Rubrica per genitori.
Il numero di oggi costituisce il secondo dei tre appuntamenti dedicati-con l’aiuto del dott. Angelo Fiocco-alla scoperta dei sensi vicarianti, una risorsa spesso sottovalutata ed invece tanto preziosa per la vita quotidiana delle persone con disabilità visiva.
Posto che l’addestramento all’impiego dei canali sensoriali residui non si esaurisce nel poco detto fin qui, va sottolineato che alcune prerogative specifiche dei singoli organi di senso raggiungono il massimo dell’efficacia a condizione che ci si abitui ad associare correttamente tra loro i diversi segnali-messaggio percepiti e a combinarli in informazioni verosimili sulla realtà fisica circostante. Trattasi di operazioni assai semplici che i bambini con deficit visivo grave o totale dalla nascita, specie se incoraggiati ad osare, imparano ad effettuare spontaneamente, tuttavia noi possiamo aiutarli a perfezionare questi processi e a ricorrervi in maniera intenzionale e intelligente, ricordando che le indicazioni sottostanti saranno valide a patto che prima ne abbiamo saggiato di persona la fondatezza. In caso contrario non saremmo credibili, e voler insegnare ciò che non si sa offende la dignità altrui prima ancora di arrecargli danno.
N.B.: Siccome sto per proporvi nuovamente di chiudere gli occhi, vi invito a non assimilare l’assenza temporanea della visione né allo stato di cecità né a quello di buio; quanto vado a suggerirvi è soltanto una simulazione volta a scoprire, a riscoprire o a conoscere più in dettaglio le risorse e le potenzialità cui ho accennato più sopra, nonché a persuaderci che esse sono utilizzabili a prescindere dal fatto che si veda o no.
Proviamo allora a testare qualche peculiarità per certi versi affascinante e intrigante del nostro mondo percettivo.
Che la sensibilità tattile sia diffusa su tutto il corpo è risaputo, ma siamo in grado di dire in quali circostanze ne siamo coscienti razionalmente oltre che fisicamente?
Ci difendiamo dal caldo e dal freddo adeguando l’abbigliamento al clima e alla stagione; in auto manovriamo con i piedi i tre pedali di rito; la qualità del materasso e del letto condiziona quella del nostro riposo; l’affaticamento agli arti inferiori che aumenta mentre procediamo lungo un tratto fangoso non è paragonabile a quello che avvertiamo camminando in discesa o su una sassaia; la brezza del mattino non ha sul viso il medesimo impatto di quella serale…
Quanto all’udito, le grida dei bambini all’uscita di scuola o intenti a rincorrersi al parco o in una piazza risuonano differenti da quelle dei tifosi allo stadio, dei venditori al mercato o di un corteo di protesta; il camion della nettezza urbana fermo a vuotare un cassonetto non emette lo stesso suono-rumore di quando è in movimento; il galoppo di un cavallo ha connotazioni sonore diverse da quelle del trotto; i passi umani sulla ghiaia hanno poco in comune con le ruote di un veicolo…
Le sensazioni olfattive che percepiamo costeggiando una siepe fiorita o un fazzoletto di erba appena tagliata, nei pressi di una farmacia o di un caffè differiscono enormemente da quelle avvertite in un’officina meccanica, in un negozio di vestiti o di scarpe, dal fruttivendolo, in un’aula di scuola, salendo su un autobus stipato o entrando in una chiesa…
Ovvietà? Può darsi, ma intanto prendiamoci la briga di chiudere gli occhi per un po’ e di concentrarci a cogliere gli stimoli non visivi che emana un ambiente preciso – meglio se familiare all’inizio, poi anche nuovo -, a riconoscerne e a focalizzarne l’entità e le caratteristiche grazie alle quali riusciamo a distinguerli.
Adesso lasciamoci andare a compiere qualche gesto un tantino goffo come schioccare due dita o la lingua contro il palato, pesticciare sull’impiantito, emettere due o tre “ah” brevi e secchi o schiarirci la gola. Riscontriamo qualche risultato?
