Dove il cuore trova sempre una casa, di Gabriele Sacchi

Questa è la storia di Marco, un uomo ormai: ha 40 anni, cresciuto nella Città Eterna, ora vive a Londra; è un imprenditore molto noto; è sposato ed ha 3 figli; ama il calcio e la musica, sin da bambino, infatti, ha la passione delle percussioni e non perde una partita della Juventus.
Perché mai, vi domanderete, parlare di Lui?
Non è un eroe; non è mai passato alla ribalta; persona onesta, dedita al lavoro e alla famiglia, questo sicuramente: celebriamo dunque, diversamente da quel che si fa di solito, la normalità.
“Da bambino sognavo di fare il calciatore; sai…fama, denaro, belle donne” mi dice, quando lo incontro per un caffè, “poi però il futuro non lo si può prevedere…ed allora ecco Margherita (ci siamo sposati dopo 3 anni di fidanzamento); Matteo, Giulia e Flavia (sono i nostri pargoli di rispettivamente 16, 13 e 7 anni); il lavoro (ho la laurea in economia e commercio), ma la campagna, come fu già per mio padre, è il mio habitat naturale: non ci volevo mica credere, quando è nato il nostro agriturismo! Gli impegni sono tanti ed occupano gran parte della giornata…ti dirò però una cosa: non c’è giorno che, tornando a casa la sera, dimentichi fatiche, arrabbiature e preoccupazioni, guardando il sorriso dei miei. Non pensare, però, che la mia sia la famiglia del mulino bianco, spesso al sorriso si sostituisce l’amarezza, o, peggio ancora la scontrosità, ma questo fa parte della vita, soprattutto quando si ha a che fare con figli adolescenti. Ad ogni modo con i miei cari cerco di condividere tutto, in particolare a cena: ci mettiamo a tavola e ognuno racconta la sua giornata. È un momento di confidenze; è un’occasione per sfogarsi; è un modo per confrontarsi, magari alzando un po’ la voce! Si perché l’uomo ha sempre avuto bisogno di parlare…come ci si può tenere dentro quel che ci accade, sia pur esso un evento negativo? Mia nonna diceva sempre:-Splenderà il sole e verranno le tempeste; salirà l’arcobaleno, ma tornerà la notte: triste è la vita se non si ha nessuno accanto…scontata la sorte per chi non ha rifugio! Non dovete disprezzarlo, voi che avete quel luogo dove il cuore trova sempre una casa! Utile è il denaro; bello è ancor di più divertirsi, ma quale mano stringereste, se vi trovaste da soli sull’orlo degli abissi?”
Lascio Marco e torno ai miei pensieri: ha ragione…Nulla ha più valore di un momento trascorso in compagnia delle persone a cui si vuole bene! Occorre assaporare le gioie e condividere i momenti neri, certi di non essere mai soli. Il vero bene non è terreno, se così fosse finirebbe con le prime difficoltà, appassirebbe come una pratolina al timido sole di una giornata primaverile!

Gabriele Sacchi.

PS: Chi scrive precisa che personaggi e storia narrati sono prodotto della fantasia, con il solo intento di provare a far riflettere sull’importanza di avere una famiglia, o degli amici, a cui voler bene.

Come si evolve  la  funzione  della  Sezione, di  Carlo  Carletti 

L’UICI  di  Latina, convenzionata  con l’Università  degli  Studi, La  Sapienza di  Roma  e  l’Università  Telematica  Internazionale,  UTIU,      Sede  di  Roma,      ospita  tirocinanti  in  Psicologia,  aventi  quali  Tutor,   la Dott.ssa  Faiola  Danila  Psicologa terapeuta, cieca  assoluta, componente   del  Consiglio   della  Sezione  e   il  dott. Bertini  Francesco  Psicologo, vedente,  consulente  della  Sezione.   .  I   giovani  tirocinanti, partecipano  ai    colloqui  e  consulenze  che  sono  svolte     dai   professionisti.   Anche  la   Vice  Presidente, il    ,     sottoscritto e   altri consiglieri collaborano  in  tale  attività.  Le  consulenze  alla  pari effettuate  da  persone  esperte conseguono  sempre   positivi  risultati  sulla  persona  che  ha  perduto  in  tutto  o  in  parte  il  bene della vista. Sulla  base  dei  risultati  rilevati è  stato  avviato   lo  studio  di  un  progetto  volto a   strutturare  il  servizio delle  consulenze  alla  pari  e  alla    costituzione  di gruppi volontari    di  “auto”.  Aiuto”,  con l’obiettivo  di informare      le  persone sulla  possibilità  d  ricostruirsi  una  nuova  esistenza.
Il  Tirocinante  Marco  Conciatori, ha  assistito  alla  Consulenza  alla  pari  offerta  dalla  dott.ssa  Faiola,  e  con l’attenzione  che  gli è  propria  ha  redatto  il   sottostante diario,   utile  per    comprendere  lereali  e   complesse  difficoltà che    l’Unione   si  trova  a  dover fronteggiare.
Diario   di  una  consulenza  alla  pari.

