L’UICI di Latina, convenzionata con l’Università degli Studi, La Sapienza di Roma e l’Università Telematica Internazionale, UTIU, Sede di Roma, ospita tirocinanti in Psicologia, aventi quali Tutor, la Dott.ssa Faiola Danila Psicologa terapeuta, cieca assoluta, componente del Consiglio della Sezione e il dott. Bertini Francesco Psicologo, vedente, consulente della Sezione. . I giovani tirocinanti, partecipano ai colloqui e consulenze che sono svolte dai professionisti. Anche la Vice Presidente, il , sottoscritto e altri consiglieri collaborano in tale attività. Le consulenze alla pari effettuate da persone esperte conseguono sempre positivi risultati sulla persona che ha perduto in tutto o in parte il bene della vista. Sulla base dei risultati rilevati è stato avviato lo studio di un progetto volto a strutturare il servizio delle consulenze alla pari e alla costituzione di gruppi volontari di “auto”. Aiuto”, con l’obiettivo di informare le persone sulla possibilità d ricostruirsi una nuova esistenza.
Il Tirocinante Marco Conciatori, ha assistito alla Consulenza alla pari offerta dalla dott.ssa Faiola, e con l’attenzione che gli è propria ha redatto il sottostante diario, utile per comprendere lereali e complesse difficoltà che l’Unione si trova a dover fronteggiare.
Diario di una consulenza alla pari.
La signora G è al primo colloquio psicologico dopo la perdita della vista, avvenuta improvvisamente circa un anno fa, è accompagnata presso la sede della UICI dalla signora Lucia (signora che l’aiuta a casa) e dalla cognata. Una volta accomodatasi nella stanza per il colloquio insieme alla psicologa, spiega che non vede più e che non ricorda come è fatta la propria casa. Vive con il marito in una casa di campagna, molto grande a due piani. La signora trascorre le giornate in poltrona al piano terra, difficilmente esce di casa, in rarissime occasioni concede ai propri amici e parenti delle uscite per svagarsi.
Recarsi al bagno da sola, i primi tempi, è stato un grande problema, quasi insormontabile, pur procedendo a tastoni G. non si sente sicura e se per il piano terra ha acquisito una minima sicurezza, per quanto riguarda il piano di sopra, dove dorme, sente la necessità di svegliare il marito per accompagnarla in bagno in quanto ha paura di cadere dalle scale. G spiega che non è tanto salire le scale, quanto scenderle il problema e che la sensazione di vuoto prima di appoggiare il piede allo scalino successivo la terrorizza. Le azioni, anche quotidiane che era solita compiere prima di perdere la vista le appaiono al momento impossibili. Le si inumidiscono gli occhi quando parla della cucina, dei suoi sughi, del profumo, delle tecniche e dei suoi segreti culinari, le trema la voce quando dichiara di non poter tornare ad essere una brava cuoca come una volta. La psicologa a questo punto lascia fluire tutti pensieri di G. che pur traducendosi in parole, si racchiudono tutti in un sospiro conclusivo molto più eloquente. La dottoressa, adeguando il proprio tono a quello fino ad ora adottato dalla signora G., rende noto alla paziente che il colloquio che si sta tenendo è un colloquio alla pari, il che significa che entrambi i partecipanti sono non vedenti. La signora comprendendo che anche la psicologa non vede, assume un’espressione di sorpresa sgranando gli occhi, spalancando la bocca e avendo un sommesso sussulto che le addrizza la schiena esclama: (con una cadenza dialettale che fino ad ora ha cercato di controllare) <<Ma davvero?!>>. La psicologa spiega che pur non essendo, lei stessa una cuoca esemplare, è in grado di cucinare e che il suo livello di bravura non dipende dalla sua disabilità visiva. L’espressione di sorpresa si trasforma in sollievo quando la psicologa le rivela che potrà tornare a cucinare quando sarà in grado di sfruttare gli altri canali che ha a disposizione.
