ICC Camp: per chi legge questo acronimo su un sito Internet o sui documenti esplicativi si tratta semplicemente dell’”International Camp on Communication and Computers”, ma per chi vi ha partecipato è senza dubbio molto di più.
Naturalmente l’internazionalità è uno dei punti di forza di questo scambio per giovani ciechi e ipovedenti alla cui ultima edizione, svoltasi a Dresda (Germania) dal 25 luglio al 3 agosto, hanno preso parte ragazzi e coordinatori provenienti da 14 nazioni europee ed una asiatica, il Giappone. Tra loro c’era la nostra “truppa” composta da sei ragazzi e tre membri di staff.
Anche l’informatica e la comunicazione giocano un ruolo centrale con “belli e ben organizzati workshop”, come li ha definiti Annaclara Farace, una delle ragazze italiane. Si tratta di workshop gestiti da coordinatori e membri di staff di ciascuna delle delegazioni, che toccano una vastissima gamma di tematiche: da quelle più strettamente connesse all’informatica ad altre, riguardanti le relazioni interpersonali o fattori quali la propria immagine, a volte sottovalutati dai disabili visivi, che comunque incidono sull’efficacia del messaggio che si vuole inviare all’uditorio.
ICC è una possibilità di crescita non soltanto per i ragazzi, ma anche per chi li accompagna, come dimostra questo pensiero di Maria Enrica Calò, uno dei membri vedenti dello staff del gruppo italiano: “Partecipare ad ICC 2016 mi ha fatto sentire parte di un progetto, di una missione, di una famiglia. Sono partita con due valigie e uno zaino, sono rientrata con la testa colma di ricordi e il cuore leggero. Un’esperienza che mi ha insegnato tanto. La prima lezione? Non arrendersi mai.”
Già questo, probabilmente, vi sembrerà abbastanza per costruire un’iniziativa dal successo più che certo; eppure non è tutto qui. Ciò che rende vincente e sempre attuale un modello che ormai si ripete simile da venticinque anni è l’apertura al dialogo di tutti i presenti che comprendono quanto l’opportunità di passare del tempo assieme a persone che rappresentano culture così diverse dalla propria sia troppo preziosa per essere sprecata. Ed ecco che ogni momento libero diventa occasione per condividere idee e canzoni, informazioni e battute di spirito; insomma per annodare i molteplici fili che permettono la costruzione di legami profondi, che durano anche dopo la conclusione del soggiorno. Questo non è soltanto il punto di vista di una nostalgica (dopo tre edizioni frequentate come partecipante, ICC 2016 è stata la mia prima esperienza in qualità di coordinatrice della delegazione italiana), ma ha colpito anche Anna Frighetto, il secondo membro vedente dello staff, che entrava in contatto con questa realtà per la prima volta: ”Vedere ragazzi che nonostante le difficoltà si impegnano per guadagnarsi il proprio futuro e che credono nel valore dell’unità, che in questo periodo sembra più che mai impensabile, è un’esperienza unica che rifarei un milione di volte!”
E al di là di ogni conoscenza tecnica acquisita, è proprio questo il messaggio che porterò con me e vorrei condividere con tutti: forse è più difficile, ma alla lunga costruire ponti e non muri, tracciare strade di pace anziché scavare fossati in cui trincerarsi e difendersi, è appagante e dà frutti sicuri.