In caso affermativo possiamo procedere all’esperimento successivo, altrimenti rilassiamoci un attimo e ricominciamo da principio: la mancanza di percezioni alternative immediate non è necessariamente dovuta a disfunzioni organiche o a inettitudine da parte nostra, semmai è la spia di quanto ci affidiamo ciecamente alla vista… Qualora però continuiamo a non avere riscontri, converrà consultare il nostro medico di fiducia.
Per apprezzare più a fondo l’esperienza, nel caso in cui temessimo di muoverci a occhi chiusi, apriamoli per avvicinarci a una parete, quindi richiudiamoli e ripetiamo tutti o parte dei gesti menzionati pocanzi.
Agiamo allo stesso modo dopo esserci avvicinati a una finestra con la tenda chiusa, a un tavolino, a un mobile piuttosto imponente, a una porta aperta.
Concediamoci due o tre minuti di pausa, ed eccoci pronti ad aggiungere un pizzico di pepe al nostro gioco sensoriale. Ora infatti, con gli occhi aperti, ci avvicineremo a ciascuno dei punti di riferimento scelti nella fase precedente, lo toccheremo, chiuderemo gli occhi e prenderemo ad allontanarcene lentamente – arretrando o di lato a seconda dello spazio disponibile – e lanceremo a intervalli regolari gli input già utilizzati, sforzandoci di verificare come si modificano le percezioni mano a mano che ci allontaniamo da quel determinato punto. Noteremo che alcune variano a seguito dei nostri spostamenti (in genere quelle relative agli oggetti più alti), mentre altre rimangono inalterate (tavoli, sedie, puff, ecc.).
Se poi sostiamo in posizione frontale a 1/2 metri di distanza da una parete o da un armadio, possiamo osservare che l’effetto di ritorno generato dal nostro input si riflette soprattutto sulla fronte; che ruotando a destra o a sinistra di 45° viene interessato sì in primo luogo l’orecchio, ma anche la zona occipitale; che ruotando di 180° lo avvertiremo più o meno intenso all’altezza soprattutto della nuca. Naturalmente, più si affina questa sensibilità, maggiore diviene la distanza dentro cui è possibile captare il segnale-messaggio di ritorno.
Ora fermiamoci e, prima di aprire gli occhi, cerchiamo di costruire mentalmente una sorta di mappa sensoriale – alternativa a quella visiva – del luogo in cui ci troviamo, avendo cura di riordinare per importanza gli stimoli avvertiti e di stabilire quali tra essi coinvolgono più di un canale percettivo.
Stop!… Però prima di dimenticare le sensazioni appena sperimentate, facciamone tesoro. Perché non verbalizzarle, magari sotto forma di appunti?
Alla fine constateremo che esse ci hanno fornito un insieme di dati riguardanti:
– l’ampiezza del locale (oltre alla nostra posizione e alla distanza rispetto a un determinato punto di riferimento, i segnali-messaggio provocati dai nostri input rivelano gli stati di pieno/vuoto, alto/basso, largo/stretto, ecc.);
– la superficie e il volume approssimativi occupati dall’arredamento;
– l’eventuale presenza di controsoffitti o di lampadari se sufficientemente grandi (la scatola cranica è un ottimo recettore) e quella di piante, libri, ecc.;
– il tipo di pavimento (marmo, cotto, parquet), le cui proprietà sono piuttosto facili da individuare attraverso le piante dei piedi anche indossando pantofole o calzature normali;
– l’eventuale presenza di tappeti o di tendaggi pesanti.
Attenzione: i pavimenti in moquette o la sovrabbondanza di tappeti riducono sensibilmente la propagazione del suono: ciò non significa dover adattare l’intera abitazione al bambino con deficit visivo totale o grave, ma sarà bene che almeno la sua cameretta e parte degli spazi comuni non eccedano in suppellettili fonoassorbenti.
Angelo Fiocco
Tiflologo, specializzato nell’insegnamento agli alunni disabili visivi