Il 21 marzo scorso si è svolta una trasmissione di Parla con l'Unione nella quale si è trattato l'annoso problema dei falsi ciechi. Le testimonianze che sono emerse durante l'incontro mi hanno lasciato alquanto sbalordito per il clima che si è venuto a creare in seguito alle numerose notizie che i mass media hanno diffuso negli ultimi mesi. Il risultato di quest'assurda caccia alle streghe è che il clima nei nostri confronti è sensibilmente mutato nell'opinione pubblica.
Premesso che alcuni casi sono reali ed effettivamente da condannare (è impensabile che un cieco possa essere in grado di guidare o andare in bicicletta), sorprende che tante banali azioni quali infilare una chiave nella serratura o attraversare una strada, che tutti noi ciechi con un minimo di autonomia siamo in grado di svolgere, siano divenute sinonimo di falsa cecità. Da una parte ci perviene lo stimolo ad essere il più indipendenti possibile per garantirci una sempre maggiore integrazione nel tessuto sociale, dall'altra le espressioni della nostra indipendenza sono viste con sospetto e ci causano imbarazzo.
Va poi sottolineato che moltissimi dei casi di falsi ciechi denunciati non hanno poi avuto seguito in sede giudiziaria: oltre ad avere un costo per la collettività, quest'inutili processi causano danni profondi alle persone coinvolte: queste avrebbero diritto di ottenere un riconoscimento da chi impropriamente le ha denunciate prendendo, come si suol dire, lucciole per lanterne.
In questo clima inquisitorio molti dei nostri soci hanno paura ad uscire di casa per timore di essere filmati e bollati come falsi ciechi: lo sprone ad essere autonomi ed indipendenti viene in tal modo vanificato.
Viviamo in una società dove l'evasione fiscale regna sovrana, la corruzione anche, senza parlare degli sprechi pubblici. Oggi però sembra che il dissesto dell'economia italiana dipenda soprattutto dai falsi invalidi.
In ogni periodo storico i ciechi hanno dovuto lottare per far riconoscere i propri diritti; nel diciassettesimo secolo i filosofi dibattevano addirittura se il cieco possedesse un'anima o meno; alla fine del secolo successivo, Valentine Haüy fece molta fatica a dimostrare che i ciechi erano in grado di svolgere attività manuali e far di conto. Nell'ottocento, il nato cieco era dichiarato d'ufficio incapace di intendere e di volere e la sua firma non aveva alcun valore giuridico. Nel novecento, per fortuna, abbiamo avuto le nostre vittorie e dai gradini delle chiese siamo saliti fino alle cattedre universitarie. Nonostante questo, l'immaginario collettivo ci percepisce ancora incapaci di attendere alle attività quotidiane. Oggi purtroppo viviamo un periodo di rinnovata caccia alle streghe che svaluta ogni nostro gesto di autonomia; occorre quindi, come giustamente dice il nostro Presidente Nazionale, che la strada maestra sia quella della cultura.
Vorrei concludere raccontando un episodio occorso ad un mio caro amico: un cieco di guerra doveva svolgere un corso a Milano per cui trovò un piccolo appartamento in un vecchio stabile ove la custode era una di quelle vecchie portinaie impiccione che tutto dovevano sapere degli inquilini. Un giorno quella lo avvicinò e gli chiese: "Scusi la mia curiosità, ma lei che non ci vede come fa a fare l'amore con la moglie?". Lui, a cui la prontezza di spirito non mancava, le rispose con un'altra domanda : "Scusi signora, ma per le sue necessità corporali, come fa a pulirselo se non lo vede?".
Scusatemi per l'aneddoto, ma rende l'idea.
Una moderna caccia alle streghe: Il problema dei falsi ciechi (o presunti tali), di Angelo Mombelli
Autore: Angelo Mombelli