A Torino un convegno per fare il punto
Ha quasi duecento anni, ma è ancora giovane. E a chi lo vorrebbe mandare in soffitta risponde mostrando una vitalità straordinaria, che gli permette di dialogare con le nuove tecnologie e di adattarsi a quasi tutti i linguaggi umani (matematica e musica comprese). Parliamo del codice Braille, il sistema di letto-scrittura a sei punti in rilievo, inventato da Louis Braille nella prima metà dell’800 e tuttora insostituibile strumento d’inclusione per milioni di persone cieche in tutto il mondo. Per far conoscere il valore e l’importanza di questo sistema (che ai non “addetti ai lavori” può apparire un po’ misterioso) l’UICI (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti) e il Club Italiano del Braille, in collaborazione con l’Università degli Studi di Torino, hanno organizzato il convegno “Braille: sei punti per una chiave d’accesso al sapere”, che si è svolto venerdì 1° marzo a Torino presso Palazzo Nuovo (sede delle facoltà umanistiche). L’appuntamento si è inserito nelle iniziative per la Giornata Nazionale del Braille, istituita nel 2007 dal Parlamento Italiano per valorizzare e promuovere questo particolarissimo sistema comunicativo.
Fondamentale è stato, innanzi tutto, il coinvolgimento dell’ateneo torinese. Infatti all’incontro hanno partecipato molti studenti del dipartimento di Filosofia e Scienze dell’Educazione. “Questi giovani sono gli insegnanti, gli educatori e gli assistenti sociali di domani” ha sottolineato la prof.ssa Cecilia Marchisio, referente per il dipartimento. “Sono contenta che fin da ora abbiano un’opportunità per familiarizzare con il Braille, imparando a comprenderne l’utilità e il funzionamento, almeno nelle sue linee generali”.
Il convegno, in effetti, ha avuto un taglio fortemente divulgativo, che ha permesso ai presenti (anche a chi non aveva competenze specifiche sulla disabilità visiva) di esplorare il Braille sotto diversi punti d’osservazione. Nicola Stilla, presidente del Club Italiano del Braille dichiara: “Arriviamo da un ventennio di relativo disinteresse nei confronti del Braille. Si pensava che, con l’avvento delle nuove tecnologie, sarebbe stato superato. Fortunatamente oggi assistiamo a un’inversione di tendenza. Riteniamo che ogni persona cieca debba poter conoscere e padroneggiare tutti gli strumenti a propria disposizione, per poi scegliere quelli più idonei, anche a seconda delle diverse situazioni. È quindi fondamentale che il Braille continui a essere insegnato agli studenti con disabilità visiva, fin dalla più tenera età”.
Che il Braille non abbia mai avuto vita facile lo dimostra la sua storia, ripercorsa per l’occasione dal prof. Luciano Paschetta, Direttore I.Ri.Fo.R. (Istituto per la Ricerca, la Formazione e la Riabilitazione) del Piemonte. I pregiudizi ci sono sempre stati. “Va innanzi tutto osservato che, fino all’illuminismo, salvo rarissime eccezioni nessuno riteneva che le persone con disabilità visiva potessero essere educabili. Quindi l’idea di immaginare un sistema di letto-scrittura a loro dedicato era tutt’altro che scontata” ha fatto notare Paschetta. “Al tempo di Braille c’era chi tentava di trasferire in rilievo le lettere stampate in nero, ma il sistema consentiva solo una lettura molto lenta e i libri realizzati con questo metodo erano enormemente ingombranti. La soluzione studiata da Braille invece era molto più lineare e “compatta”, tanto che, nonostante le critiche, si affermò nel giro di pochi anni”.
Leggere e scrivere un testo in Braille, però, sono azioni che presuppongono lo sviluppo di abilità complesse, come ben sa chi quotidianamente lavora con i bambini. “Oltre alle facoltà cognitive legate alla comprensione, in questo caso è necessario possedere capacità di orientamento nello spazio e una specifica sensibilità tattile” ha spiegato Silvia Lova, coordinatrice educativa I.Ri.Fo.R. Torino. “Per svilupparla, sono molto utili alcuni piccoli esercizi che possono essere proposti ai bambini già dalla scuola materna: scatole con oggetti da trovare e riconoscere, disegni in rilievo, giochi come il domino con tessere tattili”. Viene poi la fase dell’apprendimento vero e proprio: “Essendo in rilievo, il Braille ha un verso di scrittura speculare rispetto a quello di lettura. Questa caratteristica presuppone un’abilità che i bambini molto piccoli ancora non posseggono, perciò, solitamente, nel primo anno di scuola, l’apprendimento è un po’ più lento rispetto al percorso dei compagni normodotati. Ma, superato questo piccolo scoglio, il bambino può tenere senza difficoltà il passo col resto della classe”. Molto diverso, ovviamente, è il caso di chi debba apprendere il Braille da adulto, magari a causa di una disabilità visiva sopravvenuta. “Per chi già sappia leggere e scrivere è molto più semplice avvicinarsi all’alfabeto. Non altrettanto immediato è, invece, sviluppare la sensibilità tattile necessaria a percepire il confine tra le varie lettere”.