La signora G è al primo colloquio psicologico dopo la perdita della vista, avvenuta improvvisamente circa un anno fa, è accompagnata presso la sede della UICI dalla signora Lucia (signora che l’aiuta a casa) e dalla cognata. Una volta accomodatasi nella stanza per il colloquio insieme alla psicologa, spiega che non vede più e che non ricorda come è fatta la propria casa. Vive con il marito in una casa di campagna, molto grande a due piani. La signora trascorre le giornate in poltrona al piano terra, difficilmente esce di casa, in rarissime occasioni concede ai propri amici e parenti delle uscite per svagarsi.
Recarsi al bagno da sola, i primi tempi, è stato un grande problema, quasi insormontabile, pur procedendo a tastoni G. non si sente sicura e se per il piano terra ha acquisito una minima sicurezza, per quanto riguarda il piano di sopra, dove dorme, sente la necessità di svegliare il marito per accompagnarla in bagno in quanto ha paura di cadere dalle scale. G spiega che non è tanto salire le scale, quanto scenderle il problema e che la sensazione di vuoto prima di appoggiare il piede allo scalino successivo la terrorizza. Le azioni, anche quotidiane che era solita compiere prima di perdere la vista le appaiono al momento impossibili. Le si inumidiscono gli occhi quando parla della cucina, dei suoi sughi, del profumo, delle tecniche e dei suoi segreti culinari, le trema la voce quando dichiara di non poter tornare ad essere una brava cuoca come una volta. La psicologa a questo punto lascia fluire tutti pensieri di G. che pur traducendosi in parole, si racchiudono tutti in un sospiro conclusivo molto più eloquente. La dottoressa, adeguando il proprio tono a quello fino ad ora adottato dalla signora G., rende noto alla paziente che il colloquio che si sta tenendo è un colloquio alla pari, il che significa che entrambi i partecipanti sono non vedenti. La signora comprendendo che anche la psicologa non vede, assume un’espressione di sorpresa sgranando gli occhi, spalancando la bocca e avendo un sommesso sussulto che le addrizza la schiena esclama: (con una cadenza dialettale che fino ad ora ha cercato di controllare) <<Ma davvero?!>>. La psicologa spiega che pur non essendo, lei stessa una cuoca esemplare, è in grado di cucinare e che il suo livello di bravura non dipende dalla sua disabilità visiva. L’espressione di sorpresa si trasforma in sollievo quando la psicologa le rivela che potrà tornare a cucinare quando sarà in grado di sfruttare gli altri canali che ha a disposizione.
La signora G. si rilassa e tornando nella sua posizione iniziale sulla sedia, è come se tornasse a pensare agli altri problemi, infatti subito dopo fa sapere che sente il bisogno di avere qualcuno accanto quando sale e in particolare quando scende le scale. Questo presenta un grande problema per l’autonomia in quanto la casa, essendo sviluppata su due piani, riduce di molto il raggio di azione della signora che per scendere in cucina, situata al piano di sotto, dopo essersi svegliata la mattina, ad esempio, ha bisogno della signora Lucia. La psicologa chiede alla signora cosa fa nel caso avesse bisogno di raggiungere il bagno nelle ore notturne, G. fa sapere che sveglia il marito. La psicologa, in tono scherzoso, chiede se il marito è contento di accompagnarla e che avendo una certa età sarà costretto a svegliarsi per le proprie esigenze e che di fatto sopperendo anche alle esigenze della moglie potrebbe avere delle notti insonni. La signora ride e torna seria quando però rende nota la propria paura di perdersi nel percorso per raggiungere il bagno (anche nei colloqui successivi più volte la Signora G. domanderà sia in modo implicito che in modo esplicito come mai non ricorda la pianta della propria abitazione). La psicologa chiede alla signora come immagina possa essere il percorso dalla sua camera per raggiungere il bagno. La paziente descrivendo il percorso che compie per andare al bagno accompagna ad ogni indicazione vocale il gesto preciso con le mani o disegna con le dita una piantina sulla scrivania; non è possibile sapere se effettivamente i gesti corrispondano alla reale proporzione delle mura domestiche ma la precisione dei gesti compiuti dalle mani tradisce in un certo senso l’enunciato precedente secondo cui la signora non ricorda.
La psicologa pone delle domande sul passato e la signora racconta che ha lavorato per anni come sarta ma non sembra convinta quando le viene spiegato che potrà riprendere a cucire. Quando si torna a parlare del concetto chiave che consiste nel concedere agli altri canali percettivi di prendere il posto della vista sulla quale la signora ha fatto sempre affidamento, la paziente sembra comprendere e con attitudine positiva mostra alla dottoressa un orologio parlante che indossa sempre al polso, premendo il pulsante ascolta l’orario. L’orologio, spiega, le è stato regalato da uno dei due figli, che lavorano entrambi in uno studio dentistico e sembra facciano in modo che la madre acquisti sempre più autonomia. La signora racconta dei numerosi inviti dei figli ad intraprendere delle attività come cucire o occuparsi di alcune faccende domestiche, lei vorrebbe ma allo stesso tempo non si ritiene all’altezza e scuotendo la testa si chiede sospirando: <<ma come faccio?>>.
Prima di terminare il colloquio spiega che a breve compiranno, lei e il marito, 50 anni di matrimonio ma non vuole festeggiare, inizialmente sembra che i rapporti con il marito siano peggiorati con la perdita della vista in seguito sembra invece che la signora non si sente di festeggiare a causa della propria condizione.
