Ho sentito molti pareri e molte spiegazioni, ma, scusate, continuo a non capire.
Fino al 2015 inizialmente in un piccolo gruppo abbiamo fatto crescere un movimento così detto di rinnovamento: non eravamo tutta l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, però man mano che andavamo avanti ci accorgevamo di ottenere un certo interesse. A partire dal Congresso del 2010 era risultato importante affrontare il problema del riconoscimento delle minoranze, ovviamente insieme ai tanti altri che si preoccupavano, ma ritenendolo importante perché in grado di garantire lo sviluppo dell’Associazione verso orizzonti sempre più ampi e possibilmente sempre più condivisi. A questo fine abbiamo proposto nel 2015 delle modifiche allo Statuto che dovevano garantire l’esistenza di una minoranza e lo spazio perché potesse confrontarsi con la maggioranza, avendo strumenti previsti anche dallo Statuto associativo. La minoranza che rappresentavamo sembrava essere diventata maggioranza con le elezioni del 2015, ma evidentemente non era proprio così.
Quello che però non capisco è l’accanimento di chi allora propugnava questi principi, nel volerci oggi dimostrare che potevano essere carta straccia. Che necessità c’era per una lista che aveva già in sé la certezza di vincere il confronto, di dover affaticarsi per evitare ai quattro scalcagnati dell’altra lista, di avere voce in capitolo? Che necessità c’era, quando le firme necessarie per presentare una lista sono di almeno 32 sostenitori, cercarne fino all’ultimo giorno circa 220, stando a quanto ho sentito dire? Certamente lo Statuto lo permette e quanti lo hanno fatto o vi hanno aderito hanno esercitato un diritto previsto e prestabilito. Certamente il tutto è avvenuto nel rispetto delle regole. Certamente le adesioni sono motivate da persone che credono in quello che hanno sostenuto. Quello che non capisco è come si sia voluto mettere a tacere, indipendentemente da chi lo sosteneva, il desiderio di una alternativa, proprio da parte di chi di questa garanzia delle minoranze si è fatto una bandiera.
Sarò ingenuo e forse sono righe inutili; ma proprio non arrivo a capirlo e non riesco ad arrendermi a semplici ragionamenti di convenienza, di volontà di sopraffare, di interessi nascosti o altro. Tanto più che la raccolta di tutte queste adesioni non è avvenuta in occasione della presentazione della lista cui anch’io ho aderito, ma era già in corso quando Katia Caravello ha comunicato la sua volontà di candidarsi alla Presidenza nazionale. Buona giornata a tutti e a rileggerci.
Eugenio Saltarel
Breve commento del Presidente Nazionale
Caro Eugenio,
la tua domanda mi chiama direttamente in causa come persona che ha animato il movimento di rinnovamento fin dal 2010 e come candidato presidente che nelle settimane passate ha raccolto le firme per la candidatura nel prossimo Congresso.
La modifica statutaria del 2015 aveva prevalentemente un duplice scopo:
1) scoraggiare le candidature individuali ed estemporanee, dando ai candidati, tramite la costituzione in “lista”, il senso di una squadra e la solidarietà di un gruppo coeso e omogeneo.
2) Evitare che il Consiglio Nazionale divenisse monopolio assoluto di chi aveva soltanto i due terzi dei consensi, come avvenuto nel 2010 grazie all’impiego del famigerato meccanismo delle preferenze sistemiche.
Allo scopo, infatti, la riforma elettorale del 2015 prevede:
A) l’elezione di 24 consiglieri nazionali invece di 20;
B) la riduzione delle preferenze da tredici a quattro;
C) l’applicazione del principio della parità di genere che consente un massimo di due preferenze in favore di candidati uomini e due in favore di candidate donne;
D) la ripartizione proporzionale dei seggi in base ai voti effettivamente ottenuti dalla lista;
E) la presentazione delle candidature almeno un mese prima delle elezioni congressuali, purché sostenuta da un minimo di trentadue firme di congressisti.
Queste firme di presentazione, a mio avviso, non sono state previste per esercitare un atto di mera burocrazia, ma piuttosto per consentire ai candidati di stabilire un primo contatto con gli elettori e per verificare l’esistenza di un consenso iniziale minimo a supporto della loro candidatura.
Lo slogan “metti una firma anche se non condividi proposte e candidati”, circolato insistentemente nei giorni scorsi, secondo me risulta fuorviante e perfino ingannevole.
Per non dire dell’invito a me rivolto di adoperarmi per raccogliere le firme per la lista alternativa, che suona addirittura offensivo per quella lista, oltre che assurdo nella sostanza.
Io credo che un candidato abbia non il diritto, ma il dovere di rivolgere la propria proposta a tutti i congressisti e ricercarne e accettarne il supporto, senza fermarsi alle prime trentadue firme ottenute, quasi come se la pratica burocratica fosse così espletata ed esaurita.
La domanda che rivolgo io a me stesso e a te, invece é:
cosa c’entra l’esercizio della democrazia con l’assenza di sostegno manifestatasi in modo palese con la mancata raccolta delle firme necessarie alla presentazione di una lista?
Ove si ritenga troppo elevato il numero minimo di firme necessarie a proporre la candidatura di una lista, ebbene, parliamone! abbassiamolo!
Ma perché, invece, accusare gli altri di essere antidemocratici quando non si è riusciti a raccogliere firme a sufficienza per candidarsi?
Circa i tempi, desidero soltanto precisare che la mia personale raccolta di firme per la candidatura ha avuto inizio il 18 settembre. Ben oltre l’annuncio dell’esistenza di una candidatura alternativa.
Poi, in verità, di domande io ne avrei tante altre. Per esempio su modi, tempi e forme della proposta antagonista.
Sui promotori e protagonisti di tale proposta e sul loro percorso degli anni precedenti.
Sul lavoro quinquennale svolto in Direzione Nazionale in armonia e condivisione pressoché assoluta, sfociato, per me inaspettatamente, in una proposta antagonista giunta soltanto a poche settimane dal Congresso.
Ma preferisco tornare al presente e alla realtà: abbiamo oggi un meccanismo elettivo che ci consente, pur in presenza di una sola lista, di poter scegliere per il nostro Consiglio nazionale i ventiquattro componenti su trentadue candidati. Dunque ben il 25 percento di tali candidati rimarrà fuori, sulla base di scelte congressuali meditate e consapevoli.
Quanto al candidato presidente, so bene come la carica comporti fatica e responsabilità.
La sfida con me stesso, tuttavia, temo sia quanto di più difficile io debba e possa sostenere. Una sfida inedita che mi accingo a raccogliere con il rispetto dovuto per i congressisti e con la serietà richiesta.
Dalle assemblee precongressuali e dai Seminari Tematici di Avvicinamento al Congresso, trarrò e trarremo, tutti insieme, per l’Unione, quegli spunti ed elementi di un programma comune e condiviso da realizzare nei cinque anni che ci attendono.
Mario Barbuto