Proprio in virtù della sua grande versatilità, il Braille è adatto a diversi tipi di linguaggio, matematica compresa. E a tal riguardo, dal capoluogo piemontese arrivano novità significative. Infatti, presso il dipartimento di matematica dell’università di Torino, è attivo il laboratorio “Sergio Polin”, che da tempo lavora per l’inclusione, anche in ambito scientifico, degli studenti con disabilità visiva. Il gruppo di ricerca ad esso legato sta raggiungendo conquiste ragguardevoli. “Il Braille è un sistema di scrittura lineare. Il problema è che, invece, formule, grafici e tabelle (alla base non solo della matematica ma di tantissime discipline, comprese l’economia e la statistica) sono organizzati in colonna” ha osservato Anna Capietto, docente di matematica presso l’università di Torino. “Grazie alle nuove tecnologie, però, è stato possibile ovviare a questo problema, rendendo, per così dire, lineari i testi contenenti formule, grafici o tabelle. Riteniamo sia una conquista fondamentale, non solo per gli studenti ciechi che volessero avvicinarsi a una facoltà scientifica, cosa ritenuta finora pressoché impossibile, ma anche per le inedite possibilità lavorative che dischiude”. Sono stati fatti certamente grandi passi in avanti, però molto resta ancora da fare. “Tra i problemi da superare – spiega ancora la prof.ssa Capietto – c’è il fatto che per la trascrizione in Braille della matematica non esiste un codice universale, ma diversi sistemi, variabili a seconda delle aree geografiche. Quando, come stiamo cercando di fare, si propone un confronto a livello internazionale, questa è una difficoltà aggiuntiva”.
Anche al di là degli specifici ambiti d’intervento, tutti i relatori hanno posto l’accento sulla grande duttilità e contemporaneità del Braille. Lo ha fatto in modo particolare Alessio Lenzi, responsabile del comitato informatico UICI Torino. “Sono appassionato di tecnologia fin da quando ero bambino e per un certo periodo della mia vita anch’io ho creduto che i nuovi mezzi di comunicazione avrebbero mandato in soffitta il “vecchio” sistema a sei punti in rilievo. Ma l’esperienza mi ha portato a ricredermi. Oggi so che informatica e Braille possono andare a braccetto” ha spiegato Lenzi. “Infatti, sia i computer, sia i dispositivi di nuova generazione (come smartphone e tablet) possono dialogare con i display Braille, che garantiscono grande autonomia. Ve ne sono di vari formati (dai “tascabili” a quelli con più righe di testo) e alcuni sono anche dotati di una memoria interna, che consente di salvare e archiviare materiali. Unico limite, i costi, che restano, ancora oggi, piuttosto alti”.
La diffusione del Braille in maniera capillare può avvenire anche grazie al ruolo di alcuni punti di riferimento, come i centri tiflodidattici “che – ha ricordato la coordinatrice nazionale Linda Legname – svolgono un ruolo prezioso nell’educazione integrale della persona e nel superamento delle barriere fisiche e culturali”. Da notare, infine, che alcune case editrici hanno dedicato attenzione al codice Braille. È il caso dell’editore torinese Silvio Zamorani, che ha realizzato alcuni libri “nei quali i caratteri del testo in nero convivono con quelli in rilievo del codice tattile. Libri veramente inclusivi, libri per tutti”.
“Nel corso della sua storia, dai primi anni di vita fino alla contemporaneità, questo codice è stato vittima di molti pregiudizi” ha esordito il presidente nazionale UICI, Mario Barbuto. “C’è chi lo ha bollato come segregante, perché non leggibile dai vedenti, chi, a varie riprese, ne ha profetizzato la fine. Ma la realtà dimostra che, al contrario, il sistema ha spalancato alla comunità delle persone non vedenti le porte della cultura e della conoscenza. Ecco perché a Braille e alla sua invenzione dobbiamo, innanzi tutto, essere grati”.
Al termine del convegno, alcuni dati si sono imposti con assoluta chiarezza. Ben lontano dall’essere superato, il Braille è ancora molto vivo e vitale. Oggi come in passato (e per certi forse più ancora che nei decenni scorsi) rappresenta un’opportunità unica di inclusione, che consente agli studenti come ai lavoratori di confrontarsi alla pari col mondo dei vedenti. E a tutti di accedere a quel tesoro inesauribile che è la cultura.