Al termine del colloquio la psicologa con la paziente si spostano nella stanza accanto dove l’attendono la cognata con Lucia, stanno parlando con Giulia che si occupa della gestione della UICI della sezione di Latina, la quale riferirà in seguito alla psicologa che, Lucia e la cognata, si stavano informando sull’acquisto di qualche supporto come libri per non vedenti dove ci sono le figure geometriche e Giulia stessa le ha fatto notare che si tratta di libri per bambini che devono ancora apprendere il concetto di figura geometrica. Nel prendere l’appuntamento successivo la psicologa chiede:<< allora signora quando ci rivediamo?>> rispondono accavallandosi la Signora G che dice di chiedere alla cognata e quest’ultima che risponde: chieda a me, sono io che l’accompagno e aggiunge abbassando lo sguardo, siamo noi ad occuparci di lei (le si legge la tristezza).
Durante il secondo colloquio la signora parla della rete di parenti e amici che ha intorno, adora la nipotina, molto brava a scuola e dice che è in grado di comprenderla molto più di altri adulti, e fa riferimento al marito, con il quale non si trova molto a suo agio dopo che ha perso la vista. Fa presente nuovamente che non sa come fare per scendere le scale. La psicologa decide di dedicare il tempo della seduta psicologica alla terapia occupazionale, così entrambe si recano nelle scale dell’edificio e dapprima con una certa esitazione ed infine con decisione la signora G. affronta, prima insieme alla dottoressa poi da sola, diverse rampe di scale. La signora inizialmente fa molte domande, la psicologa la incoraggia e si complimenta con lei ogni volta che la paziente termina una rampa. L’umore della signora migliora scalino dopo scalino, al termine della seduta è sorridente, scherza con la cognata e la psicologa. Anche la cognata è molto contenta dell’autonomia che ha acquisito la signora G. ed ha un’espressione molto più serena rispetto la prima seduta. La signora Lucia riferisce alla psicologa che ha lasciato alcuni compiti domestici alla signora G. e al suo ritorno, ha trovato le zucchine tagliate alla perfezione (alla Julienne), la signora G. sorride, è visibilmente sollevata. Quando la psicologa fa sapere alla signora G. che la trova più serena, sarà proprio la signora infatti a rispondere: <<sembro (autoriferendosi) più sollevata perché ho fatto una cosa mia!>>. In queste parole è possibile intuire una nuova, seppure iniziale, consapevolezza.
La psicologa fa sapere che le farebbe piacere incontrare il figlio per il terzo ed ultimo incontro, la signora G è d’accordo e viene stabilito insieme al figlio il giorno.
Il terzo colloquio avviene in due momenti: il primo con la signora G. da sola e nella seconda parte partecipano il figlio (dentista, primogenito) e la cognata. Nella prima parte del colloquio la psicologa chiede alla signora come si sente e se è cambiato qualcosa dal secondo colloquio. La signora G. fa sapere che sta meglio e che ha iniziato a seguire di più la tv anche se ancora non scende le scale da sola e la notte sveglia ancora il marito per andare in bagno.
Nella seconda parte del colloquio il figlio racconta che il padre purtroppo ha un modo tutto suo di spiegare alla madre come muoversi e che spesso questo la confonde oltre a creare malcontento tra i coniugi. Il figlio sembra invece più paziente da come descrive le operazioni in modo più dettagliato e attento ad ogni minimo particolare, fa l’esempio della porta del bagno e spiega alla madre di sentire la maniglia sbattere contro il muro prima di entrare. Raccontano brevemente l’episodio dell’ospedale quando la signora G. ha perso la vista, la cognata fissa il vuoto, e piange sommessamente come a non voler farsi vedere dalla signora G. che spiega di aver perso la vista da un giorno all’altro.
Il figlio chiede se è opportuno cercare qualche ausilio come il bastone ad esempio. La psicologa prende un bastone e mostra alla signora G. come utilizzarlo, le consiglia di fare pratica anche frequentando un corso per l’autonomia, al termine la signora sembra già in grado di orientarsi un minimo e dice che vorrebbe provarlo dentro casa per poter avere una nuova mappatura ma che ancora ha paura degli scalini in fase di discesa. Il figlio rende nota la propria decisione di mettere un cancelletto in prossimità delle scale per passare dal piano superiore a quello inferiore in modo che la madre, la notte, possa raggiungere il bagno al piano di sopra senza timore e soprattutto senza svegliare il marito. Il figlio fa presente che la mamma nonostante le proprie spiegazioni e quelle della psicologa sull’utilizzo del telefono (avvenute durante il primo colloquio di terapia) si ostina a non volerlo utilizzare per chiamare ma solo per rispondere, la psicologa sorridendo dice che dovrà essere la signora G a chiamarla la prossima volta dal momento che le è stato spiegato come utilizzare il telefono (avendo come riferimento il tasto 5 centrale e orientandosi di conseguenza). Il figlio tuttavia elogia la mamma davanti la psicologa riportando l’episodio in cui la mamma ha cucito più di 10 cm di un pantalone, operazione che richiede precisione e non poca esperienza manuale, al termine della seduta, il figlio mostra il video che testimonia la competenza della mamma nel cucire; la signora G. con entusiasmo chiede espressamente al figlio di far vedere il video alla psicologa, dimenticandosi completamente del fatto che il colloquio oltre ad essere un colloquio psicologico fosse anche un colloquio alla pari. La signora G. si mortifica e si affretta a chiedere scusa alla psicologa (che avendola accompagnata fuori dalla stanza è ancora a braccetto con lei) la quale, con calma, spiega che il fatto di aver dimenticato la cecità dell’altro è un importante passo per capire che è possibile conservare la propria identità e tutte le caratteristiche della persona a prescindere dalle problematiche che la disabilità visiva può comportare. Prima di andare via vengono lasciati alcuni riferimenti come l’indirizzo di un centro di assistenza vicino il domicilio della paziente e il nome di un app per poter seguire i film con audio-descrizione. La signora, il figlio e la cognata lasciano la sede dell’UICI ognuno scendendo le scale per conto proprio. La cognata confessa che è molto preoccupata quando la vede scendere le scale ma nel dirlo sorride.