La signora G. si rilassa e tornando nella sua posizione iniziale sulla sedia, è come se tornasse a pensare agli altri problemi, infatti subito dopo fa sapere che sente il bisogno di avere qualcuno accanto quando sale e in particolare quando scende le scale. Questo presenta un grande problema per l’autonomia in quanto la casa, essendo sviluppata su due piani, riduce di molto il raggio di azione della signora che per scendere in cucina, situata al piano di sotto, dopo essersi svegliata la mattina, ad esempio, ha bisogno della signora Lucia. La psicologa chiede alla signora cosa fa nel caso avesse bisogno di raggiungere il bagno nelle ore notturne, G. fa sapere che sveglia il marito. La psicologa, in tono scherzoso, chiede se il marito è contento di accompagnarla e che avendo una certa età sarà costretto a svegliarsi per le proprie esigenze e che di fatto sopperendo anche alle esigenze della moglie potrebbe avere delle notti insonni. La signora ride e torna seria quando però rende nota la propria paura di perdersi nel percorso per raggiungere il bagno (anche nei colloqui successivi più volte la Signora G. domanderà sia in modo implicito che in modo esplicito come mai non ricorda la pianta della propria abitazione). La psicologa chiede alla signora come immagina possa essere il percorso dalla sua camera per raggiungere il bagno. La paziente descrivendo il percorso che compie per andare al bagno accompagna ad ogni indicazione vocale il gesto preciso con le mani o disegna con le dita una piantina sulla scrivania; non è possibile sapere se effettivamente i gesti corrispondano alla reale proporzione delle mura domestiche ma la precisione dei gesti compiuti dalle mani tradisce in un certo senso l’enunciato precedente secondo cui la signora non ricorda.
La psicologa pone delle domande sul passato e la signora racconta che ha lavorato per anni come sarta ma non sembra convinta quando le viene spiegato che potrà riprendere a cucire. Quando si torna a parlare del concetto chiave che consiste nel concedere agli altri canali percettivi di prendere il posto della vista sulla quale la signora ha fatto sempre affidamento, la paziente sembra comprendere e con attitudine positiva mostra alla dottoressa un orologio parlante che indossa sempre al polso, premendo il pulsante ascolta l’orario. L’orologio, spiega, le è stato regalato da uno dei due figli, che lavorano entrambi in uno studio dentistico e sembra facciano in modo che la madre acquisti sempre più autonomia. La signora racconta dei numerosi inviti dei figli ad intraprendere delle attività come cucire o occuparsi di alcune faccende domestiche, lei vorrebbe ma allo stesso tempo non si ritiene all’altezza e scuotendo la testa si chiede sospirando: <<ma come faccio?>>.
Prima di terminare il colloquio spiega che a breve compiranno, lei e il marito, 50 anni di matrimonio ma non vuole festeggiare, inizialmente sembra che i rapporti con il marito siano peggiorati con la perdita della vista in seguito sembra invece che la signora non si sente di festeggiare a causa della propria condizione.
Al termine del colloquio la psicologa con la paziente si spostano nella stanza accanto dove l’attendono la cognata con Lucia, stanno parlando con Giulia che si occupa della gestione della UICI della sezione di Latina, la quale riferirà in seguito alla psicologa che, Lucia e la cognata, si stavano informando sull’acquisto di qualche supporto come libri per non vedenti dove ci sono le figure geometriche e Giulia stessa le ha fatto notare che si tratta di libri per bambini che devono ancora apprendere il concetto di figura geometrica. Nel prendere l’appuntamento successivo la psicologa chiede:<< allora signora quando ci rivediamo?>> rispondono accavallandosi la Signora G che dice di chiedere alla cognata e quest’ultima che risponde: chieda a me, sono io che l’accompagno e aggiunge abbassando lo sguardo, siamo noi ad occuparci di lei (le si legge la tristezza).
Durante il secondo colloquio la signora parla della rete di parenti e amici che ha intorno, adora la nipotina, molto brava a scuola e dice che è in grado di comprenderla molto più di altri adulti, e fa riferimento al marito, con il quale non si trova molto a suo agio dopo che ha perso la vista. Fa presente nuovamente che non sa come fare per scendere le scale. La psicologa decide di dedicare il tempo della seduta psicologica alla terapia occupazionale, così entrambe si recano nelle scale dell’edificio e dapprima con una certa esitazione ed infine con decisione la signora G. affronta, prima insieme alla dottoressa poi da sola, diverse rampe di scale. La signora inizialmente fa molte domande, la psicologa la incoraggia e si complimenta con lei ogni volta che la paziente termina una rampa. L’umore della signora migliora scalino dopo scalino, al termine della seduta è sorridente, scherza con la cognata e la psicologa. Anche la cognata è molto contenta dell’autonomia che ha acquisito la signora G. ed ha un’espressione molto più serena rispetto la prima seduta. La signora Lucia riferisce alla psicologa che ha lasciato alcuni compiti domestici alla signora G. e al suo ritorno, ha trovato le zucchine tagliate alla perfezione (alla Julienne), la signora G. sorride, è visibilmente sollevata. Quando la psicologa fa sapere alla signora G. che la trova più serena, sarà proprio la signora infatti a rispondere: <<sembro (autoriferendosi) più sollevata perché ho fatto una cosa mia!>>. In queste parole è possibile intuire una nuova, seppure iniziale, consapevolezza.
