Il 2020 è stato l’anno della memoria per l’UICI, del ricordo di una storia che ha compiuto 100 anni e include tanti episodi, battaglie e vittorie; una storia fatta di persone, di bambini e bambine, di ragazzi e ragazze, di uomini e donne con disabilità visiva che hanno lottato, fatto scelte, conosciuto l’amarezza dell’esclusione e conquistato spazi sempre più ampi in società, assumendosi il ruolo che competeva loro e preparando il terreno per coloro che sarebbero venuti dopo perché potessero contare su una rete di diritti consolidati e su un’Associazione capace di farsi portavoce di istanze e che si è conquistata nel tempo un potere interlocutorio sempre più autorevole.
Ogni anno però c’è una data che è sinonimo di memoria ed è il 27 gennaio, che ricorda la Shoah, trauma collettivo che non può essere superato, che ha segnato il destino di milioni di persone, persone senza colpa private delle loro vite, dei loro desideri, dei loro sogni, dei loro averi, dei loro affetti, di tutto ciò di cui una persona può essere privata. Tra queste persone ci sono anche i disabili.
Tutto è cominciato con le parole «Vite indegne di essere vissute». Le persone con disabilità sono le prime a sperimentare l’orrore, uccise con iniezioni e poi con il gas. Un peso sociale sono i disabili. Nel 1939, Hitler con una lettera autorizza i medici «a concedere la morte per grazia ai malati considerati incurabili secondo l’umano giudizio». È l’inizio dell’operazione Aktion T4, l’eutanasia forzata che parte da Berlino e ha sede in un villino espropriato a una famiglia ebrea. Medici e infermieri danno la morte e conducono esperimenti, giuristi e avvocati trovano le giustificazioni legali, inservienti e operai fanno la loro parte. Nelle scuole vengono assegnati problemi come questo: «Un malato di mente costa circa 4 marchi al giorno, un invalido 5,50 marchi, un delinquente 3,50 marchi. In molti casi un funzionario pubblico guadagna al giorno 4 marchi, un impiegato appena 3,50 marchi, un operaio non qualificato neanche 2 marchi per ciascun membro della famiglia. Rappresenta graficamente queste cifre. Secondo prudenti valutazioni in Germania ci sono 300 mila malati di mente, epilettici, ecc., in case di cura.Quanto costano annualmente costoro complessivamente se per ciascuno ci vogliono 4 marchi? Quanti prestiti matrimoniali dell’ammontare di 1000 marchi l’uno, con rinuncia a qualsiasi successiva restituzione, si potrebbero stanziare ogni anno con questi soldi?».
Tutti i programmi di sterminio sono preceduti e sostenuti da una pervasiva, martellante e capillare opera di propaganda nelle scuole e nelle organizzazioni giovanili del partito nazista, attraverso film, poster, libri e opuscoli che illustrano la necessità della selezione genetica e dell’eliminazione dei disabili per evitare loro altre sofferenze e risparmiare denaro a beneficio del resto della popolazione.
Tra i bambini, le vittime sono circa 5 mila dal 1938 al 1941. Gli ospedali devono segnalare i bambini di età inferiore ai 3 anni per i quali si sospetta una delle seguenti gravi malattie ereditarie così classificate: idiozia e sindrome di Down (specialmente se associata a cecità o a sordità), macrocefalia, idrocefalia, malformazioni di ogni genere soprattutto agli arti, alla testa e alla colonna vertebrale e paralisi, incluse le forme spastiche. I bambini vengono sottratti ai genitori per essere trasferiti in centri pediatrici speciali per ricevere cure migliori dove invece vengono uccisi, sezionati a scopo “scientifico” e poi cremati. Causa ufficiale della morte è: polmonite.
La storia di Otto Weidt invece è la storia di un uomo che ha salvato molti Ebrei, anche disabili, un Giusto con disabilità, essendo quasi completamente cieco a causa di una malattia degenerativa. Figlio di un tappezziere, da sempre oppositore del nazismo, in gioventù, appena arrivato a Berlino da Rostock, dove è nato nel 1883, fa parte dei circoli anarchici e pacifisti della città. Grazie a documenti falsi per i dipendenti ebrei della sua fabbrica di scope e di spazzole, nasconde un’intera famiglia in un locale segreto del suo magazzino, corrompe i guardiani polacchi del campo di concentramento in cui è prigioniera la sua segretaria per farle avere cibo e vestiario, dà lavoro a diversi Ebrei ciechi o sordi, fa di tutto per salvarli dallo sterminio. Lavora anche per la Wermacht. Questo gli permette di avere Ebrei come operai coatti, rimandando e cercando di evitare il momento della deportazione. Scambia al mercato nero scope e spazzole per aiutare a sfamare i suoi lavoratori. Manda pacchi ai centri di detenzione con cibo e aiuti. Dopo la guerra apre un orfanotrofio per i bambini e le bambine ebree, e una casa di riposo per anziani soli.
La sua storia è diventata un documentario, Otto Weidt – Uno tra i Giusti nel 2015, con musiche di Filippo Visentin. Nel Museo fatto aprire a Berlino nel 2004, con sede nell’edificio che ospitava la fabbrica, dalla segretaria Inge Deutschkron sopravvissuta alla Shoah, ci sono foto di gruppo di Weidt con i dipendenti, una ventina circa, la maggior parte con disabilità visiva. Altre immagini mostrano i macchinari presenti in fabbrica per permettere anche ai ciechi di produrre le scope. Tra il 1942 e il 1943 è l’unico a far ricoprire ruoli impiegatizi agli Ebrei che gli vengono affidati dalla Casa Ebraica per i ciechi. Le due segretarie ebree si mischiano agli operai nei laboratori quando arrivano i controlli. In mostra c’è anche la carta di identità della segretaria e una cartolina con la quale in codice una famiglia di ex-dipendenti riesce a far recapitare a Weidt una richiesta di cibo. Ci sono immagini del nascondiglio all’interno della fabbrica dove l’imprenditore fa nascondere un’intera famiglia. C’è anche la cartolina lanciata dalla segretaria dal treno che la porta ad Auschwitz, con cui chiede di imbucarla a chi la trovasse e che incredibilmente arriva al destinatario. Weidt muore di infarto nel 1947. Viene soprannominato lo «Schindler cieco». Nel 1971 lo Yad Vashem Memorial l’ha riconosciuto Giusto tra le nazioni.