Blind walk (la città negata), di Peppino Re

Così, in una insolita torrida serata della scorsa primavera berlinese, mentre gli schiamazzi dei miei due marmocchi si stemperavano nelle ponderate parole gentili pronunciate dalla giovane piccola donna di casa preoccupata per la verifica sui congiuntivi della mattina successiva, la discussione quasi spontaneamente prese la direzione di una riflessione sulla natura dei sogni…
Così Elena Agudio, storica dell’arte introduce il progetto curato dai suoi amici artisti Nicola Pellegrini e Ottonella Mocellin, in una primavera berlinese.
Ma ora ci addentriamo, quasi in estate, nella città di Palermo che quest’anno vive il sogno di essere per un anno “capitale della Cultura”. Ci addentriamo in piazza Maggione e ci spostiamo verso l’ingresso del Teatro Garibaldi, in uno stand della collezione “manifesta”, (quattordici-diciassette di giugno)una rassegna di progetti e di interpretazioni dell’essere di questa città, fra il cuore grande di ascendenza arabo-normanna, e il cuore piccolo di una mafia che spara e che induce alla fuga il proprietario della “antica focacceria s. Francesco. In questo stand, ci sono in piedi  Riccardo e Filippa, Nicola e Ottonella, insieme ai due personaggi che hanno interpretato nel progetto con cui si sono presentati alla mostra e spiegano al pubblico.
Quella sera di questa appena trascorsa primavera berlinese,riprende Elena Agudio, Ottonella, Nicola ed io ci siamo ritrovati a paragonare la figura del sognatore a quella dell’equilibrista:
Il funambolo.
E continua: Così Ottonella e Nicola mi hanno raccontato della loro collaborazione ultra decennale con Santo Graziano e Peppino Re, due amici ciechi dalla nascita. Con loro Mocellin e Pellegrini da circa 12 anni hanno iniziato una alquanto insolita e interessantemente delicata corrispondenza:
una serie di dialoghi e interviste, un diario che raccoglie i racconti dei sogni fatti dai due amici, la peculiarità di una percezione del mondo fatta di immagini non visive, e la qualità della loro materia onirica.
In che modo i sogni di un cieco dalla nascita possono essere popolati di immagini, dunque?
Blind Walk (La Città Negata) è un percorso che Mocellin e Pellegrini hanno pensato esattamente per accompagnarci in questo tipo di esperienza; un esperimento percettivo, poetico e concettuale per aiutarci ad abbandonare la nostra pregiudiziale conoscenza dello spazio e del mondo.
A Palermo, questi interrogativi hanno ora prodotto un itinerario sonoro in cui i due artisti, dal ginepraio di vissuti esposti da noi hanno tratto un testo che finiscono per interpretare sognando, chissà, un colloquio diretto col cuore, capace di saltare le mediazioni.
Ai visitatori incuriositi i due ragazzi presentano la ipotesi di una scena: un percorso da fare, in cuffia, seguendo una mappa ben delineata, visibile connettendosi con il proprio cellulare con il sito “mocellinpellegrini.net”,ascoltando le voci che ti narrano le vicende di due persone che non hanno avuto la vista. Gli interlocutori ci provano, indossano la cuffia, si collegano al sito per trovare la mappa e il testo e partono. Qualcuno dice, ad occhi chiusi, ma non potrà mai essere vero se non vogliono finire vittime degli ostacoli, e così vanno per ballarò, il vecchio mercato, passano da via torino, scavalcano altre