40 anni fa veniva approvata la Legge 517, architrave dell’inclusione, di Gianluca Rapisarda

Autore: Gianluca Rapisarda

A 40 anni dalla sua emanazione, la Legge n. 517 del 4 Agosto 1977, costituisce ancora la «pietra miliare», il caposaldo dell’attuale modello di inclusione scolastica del nostro Paese. Infatti, all’articolo 2 ed all’articolo 7 di quella norma, in riferimento all’inclusione nella scuola primaria ed in quella secondaria inferiore degli alunni disabili, si prevede l’introduzione di un «docente di sostegno» in possesso di un apposito titolo di specializzazione, con il compito di supportare il Consiglio di classe nella progettazione di una «didattica inclusiva». La figura del docente di sostegno, pertanto, diventa centrale ai fini dell’integrazione scolastica degli alunni-studenti con disabilità, ma ancora soltanto all’interno della scuola elementare e media. Qualche anno dopo, e precisamente nel 1987, la sentenza n. 215 della Corte Costituzionale riconoscerà il pieno diritto allo studio degli allievi disabili, aprendo di fatto a tutti loro anche le porte della scuola secondaria superiore. E tuttavia, in quegli anni, abbiamo assistito soltanto ad un inserimento «selvaggio» degli alunni con disabilità nella scuola «di tutti», senza lo sviluppo di una seria riflessione pedagogica e didattica sulle modalità di una loro più adeguata ed efficace inclusione. Noi abbiamo accettato con grande gioia e con soddisfazione questo passaggio dalla scuola speciale alla scuola «comune», ma quando ciò è avvenuto, tale trasferimento è stato fatto con eccessiva disinvoltura, con la superficialità che contraddistingue molte iniziative italiane e in particolare della scuola. Naturalmente non vorrei ingenerare equivoci, non sto tessendo le lodi del tempo dell’educazione «speciale», sto soltanto dicendo che abbiamo operato questo passaggio senza preoccuparci della necessità di dare a questi ragazzi quei supporti necessari e specifici che conseguono alla loro disabilità. Pertanto, è accaduto che, malgrado la Legge 104 del 1992, e tutta la successiva normativa sull’autonomia scolastica, l’organizzazione della scuola è restata «incastrata» ed inchiodata in un contesto nel quale, a tutt’oggi, nella programmazione ordinaria destinata agli allievi con disabilità, non trovano posto – o lo trovano solo saltuariamente attività di orientamento e all’autonomia personale, di avviamento allo sport, di orientamento professionale, di insegnamento del Braille e della Lis, dell’uso delle tecnologie «assistive» ecc… In pratica, il docente per il sostegno si è da sempre trovato a dover gestire da solo l’alunno-studente con disabilità. A ciò si aggiunga che il 40% degli attuali docenti di sostegno sono «precari privi di un’adeguata preparazione» e che i nuovi «corsi polivalenti di specializzazione» degli anni 80 e 90 dei docenti di sostegno (fino agli odierni Tfa) sono diventati ormai troppo «generalisti» e generici, con scarsissima attenzione alle specificità delle singole disabilità. Tale grave stato di cose ha causato la realizzazione di un modello di inclusione che, snaturando i suoi originali ed iniziali principi pedagogici e didattici, è divenuto sempre più «assistenziale» ed inefficiente, provocando gli attuali «punti deboli» del sistema e cioè: la carente ed insufficiente formazione specifica degli insegnanti specializzati, la totale impreparazione dei docenti curricolari, del personale Ata e di tutto il «contesto» scolastico nei confronti degli allievi disabili e, soprattutto, l’ormai consolidata e «perversa» delega al solo docente per il sostegno dell’alunno-studente con disabilità, con la conseguente ed inevitabile emarginazione e «ghettizzazione» di quest’ultimo nelle famigerate «aule di sostegno». L’esperienza di questi quarant’anni ci ha insegnato che non serve assumere «a contratto determinato» un esercito di docenti specializzati «supplenti» ed «in deroga» (spesso poco preparati e competenti sulle singole disabilità) ed aumentare il numero di ore di sostegno per garantire la qualità del processo di inclusione dei nostri ragazzi con disabilità. Per assicurare il pieno successo scolastico degli alunni-studenti con disabilità, occorrerebbe invece promuovere finalmente un’adeguata e specifica azione formativa di massa di tutto il personale scolastico e non solo dei docenti specializzati sulla Didattica inclusiva e sulla Pedagogia speciale ed una «vera» ed efficace continuità didattica, che passi però da un Piano serio e strutturale di assunzione dei docenti di sostegno e dal loro definitivo transito nell’organico di diritto (disposizioni ancora colpevolmente non adottate neppure dalla recente Delega sull’inclusione entrata in vigore lo scorso 31 maggio). Ma soprattutto, è indispensabile realizzare contesti «flessibili», dotati di strumenti, ambienti e materiali «accessibili» e capaci di progettare ed attivare iniziative per classi «aperte e parallele», per gruppi omogenei ed eterogenei ed insegnamenti personalizzati ed individualizzati, attenti veramente alle «differenze individuali» ed ai bisogni educativi di tutti e di ciascun alunno. A parere di chi scrive, il più grande difetto del nostro sistema inclusivo è che, in Italia, abbiamo leggi innovative e tra le più avanzate nel mondo in questo settore, ma quasi mai si traducono in «buone prassi», non sortendo alcuna ricaduta concreta sul diritto allo studio degli alunni-studenti disabili. Non basta scrivere bellissime leggi, da tutti invidiate, da molti copiate e che ci fanno vincere prestigiosi riconoscimenti internazionali, se poi il nostro Ministero dell’istruzione è privo di una visione strategica, di una vera e propria «policy» sull’inclusione scolastica e non è in grado di programmare a medio e lungo termine. Adeguiamo ed applichiamo una volta per tutte la nostra normativa «inclusiva» alla luce dei moderni principi dell’approccio «bio-psico-sociale» alla disabilità dell’Icf del 2000 e della nuova prospettiva culturale delineata dall’art 24 della Convenzione Onu del 2006 che considera il diritto all’istruzione un diritto umano «insopprimibile» di ogni persona, a prescindere dalla sua limitazione funzionale. Solo così, riusciremo a rendere definitivamente la scuola italiana davvero inclusiva e «for all» ed a modificare i presupposti dell’intera nostra organizzazione scolastica, ritrovando e riaffermando lo spirito originale dell’autentica cultura dell’inclusione sancito dalla legge 517-77.