La psicologa fa sapere che le farebbe piacere incontrare il figlio per il terzo ed ultimo incontro, la signora G è d’accordo e viene stabilito insieme al figlio il giorno.
Il terzo colloquio avviene in due momenti: il primo con la signora G. da sola e nella seconda parte partecipano il figlio (dentista, primogenito) e la cognata. Nella prima parte del colloquio la psicologa chiede alla signora come si sente e se è cambiato qualcosa dal secondo colloquio. La signora G. fa sapere che sta meglio e che ha iniziato a seguire di più la tv anche se ancora non scende le scale da sola e la notte sveglia ancora il marito per andare in bagno.
Nella seconda parte del colloquio il figlio racconta che il padre purtroppo ha un modo tutto suo di spiegare alla madre come muoversi e che spesso questo la confonde oltre a creare malcontento tra i coniugi. Il figlio sembra invece più paziente da come descrive le operazioni in modo più dettagliato e attento ad ogni minimo particolare, fa l’esempio della porta del bagno e spiega alla madre di sentire la maniglia sbattere contro il muro prima di entrare. Raccontano brevemente l’episodio dell’ospedale quando la signora G. ha perso la vista, la cognata fissa il vuoto, e piange sommessamente come a non voler farsi vedere dalla signora G. che spiega di aver perso la vista da un giorno all’altro.
Il figlio chiede se è opportuno cercare qualche ausilio come il bastone ad esempio. La psicologa prende un bastone e mostra alla signora G. come utilizzarlo, le consiglia di fare pratica anche frequentando un corso per l’autonomia, al termine la signora sembra già in grado di orientarsi un minimo e dice che vorrebbe provarlo dentro casa per poter avere una nuova mappatura ma che ancora ha paura degli scalini in fase di discesa. Il figlio rende nota la propria decisione di mettere un cancelletto in prossimità delle scale per passare dal piano superiore a quello inferiore in modo che la madre, la notte, possa raggiungere il bagno al piano di sopra senza timore e soprattutto senza svegliare il marito. Il figlio fa presente che la mamma nonostante le proprie spiegazioni e quelle della psicologa sull’utilizzo del telefono (avvenute durante il primo colloquio di terapia) si ostina a non volerlo utilizzare per chiamare ma solo per rispondere, la psicologa sorridendo dice che dovrà essere la signora G a chiamarla la prossima volta dal momento che le è stato spiegato come utilizzare il telefono (avendo come riferimento il tasto 5 centrale e orientandosi di conseguenza). Il figlio tuttavia elogia la mamma davanti la psicologa riportando l’episodio in cui la mamma ha cucito più di 10 cm di un pantalone, operazione che richiede precisione e non poca esperienza manuale, al termine della seduta, il figlio mostra il video che testimonia la competenza della mamma nel cucire; la signora G. con entusiasmo chiede espressamente al figlio di far vedere il video alla psicologa, dimenticandosi completamente del fatto che il colloquio oltre ad essere un colloquio psicologico fosse anche un colloquio alla pari. La signora G. si mortifica e si affretta a chiedere scusa alla psicologa (che avendola accompagnata fuori dalla stanza è ancora a braccetto con lei) la quale, con calma, spiega che il fatto di aver dimenticato la cecità dell’altro è un importante passo per capire che è possibile conservare la propria identità e tutte le caratteristiche della persona a prescindere dalle problematiche che la disabilità visiva può comportare. Prima di andare via vengono lasciati alcuni riferimenti come l’indirizzo di un centro di assistenza vicino il domicilio della paziente e il nome di un app per poter seguire i film con audio-descrizione. La signora, il figlio e la cognata lasciano la sede dell’UICI ognuno scendendo le scale per conto proprio. La cognata confessa che è molto preoccupata quando la vede scendere le scale ma nel dirlo sorride.