traiettorie del pensionato universitario; intanto le voci gli parlano e prendono il corpo di due vicende difficili, in cui devi costruirti le immagini, che non corrispondono sotto le dita a quelle visive, agli spazi che sono tutti da riconoscere a seconda della durezza del terreno, degli odori o maliodori, dei rumori e delle voci che fanno da sonoro; mentre il mondo ti etichetta diverso e finisce per darti più problemi di quelli che ti risolve, con le sue chiusure, con le sue brutture, con i suoi pregiudizi, rendendoti pesanti da vivere perfino i sentimenti, in particolare quelli più forti di amore.
Il ritorno ti dà persone emozionate, meravigliate, forse sconvolte, un poco incredule, e, vedendo gli attori, e poi i personaggi della recitazione, chiedono precisazioni, chiarimenti, attestati di verità, come se.. fossero stati in sogno… “Santo e Peppino”.
Ma, per noi quattro l’enigma non si scioglie e per farlo ascoltiamo altre voci, altri confronti… E allora chissà… ci viene in mente, ci immaginiamo  che queste persone possano aver vissuto uno sgomento indecodificabile… Con quella cuffia inforcata, con quei passi da itinerario, con quelle voci seducenti e persuasive, hanno finito con l’entrare nel mondo dei due protagonisti. Camminando sì, ma seguendo quelle voci, vanno cadendo e spariscono i grandi palazzoni della città, i grandi cartelloni pubblicitari, perfino i cumuli di immondizie sistemati nelle strade, e ti appare un mondo sospeso, nel quale, con fatica, devi trovare la tua strada, col tatto coi piedi, col naso, col cuore. Ti appare un altro mondo, senza il frainteso dei rivestimenti,più intimo ma meno squillante. E poi dalla propria fragilità, terribile, la paura… loro ce l’hanno fatta, e io? Per cui il bisogno di riedificare in fretta . i palazzoni, di risistemare i cartelloni, perfino di riporre alla rinfusa i cumuli di spazzatura.
Ma sarà poi così? Ci interroghiamo sorridenti, in cerca di altre prove. Ma poi ci accorgiamo che sono in fondo suggestioni, e che, al più presto saranno sostituite da altre immagini vere e luccicanti.
Peppino Re

Ciao Pino, di Mario Mirabile

Sono passati ormai 8 giorni da quando l’amico Pino Bilotti, già componente della Direzione Nazionale, ci ha lasciato. Certamente quello che sto per scrivere a molti sembrerà banale e retorico, ma sento il dovere di ringraziare Pino per il lavoro svolto e per quanto mi ha insegnato. Infatti dal 2007 al 2010, ho avuto la fortuna di essere il coordinatore del comitato nazionale giovani con lui che era il referente della Direzione nazionale; il nostro rapporto non è stato sempre idilliaco, più volte abbiamo discusso perché avevamo opinioni diverse, ma trovavamo sempre il punto d’incontro. Pino era fermamente convinto dell’importanza che i giovani hanno per la nostra Associazione e di quanto bisogna fare per avvicinarli, convincerli e formarli per far sì che ne diventino il vero motore pulsante. Forse in quegli anni non siamo riusciti a realizzare molto, erano anni in cui si riducevano tantissimo i momenti di incontro a causa della diminuzione delle risorse, ma insieme ce l’abbiamo messa tutta per raggiungere gli obiettivi che stabilivamo. Non avendo saputo dell’aggravarsi delle sue condizioni di salute, non sono riuscito a salutarlo, ma ci tengo comunque a farlo adesso: Ciao Pino!

