I nuovi LEA: tra luci e (molte) ombre, di Ida Palisi

Autore: Ida Palisi

Intervista a Vincenzo Zoccano, componente della Direzione nazionale dell’Uici

Un decreto che interessa le persone con disabilità, tanto atteso e ora firmato senza il coinvolgimento delle associazioni. Nascono con questo limite i nuovi Lea, i Livelli Essenziali di Assistenza che il Presidente del Consiglio dei Ministri Paolo Gentiloni ha firmato il 12 gennaio scorso. Nel nuovo decreto uno degli aggiornamenti principali e più attesi riguarda il nuovo nomenclatore sull’assistenza protesica, insieme a quello degli elenchi delle malattie croniche e delle patologie rare: erano quasi vent’anni che non si metteva mano alla materia, giacché il decreto vigente risale al 1999 (D.M. n. 332) e non tiene conto dei progressi fatti in ambito protesico-tecnologico, medico e scientifico. Ma il nuovo provvedimento non ha soddisfatto le associazioni delle persone con disabilità che accusano il testo di essere già vecchio, ed esprimono forti riserve sull’intero impianto dei Lea licenziati dal ministero della Salute, sia per quanto riguarda le modalità di elaborazione che il merito delle disposizioni. La posizione dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti la chiediamo a Vincenzo Zoccano, componente della Direzione nazionale dell’Uici con delega ai rapporti con le altre associazioni delle persone con disabilità.

Zoccano, un provvedimento tanto atteso, che non soddisfa le associazioni. Che è successo?
Il motto del movimento internazionale delle persone con disabilità “Nulla su di noi senza di noi” viene disatteso, perché le associazioni non sono state adeguatamente coinvolte nel processo decisionale che ha dato luogo ai Lea. L’Italia è stata appena bacchettata dall’Onu sui diritti delle persone con disabilità e continua a disapplicare la Convenzione Onu, un faro per tutti gli Stati che l’hanno ratificata con legge propria; in Italia esiste la legge 18 del 2009, ed invece si continua a decidere per la disabilità, senza la disabilità.

È vero che i Lea sono nati già vecchi?
Sì, e lo sono per tutti, non solo per le persone non vedenti. Si basano su principi e linguaggi obsoleti. Il linguaggio con cui sono scritti non è coerente con quello previsto dall’OMS e dalla Convenzione Onu che, parlando di persone con disabilità, cambia il paradigma da malato a disabile. Poiché si tratta di una questione molto delicata, che riguarda anche il confine tra la sanità pura e il socio-assistenziale, dobbiamo esprimerci in modo da non trattare le persone con disabilità da malati, ma da persone che si concentrano sulle abilità residue, su ciò che possono ancora fare. Non ci si può limitare riducendo la persona alla disabilità.

Anche l’Unione è stata esclusa dalle consultazioni?
L’Uici non è stata sentita adeguatamente: eravamo presenti nella vecchia commissione di aggiornamento del nomenclatore tariffario e abbiamo saputo che dovrà aggiornarsi prossimamente. È ovvio che chiederemo di essere ascoltati, perché siamo molto preoccupati del fatto che alcuni ausili, soprattutto quelli ad alto contenuto tecnologico, possano non essere inclusi. Il tablet per la scuola, o lo smartphone, che non è un telefono, ma un assistente personale già dotato di tecnologia assistiva, sono ausili che riteniamo vadano erogati come prestazioni riabilitative in conseguenza alla menomazione visiva e che devono essere inseriti nei Lea.

Le mancanze dei Lea sono una questione di fondi?
I fondi sono quelli della Sanità, è ovvio che si facciano i conti con il bilancio, ma non si può sempre derogare ai diritti delle persone con disabilità sottomettendole alle ragioni economiche. Occorre rilevare inoltre che esiste un problema di dati e quelli a nostra disposizione sono pochi e andrebbero arricchiti, altrimenti si rischia sempre di avere misure incoerenti. In ogni caso, l’Unione non vuole sostituirsi alla politica, sta a chi ci governa capire dove, se, come e quando, trovare i fondi: prima di tutto tariamo il provvedimento sulle persone, poi parliamo di ripartizioni. Quella di un cieco e delle persone con disabilità in generale, è una vita che costa molto di più per qualsiasi cosa, dalla scuola, al lavoro, ai mezzi per spostarsi, ai percorsi di riabilitazione per recuperare le abilità residue. Abbiamo bisogno di essere messi al pari degli altri.

