La casa di riposo può non rappresentare l’ultima spiaggia, di Mena Mascia

Autore: Mena Mascia

Dopo una notte insonne costellata da grida di persone colpite da demenza senile o da altre malattie ugualmente invalidanti che urlano continuamente, finalmente sono le sei del mattino, quando mi decido a scendere dal letto per raccontare di un cambiamento radicale, un’esperienza per la quale, insieme alla mia mamma quasi novantasettenne di cui mi occupo a pieno tempo, ho dovuto lasciare la mia abitazione per trasferirmi, mi auguro temporaneamente, in una casa di riposo.
Come si può bene intuire, la scelta non è stata né semplice, né indolore, ma necessaria, anche perché siamo abituati ad intendere quelle strutture come l’ultima spiaggia, in attesa della morte. Può non essere così, ma rivelarsi invece una risorsa cui approdare, quando le nostre esigenze o quelle delle persone anziane a noi care dovessero richiedere assistenza continuativa.
La signora rumena che con insuperabile abnegazione si occupa di noi durante l’intero anno, Dovendo usufruire delle sue ferie, ci lascia per un periodo, quindi è stato gioco forza preoccuparmi di sostituirla. Purtroppo però, essendo peggiorate le condizioni di mia madre, mi è stato impossibile trovare tre persone che, con le competenze indispensabili del caso, mi coprissero l’arco delle 24 ore, quindi il panico, prima che un’idea m’illuminasse la mente: perché non trascorrere quel periodo in una struttura in cui mi fossero assicurate aiuto ed assistenza H 24? Razionalmente mi rendevo conto che non sarebbe stato facile una residenzialità tanto provvisoria, ma, testarda come sono a perseguire anche quelle che potrebbero sembrare delle utopie, mi dissi che provare non costava nulla, e cominciai a pensarci molto seriamente
Sembrandomi corretto esplicitare le mie condizioni di non vedente, ricevetti alcuni no decisi, ma non demorsi, fino a quando il gestore di una nuovissima struttura che evidentemente aveva bisogno di ospiti solventi, situata nel centro della città, accettò di incontrarmi ed eccomi qui.
Non ho potuto evitare i primi impatti difficili con taluni operatori che, imbarazzati, avevano problemi a darmi il braccio con naturalezza, ma, dopo qualche giorno, tutto sommato, la convivenza è accettabile, salvo qualche aspetto che va ancora un tantino smussato.
Non bisogna smettere di farsi ascoltare col sorriso sulle labbra, di avere l’umiltà del paziente continuare a ripetere le stesse cose a chiunque ve le chieda, perché è un esercizio che paga, ve lo assicuro, e potete credermi sulla parola.
Se vi chiedeste le motivazioni che mi hanno spinto a raccontarvi questa esperienza, dovete sapere, ed esserne convinti, che anche ciò che vi sembra improponibile, è da considerarsi possibile, solo che lo vogliate.
Mena Mascia.