Una più grande quota associativa che potrebbe fare più piccola l’Unione, di Carlo Carletti

Perduta la vista in giovane età, l’Unione mi ha Sostenuto e indirizzato nella formazione professionale, nella conquista del lavoro, della pensione e dell’indennità di accompagno, facendomi conseguire e vivere una vita dignitosa. Pertanto attribuisco alla tessera dell’Associazione, indipendentemente dal costo, un immenso valore. Coloro che, come il sottoscritto, si sono formati negli Istituti, nelle attività dell’Unione o che hanno usufruito di altre particolari situazioni positive, conseguendo titoli di studio, professionalità, lavoro, ecc., Sono ormai una componente minoritaria nell’Associazione, destinata a diminuire ulteriormente con il passare del tempo, in quanto i giovani, fortunatamente, sono sempre meno e, purtroppo, anche meno attivi nell’associazione. Noi, ex giovani, abbiamo costruito la nostra esistenza, imparando, fin da subito, a convivere con la nostra disabilità visiva, sostenuti dalla fondamentale presenza dell’Unione, che, avendola conosciuta, la pratichiamo, e quasi tutti la dirigiamo e la rappresentiamo a vario livello. Attualmente, invece, le persone che perdono la vista in età avanzata, non conoscono la storia, le sofferenze, le lotte, le faticose conquiste del movimento dei ciechi. Molte di queste persone, con la perdita della vista, se non ricevono un adeguato sostegno psicologico e pratico all’insorgere dell’handicap, sono destinate a vivere una condizione di solitudine con conseguente stato depressivo senza possibile recupero. I problemi connessi alla cecità in queste persone determinano effetti molto diversi, rispetto a quelli prodotti su di noi che ci abbiamo convissuto fin dalla nascita o dalla giovane età, al punto che, può risultarne complicato anche l’approccio. Infatti, queste persone presentano problematiche così diverse e complesse, che se non adeguatamente studiate e comprese, difficilmente si potranno contenere all’interno dell’attuale Unione. I Dirigenti delle Sezioni, fanno sicuramente il possibile per contattarne il maggior numero, per far emergere in loro i bisogni latenti, dei quali, spesso non ne hanno nemmeno consapevolezza. L’impresa è davvero difficile e impari rispetto alle nostre forze, tanto è vero che il numero degli iscritti all’associazione risulta essere ridotto al solo circa il 25% di quelli assistiti dall’INPS. L’Unione è presente, con le sue scarse potenzialità organizzative e le inadeguate professionalità, quasi sempre soltanto nelle città capoluogo di Provincia dove organizza alcune attività, dalle quali restano di fatto escluse le persone con disabilita visiva che vivono nei comuni periferici. Con queste persone, che risiedono lontano dalla Sede dell’Unione gli incontri sono più rari. Avvengono soltanto con i pochi che hanno una qualche motivazione e aspettativa e non con coloro che sono più fragili, chiusi nelle loro case, che ne avrebbero maggior bisogno. Al cospetto di persone prive di aspettative e bisogni, è necessario valutare tutto, anche l’impatto del costo della quota associativa che, con l’aumento, è più alto di quello praticato dai sindacati, che applicano la percentuale del 0,50%. Va inoltre tenuto presente che la richiesta della quota da parte dell’UICI, giunge all’interessato, dopo che ha espletato la pratica di pensione ed ha già pagato altra tessera al sindacato promotore del Patronato e del Caf, presenti in tutti i Comuni, dove si recherà anche per il 730, per l’ISEE, ecc. Queste persone, non possiedono alcun elemento per associare l’indennità di accompagno , all’azione dell’Unione che non conoscono o che hanno appena conosciuto. Penso all’imbarazzo dei dirigenti periferici nel dover proporre la nuova quota a queste persone, alle quali l’attuale Unione ben poco può offrire. La quota di ingresso di 18 €, per il primo anno, appare un espediente per acquisire un socio, che inevitabilmente andrà perso. La notizia dell’aumento della quota già circola fra i soci più informati e mi sono già stati annunciati diversi propositi di non rinnovarla, ma penso che il numero potrebbe aumentare quando la Direzione Nazionale che è in possesso degli indirizzi dei soci anche delegati, correttamente provvederà a comunicare e motivare a tutti l’aumento. La cosa appare più preoccupante per il futuro, in quanto vi sarà un imprecisato minor numero di nuovi iscritti, che già non sempre compensano i decessi. Pertanto l’aumento deciso, non apporterà alcun significativo vantaggio economico all’Associazione, che invece ne perderà in rappresentatività. Già il numero dei soci partecipanti alle assemblee è molto limitato, offrendo anche questo ulteriore elemento, potremmo consolarci col dire che saremo pochi, ma saremo quelli buoni. Penso che l’Unione, per onorare quella legge che gli affida la rappresentatività e la tutela di tutti i cittadini ciechi, avrebbe potuto inventarsi una tessera ad un costo medio, poco più che simbolico, da inviare a tutti gli, assistiti dall’INPS, insieme ad un conto corrente e una nota illustrativa delle ragioni d’essere dell’Associazione, quale sicuro riferimento per le persone con disabilità visiva. Una comunicazione mirata, sicuramente utile anche al contesto familiare, con possibili ritorni economici. Penso, che l’aumento della quota associativa adottato senza fornire convincenti motivazioni, derivi dal modo diverso di concepire l’Associazione da parte di Dirigenti che svolgono ruoli in organi dell’Unione, che non hanno il diretto rapporto con i disabili visivi e non hanno compiutamente valutato la mutata e maggioritaria realtà sociale afferente la cecità, realtà con la quale invece i dirigenti Sezionali devono confrontarsi ogni giorno e che solo su di loro ricade l’onere di doverlo applicare. Penso che sia stata una decisione inopportuna, nella quale si può leggere, anche un possibile, involontario disconoscimento del sempre più difficile e complicato ruolo dei Dirigenti Sezionali, che non giova all’Unione, la quale per conservare credibile la propria rappresentatività, dovrebbe conseguire il più alto numero di soci, promuovendo una tipologia di tesseramento appropriato alla nuova realtà sociale dei cittadini con disabilità visiva.