Come dovrebbero essere i Lea?
Dovrebbero abbracciare realmente tutti i livelli di assistenza della sanità, dagli interventi ospedalieri alla grande riabilitazione, fino a prestazioni che sembrano banali ma che in realtà cambiano radicalmente la vita delle persone. Se esci cieco dall’ospedale, ti dicono che dal punto di vista sanitario non c’è più niente da fare; ma è lì che iniziano problemi di altro tipo, e che riguardano la riconquista dell’autonomia. Ad esempio i corsi di autonomia e mobilità delle persone non vedenti e ipovedenti sono riabilitativi e andrebbero ascritti al capitolo sanità e a quello dei Lea. Purtroppo nel nuovo provvedimento non c’è traccia di tutto ciò.

Ci sono disomogeneità territoriali?
Sicuramente e ci preoccupano, perché non esistono ciechi di serie A e di serie B, esistono i ciechi italiani, cui bisogna garantire gli stessi livelli di vita. L’Italia è una sola, ci possono essere delle fisiologiche disomogeneità ma quando arrivano a discriminare e creano sperequazioni non possiamo accettarlo. I Lea del Friuli Venezia Giulia devono essere gli stessi della Sicilia, della Calabria o della Campania. È come in una famiglia, dove l’ultimogenito deve godere degli stessi diritti del primogenito. Credo che uno Stato, prima ancora che manager, debba essere padre di famiglia.

Cosa chiederà l’Unione al Governo?
Vorremmo che il nostro Stato possa discutere con noi dei nostri bisogni, perché nessuno li conosce meglio dei cittadini utenti e dell’Unione, che rappresenta i ciechi italiani. Partiamo dalle associazioni che molto spesso si sostituiscono agli enti locali e allo Stato nell’erogare servizi, che conoscono bene le cose di cui si occupano e non vengono consultate a dovere. Non è ancora chiaro poi cosa prevedano i Lea, perciò abbiamo dato mandato ai nostri uffici di fare una disamina del testo e dopo faremo le nostre considerazioni di tipo politico rappresentativo, con una proposta che indirizzeremo al Governo autonomamente o in collaborazione con le associazioni, per prendere una posizione che non sarà comunque di urto. Non intendiamo scontrarci ma ci sono cose che non possiamo negoziare: il diritto all’autonomia, alla mobilità, allo studio, alla parificazione non sono contrattabili.

Ci saranno aspetti positivi del nuovo provvedimento.
L’unica cosa positiva che rilevo è che si sta mettendo mano ai Lea, l’ultima revisione risaliva infatti, a diciassette anni fa. Ci stiamo pensando, e bisogna farlo bene. In Italia abbiamo la fortuna di avere associazioni propositive, auspichiamo che ci sia un’unitarietà. Vorremmo che lo Stato si prendesse cura dei cittadini, ascoltando le organizzazioni ma non favorendo la contrapposizione tra di noi.

Qual è l’idea di persona non vedente che dovrebbero accogliere i Lea?
I non vedenti, se messi in condizioni di parità, diventano cittadini tra i cittadini, altrimenti restano “handicappati” e persone da assistere. È una concezione che abbiamo ampiamente superato, sia a livello culturale sia legislativo, perché in Italia non siamo all’anno zero, non c’è più segregazione, la persona con disabilità non è più emarginata. Come diceva il nostro presidente onorario Tommaso Daniele, l’Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti è stata l’organizzazione che ha transitato, nel nostro Paese, i minorati della vista “dagli angoli delle strade e dai gradini delle chiese alle cattedre universitarie”. Abbiamo acquisito credibilità, grazie all’Unione e non intendiamo rinunciare, perché i nostri fondatori ci hanno affidato questi diritti: adesso bisogna mantenerli e conquistarne di nuovi. Questa è la grande mission dell’Unione.