L’anno più breve, di Mario Barbuto

Autore: Mario Barbuto

E così… abbiamo vissuto la pandemia virale.

Ci siamo ritirati nelle nostre case. Anzi, siamo stati costretti prigionieri in casa.

Abbiamo bruciato oltre due mesi di attività, restando completamente fermi. Poi abbiamo ripreso. Ma con tanta incertezza: in ordine sparso, con regole confuse, con tanti che rischiano di essere lasciati indietro.

In casa nostra, all’Unione, avevamo ideato per quest’anno speciale tante manifestazioni e attività pensate e progettate per onorare i cento anni di vita di questa nostra Associazione. Appuntamenti in ogni città d’Italia, incontri in ogni piazza e luogo delle istituzioni. Quegli appuntamenti che ancora contiamo di rispettare e vogliamo onorare per rendere omaggio ai nostri Padri Fondatori e ai nostri predecessori.

Ripresici appena dalla quarantena generalizzata, ringraziati il Cielo e la Fortuna per non esserne stati toccati in modo diretto e personale, ci guardiamo intorno e ritroviamo quella Unione che deve rinnovare i propri Organi dirigenti a ogni livello, organizzare e svolgere le assemblee di sezione; provvedere all’insediamento dei Consigli: prima quelli sezionali, poi i regionali; convocare e tenere il proprio Congresso. L’assise che rinnova i massimi vertici associativi e garantisce una guida sicura, scelta da tutti in libertà e consapevolezza.

Un’emozione intensa mi ha preso l’anima nell’aprire a Bologna la prima assemblea di quest’anno: il 20 giugno. In contemporanea con quella di Perugia. Eppure ancora timide e poche erano le presenze, modesta la partecipazione.

Poi subito a Catania. Senza aver avuto nemmeno il tempo di chiudere i lavori di Bologna.

E lì, ai piedi dell’Etna, in una domenica memorabile, 387 persone sono venute a dare il proprio voto a uno dei tanti candidati raccolti e suddivisi in quattro liste concorrenti.

Poi le altre assemblee. A seguire. Susseguirsi. Inseguirsi. Al ritmo incalzante del sabato e della domenica. Perfino con qualche prologo il venerdì e il giovedì e qualche epilogo con seggi aperti in sezione anche il lunedì.

E oggi, con qualche incertezza meno di ieri, comincio a sussurrare a me stesso e a chi mi cammina accanto che forse ci arriviamo, nell’anno in corso, a celebrare il centenario e svolgere il Congresso.

Sì, forse…

Sulla base delle proposte della Direzione, il Consiglio Nazionale, unanime, ha stabilito che a settembre potremo tenere le assemblee precongressuali. A ottobre, la fantasia creativa dei nostri dirigenti ha inventato un nuovo strumento di partecipazione: gli STAC (Seminari Tematici di Avvicinamento al Congresso). Una risorsa di coinvolgimento attivo dei soci e non solo, dialogo, confronto, dibattito, per aiutare il Congresso a definire obiettivi e strategie dei prossimi cinque anni con il contributo straordinario di tutti.

Nei mesi scorsi, durante la segregazione forzata, spesso attanagliato a una delle scrivanie della Sede Nazionale in via Borgognona a Roma, nel silenzio totale delle vie e delle piazze intorno a me, tanti pensieri, mille riflessioni, infinite meditazioni mi hanno tenuto compagnia e hanno popolato a lungo la mia mente.

Ebbene, lo ammetto: a questa Unione sono profondamente attaccato, con un sentimento che cresce e si nutre dei tanti episodi quotidiani.

Quando parlo direttamente con soci e dirigenti, quando sento intorno a me il loro affetto e calore, raccolgo l’attenzione di tanti, misuro le risposte positive della politica, sì, sento intorno a me la simpatia delle persone; sì, rafforzo il mio coraggio e vigore per proseguire il cammino di riforme, rinnovamento e innovazione che abbiamo cominciato qualche anno fa e che abbiamo il dovere di continuare, senza Se e senza Ma.

Poi, invece, talvolta, nei momenti duri e freddi delle decisioni da prendere, quando capisci che un tuo errore potrebbe diventare il guaio e l’affanno di molti, il tuo dubbio l’attesa dei più; quando il bisogno viene a svegliarti la notte con la voce e l’ansia di quanti non hanno quel che serve loro e si sentono ultimi, allora ti domandi se davvero stai facendo le cose giuste, se sai essere sempre all’altezza del compito, se riesci a offrire quel che la gente si attende e desidera.

Ho cercato in questi mesi di interpretare il dovere del mio ruolo senza indugiare o dubitare, nella consapevolezza che in questa fase straordinaria fosse necessario mettere in campo una volontà e una determinazione inusitate e ignote perfino a me stesso. Ho sentito e praticato il dovere di presidiare con la mia presenza i luoghi delle Istituzioni e delle decisioni per rappresentare al meglio le criticità e i problemi della nostra gente con tutta l’energia di cui sono stato capace.

Ora, passata la notte più profonda, anima e corpo, mi sono dato a organizzare le assemblee, infondere coraggio a presidenti e dirigenti giustamente preoccupati; mettere a punto i collegamenti da remoto; far funzionare la macchina delle votazioni a distanza per dare subito all’Unione una opportunità in più di partecipazione per ridurre eventuali effetti di pandemia e isolamento; ma nel frattempo per favorire domani e sempre, il consolidamento di nuovi strumenti per allargare gli spazi di presenza dei soci e i margini di democrazia a disposizione.

Prima della imminente pausa di agosto i tre quarti delle assemblee saranno già state svolte con il conseguente rinnovo dei Presidenti e dei Consigli sezionali.

Il Congresso verrà convocato per il 5 novembre prossimo a Roma, così come deliberato dal Consiglio Nazionale.

Le celebrazioni del Centenario, invece, rimangono confermate a Genova per il 24, 25 e 26 ottobre, in tre giorni intensi per onorare e ricordare il secolo di vita di questa nostra grande Associazione, in quella terra di Liguria dove è stata fondata nel 1920 da Aurelio Nicolodi e dagli altri ufficiali reduci della prima guerra mondiale.

Ai nostri amici dirigenti di Genova e della Liguria chiediamo la pazienza più grande perché non saremo in condizione di gestire oggi un Congresso nella loro città, ma ci attendiamo anche un impegno massimo per dare forza e lustro al nostro Centenario per renderlo un momento memorabile.

L’Unione è la casa Comune alla quale mi sento di appartenere con tutte le mie forze. Ed è proprio l’orgoglio dell’appartenenza che dobbiamo recuperare e rafforzare. Quell’orgoglio che ho sempre coltivato in me e che ho visto crescere nel mio cuore come una pianta d’alto fusto e rafforzarsi proprio nei giorni e nelle settimane della pandemia e dell’isolamento.

Grazie di cuore a chi ha voluto starmi accanto in questi tempi di distanziamento.

Grazie a chi mi ha fatto sentire il suo affetto e mi ha donato la sua comprensione.

Grazie a chi mi ha criticato, dandomi spunto e occasione per riflettere e correggere.

Viva l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti!