vincoli di bilancio.
Manca cioè nel ”sistema” Italia una visione strategica ed organica sulla disabilità, che spesso si concretizza nell’incapacità cronica di leggere in modo strutturale i bisogni dei disabili, di programmare in loro favore a medio e lungo termine.
Di fronte alla manifesta necessità di garantire quotidianamente ed in maniera permanente diritti fondamentali quali quelli delle pari opportunità, della piena partecipazione, della progettazione ed accessibilità universale e dell’inclusione, spesso, i nostri interlocutori istituzionali rispondono con interventi solo “emergenziali” ed episodici. L’unica cosa che sanno fare molto bene, al contrario, è trincerarsi dietro l’ormai troppo tristemente nota logica dell’”austerity” imposta dalla crisi economica e della “spending review” “comanda taci” dall’Europa.
E’ come se i costi venissero prima dei diritti. Ma una nazione che antepone il contenimento della spesa ai diritti fondamentali dell’uomo è una nazione “malata”, che si dimentica colpevolmente della recente sentenza “spartiacque” della Consulta n. 275/16 che ha stabilito in modo inequivocabile che “sono i diritti incomprimibili della persona ad incidere sull’equilibrio di bilancio e non quest’ultimo a condizionare la loro doverosa erogazione”.
E proprio a causa di tali gravi e ricorrenti criticità dello Stato italiano, chi scrive si permette di affermare che quella “sbagliata” non è la persona con disabilità, ma è la nostra società che deve essere “riabilitata” e rieducata, perchè disabili non si nasce, ma lo si diventa ogniqualvolta si viene esclusi, emarginati, discriminati nell’esercizio dei propri inalienabili diritti.
Pertanto, in vista dell’ormai imminente 11° anniversario della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e delle prossime decisive tornate elettorali (nazionale e regionali) che interesseranno il nostro Paese, l’auspicio è che la classe dirigente che verrà si riappropri del primato della politica rispetto all’economia, rimettendo al centro della scena i disabili con i loro diritti fondamentali, in quanto un Paese civile è soltanto quello che riesce a rendere i cittadini più deboli “protagonisti” della collettività.
Solo così facendo, riusciremo, anche in Italia, a far realizzare a tutte le persone con disabilità un progetto di vita realmente indipendente, a riconoscere effettivamente i loro sacrosanti diritti all’autodeterminazione ed alla cittadinanza attiva ma, soprattutto, ad assicurare a tutti ed a ciascuno, ora e sempre, la dignità di ESSERE UMANO a 360°, indipendentemente dalle “giornate” dedicate e dalla loro abilità.

Proviamo a far diventare la disabilità visiva un po’ più visibile, di Mario Mirabile

Autore: Mario Mirabile

La giornata appena trascorsa, lunedì 4 dicembre, è stata intensissima e ricca di incontri, a mio parere, importanti per divulgare quelle che sono le difficoltà, ma soprattutto le potenzialità dei disabili visivi. Sembrava che la giornata internazionale delle persone con disabilità, a parte qualche post sui social, fosse passata molto più in sordina, almeno nella nostra città, eccezion fatta per una celebrazione liturgica voluta dal Cardinale Crescienzio Sepe proprio per incontrare i diversamente abili nel Duomo di Napoli; nessun convegno, nessuna conferenza stampa, nessuna corsa da un sito museale all’altro, come se i disabili potessero visitarli soltanto il 3 dicembre. E pure la Sezione UICI di Napoli, se pur con 24 ore di ritardo, è riuscita a parlare di disabilità a 360 gradi. E lo ha fatto in 3 circostanze ben distinte tra loro, ma finalizzate tutte a divulgare e sensibilizzare. Nella mattinata, infatti, su specifico invito del Prof. Ciro Pizzo, delegato per gli studenti diversamente abili del Rettore dell’Università Suor Orsola Benincasa, la responsabile UICI per l’istruzione Prof.ssa Silvana Piscopo e il Sottoscritto, hanno tenuto un seminario nell’ambito del corso di “Modelli sociali della disabilità”. I circa 50 studenti, curiosi e attenti al tempo stesso, sono stati stimolati a porre quesiti sui diversi aspetti della disabilità visiva. Con loro abbiamo parlato di autonomia, di istruzione, di sport, di lavoro e di tutti gli stereotipi che impediscono a tanti non vedenti ed ipovedenti di integrarsi a pieno nella società. AL termine del seminario, il Sottoscritto, insieme alla coordinatrice della commissione pari opportunità Roberta Cotronei, e a diversi protagonisti del progetto Blind vision, tra i quali alcuni alunni dell’Istituto Paolo Colosimo, ha partecipato nella sala Giunta del Comune di Napoli alla conferenza stampa indetta per presentare il progetto artistico “Blind vision, un viaggio di luce per chi non la vede” voluto fortemente dall’artista Annalaura Di Luggo che verrà proposto dal 7 dicembre al 7 gennaio nella centralissima e storica piazza dei Martiri. La conferenza stampa, a cui hanno partecipato gli assessori del Comune di Napoli allo sport e patrimonio Ciro Borriello, alla cultura Nino Daniele e ai giovani Alessandra Clemente, è stata l’occasione per noi rappresentanti dell’Unione di evidenziare i troppi ostacoli incontrati quotidianamente per l’accesso al mondo del lavoro, per la fruizione del patrimonio artistico e, più in generale, per essere accolti a pieno dalla società. Durante la conferenza è stata ribadita da parte dei rappresentanti dell’amministrazione cittadina, la volontà di collaborare sempre di più con l’Unione soprattutto per quello che riguarda la progettazione di itinerari culturali e turistici accessibili e fruibili da “tutti” e per avviare tirocini e stage formativi pensati per i giovani disabili visivi. Con l’installazione Blind vision, si cercheranno di ricavare donazioni finalizzate a fornire servizi ai disabili visivi.
Nel primo pomeriggio, il Sottoscritto insieme al consigliere delegato UICI Ciro Taranto e al responsabile del presidio locale Eugenio Leoncino, si è recato presso la scuola Impastato di Giugliano, ove un gruppo di 15 allievi, composti soprattutto da insegnanti, dovevano sostenere l’esame conclusivo di un corso di alfabetizzazione sul metodo braille. Agli allievi ho espresso a nome dell’Unione, un sentito ringraziamento perché hanno voluto apprendere una metodologia di scrittura e lettura per noi fondamentale e perché si sono voluti approcciare al mondo dei disabili visivi.
Una giornata stancante, ma che forse ha reso la nostra diversa abilità un po’ più visibile.