Accompagnamento Salone Internazionale del Libro di Torino 2018, di Marco Farina

E’ la prima volta che scrivo qui ma cercherò di essere breve e conciso. Mi chiamo Marco Farina e son socio U.I.C.I. di Sassari e vorrei ringraziare i presidenti ed i vari collaboratori di Sassari, Genova e Torino in modo particolare il volontario del servizio civile ordinario Simone, nonché le referenti del servizio volontari Sabrina di Genova e Enza di Torino perché mi hanno permesso di partecipare attivamente come autore del libro “Il sole splende per tutti” al Salone di Torino nello stand s76 della casa editrice Europa edizioni, sita nel terzo padiglione fiera a Torino Lingotto. Porterò nel cuore le sensazioni suscitatemi da questa esperienza ma ho creduto opportuno farvene partecipi perché è la dimostrazione plastica del motto Volere è Potere e del significato del lavoro di squadra. Uniti si può.
Saluti
Marco Farina da Sassari

Annuncio, di Matteo Tiraboschi

Autore: Matteo Tiraboschi

Ciao a tutti, sono Matteo Tiraboschi e insieme all’amico Gabriele, ho creato un gruppo aperto su WhatsApp. Lo scopo è quello di far conoscere e magari anche risolvere alcune problematiche che ci toccano nella vita quotidiana. Il gruppo si chiama: Risolviamo. Potete contattarmi tramite la mia pagina Fb, visitando il sito internet www.matteotiraboschi.org oppure direttamente tramite WhatsApp al mio numero 3385092651. Grazie.

Aumento della quota associativa: ma è davvero una buona idea? di Mario Mirabile

Autore: Mario Mirabile

Come è noto, il Consiglio Nazionale, nell’ultima riunione, ha deliberato l’aumento della quota associativa da €.49,58 a €.72,00, la cui entrata in vigore è prevista per il prossimo anno.
In queste poche righe, non intendo criticare la scelta del Consiglio Nazionale, bensì stimolare un dibattito che, su un argomento così importante, credo debba coinvolgere soprattutto le strutture territoriali che quotidianamente hanno il contatto con i soci e, più in generale, con i disabili visivi sui relativi territori.
Se, in linea di principio si può dire che un aumento del 45% della quota associativa si giustifica per un blocco ventennale della cifra, altrettanto si può dire, a mio modesto parere, che l’aumento non si giustifica se si considera la situazione in cui versa il nostro paese e, più in generale, la società in cui viviamo.
Da tutte le riunioni, da tutti i dibattiti sulle varie mailing list e sui social si evince che è sempre più complicato avvicinare i giovani all’Unione; si sa che è sempre più complesso avere dati dall’INPS e dalle commissioni preposte all’accertamento delle invalidità; gli Istituti per ciechi, ove ancora funzionanti, non ricoprono più il ruolo di una volta; le professioni tradizionali dei ciechi stanno sempre più cedendo il passo a nuove prospettive occupazionali, quando va bene, ma soprattutto al precariato, alla disoccupazione e alla emarginazione dei ciechi. Combattiamo quotidianamente a far comprendere ai rappresentanti delle Istituzioni a tutti i livelli che il nostro sodalizio non può essere considerato alla stregua di piccole realtà associative territoriali e settoriali e che la disabilità visiva è una disabilità complessa e diversa rispetto alle altre e per questo necessita di interventi specifici. A tutto ciò dobbiamo aggiungere che stiamo vivendo una stagione politica del tutto nuova, complessa, ignota e comunque diversa da quella precedente, o quanto meno con attori diversi con cui dobbiamo iniziare ad interloquire.
Per farla breve, credo che non ci possiamo permettere il lusso di perdere neanche un socio, anzi dobbiamo essere in grado di diventare un punto di riferimento imprescindibile anche per quei ciechi che fino ad ora hanno snobbato l’Unione.
Per far ciò, non credo che possiamo partire da un aumento così drastico della quota associativa; a mio modesto parere, la quota di €.72,00 può essere raggiunta, ma a seguito di un processo graduale che duri 4/5 anni e, comunque, con una campagna di comunicazione che non pregiudichi il rapporto quotidiano tra il socio e la struttura territoriale.

Spero davvero che su un argomento così importante e su decisioni così strategiche per il futuro della nostra associazione si possa sviluppare una vera discussione.

Ciao Enzo: luce di un cammino, di Massimo Vita

Autore: Massimo Vita

Ciao Enzo, ieri mentre lavoravo in sede nazionale, mi ha raggiunto la triste notizia della tua dipartita. Ho sentito in Caterina, che mi dava la notizia, una profonda tristezza e mi sono sentito come svuotato.
Dopo qualche momento di sconforto e di smarrimento ho rivisto i momenti vissuti con te da quando, giovane dirigente a Torino, ti ho conosciuto con il maestro Tomatis. Ho ripensato ai dialoghi sui temi dell’istruzione prima e del libro parlato poi. Ho ripensato ai tuoi consigli e al tuo equilibrio. Ho ricordato quando sei stato con Tommaso Daniele a Siena e a come mi sei stato vicino.
Salutarti è triste come è triste sapere che la tua sposa non ti avrà più al suo fianco ma ci consola la certezza che dall’alto ci accompagnerai e ci accompagnerà sempre il tuo esempio di dirigente illuminato e socio legatissimo alla nostra grande famiglia associativa.
Allora questo non è un addio ma un grazie per quanto hai fatto per tutti noi e per l’associazione.
Un abbraccio forte e un arrivederci con tanta stima e affetto.

Massimo Vita

Un otto marzo senza mimose, di Mena Mascia

Autore: Mena Mascia

Con quale coraggio anche quest’anno parleremo dell’otto marzo come se davvero si trattasse di una festa, dimenticandoci di tutte quelle donne, vittime di violenza, la morte delle quali ci viene propinata quotidianamente dalla cronaca? Non le piangiamo semplicemente perché non ci appartengono, oppure ci siamo talmente abituate a sentirne parlare che le notizie ci scivolano addosso come acqua su vetro? Parlare di quella memorabile giornata come di una festa, mentre dovremmo ricordare sempre l’episodio che ne ha suggerito la memoria, (tante donne imprigionate in una fabbrica e fatte morire bruciate), rende colpevoli tutte noi di un’ingiustificata indifferenza che non ci assolve.
Mentre madri e figli piangono la perdita di vittime di amori sbagliati, in quel giorno i fiorai vendono a carissimo prezzo minuscoli mazzolini di mimose che spesso servono a placare le coscienze colpevoli dei nostri compagni irrispettosi e distratti.
In qualità di responsabile regionale del Molise per le pari opportunità, e non solo come donna, io quest’anno ho inteso celebrare l’otto marzo promuovendo un incontro imperniato su tre iniziative che mi sono sembrate significative: “La creatività attraverso le mani”, “Le donne raccontate dai poeti”, “Appartenere è esserci”.
La prima iniziativa consiste nell’avere invitato la cittadinanza a recarsi presso la sezione territoriale dell’unione per visitare un’esposizione dei miei lavori artistici a calza. Lungi da me un momento di autocelebrazione, mi è sembrato opportuno renderci visibili attraverso un diverso trascorrere del tempo libero.
Nella seconda iniziativa le volontarie del servizio civile reciteranno delle poesie a loro scelta sulla donna, perché la giornata che vivremo non passi inosservata.
Nella terza iniziativa consegneremo gli attestati della fine del corso braille alle nove partecipanti che l’hanno frequentato, dopo averlo espressamente richiesto.
Salutate le autorità presenti, ci recheremo presso un noto ristorante della città per consumare insieme una pizzata in allegria.
Mena Mascia